Attaccare e disarticolare il progetto controrivoluzionario e antiproletario di “riforma” dello Stato. Corte d’Assise di Forlì, “Processo Ruffilli” – Documento dei militanti delle BR-Pcc Cappello Maria, Cherubini Tiziana, De Luca Antonio, Galloni Franco, Grilli Franco, Lupo Rossella, Matarazzo Fulvia, Minguzzi Stefano, Ravalli Fabio e dei militanti rivoluzionari Bencini Daniele, Vaccaro Vincenza, Venturini Marco allegato agli Atti.

Oggi in questo tribunale lo Stato cerca la sua rivincita sulla Guerriglia. È la DC a volerlo, per essere stata ancora una volta disarticolata nel suo progetto politico centrale dall’attività rivoluzionaria delle BR per la costruzione del PCC.

La mostrificazione dei militanti delle BR e dei rivoluzionari prigionieri dovrebbe dare, nelle intenzioni dello Stato, un’immagine di forza sullo scontro rivoluzionario che politicamente è priva di gambe, e tanto più perché è attuata sui prigionieri. Significativamente, nell’ambito di questo processo, si evidenzia la debolezza politica dello Stato, e della DC nello specifico, rispetto alla dimostrazione pratica che la prassi rivoluzionaria può disarticolare ed inceppare i progetti politici centrali che rappresentano gli interessi della borghesia imperialista.

Le modalità di gestione del processo riflettono inevitabilmente le leggi della guerra, seppure nella particolare forma politica del rapporto Guerriglia/Stato, per cui sui prigionieri BR e rivoluzionari, in qualità di ostaggi in mano allo Stato, dentro agli equilibri generali dei rapporti di forza tra classe e Stato, si esprime il tentativo di gestione delle contraddizioni di classe sulle quali ha inciso la prassi rivoluzionaria; e ciò è tanto più vero se lo si relaziona alla situazione attuale dello scontro. Da qui la necessità di fare ricorso, in questa fase, anche a questo specifico piano di intervento. Ribaltiamo questo piano e ne evidenziamo i limiti e la povertà d’intenti in quanto nessuna mistificazione processuale, nessun stravolgimento della presenza politica dei militanti BR e rivoluzionari prigionieri, nessuna plateale dimostrazione di muscoli dello Stato può negare la contraddizione che questo stesso processo esprime, ovvero il dato politico che le BR nella dialettica rivoluzione/controrivoluzione hanno posto nel determinare l’avanzamento del terreno rivoluzionario col quale lo Stato deve misurarsi.

Nonostante la rigida gabbia giuridica in cui si vuole relegare la contraddizione rappresentata in questo processo, esso mette a nudo impietosamente la realtà politica: il più organico progetto politico elaborato dalla DC per affrontare i delicati mutamenti del generale processo di riassetto dello Stato, è stato sostanzialmente incrinato negli equilibri politici che lo sostenevano ad opera dell’opposizione di classe e dell’attacco portato dalle BR.

La messa a punto del progetto politico demitiano nasce dalla necessità di riformare le istituzioni a partire dal modo con cui l’Esecutivo esercita il governo del paese, una necessità posta dai mutamenti emersi in questa fase dell’imperialismo e nel contempo dalla necessità di normalizzare il contesto di classe e il suo piano rivoluzionario.

Un difficile percorso delle forze politiche e delle istituzioni borghesi, proceduto per affrontamento contingente delle contraddizioni a partire dal fallimento del progetto di “unità nazionale”. I governi di coalizione a presidenza “laica”, che hanno ereditato i problemi irrisolti dall’incompiuto progetto moroteo, pur nell’apparente emergenzialità delle soluzioni, hanno effettuato in ultima analisi cambiamenti significativi del quadro istituzionale, ratificando modifiche di fondo nel rapporto classe/Stato. Ciò è potuto avvenire sulla base dell’offensiva controrivoluzionaria attuata dallo Stato negli anni ’80 per rompere gli equilibri politici relativi ai rapporti di forza tra le classi, permettendo così alla borghesia imperialista di acquisire il vantaggio su cui poi ha avviato i programmi antiproletari.

L’arretramento del progetto di “unità nazionale” lasciava irrisolte le ragioni di fondo in cui tale progetto si inseriva, vale a dire l’ulteriore balzo compiuto dal sistema capitalistico dopo quello attuato a tappe forzate del dopoguerra. Il progetto demitiano si colloca come ulteriore importante momento di progettualità politica tesa a dare corpo alle esigenze generali della borghesia imperialista e, per altro verso, come espressione del “rinnovamento” del Partito, teso al recupero delle condizioni politiche per riconquistare la Presidenza del Consiglio, ponendosi al centro degli equilibri da instaurare per l’affermazione del progetto medesimo. Ma questi equilibri politici non nascono ovviamente da mediazioni tra partiti e negli ambiti interborghesi, per quanto il grado di avanzamento delle contraddizioni si rifletta in una instabilità di tutti gli ambiti del potere dello Stato; la base principale su cui si sono potuti inserire questi nuovi equilibri politici, nasce dalle modifiche apportate con la controrivoluzione degli anni ’80 nella mediazione politica tra classe e Stato, poiché la sua sostanza è stata incorporata nelle relazioni politiche tra le classi.

