Primo documento teorico

«La borghesia può far esplodere e distruggere il suo mondo prima di abbandonare la scena della storia. Noi portiamo un nuovo mondo qui, nei nostri cuori. Quel mondo sta crescendo in questo istante.» (B. DURRUTI)

È vero quanto scrive Debord che la “vita quotidiana è misura di tutte le cose: della realizzazione o piuttosto della non realizzazione di rapporti umani, dell’uso che noi facciamo del nostro tempo”. E’ pacifico che il fine della rivoluzione oggi debba essere la liberazione della vita quotidiana. Una rivoluzione che mancasse di realizzare questo fine sarebbe una controrivoluzione. Siamo NOI che dobbiamo essere liberati, le nostre vite quotidiane, non universali, come “storia” o “società”. La liberazione rivoluzionaria ci si presenta come una autoliberazione che raggiunge dimensioni sociali, non una “liberazione di massa” o una “liberazione di classe” dietro cui si nasconde sempre un’élite, una gerarchia, uno Stato. Qualsiasi gruppo rivoluzionario che voglia sinceramente eliminare il potere dell’uomo sull’uomo deve spogliarsi delle forme del potere – gerarchie, proprietà, feticci – come dei tratti burocratici e borghesi che consciamente o inconsciamente rafforzano autorità e gerarchia e deve essere soprattutto consapevole che il problema dell’alienazione esiste per tutti, che, cioè è propria di tutti i gruppi organizzati “la tendenza a rendersi autonomi, cioè ad alienarsi dal loro fine originale e a divenire un fine in se stessi nelle mani di quelli che li amministrano”. Ciò è macroscopicamente vero per i partiti ufficiali ma è vero in generale. Il problema non può che essere risolto completamente che nel processo rivoluzionario stesso, parzialmente con un drastico rifacimento del rivoluzionario e del suo gruppo. Azione Rivoluzionaria è stato definito un “gruppo anarchico”, con gran dispiacere, pare, delle cariatidi ufficiali che pretendono il monopolio del termine. Ciò che ha spinto a riunirci è invero un’affinità nelle nostre rispettive esperienze culturali che si può definire anarco-comunista. Una delle prime azioni del gruppo, il ferimento di Mammoli, il medico assassino dell’anarchico Serantini, ha tutto il sapore di un risarcimento, del saldo di un vecchio conto che pesava sulla coscienza degli anarchici come pesò l’assassinio di Pinelli. Ha il sapore della testimonianza di una presenza anarchica allo scontro in atto. Ma non si tratta solo di questo, anche se contribuire in qualunque maniera allo scontro è oggi un imperativo categorico, per tutti. L’urgenza di una presenza anarco-comunista nasceva dalle riflessioni sulla storia recente del maggio francese del ’68, sia della ripresa del movimento rivoluzionario in Italia quest’anno. La nostra attenzione si appuntava soprattutto sui caratteri nuovi di questo movimento che accentuava una linea di tendenza antiautoritaria, del resto già presente, sino ai limiti di una rottura col passato. Il nuovo movimento non solo rifiuta quel mostro storico che è il marxismo sovietico e quell’ibrido insipido che è il marxismo italiano, pullulante di personaggi untuosi e melliflui, servi gesuiti di ogni potere, produttori di appelli inascoltabili (l’ultimo quello di Bobbio e soci, per la costituzione di una specie di SdS per la Resistenza contro il terrorismo, ha addirittura del grottesco), ma rifiuta anche il mito del proletariato industriale – classe rivoluzionaria, un mito che ha messo in un vicolo cieco il movimento dal ’68 ad oggi e ha costituito l’alibi principe di tutto l’opportunismo extraparlamentare, prova ne sia il fatto che i gruppi i quali hanno cercato di riflettere più fedelmente la “centralità” operaia sono stati risucchiati dal riformismo, prova ne sia lo spazio che il PCI dà oggi al gruppo trontiano dell’intero partito, una classica azione di recupero diretta verso l’esterno del partito. La liberazione di questo mito ha sprigionato e sprigionerà energie di cui il movimento del ’77 è soltanto l’annuncio.

Almeno tre aspetti vanno poi sottolineati:

1) Il movimento intuisce che nonostante si parli da più di un secolo della scienza marxista, della critica scientifica della società del capitale, il pensiero critico ha fatto ben pochi passi avanti ed ha avuto anzi un ruolo regressivo e repressivo nella coscienza delle masse, facendola aderire totalmente alla società del capitale. Le contraddizioni del capitale e del suo sviluppo, su cui faceva persn la critica “scientifica” sono state assorbite e, insieme ad esse, anche la maggiore delle contraddizioni, quella fra lavoro e capitale. Dopo un secolo di impantanamento nelle contraddizioni oggettive del mondo delle merci, il movimento comincia a interrogarsi sulla necessità di instaurare una critica non delle classi ma degli individui, dei protagonisti in carne ed ossa e non dei fantasmi concettuali. Il movimento rivoluzionario sa di essere l’unica contraddizione del sistema capitalistico perché esprime ciò che di umano non è stato ancora represso nel processo di disumanizzazione, spersonalizzazione e massificazione.

2) Il movimento non rinvia lo scontro alle classi, ma lo assume in prima persona. L’azione è diretta. Qualunque siano i risultati oggettivi, i riscontri soggettivi sono fondamentali. L’azione diretta rende gli individui consci di se stessi in quanto individui che possono mutare il loro destino e riprendere il controllo della propria vita.

3) Il movimento oramai riconosce l’inadeguatezza del vecchio progetto socialista, nelle sue varie versioni. Tutte le istituzioni e i valori della società gerarchica hanno esaurito le loro “funzioni”. Non c’è alcuna ragione sociale per la proprietà e le classi, per la monogamia e lo stato. Queste istituzioni e valori, insieme con la città, la scuola, ecc, hanno raggiunto i loro limiti storici. È tutto l’universo sociale che è nel “tunnel” della crisi e non solo in Italia. Qui alcuni aspetti sono più acuti che altrove: qui la difesa della proprietà sta assumendo proporzioni catastrofiche e costituisce ormai l’unica risposta del potere alla disoccupazione. Ma proprio nella misura in cui la crisi ormai investe tutti i campi contaminati dal dominio, tanto più si evidenziano gli aspetti reazionari del progetto socialista sia maoista sia trotzkysta sia stalinista che conserva i concetti di gerarchia, di autorità e di stato come parte del futuro post-rivoluzionario e per conseguenza anche i concetti di proprietà “nazionalizzata” e di classe “dittatura proletaria”.

Fino a poco tempo fa i tentativi di risolvere le contraddizioni create nell’urbanizzazione, dalla centralizzazione, allo sviluppo burocratico, erano visti come una vana controtendenza al progresso – una controtendenza che poteva essere respinta come chimerica e reazionaria. Quanti parlavano di una società decentralizzata e di una comunità umanistica in armonia con la natura e coi bisogni degli individui erano tacciati di romanticismo reazionario. Anche nella recente campagna di stampa televisiva contro Azione Rivoluzionaria i pennivendoli del regime hanno rispolverato tutto questo apparato critico, addentrandosi addirittura in interpretazioni esilaranti del luddismo, sicuramente lette in qualche manuale dell’attivista delle edizioni Rinascita. Diverso il giudizio del movimento, soprattutto dei giovani. Il loro amore della natura è una reazione contro le qualità altamente artificiali del nostro ambiente urbano e dei suoi frusti prodotti. La loro informalità nel vestire e nel comportarsi è una reazione contro la natura standardizzata e formalizzata della moderna vita istituzionalizzata. La loro predisposizione all’azione diretta è una reazione contro la burocratizzazione e la centralizzazione della società. La loro tendenza ad evitare la fatica, il loro diritto alla pigrizia, riflette una rabbia crescente verso l’insensata routine industriale alimentata nella moderna produzione di massa nella fabbrica, negli uffici, nelle scuole. Il loro intenso individualismo, infine, è una decentralizzazione di fatto della vita sociale – una ritirata personale dalla società di massa. Il movimento sa che i concetti “romantici” o se preferite anarchici di una comunità equilibrata, di una democrazia diretta, di una tecnologia umanistica e di una società decentralizzata non sono soltanto concetti desiderabili ma sono anche necessari, costituiscono le precondizioni oggi della sopravvivenza umana, sono concetti pratici. Si prenda il caso dei problemi energetici. La rivoluzione industriale ha accresciuto la quantità di energia usata dell’uomo. Anche se è certamente vero che le società preindustriali poggiavano principalmente sulla forza animale e umana, è innegabile in molte regioni europee lo sviluppo di sistemi di energia più complessi, comportanti un’integrazione di risorse come la forza dell’acqua e del vento e una larga varietà di combustibili. La rivoluzione industriale ha schiacciato e distrutto questi modelli regionali di energia, rimpiazzandoli prima col carbone e poi col petrolio. Come modelli integrati di energia le regioni sono scomparse e non è il caso di ricordare questa rottura del regionalismo nel produrre l’inquinamento dell’acqua e dell’aria, nella devastazione di intere regioni e infine nella prospettiva di un esaurimento. Si è posti di fronte ad una scelta: da una parte i collettori solari, le turbine a vento e le risorse idroelettriche, se prese singolarmente, non forniscono una soluzione ai nostri problemi energetici, messe insieme come mosaico, come un modello organico di energia sviluppato dalle potenzialità di una regione potrebbero soddisfare i bisogni di una società “decentralizzata” e ridurre al minimo l’uso dei combustibili dannosi; dall’altra parte un sistema di energia basato su materiali radioattivi che porterà a una diffusa contaminazione dell’ambiente, dapprima in forma sottile, poi su scala massiccia e tangibilmente distruttiva, con l’aggiunta di un’iniezione ulteriore di concentrazione e terrore nel tessuto sociale. Le forze della distruzione e della morte si sono subito schierate per quest’ultima soluzione, i berlingueriani le hanno seguite a ruota, anzi, in certi casi hanno fatto da portabandiera (a Genova, per la difesa dei livelli “occupazionali” i tecnici del PCI sognano un Ansaldo che nuclearizzi tutto il pianeta, una specie di follia omicida che ha costretto i compagni delle BR a rinchiuderne qualcuno all’ospedale, in osservazione). Tacciando di “romanticismo” il movimento possente che si è sviluppato negli USA, in Germania e ultimamente anche in Italia contro le basi nucleari, i berlingueriani pensano di farla da realisti, in realtà si limitano a far cena dovunque caca il capitale. Se le idee critiche emergenti dal movimento non hanno ancora assunto la forma di progetto alternativo e costruttivo, le ragioni sono varie; innanzi tutto il movimento non si è ancora liberato dalle ideologie del passato ma è in via di liberazione, in secondo luogo dopo un secolo di “realismo socialista” l’avventurarsi nel regno del possibile è un’impresa psicologicamente ardua, in terzo luogo la perversione delle forze produttive è giunta a un tal punto che la “ricostruzione” appare un’opera immane: la distruzione dell’ambiente naturale e sociale operata dal capitalismo è così profonda da ingenerare quasi rassegnazione come di fronte a un processo irreversibile; ma c’è soprattutto una ragione politica: le forze del passato sono bene organizzate e specializzate nell’arte della morte – i lager tedeschi fumano ancora. D’altra parte vi sono ragioni altrettanto decisive per la nascita di questo progetto: se il movimento non saprà proporre a tutto il resto della società il suo progetto per uscire dalla crisi generale ne sarà travolto anch’esso o, il che è lo stesso, le sue idee finiranno coll’essere pervertite lungo canali putridi (basti pensare alla perversione della spinta sessantottesca nei “consigli” fasulli di quartiere, di fabbrica, di scuola ecc., il che, a dire il vero, dimostra che i berlingueriani fanno cena anche dove cachiamo noi). Certamente il nostro metodo di elaborazione non dovrà essere quello dei berlingueriani che hanno affidato il loro progetto a medio termine a quattro o cinque “intellettuali superorganici” e l’hanno fatto poi stendere da quel genio leonardesco che è Achille Occhetto, col risultato che ora se ne vergognano e lo fanno leggere solo al vescovo di Ivrea. La presenza critica, costruttiva, utopistica è una condizione necessaria ma non sufficiente, una tale presenza oggi non può diventare egemone se parallelamente ad essa non si sviluppa una presenza critica, negativa, distruttiva dei processi in corso. La critica distruttiva, la critica delle armi è l’unica forza oggi che può rendere credibile e attendibile qualsiasi progetto. Di fronte, il movimento non ha degli interlocutori ma le forze della distruzione e della morte, e quanto più è profonda la crisi economica, sociale, politica e morale tanto più le forze del passato si uniscono nella stretta finale. Lo Stato, per queste forze, è l’ultima spiaggia; il processo di concentrazione deve essere ormai esteso anche alle idee: la classe dei rinnegati, integrandosi, non può lasciare spazi all’opposizione. Checché ne dicano o ne strillino gli occhettiani nostrani (hanno fatto il vuoto attorno a Bologna, inorriditi dalla “primitività” delle analisi d’oltralpe) in Italia come in Germania è in atto la formazione di maxipartiti o partiti di regime dove “pluralismo” è il classico termine orwelliano per indicare la persistenza di bande che vogliono accaparrarsi o conservare TUTTA la gestione di QUESTO sistema. Le forze sociali e politiche sempre più autonomizzate dalle masse e sempre più dipendenti dallo Stato non hanno altra arma che il “consenso” forzato, imposto col terrore per arginare in qualche maniera l’antagonismo crescente. L’originalità della situazione italiana, rispetto a quella tedesca, ad esempio, è l’ampiezza di questo fronte interno, l’esistenza di un movimento che non isola la guerriglia ma ha anzi un effetto moltiplicatore della sua diffusione. Azione Rivoluzionaria è nata con un occhio rivolto all’esperienza della Raf e alle sue analisi dei processi in corso nella Germania Federale e con l’altro ai caratteri e alle forze del movimento in Italia che non trovano espressione armata nelle organizzazioni che attualmente conducono la guerriglia. È una coalizione di forze statuali che va battuta, non una singola forza: le pistolettate contro Ferrero non erano rivolte contro un agente attivo della controguerriglia psicologica, uno dei tanti, ma contro questa coalizione e contro questa campagna di menzogne, calunnie e delazioni con cui si tenta di isolare moralmente e politicamente il movimento, una campagna avviata proprio dal PCI a Bologna e Roma, a sostegno aperto e copertura dei servizi di sicurezza. Lasciare libertà di azione a una delle forze della coalizione significa far funzionare questa nel suo meccanismo essenziale, copertura a sinistra del terrorismo di Stato e azione di recupero delle forze sociali esterne, schiacciate dalla concertazione, una volta private della loro espressione politica. L’opera dei servizi di sicurezza e di Pecchioli per eliminare fisicamente la guerriglia fa tutt’uno con gli appelli di Trombadori e soci per togliere qualsiasi identità politica ai guerriglieri, insieme costoro preparano il terreno ai recuperatori, alle leghe gialle dei disoccupati, al nuovo movimento universitario di Occhetto, alle serenate ai non garantiti di Asor Rosa. Aguzzini e recuperatori svolgono compiti distinti di un progetto comune, di cui si vedono già le sembianze nei supercarceri in costruzione. Non a caso l’eco enorme suscitato dalle pistolettate a Ferrero ha spento l’eco degli attentati al carcere di Livorno e al supercarcere di Firenze. La nuova coalizione si guarda bene dall’ostentare, a ludibrio del terrorismo, i gravi danni subiti da un supercarcere: non è ancora giunto il momento di mostrare in pubblico (se verrà mai) le uniche creazioni del compromesso storico: i lager dove potrà assassinare in silenzio i suoi nemici, come in Germania; per il momento si limita ad ostentare le gambe ferite di un suo pennivendolo. Rifiutare quello che abbiamo definito il mito del proletariato industriale-classe rivoluzionaria non significa non condividere le azioni che le Brigate Rosse e Prima Linea compiono per alleggerire la pressione che il capitale esercita sui lavoratori per conservare il proprio dominio; le azioni volte a punire i disciplinatori o a indebolire l’accumulazione sono fondamentali per permettere alle minoranze rivoluzionarie presenti in fabbrica di prendersi la loro libertà di azione, l’essenziale è che ciò non costituisca un ennesimo tributo al mito e un pericoloso condizionamento al punto di vista “operaio”, col risultato di far funzionare il meccanismo essenziale della coalizione. A quanti arricciano il naso (e sono molti nel movimento anarchico) di fronte alla costituzione di un gruppo clandestino, noi rispondiamo che i pericoli di centralizzazione, burocratizzazione e alienazione storicamente si sono rivelati più consistenti nelle organizzazioni “legali” dove addirittura questi pericoli sono divenuti una solida realtà. A quanti coltivano ancora illusioni non violente, se le nostre argomentazioni non sono state sufficienti, chiarezza sempre maggiore verrà dallo Stato e dal suo apparato terroristico. Per quanto ancora in formazione, le nostre idee organizzative tendono verso un modello noto nel movimento rivoluzionario, sperimentato in Spagna negli anni ’30 e adombrato nei “collettivi” e nelle “comuni” dei radicali americani: pensiamo a gruppi di affinità dove i legami tradizionali sono rimpiazzati da rapporti profondamente simpatetici, contraddistinti da un massimo di intimità, conoscenza, fiducia reciproca fra i loro membri. Sia che nascano su basi locali, dall’incontro sperimentato e collaudato di varie storie personali, o su basi diverse, i gruppi devono essere mantenuti necessariamente piccoli, sia per permettere quelle caratteristiche sia per garantirsi contro le infiltrazioni. Il gruppo di affinità tende da una parte ad eliminare fra i compagni rapporti di pura efficienza, dall’altro ad attenuare la divisione schizofrenica fra privato e collettivo, una divisione che è alla base, oltre che delle continue incertezze e degli abbandoni, anche dell’opportunismo e della non trasparenza nei rapporti fra i compagni.