Il riferimento ai modelli di democrazia rappresentativa europei, per non diventare un obiettivo vuoto, ha dovuto tener conto del tipo di conflitto di classe esistente in Italia; per questo il progetto demitiano presupponeva di potersi instaurare nel contesto di uno scontro di classe in cui fosse nettamente ridimensionata la presenza politica della sua avanguardia rivoluzionaria: le Brigate Rosse.

Questo si era proposto l’offensiva controrivoluzionaria degli anni ’80 attraverso i diversi livelli di controguerriglia messi in campo: dalle torture dell’82, al progetto di “soluzione politica” per la guerriglia, elaborato dai massimi vertici dello Stato. Ma invece di eliminare il problema dello scontro rivoluzionario diretto dalle BR, come nei propositi della borghesia e dello Stato, esso si è risolto paradossalmente nel salto di qualità della guerriglia, proprio a causa dell’approfondimento dei termini complessivi dello scontro classe/Stato, rivoluzione/controrivoluzione.

La maturità complessiva acquisita dalle BR, nonostante gli errori e la giovinezza politica, nonostante il duro attacco ricevuto, ha permesso, nella dialettica sul terreno rivoluzionario con le istanze dell’autonomia di classe, di misurarsi con i nuovi termini dello scontro di classe e di forgiare nelle condizioni della controrivoluzione il suo riadeguamento teorico, politico, organizzativo, mantenendo nel contempo ferme le discriminanti strategiche di fondo. Mentre sul piano generale della lotta di classe il quadro di scontro che si prefigurava era caratterizzato da una vasta conflittualità politica e sociale di molteplici settori di classe che, avendo fatto i conti con la controrivoluzione degli anni ’80 e con l’arretramento generale che essa ha provocato, cercava di dotarsi di strumenti idonei e forme nuove di organizzazione. Una conflittualità dai caratteri fortemente resistenziali, ma non difensivi, che nei suoi settori più maturi ha rappresentato la continuità con il filone dell’autonomia di classe storicamente determinatasi in Italia, e che è tale anche per la presenza ventennale della guerriglia. A lato di questo terreno prettamente soggettivo, riguardante tutti i piani dello scontro di classe, sullo sfondo si è maturato il progressivo montare delle contraddizioni generali che scaturiscono dalla crisi e il premere delle esigenze relative alla formazione dei nuovi termini monopolistici.

Questo è il quadro entro cui si erano coagulati i fragili equilibri che riconducevano al progetto demitiano, o, meglio, all’attuazione di alcuni passaggi del progetto di riforma (la regolamentazione delle funzioni delle due Camere per funzionalizzarle alle decisioni dell’Esecutivo; la riforma delle autonomie locali, con parziale sperimentazione delle nuove regole elettorali), mentre il nodo sostanziale della riforma, la modifica della legge elettorale, non poteva che essere un punto di arrivo in cui doveva (e dovrebbe) convergere non solo la maggioranza di governo ma anche l’opposizione istituzionale, essendo questa una modifica che tocca l’impianto costituzionale del paese, attraverso il consolidamento degli equilibri politici generali tra le classi. Un progetto molto articolato, quindi, sia nelle tappe politiche da mettere in pratica sia nei fini perseguiti, i quali sono così sintetizzati dalla nostra Organizzazione, nella rivendicazione:

«…l’obiettivo è quello della “democrazia governante” dove al massimo dell’accentramento del potere reale corrisponde il massimo della democrazia formale. È questo il progetto politico demitiano, formalmente teso alla costruzione di una “democrazia finalmente matura”; nei fatti teso a concentrare tutti i poteri nelle mani della maggioranza di governo nel nome di un interesse generale del paese che nella realtà è solo l’interesse generale della frazione dominante di borghesia imperialista, nella normale dialettica tra maggioranza e opposizione in cui la maggioranza ha gli strumenti di governo e l’opposizione ha la facoltà di critica senza però poter intervenire direttamente nei processi decisionali, in un gioco in cui apparentemente i partiti rappresentano l’intera società, mentre nella realtà rappresentano solo gli interessi della frazione dominante di borghesia imperialista. Un progetto politico che nel complesso tende a svincolare il governo della società dalle spinte antagoniste, garantendo la stabilità politica del sistema; è per questo che il progetto politico demitiano è in questo momento il “cuore dello Stato”, in quanto da un lato sancisce l’equilibrio politico in grado di far marciare i programmi della borghesia imperialista, dall’altro assesta e ratifica i rapporti di forza tra classe e Stato, in favore di quest’ultimo: da ciò il suo carattere controrivoluzionario e antiproletario…».