Azione Rivoluzionaria

Gennaio 1978

Volantino distribuito a Carrara durante il terzo congresso delle Federazioni Anarchiche

Che fare?

Lanciamo un appello a tutti quei compagni anarchici, convenuti a questo ennesimo congresso, non ancora scientizzati e invecchiati anzitempo dal continuo e faticoso compito di calcare le scene, chi in veste di attore, chi di spettatore delle rappresentazioni assembleari e congressuali e a quei compagni che non abbiano già devoluto tutto il loro spirito e le loro energie rivoluzionarie ad una pratica che fa dell’attesa e della difesa le sue principali prerogative. È appunto qui a Carrara, così come a Venezia (al convegno sulla tecnocrazia), che si vogliono rinverdire i vecchi rami della confusione, dell’incapacità e della staticità del movimento. Si vorrà vedere con chiarezza, si vorrà comprendere con vero ardore. Ma purtroppo conoscendo la ormai triste storia di questi convegni (utili solo come prova a suonatori di trombone), siamo sicuri che appena balenerà nella mente di tutti i compagni la sicurezza di aver chiarito o confermato il proprio “che fare”, la realtà sarà già nuovamente mutata così tante volte per cui la ostinata sicurezza e convinzione si troverà di fronte come barriera in muro insormontabile. E allora i compagni ricadranno nella confusione, nella svogliatezza e nella delusione, o ancor peggio altri si ostineranno nei loro quadrati mentali e sentiremo, o meglio dire sentiamo, parlare di sindacato, di anarcosindacalismo: quadrato mentale ben vecchio per la società e la realtà di oggi e forse, pensandoci un po’, neanche tanto rivoluzionario per quella di ieri (ma come… e la Spagna? Oh, sì! La Spagna… ma senza la F.A.I.?!?). Oppure ancora, di lotta di classe, di organizzazione di massa; quadrato mentale ancora più putrido e decrepito del precedente, …lo chiameremo in patologia medica: “fagocitosi marxista in incosciente stato di degenere involuzione”. Compagni, cerchiamo una buona volta di rinnovarci, di essere al passo con i tempi, o meglio di prevenire i tempi. Come si può sperare di essere incisivi se i metodi di intervento, per lo più di spicciola propaganda teorica sono ormai tanto vecchi e consumati che riducono gli anarchici ad un sterile ed improduttivo movimento d’opinione, capace di mobilitarsi o su un terreno difensivo allorquando il potere lancia le sue frecciate repressive, (inutile ricordare nei suoi particolari il caso Valpreda o, peggio, il caso Marini con i suoi: “Difendersi dai fascisti non è reato, compagno Marini sarai liberato!”), oppure come “codazzo”, nemmeno alternativo, di quella burrascosa ed oscena politica dei vari ex-extra-parlamentari. Compagni, lasciamo la politica degli slogan, degli schemi, dei dati di fatto di cento anni fa: cerchiamo di essere propositivi. È un invito che rivolgiamo anche a quei compagni che accusano la nostra strategia di essere suicida. Come si può vedere il suicidio della lotta armata, quando un sempre maggior numero di compagni, lavoratori, disoccupati e sottoproletari, si ribella con le armi alla crudeltà del potere? È forse suicidio l’aver abbandonato una pratica senza strategia e tattica dei gruppi anarchici tradizionali, che non sanno come muoversi, disorientati dall’evolversi degli avvenimenti, per riabbracciare la cosiddetta “propaganda dei fatti” come esempio per generalizzare l’azione diretta? È forse suicida l’aver individuato nella lotta antinucleare, non solo una forma di battaglia in un settore specifico, magari con tinteggiature ecologiche, ma una precisa lotta contro il potere? Ed è ancora suicidio destabilizzare lo Stato in tutte le sue forme centrali o periferiche, ridicolizzandolo, mettendolo in crisi e spingendolo a mostrare il suo vero volto, fatto di coercizione e di violenza? ma prima che qualche tromba solista ormai consueta fanfari: “Ma chi sono costoro: F.A.I., G.I.A. o G.A.F.”, ci presentiamo: noi siamo anarchici, l’abbiamo già detto, la nostra è una organizzazione rivoluzionaria in cui i veri gruppi si sono riuniti a livello locale, o dall’incontro di varie vicende personali, sulla base di un’affinità tra le varie esperienze e concezioni dei compagni. Gruppi di affinità che mantengono la loro autonomia e libertà d’azione e in cui i rapporti tra compagni non sono di pura efficienza bensì caratterizzati da un massimo di conoscenza, intimità e fiducia reciproca. Quello che vogliamo è portare una critica distruttiva dello Stato, attraverso l’uso della violenza rivoluzionaria, la lotta armata, la propaganda del fatto. Vogliamo accelerare i tempi e allargare il fronte interno dello scontro per arrivare a una destabilizzazione dello Stato. Crediamo che la presenza critica costruttiva, utopistica non sia una condizione sufficiente, anche se necessaria, se parallelamente ad essa non si sviluppa una presenza critica negativa, distruttiva dei processi in corso. La critica delle armi è oggi l’unica forza che può rendere credibile qualsiasi progetto.

 

Creare organizzare 10 100 1000 nuclei armati!

Azione Rivoluzionaria

Marzo 1978.

Comunicato del nucleo armato “Rico e Attilio”

Tra il 17 e il 18 settembre 1977, il nucleo armato di AR “Rico e Attilio” ha proceduto a colpire la sede della «Stampa» di Torino e il cronista de «l’Unità» Nino Ferrero. Presso la sede del giornale di Agnelli è stato deposto un ordigno che si proponeva di provocare gravi danni alle strutture, senza tuttavia mettere a repentaglio l’incolumità delle persone; il giornalista de “l’Unità” è stato azzoppato. Con questi due interventi armati Azione Rivoluzionaria ha inteso sanzionare precise responsabilità collettive e personali in ordine alla gestione delle notizie relative alla morte dei nostri compagni Aldo Marin Pinones “Rico” e Attilio Di Napoli, caduti mentre a propria volta si accingevano a colpire la sede del giornale della Fiat, nel quadro di un’azione complessiva purtroppo tragicamente interrottasi. All’unisono, polizia e consigli di fabbrica strillano contro questo “attentato alla libera stampa” coprendo ancora una volta con un velo di menzogna la realtà delle cose, non la libertà di stampa e di comunicazione abbiamo inteso di colpire, ma la spudorata campagna di bugie e di calunnie portata avanti dai pennivendoli del regime verso il crescente movimento di opposizione proletario, coscienti che alle “armi della critica” è venuto il momento di sostituire la “critica delle armi”. La funzione delle comunicazioni di massa per il mantenimento dell’equilibrio sociale esistente e per l’estorsione del consenso è fondamentale per il regime; l’intreccio tra centri di potere economico, politico e poliziesco e diffusione di notizie sempre più fitto; ogni spazio di informazione alternativa viene precluso per la semplice ragione che le comunicazioni assumono forma rackettistica e oligopolistica: in questo assetto la stampa sedicente comunista svolge un compito fondamentale di “garanzia a sinistra”. la libertà che noi abbiamo colpito non è la libertà dei padroni e dei burocrati, la cui legittimazione ideologica viene dall’uso quotidiano di tecniche di manipolazione finalizzate al consenso, attraverso grandi mezzi di un “arco (costituzionale)” che comprende tanto «La Stampa» quanto «l’Unità», il giornale di Agnelli e quello del Pci. Con questi interventi armati abbiamo inteso e intendiamo ribadire con forza la verità sui nostri compagni “Rico” e Attilio, spazzare via le rozze calunnie sparse, troppo facilmente, sul loro conto. Rico fu combattente per la libertà e il comunismo nel suo paese di origine: il Cile. Si batte con tutte le forze contro il regime dei colonnelli di Pinochet, pagando di persona e duramente. Fuori del suo paese non si lasciò gabbare da vane parole di sostegno impotente e impugnò ancora una volta le armi, consapevole che la lotta proletaria non conosce confini nazionali. Rico lottò in altri paesi del Sud America e rifiutò l’impostura del “potere socialista” alla cubana. Combatté in Italia contro il regime democristiano e del compromesso storico, portando a compimento numerose azioni rivoluzionarie, tra le quali per citarne solo alcune che in questo momento ci conviene indicare – la distruzione delle nuove carceri di Firenze e di Livorno e l’esplosione contro l’Ipca di Cirié, azioni di grande rilievo, eppure taciute o minimizzate o calunniate o ridicolizzate dalla libera «La Stampa» di Torino. Attilio fu un compagno generosissimo, seppure giovanissimo, capace di scegliere e di volere nel magma di un mondo corroso e mendace, fatto di continui compromessi tra declamazioni dottrinarie e impegno reale, cosciente di dover superare la dicotomia tra pensiero e azione, pronto a tutto con il sicuro istinto dei giovani proletari convinto di non aver nulla da perdere ma tutto da guadagnare. Attilio partecipò a diverse azioni distinguendosi per coraggio e consapevolezza rivoluzionaria. “Rico” e Attilio sono caduti per un errore tecnico, forse imputabile alla loro brama di agire ed al fatto di avere dovuto contare all’improvviso solo sulle proprie forze. Per Azione Rivoluzionaria e per il movimento di lotta armata la loro morte è senz’altro motivo di riflessione critica, oltre che di dolore, ma non di abbandono: chi sceglie l’unica via oggi praticabile nella lotta per una società di liberi e uguali, la via armata sa in anticipo di correre rischi, sa di poter pagare con la propria vita la lotta per la vita. Ma i rivoluzionari non permetteranno mai a sciacalli della risma di Ferrero e altri pennivendoli del regime di insozzare la loro memoria, di divulgare, sotto protezione dei loro “grandi e liberi” giornali con le argomentazioni sociologiche più trite, le calunnie più infami. “Rico”e Attilio vivono nella memoria di tutti i rivoluzionari. Altre mani si protendono a raccogliere le armi loro cadute in battaglia. I loro calunniatori appaiono solo per quel che sono; vili canaglie al soldo dei servizi di sicurezza.

Costruire il movimento di lotta armata per il comunismo e la libertà

Azione Rivoluzionaria contro il governo Berlingottiano

Distruggere i lager di annientamento dei proletari

Viva Chile combattente

Viva l’internazionalismo proletario

Onore ai compagni caduti nella lotta

Raccogliamo l’esempio di Mara, di Luca, di Sergio, di Annamaria, di Antonio, di Rico, di Attilio

1977

Azione rivoluzionaria, Nucleo Armato Rico e Attilio

Incursione nella sede della Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (Napoli 25 ottobre 1974)

Oggi 25 ottobre 1974 un gruppo di compagni dei Nuclei Armati Proletari ha fatto irruzione nella sede dell’U.C.I.D. (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) in via Medina 40. La sede è stata perquisita e sono stati requisiti registri e schedari con i nomi degli aderenti e dei dirigenti di questa organizzazione.

L’esame del materiale sequestrato ci permetterà di smascherare completamente il ruolo di questa organizzazione confermando le informazioni che sono già in nostro possesso.

L’U.C.I.D. è l’organizzazione dei dirigenti industriali più strettamente legati al potere democristiano che svolge un ruolo continuo di direzione politica e orientamento ideologico con conferenze riservate, riunioni, diffusioni di circolari, documenti di analisi completi e indicazioni politiche. Tanto per dare un’idea del calibro dei personaggi relatori abituali delle conferenze dell’U.C.I.D sono Vito Scalia e Alberto Boyer presidente dell’Associazione sindacale Intersind.

L’U.C.I.D. è particolarmente importante a Napoli e in Campania, zone in cui il potere economico è totalmente legato al carro democristiano, dopo il periodo laurino.

Nell’attuale situazione politica in cui si lancia un attacco assai duro al potere ed alle condizioni di vita dei proletari il ruolo di organizzazioni come l’U.C.I.D. viene ancora accresciuto.

All’attacco dei padroni i compagni stanno rispondendo in tutta Italia con la lotta dura a tutti i livelli nelle fabbriche e nei quartieri con le forme di lotta violenta che la situazione richiede: azione nei supermercati a Milano per difendere il livello di vita della classe operaia; azione alla Face Standard contro la cassa integrazione e l’imperialismo americano; le esplosioni e i messaggi registrati davanti alle carceri e lo scontro a fuoco di Robbiano di Mediglia contro le forze repressive dello Stato.

All’accusa di terrorismo isolato lanciata dai padroni e dai riformisti risponde il numero di queste azioni e l’ampiezza del fronte di lotta che investono.

 

CREARE, ORGANIZZARE POTERE PROLETARIO ARMATO

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO

NUCLEI ARMATI PROLETARI
NUCLEO FIORENTINO

 

Fonte: Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione

 

 

 

 

Intervista ai compagni dei NAP

È da tempo che sull’attività dei compagni che danno vita a nuclei armati proletari, il potere borghese ha scatenato una collaudata campagna di calunnia di diffamazione e di terrorismo; la stampa padronale e parafascista ha assunto in questa operazione una parte di notevole rilievo.

Più volte a questi squallidi figuri si sono affiancati compagni che avendo troppo bene imparato il mestiere di giornalista, preferiscono confrontarsi con le veline delle questure piuttosto che con le esigenze reali del movimento rivoluzionario.

Troppe volte si sono ignorate le vittorie ottenute con queste iniziali esperienze di lotta armata in Italia.

Troppe volte ci si è allineati agli sciacalli borghesi e riformisti nel diffamare ed insultare i compagni caduti combattendo.

Troppe volte si sono montate pretese vittorie degli sbirri di ogni arma preferendo ignorare la reale forza e la reale portata politica che la generalizzazione di esperienze di lotta armata riveste nella crescita del movimento rivoluzionario.

La scelta di rendere pubblici alcuni documenti elaborati dai compagni del nucleo “29 ottobre” non rientra assolutamente in una logica di propaganda e la scelta dei diversi giornali cui sono stati inviati ha logicamente motivazioni differenti.

Oltre ai comunicati che hanno accompagnato le azioni portate a termine, questi documenti tendono a chiarificare ancora meglio le posizioni dei compagni dei nuclei armati proletari.

Chi ancora preferirà muoversi sulle veline delle questure o sulle confidenze dei “corpi separati” si sarà assunto oggettivamente il ruolo che preferisce.

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO

CREARE ED ORGANIZZARE 10 100 1000 NUCLEI ARMATI PROLETARI

Nucleo Armato “29 Ottobre”

Come sono nati e che scopi si propongono i Nuclei Armati Proletari?

I NAP sono nati da precise esperienze di massa in vari settori, che hanno spinto alcuni compagni a porsi completamente il problema della clandestinità. Per noi clandestinità significa conquistare strutture politiche e organizzative che ci mettano in grado di sviluppare e consolidare tutte quelle esperienze di lotta violenta illegale che sono state e sono un momento centrale per la crescita della autonomia proletaria e dell’alternativa rivoluzionaria nello scontro di classe in Italia, oggi.

Per lotta violenta illegale intendiamo sia esperienze di massa quali l’occupazione della FIAT, San Basilio, le giornate di aprile a Milano; sia la lotta condotta da avanguardie armate clandestine che autonomamente compiono tutte quelle azioni che, pur rispondendo a profonde e generalizzate esigenze del movimento rivoluzionario, in una fase come quella attuale, che secondo noi non si può considerare pre-insurrezionale, non è possibile organizzare a livello di massa. Queste sono per noi le punte emergenti di una pratica politica quotidiana, di una vera e propria prassi alternativa che in questi anni si è diffusa in Italia a un livello abbastanza di massa e rappresenta un primo abbozzo di un programma comunista generale.

Per noi l’unico terreno di crescita comune e omogeneizzazione è stato la costruzione di esperienze di lotta armata la cui continuità è stata garantita da una continua crescita organizzativa che è stata un momento essenziale del nostro sviluppo.

È questo l’unico terreno su cui è stato possibile realizzare al nostro interno un livello di unità non formale. Gli sviluppi delle varie esperienze hanno portato alla creazione di nuclei di compagni che agiscono in luoghi e situazioni diverse in maniera totalmente autonoma e che conservano tra di loro un rapporto organizzativo e di confronto politico.

Noi vediamo la sigla “NAP” non come firma che caratterizza una organizzazione con un programma complessivo, ma come una sigla che sintetizza i caratteri propri della nostra esperienza. Per definire ancora meglio l’autonomia dei vari nuclei, i compagni che hanno risposto a queste domande hanno firmato le loro azioni “Nucleo Armato 29 Ottobre”.

Quali rapporti si hanno o si vogliano avere con organismi di massa non clandestini?

Secondo noi oggi in Italia ci si può organizzare ed agire efficacemente in maniera non clandestina. Bisogna però tenere ben presente che la durezza e la violenza dello scontro di classe richiedono da parte di tutti i compagni rivoluzionari in qualunque settore della società essi operino, la coscienza della necessità da parte loro della costruzione di livelli di clandestinità che li mettano in grado non solo di resistere alla repressione che li colpirà ma anche di praticare efficacemente e con il massimo di sicurezza possibile le forme di lotta illegali e violente che il loro lavoro di massa, qualunque esso sia, necessariamente richiede e richiederà.

I rapporti che noi abbiamo con compagni non clandestini, da una parte vogliono mettere a loro disposizione gli strumenti pratici e teorici che ci vengono dalla nostra esperienza di clandestinità, dall’altra ci servono per trovare, attraverso un confronto il più ampio possibile con compagni rivoluzionari esterni nuove forze alle nostre azioni, nuovi obiettivi da colpire, elementi che affrettino lo sviluppo della nostra esperienza e quindi del movimento rivoluzionario di cui poi siamo una componente.

Naturalmente questi rapporti assumono varie forme dipendendo:

  1. a) dal reale livello di illegalità richiesto dalla situazione in cui operano i compagni con cui ci confrontiamo;
  2. b) dalla maturità con cui essi affrontano il problema della clandestinità con tutti i rischi che vi sono legati per loro e per noi;
  3. c) dalla nostra capacità di misurarci realmente con il livello della lotta di classe nei vari settori con cui entriamo in contatto e di dare quindi un contributo non formale alla crescita del movimento rivoluzionario in quel settore.

Bisogna pure tenere presente che le esperienze e le situazioni di militanza in cui si agisce in Italia oggi hanno ancora caratteristiche abbastanza particolari per cui non è detto che i tempi e le forme della clandestinità che è necessario praticare siano omogenee tra di loro. Già oggi però alcuni momenti come le giornate di aprile a Milano costituiscono una scadenza per tutto il movimento nel suo complesso e quindi anche per noi. È cosi che va vista l’azione contro Filippo De Jorio, agente del STC e consigliere regionale DC da noi effettuata a Roma.

Il confronto pratico e teorico con i compagni esterni deve farci conseguire l’obiettivo di una reale unità d’azione in occasioni come queste sia per svilupparle al massimo livello possibile, sia per sperimentare nuove forme di azione e di organizzazione.

Che cosa avete da dire in merito al quadro che la stampa borghese neoriformista dà della vostra esperienza?

Per quanto riguarda la stampa borghese c’è da dire solo che essa assolve il suo compito di provocazione e calunnia contro le avanguardie rivoluzionarie meritandosi la paga dei padroni.

Alcuni giornalisti e giornali che non dimenticheremo hanno eseguito con particolare zelo questo compito; per quanto riguarda la stampa riformista e neo riformista, entrambi nella loro paura di perdere il cantuccio legale che si sono creati, in uno Stato dove la legalità è quella dei padroni sono abituate a gridare alla provocazione ogni qualvolta si trovano di fronte la violenza proletaria armata e tanto più, da veri sciacalli, quando si subiscono sconfitte.

Il ruolo di costoro (Avanguardia Operaia in testa) si configura oggettivamente come provocatorio. È il tempo che ciascuno si prenda le proprie responsabilità. Da una parte si sono calunniati i compagni caduti o arrestati, dall’altra, accettando in pieno e anzi arricchendo di particolari, inventati di sana pianta, le versioni che la polizia forniva delle nostre azioni, si è insinuato il sospetto di infiltrazioni per screditare una scelta e delle ipotesi politiche e i momenti organizzativi che ne derivano. Tutto questo facendo sfoggio di un atteggiamento professorale ed esperto su problemi della clandestinità, atteggiamento profondamente ridicolo per tutti i compagni che conoscono il passato di scaldasedie degli aspiranti consiglieri comunali Corvisieri e C. nonché le eroiche imprese dei vari “servizi d’ordine” a cominciare da quello di AO più noto come la “Brigata Lepre”.

I NAP si sono finora caratterizzati dalla perfetta conoscenza reciproca di tutti i militanti di ciascun nucleo che è politicamente e organizzativamente autonomo.

Attraverso la discussione e il lavoro politico comune si tende ad avere il massimo controllo reciproco sui singoli militanti e sulle strutture. Ciò non vuol dire che non si commettono errori tecnico-militari e di valutazione politiche su singole azioni.

Questi errori, pesantissimi da pagare sono difficili quando si pratica un terreno, quello della costruzione di una organizzazione clandestina su cui le esperienze sono enormemente limitate.

Noi rivendichiamo come nostro patrimonio gli errori commessi e riteniamo fondamentale risolverli: molte volte abbiamo pagato la nostra inesperienza e troppe sono pure le volte che abbiamo pagato anche la leggerezza dei compagni esterni alle nostre strutture sui quali non abbiamo avuto il controllo necessario.

Infine i compagni e specialmente quelli che si muovono o intendono muoversi nella clandestinità devono avere ben chiari il continuo rafforzamento qualitativo e quantitativo dell’apparato repressivo borghese e il costo politico, organizzativo, umano che questo comporta.

Ad ogni nostra azione noi ci rafforziamo politicamente e organizzativamente però ci scontriamo con una repressione più forte e raffinata.

In questa situazione è illusorio pensare di potere evitare gli errori e le sconfitte che possono anche essere fatali per questo o quel singolo nucleo.

La validità di una esperienza clandestina deve essere valutata solo per giudicare se si presenta o no come una componente del progetto complessivo che il proletariato rivoluzionario sta oggi elaborando in Italia.

In base a quale analisi e verso quali prospettive intendete agire?

Precisiamo innanzi tutto che secondo noi il movimento rivoluzionario in Italia non ha ancora raggiunto un livello e una generalizzazione tali da possedere una reale analisi che preveda sul piano tattico e strategico i tempi e le forme dello scontro di classe e un programma comunista articolato a tutti gli aspetti della società. Ci sono senz’altro alcuni punti fermi teorici e pratici che sono patrimonio del movimento rivoluzionario quali: il rifiuto del lavoro nella sua forma attuale, la lotta violenta alla oppressione capitalistica, il diritto a riappropriarsi del complesso della propria esistenza.

Più che di un programma teorico si tratta di un programma pratico che già ora viene posto in atto a livello di massa. Alcuni compagni che sono più coscienti ne vedono più chiaramente le implicazioni, altri ne hanno una coscienza teorica meno chiara ma la loro prassi politica non per questo è diversa. La dimensione di massa di questi fatti e il potenziale rivoluzionario che possono esprimere ci sembrano ampiamente dimostrati da decine di episodi particolari della lotta di classe in questi anni e dai momenti di lotta generale che ci troviamo di fronte.

Noi intendiamo all’interno di questo processo, di cui siamo una componente, sviluppare al massimo le nostre capacità di intervento sia pratico sia come contributo teorico sulla base della nostra esperienza.

L’aver portato felicemente a termine alcune operazioni negli ultimi tempi non ci fa pensare di essere invincibili.

La morte dei compagni Sergio, Luca, Vito, il pesante prezzo dei compagni arrestati e condannati spesso sulla base di prove false, con cui abbiamo pagato ogni minimo errore non sono cose che si possono sottovalutare.

Ma riteniamo di rispondere con la nostra azione e con le nostre esperienze a una reale esigenza della lotta di classe e di contribuire allo sviluppo del programma comunista.

Questo fatto e questa prospettiva giustificano i rischi che corriamo.

Lotta armata per il comunismo!

Creare organizzare 10 100 1000 NAP!

NUCLEO ARMATO 29 OTTOBRE

1975

Fonte, Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione

 

Rivendicazione azione contro Alfonso Noce

Oggi martedì 14 dicembre, alle ore 8,45, un nucleo armato dei NAP ha condotto un’azione di guerra tendente all’esecuzione del boia, capo dell’SDS del Lazio, Alfonso Noce, e con lui i suoi fedeli cani da guardia Renato Russo e Prisco Palumbo.

L’azione dal punto di vista militare è fallita per alcuni errori tecnici – militari fatti dai compagni che hanno condotto l’operazione.

Questi errori sono stati pagati con il fallimento dell’azione stessa e con la perdita del compagno combattente Martino Zichittella.

L’operazione contro il capo dell’SDS del Lazio è scaturita dalla necessità politica di attaccare lo Stato imperialista delle Multinazionali che oggi più che in passato sta accentuando la sua dittatura sulla classe operaia terrorizzandola con gli assassini e gli arresti di massa e con i licenziamenti.

L’SDS è il corpo di polizia speciale che da anni, agendo sotto sigle diverse si è distinto nella repressione più brutale delle avanguardie comuniste combattenti e del movimento in generale.

Questo processo terroristico vede impegnato in prima persona come ideatore il ministro di polizia Cossiga e quali esecutori materiali Santillo, Noce ed i vari capi di tale apparato poliziesco.

In particolare Noce è il mandante dell’assassinio della meravigliosa compagna Annamaria Mantini. Fu lui infatti ad armare la mano del killer di turno AntoninoTuzzolino facendo promessa di un avanzamento di grado, un premio in denaro e la copertura giudiziaria della magistratura.

Nel progetto terroristico dello Stato si inseriscono a fianco dell’SDS molti giudici e magistrati, poliziotti che forniscono una parvenza di legalità sugli omicidi coprendo le stragi, facendo sequestraree rinchiudere nei lager di Stato i compagni combattenti.

Contro questi porci che credono di poter svolgere la loro infame attività di carcerieri ed assassini come pensano di fare a Napoli al processo ai nostri militanti, va intensificata la lotta.

La Rivoluzione proletaria nonpuò essere giudicata in un tribunale dello Stato borghese.

Chiunque crede di poterlo fare si assicurerà non denaro o rapida carriera ma la condanna che il proletariato e le sue avanguardie riterranno più giuste.

Martino Zichittella, Sergio Romeo, sono compagni che sono maturati politicamente in carcere, sono la punta di diamante e punto di riferimento delle lotte dei detenuti e l’espressione più alta che il movimento stesso ha saputo esprimere negli ultimi anni. Martino in carcere, con la sua militanza è potuto essere un’avanguardia politico – militare complessiva preparando il 9 maggio 1975 l’operazione Viterbo – Di Gennaro con la quale portò l’Organizzazione a misurarsi in uno dei più alti livelli di scontro con lo Stato borghese e fascista. Solo dopo quell’esperienza poté preparare ad Agosto l’operazione di Lecce con la quale portò alla liberazione altri compagni e vari proletari.

In quest’ultima operazione le sue capacità politico militari sono state determinanti per la preparazione e l’esecuzione dell’azione stessa.

Ma, come già detto, la buona riuscita dell’azione è stata impedita da errori tecnici – militari.

Noce, Dell’Anno, Tuzzolino, la condanna a morte che i proletari hanno sentenziato è stata soltanto rinviata.

I proletari hanno tanta pazienza e lunga memoria.

 

ONORE AL COMPAGNO MARTINO MILITANTE COMUNISTA COMBATTENTE.

IL MITRA CHE TI È CADUTO ALTRE MANI LO HANNO GIA’ IMPUGNATO.

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO

PORTARE L’ATTACCO AL CUORE DELLO STATO

NUCLEO “29 OTTOBRE”

 

Dicembre 1976

A gran velocità!

L’inquinamento e la distruzione ambientale non sono una novità per nessuno. Alcune valli già deturpate dalla costruzione di autostrade e di linee ad alta tensione stanno per essere invase da un nuovo progetto del capitale: l’alta velocità ferroviaria (TAV). In Val Susa a partire dal 1995 si sono verificati una serie di sabotaggi contro i cantieri per la costruzione del TAV, contro ripetitori di Mediaset, Telecom e dei carabinieri. Tutte azioni di attacco per difendersi dalle devastazioni dei tecno-terroristi dello Stato-capitale.

Giovedì 5 marzo Edo, Silvano e Soledad sono stati arrestati con l’accusa di essere i responsabili degli attacchi in Val Susa. Contemporaneamente venivano perquisite e sgomberate tre case occupate a Torino e Collegno. Il giorno seguente durante un presidio sotto il Comune la polizia carica e, dopo gli scontri, arresta sette persone.

Abbiamo sempre guardato con simpatia coloro che senza aspettare le decisioni di politici e ambientalisti (contro solo a parole) si oppongono anche praticamente ai progetti di distruzione dell’ambiente e delle loro vite. Questo ci basta per essere vicini a chiunque possa aver compiuto questi atti, a maggior ragione essendo Edo, Sole e Silvano nostri amici. Sosteniamo questi compagni aggrediti dall’infamante campagna dei mezzi di informazione che li ha dipinti come criminali-terroristi.
Siamo orgogliosi di difendere e di essere al fianco di chi è accusato di azioni che ognuno di noi vorrebbe commettere.

Un abbraccio a Edo, Soledad e Silvano sequestrati dallo Stato italiano.

 

Anarchici del Canavese

Compañeros contro le nocività

4 Aprile 1998

 

 

Assassini – Volantino di varie realtà anarchiche e di movimento

EDOARDO MASSARI, “BALENO”, E’ MORTO.

Si é suicidato in una cella, alle Vallette.
Estrema ribellione contro la segregazione della propria vita, vissuta in ogni momento fuori e contro la logica imposta
dal meccanismo produci – consuma – crepa.
Baleno non ha piegato la testa di fronte a quella morte quotidiana che è il carcere, una cancrena che non avrebbe augurato nemmeno al peggior nemico.
Per noi Baleno è vivo per sempre.

TERRORISTI SIETE VOI:

amministratori e padroni del TAV
(Lorenzo Necci, Enzo Ghigo, Maurizio Cavagnaro, Luigi lavella…)

magistrati
(Maurizio Laudi, Fabrizia Pironti, Marcello Tatangelo…)

Ros, Digos e sbirri di ogni tipo
(Ferdinando Brizzi, Moscatelli, Adriano Casale, Silvano Ceccato, Andrea Battistini…)

Giornalisti e opinionisti vari
(Ezio Mascarino, Angelo Conti, Ludovico Poletto, Gianni Bisio, Emanuela Minucci, Gianfranco Bianco, Ettore Boffano, Meo Ponte, Giacomo Bramante, Giovanna Fauro, Giampiero Maggio, Marina Cassi, Gianni Vattimo, Lorenzo Mondo…)

politici tutti
cittadini silenziosi
con le vostre corse al colpevole, con le vostre gabbie dentro e fuori le carceri,
con il vostro tacito e “innocente” silenzio, il cappio al collo l’avete stretto voi!

Esigiamo l’immediata liberazione di Sole e Silvano, coimputati di Baleno e tuttora imprigionati.

D’ora in poi la vita in questo mondo di morti non sarà più la stessa, nemmeno per voi…

CORTEO
sabato 4 aprile a Torino ore 14 al ponte del Balon

La Casa Occupata, Asilo, Prinz Eugen, El Paso, Barocchio, Delta House, Alcova,
La Cascina, CSA Onda Occupata, Gabrio, CSA Murazzi, Askatasuna, Radio Blackout,
Anarchici Valdostani, Anarchici del Canavese, Anarchici Bolognesi, individualità

Per contatti 011-650.34.22 (fax 669.50.24), 011-317.41.07, 011-436.73.38
blackout@ecn.org elpaso@ecn.org zero@ecn.org

Una tra le mille risposte
TRANQUILLI… 1 APRILE 1998

Volantino rivendicazione azione in via Prati di Papa

Sabato 14 Febbraio l987, un nucleo armato della nostra Organizzazione ha espropriato un furgone portavalori delle poste, nel corso dell’azione la scorta armata è stata neutralizzata ed è stata requisita una pistola in dotazione agli agenti.

Per un’Organizzazione Comunista Combattente che si pone correttamente alla testa dello scontro di classe perseguendo gli interessi strategici del proletariato – la conquista del potere politico – l’esproprio è l’unico mezzo per finanziare il programma rivoluzionario; l’esproprio è altresì il mezzo più coerente poiché prefigura la totale espropriazione da parte del proletariato dei mezzi di produzione in mano alla borghesia, il problema dell’autofinanziamento è quindi elemento politico e strategico dell’attività rivoluzionaria ed è su questo piano che le Brigate Rosse per la costruzione del PCC l’hanno sempre affrontato, perciò abbiamo deliberatamente scelto le modalità d’intervento con cui abbiamo operato, salvaguardando la vita dei civili e risparmiando la vita all’agente che si è arreso.

Una scelta politica la nostra calibrata all’andamento dello scontro, scontro di classe che può subire arretramenti, permettere alla borghesia di dettare da posizioni di forza le “regole del gioco” cambiandole a suo vantaggio ma che non azzera il patrimonio storico della qualità dello scontro di classe che si è prodotto in Italia. In altri termini: la strategia della Lotta Armata, 17 anni di prassi rivoluzionaria, dialettizzandosi con le istanze più mature dell’autonomia di classe, hanno determinato il percorso strategico per dare soluzione alla questione del potere.

Per questo i piani per demotivare politicamente e socialmente la strategia della Lotta Armata messi in atto dallo Stato e dai suoi più o meno illustri fiancheggiatori post-moderni devono fare i conti con questo dato di fatto; così come l’aspetto complementare di questa politica, vale a dire il tentativo di strumentalizzare la Lotta Armata con interventi preordinati al fine di inserirsi nelle contraddizioni del movimento rivoluzionario è destinato ad infrangersi, nonostante gli sforzi fatti dai portavoce della borghesia, il duo Scalfaro-Parisi, tramaioli di vecchia data. A questi signori ricordiamo che queste elucubrazioni maturate nei vari covi della borghesia non sono che velleità; lo scontro politico tra le classi non è pianificabile a tavolino.

Tutti coloro che si uniscono al coro del “canto del cigno” sulla strategia della Lotta Armata sappiano chiaramente che i proventi dell’esproprio saranno investiti con il rigore rivoluzionario che ci ha sempre contraddistinto.

Oggi la borghesia parla di stabilità politica, di paese pacificato, decanta i successi economici e pone sul piano internazionale il rilancio della sua collocazione nella catena imperialista. Di fatto “l’azienda Italia” ha operato le fasi più salienti della ristrutturazione economica, adeguandosi al profondo salto tecnologico nella produzione, pena la perdita di posizioni nelle quote di mercato internazionale.

La borghesia imperialista nostrana incalzata dall’andamento della crisi economica, dal carattere recessivo dell’economia mondiale ha intrapreso un riadeguamento complessivo che partendo dalla produzione ha comportato e comporta una rifunzionalizzazione di tutti gli aspetti sovrastrutturali a partire dalle relazioni industriali fino alla razionalizzazione delle funzioni dello Stato.

Quello che si è verificato e si sta verificando è il risultato di un lungo scontro politico-sociale che si è risolto, allo stato attuale, con l’arretramento delle posizioni politiche e materiali della classe, ciò è stato ottenuto attraverso un attacco articolato che per proporzioni e dinamiche ha assunto carattere di vera e propria controrivoluzione. Questa ha attraversato orizzontalmente tutta l’autonomia politica di classe che si era sviluppata principalmente intorno alla strategia politico-militare delle Brigate Rosse; infatti l’attacco ha investito sia le avanguardie rivoluzionarie che quelle di classe, ridimensionando paradossalmente anche le rappresentanze istituzionali della classe. La borghesia sta rideterminando ulteriormente attraverso rotture nei rapporti di forza, tutti i termini delle relazioni fra Le classi, dalla contrattazione della forza lavoro agli aspetti più generali del rapporto politico tra classe e Stato riformulando in ultima istanza il modo di governare il conflitto di classe, il carattere stesso della mediazione politica tra te classi, allo scopo di consentire il relativo contenimento delle dinamiche antagoniste.

L’accentramento dei poteri nell’Esecutivo, la ridefinizione di “nuovi” strumenti di governo delle contraddizioni sociali, quali fra gli ultimi la staffetta – esperimento di democrazia matura ad hoc – non sono beghe interne alla borghesia, ma sono strettamente legati ai modi e ai tempi per determinare le condizioni politiche e materiali della classe. È dentro a questa nuova fase politica che operiamo per il rilancio fattivo dello scontro rivoluzionario apertosi a suo tempo nel nostro paese, e che costruiamo il riadeguamento teorico-politico-corganizzativo per essere direzione effettiva del movimento di classe e delle sue espressioni più avanzate dando così prospettiva strategica alla questione del potere.

Asse d’intervento strategico delle Brigate Rosse è l’attacco al cuore dello Stato, inteso come attacco alle politiche dominanti nella congiuntura che oppongono il proletariato alla borghesia, attacco che mira a rompere gli equilibri politici che fanno marciare i programmi della borghesia imperialista rendendone ingovernabili le contraddizioni. L’intervento politico-militare è calibrato da un lato all’andamento dello scontro di classe, dei rapporti di forza tra le classi nel paese e del movimento rivoluzionario; dall’altro ciò si misura sul rafforzamento delle forze rivoluzionarie in modo dà renderle sempre più capaci di attestarsi in modo adeguato allo scontro col nemico di classe, con l’imperialismo. Lavoriamo quindi alla modificazione dei rapporti di forza per assestarli in favore del campo proletario, affinché possano pesare nello scontro contro lo Stato e dare propulsione alla guerra di classe di lunga durata per la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura del proletariato.

Se questi sono i caratteri interni dell’attuale fase politica, la sua maturazione è informata dai cambiamenti intervenuti nel contesto internazionale che influiscono sulle scelte dei vari Stati della catena imperialista.

L’acutezza della crisi determina per l’imperialismo la necessità di una ridefinizione generale della divisione internazionale del lavoro e dei mercati tale da permettere un nuovo ciclo espansivo dell’economia capitalistica. L’approfondimento tecnologico e nell’organizzazione del lavoro con la conseguente concentrazione finanziaria determina un’aspra concorrenza fra i gruppi monopolistici-multinazionali dell’occidente; questi fattori però non sono in grado di dare superamento alla grave crisi recessiva mondiale, anzi nelle attuali condizioni questi dati provocano il loro opposto!

La sovrapproduzione di capitali non fa che aumentare i fattori di instabilità nell’economia mondiale. In sintesi il piano economico a questo stadio della crisi non è in grado di riequilibrare gli scompensi in atto, la necessità di dare soluzione alla crisi si sposta sul piano politico, poiché una ridefinizione complessiva dei mercati necessita di una nuova ripartizione delle zone d’influenza e di un nuovo assetto nelle relazioni tra i blocchi.

Nelle intenzioni dell’imperialismo ciò significa la volontà di ridimensionare il blocco Sovietico e di ricondurre nell’orbita occidentale tutti quei paesi che vi si sono sottratti attraverso percorsi di liberazione nazionale. È all’interno dell’acuirsi della contraddizione Est/Ovest che trovano convergenza le politiche imperialiste del blocco occidentale, pur fra i diversi interessi e contraddizioni che l’attraversano.

Le forzature statunitensi nell’area mediorientale hanno posto le condizioni di un passaggio in avanti della politica imperialista, coagulando in senso filo atlantico le varie iniziative dei paesi del blocco. In altri termini superata, come elemento trainante, la politica dei bombardamenti terroristici si apre una fase in cui l’iniziativa politico-diplomatica fa da battistrada ad una strategia globale tesa ad assestare alleanze ed equilibri politici favorevoli all’occidente, di cui gli europei si fanno carico pur dentro a laceranti contraddizioni provocate anche dalle batoste sul campo.

L’Esecutivo nostrano è perfettamente allineato a questa strategia guerrafondaia con un proprio ruolo attivo. Questo attivismo diventa elemento di ulteriore razionalizzazione nel processo dl accentramento dei poteri, in quanto tale pesa anch’esso sui rapporti di forza generali. In questo contesto l’antimperialismo è problema politico prioritario per ogni forza rivoluzionaria che combatte, non solo perché è posto dalle condizioni oggettive dell’aggravamento della tendenza alla guerra, ma principalmente perché posto soggettivamente dalle forze rivoluzionarie combattenti e dai popoli progressisti che lottano per sottrarsi al giogo imperialista.

La questione dell’antimperialismo, nel suo maturarsi come problema politico immanente non può essere risolto solo come problema solidaristico o rimandato in termini libreschi ad un “indeterminato” internazionalismo proletario. Esso deve trovare la sua prassi rivoluzionaria in una proposta politico-organizzativa adeguata ad impattare con le politiche imperialiste. Per questo lavoriamo al consolidamento del Fronte Combattente antimperialista.

L’opportunità politica del Fronte è problema di una politica concreta e può essere attuabile in determinate condizioni, ma per essere affrontata necessita da parte dei comunisti di un atteggiamento politico che pur nella saldezza dei propri principi, abbia la flessibilità necessaria per ricercare il massimo d’unità possibile; in altri termini una reale politica d’alleanze non passa attraverso la mercificazione dei principi e delle finalità dei comunisti: politica d’alleanze e finalità dei comunisti sono due termini che non si escludono, ma vivono un rapporto programmatico.

La praticabilità di una politica d’alleanze è determinata dell’analisi concreta della situazione concreta, cioè riferita alle dinamiche della crisi e della tendenza alla guerra, alla controrivoluzione e alle forze rivoluzionarie presenti, attive o attivabili in senso progressista ma soprattutto alla sua funzione nei confronti del nemico comune; e questo perché oggi sviluppare il processo rivoluzionario nel proprio paese non può prescindere dall’indebolimento politico militare dell’imperialismo nell’area, ossia si rende necessaria una politica d’alleanze fra le diverse forze rivoluzionarie che oggi combattono l’imperialismo, affinché operino questo indebolimento.

In questo senso l’obbiettivo politico del Fronte è parte del programma comunisti. La politica d’alleanze che ci riguarda si pone quindi all’interno della più ampia politica antimperialista da noi praticata; alleanza che deve relazionarsi con forze rivoluzionarie che possono essere caratterizzate da criteri e finalità diverse dalla conquista proletaria del potere, la cui unità politica nell’alleanza è data dalla lotta al nemico comune e la sua concretizzazione nei livelli d’unità e cooperazione raggiungibili.

È chiaro che il Fronte non è lo stadio inferiore dell’Internazionale, ma lavorare per il Fronte non preclude la ricerca dell’unità dei comunisti.

L’attività della guerriglia in Europa che pur nella specificità ha come denominatore comune l’attacco all’imperialismo USA e alla NATO, trova convergenza obiettiva con le lotte dei popoli progressisti della regione mediorientale mediterranea.

La prassi combattente di R.A.F. e A.D. per la promozione del Fronte, segna un’importante tappa politica alla quale ci rapportiamo; tale prassi pone una convergenza oggettiva che è la base politica, in termini più generali, per il rafforzamento e consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista.

È su questi termini di programma e sulla strategia della Lotta Armata che trova concretezza la parola d’ordine dell’unità dei comunisti per la costruzione del Partito Comunista Combattente.

 

ATTACCARE IL CUORE DELLO STATO NELLE SUE POLITICHE DOMINANTI!

RAFFORZARE IL CAMPO PROLETARIO PER ATTREZZARLO ALLO SCONTRO CONTRO LO STATO!

GUERRA ALL’IMPERIALISMO! GUERRA ALLA NATO!

PROMUOVERE E CONSOLIDARE IL FRONTE COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA – LOTTARE INSIEME!

ONORE A TUTTI I COMPAGNI CADUTI!

 

per il Comunismo BRIGATE ROSSE
per la costruzione del P.C.C.

 

Febbraio 1987

Testo comune Raf Br-Pcc

Il salto ad una politica di Fronte è necessario e possibile per le forze combattenti allo scopo di incidere adeguatamente nello scontro. Per questo bisogna battere e superare tutte le impostazioni ideologiche e dogmatiche che esistono oggi dentro le forze combattenti e il movimento rivoluzionario in Europa occidentale, poiché le posizioni dogmatiche ed ideologiche dividono i combattenti. Queste posizioni non sono in grado di portare le lotte e l’attacco al livello necessario di incisività politica. Le differenze storiche di percorso e di impianto politico di ogni Organizzazione, differenze (secondarie) di analisi, ecc., NON POSSONO E NON DEVONO essere di impedimento alla necessità di lavorare ad unificare le molteplici lotte e l’attività antimperialista in un ATTACCO COSCIENTE E MIRATO al potere dell’imperialismo. NON SI TRATTA di fondere ciascuna Organizzazione in un’unica organizzazione. Il Fronte in Europa occidentale si sviluppa INTORNO ALL’ATTACCO PRATICO, in un processo cosciente e organizzato in cui si maturano successivi momenti di unità tra le forze combattenti. Perché organizzare il Fronte Combattente Rivoluzionario significa organizzare l’attacco, non si tratta di una categoria ideologica, né tanto meno di un modello di rivoluzione.

Si tratta invece di sviluppare la forza politica e pratica per combattere adeguatamente la potenza imperialista, per approfondire la rottura nelle metropoli imperialiste e per il salto qualitativo della lotta proletaria. La nostra esperienza comune dimostra come sia possibile SULLA BASE DI UNA SCELTA SOGGETTIVA lavorare allo sviluppo del Fronte nonostante l’esistenza di contraddizioni e differenze, ma malgrado queste nel lavoro insieme non abbiamo MAI perso di vista l’elemento unitario dell’attacco all’imperialismo. L’Europa occidentale è il PUNTO CARDINE nello scontro tra proletariato internazionale e borghesia imperialista.
L’Europa occidentale per le sue caratteristiche storiche, politiche, geografiche è la parte dove si incontrano le tre linee di demarcazione: classe/Stato; Nord/Sud; Est/Ovest.
L’inasprimento delle crisi del sistema imperialista, l’abbassamento del potenziale economico USA, sono il motivo principale che insieme ad altri fattori determinano una perdita relativa del peso politico degli USA. Questi fattori comportano un avanzamento (sviluppo) del processo di integrazione economico, politico, militare del sistema imperialista. In questo contesto e per le ragioni sopraddette LA FUNZIONE dell’Europa Occidentale nel governo della crisi cresce d’importanza:
SUL PIANO ECONOMICO: l’Europa occidentale sviluppa un piano concertato di politiche economiche di sostegno e ammortizzamento delle contraddizioni economiche all’interno del governo della crisi dell’imperialismo.

SUL PIANO MILITARE: forzature verso una maggiore integrazione politico-militare nell’ambito dell’Alleanza Atlantica (NATO), sia con piani politici, economici di riarmo all’interno della nuova strategia militare imperialista nei confronti dell’Est, sia con un intervento politico e militare integrato contro i conflitti che si inaspriscono nel terzo mondo, principalmente verso l’area di crisi mediorientale.

SUL PIANO CONTRORIVOLUZIONARIO: la riorganizzazione ed integrazione degli apparati di polizia e dei servizi segreti contro lo sviluppo del Fronte rivoluzionario, contro le attività rivoluzionarie e contro l’estensione e l’inasprimento dell’antagonismo di massa. Riorganizzazione ed integrazione che si avvale di precisi interventi politici contro la guerriglia, come ad esempio i progetti di soluzione politica che stanno avvenendo in vari paesi europei.
SUL PIANO POLITICO/DIPLOMATICO: i progetti di soluzione negoziata dei conflitti al fine di consolidare le posizioni di forza imperialiste. Questa attività politico-diplomatica ha anche la funzione di rafforzare i processi di coesione politica dell’Europa occidentale nel quadro integrato dell’imperialismo.

Questi piani si intrecciano tra loro e concorrono alla coesione politica dell’Europa occidentale, un movimento dal quale nessun paese dell’Europa occidentale è escluso. Un dato questo da cui NESSUNA forza rivoluzionaria combattente può prescindere nella propria attività rivoluzionaria.
È da questi elementi politici di fondo che il Fronte nell’Europa occidentale si rende possibile e necessario.
I livelli di controrivoluzione maturati storicamente dall’imperialismo hanno modificato sostanzialmente il rapporto di scontro tra imperialismo e forze rivoluzionarie.
Ciò significa in primo luogo avere coscienza dell’AUMENTATO PESO DELLA SOGGETTIVITÀ come dato generale dello scontro di classe, avere coscienza cioè che il terreno rivoluzionario non è il semplice riflesso delle condizioni oggettive.
L’attacco del Fronte è contro i progetti strategici attuali della coesione politica/economica/militare dell’Europa occidentale allo scopo di indebolire il sistema imperialista per provocare la crisi politica.

La nostra offensiva comune è mirata: è mirata:

CONTRO:
la formazione delle politiche economiche e finanziarie dell’Europa occidentale, che all’interno della catena imperialista sono concepite per armonizzare e sostenere l’acutizzarsi dell’erosione economica.
Queste politiche in concertazione con quelle di USA, e Giappone fanno solo gli interessi delle banche, dei consorzi, delle multinazionali ed hanno una duplice funzione:
– dettare le condizioni della realtà dei paesi in cui operano;

– impedire la rottura del sistema finanziario internazionale.

Tutto ciò sulla pelle dei popoli metropolitani e del terzo mondo.

CONTRO:
le politiche di coesione dell’Europa occidentale che sono tese al rafforzamento delle posizioni dell’imperialismo, che attualmente intervengono per stabilizzare l’area mediorientale sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.

– L’ATTACCO UNIFICATO CONTRO LE LINEE STRATEGICHE DELLA COESIONE DELL’EUROPA OCCIDENTALE DESTABILIZZA LA POTENZA DELL’IMPERIALISMO.
– ORGANIZZARE LA LOTTA ARMATA NELL’EUROPA OCCIDENTALE.

– COSTRUIRE L’UNITA’ DELLE FORZE COMBATTENTI SULL’ATTACCO:

ORGANIZZARE IL FRONTE COMBATTERE INSIEME.

Settembre 1988

ROTE ARMEE FRAKTION
BRIGATE ROSSE
PER LA COSTRUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE

 

Fonte: www.bibliotecamarxista.org