È all’interno di questo contesto che tale progetto, centralmente dominante nei rapporti politici tra classe e Stato, è attaccato e disarticolato dalla nostra Organizzazione, un intervento che porta in sé tutte le potenzialità politiche e strategiche insite nel riadeguamento dell’avanguardia combattente, e in quanto tale capace di portare la sua iniziativa politica e militare ancora una volta al punto più alto dello scontro tra le classi: ovvero laddove si determina la ridefinizione dei rapporti politici tra classe e Stato, dei rapporti di forza, delle modalità infine di governo relative alla mediazione politica tra le classi.

Un intervento rivoluzionario che, essendo espressione dell’attività complessiva operata dalle BR, ha spostato in avanti il livello dello scontro; una dinamica consapevolmente prodotta e calibrata dalle BR ai rapporti di forza generali e alle condizioni dello scontro, un contesto che si è riflesso sulla rideterminazione del rapporto rivoluzione/controrivoluzione. L’attacco delle BR all’ideatore del progetto, nonché elemento politico di spicco nel ricomporre e ricondurre le forze politiche intorno agli equilibri necessari per effettuare i passaggi del progetto, ha di fatto aperto un varco, avendo colto l’elemento di coesione di quegli equilibri su cui dovevano stringersi le intese politiche; in questo senso ha contribuito sostanzialmente al suo ripiego e ad un relativo scompaginamento del quadro politico e istituzionale, questo poiché ha riguardato l’incrinamento degli equilibri legati all’aspetto dominante della contraddizione classe/Stato, che per la sua importanza rimette parzialmente e relativamente in gioco gli equilibri tra le classi.

In questo senso la disarticolazione del progetto dominante della borghesia imperialista permette di acquisire lo spazio politico, il termine relativo di rapporto di forza per l’avanzamento della dinamica complessiva dell’attività rivoluzionaria a partire dalla dialettica attacco-costruzione-organizzazione-attacco, chiarendo anche che l’iniziativa politico-militare non procede per “simbolismi” (non si riferisce cioè ad obiettivi simbolici) che servano a svelare la natura delle contraddizioni di classe (che caso mai ne è un effetto), ma essa è il concreto modo, storicamente determinato, di procedere di questo particolare tipo di conflitto che è la guerra di classe rivoluzionaria nelle metropoli imperialiste. Quindi l’attacco si pone l’obiettivo di “danneggiare” il nemico di classe (disarticolazione) all’interno dei giusti criteri affermatisi nella pratica come capacità di riferirsi alla centralità, selezione, calibramento dell’attacco stesso, che permettono di avere il massimo di risultato politico con il minimo sforzo, data la disparità di forze esistente tra la guerriglia e lo Stato.

Da questo agire l’avanguardia combattente sintetizza il vantaggio materiale in forza politica, attraverso la costruzione-consolidamento dell’organizzazione di classe sul terreno della lotta armata adeguato ai livelli di scontro e agli obiettivi della fase rivoluzionaria. Il ridimensionamento del progetto di riforma della DC ha significato sostanzialmente uno spostamento di rotta nell’avanzare del processo di rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti dello Stato, vale a dire che esso procede dentro a spinte e controspinte senza al momento ricondursi ad una precisa progettualità. Le attuali difficoltà non significano invalidamento assoluto delle linee direttrici su cui dovrà imperniarsi la riforma, e questo indipendentemente dalla situazione congiunturale molto contraddittoria.

La natura del contesto di scontro politico classe/Stato e il piano di scontro rivoluzionario chiariscono il portato di tali contraddizioni, da cui scaturisce l’impasse politico dello Stato a porre mano ai passaggi ulteriori, impasse propria dell’attuale fase politica che di riflesso si ripercuote sugli assetti politici della maggioranza stessa e, in primo luogo, non può che riflettersi dentro la DC in quanto forza politica che fino ad ora si è fatta carico dell’elaborazione e dell’attuazione degli indirizzi politici sui quali marcia il processo di riadeguamento dello Stato.

I passaggi e le proposte di legge su cui erano stati predisposti accordi, durante il governo De Mita, se non si sono arenati procedono con difficoltà (vedi legge sulle autonomie locali e referendum), sfasature che rientrano tra i costi politici derivati dalla caduta del progetto demitiano. Mentre per altro verso l’attuale Esecutivo, sulla base delle precedenti modifiche istituzionali, anche attraverso forzature della massima asprezza, ha operato per dare un forte impulso ai passaggi già fatti nella direzione di armonizzare agli accordi di maggioranza l’attività delle Camere, le quali devono tendere ad un ruolo di ratifica delle decisioni dell’Esecutivo.

Un contesto che, dentro la direttrice di rafforzamento del ruolo e degli strumenti dell’Esecutivo, investe tutto il quadro dei rapporti: Presidenza del Consiglio/governo, governo/maggioranza, maggioranza/opposizione; questo nel contesto di direttive di irreggimentazione che si esprimono a livello delle forze di maggioranza attraverso filtri di indirizzo-controllo la cui elaborazione è sempre più centralizzata; nonché sugli sviluppi parlamentari, nelle modifiche delle regole che vigono nell’attività del Consiglio di Gabinetto e nelle attività dei Ministeri. Queste modifiche, permanendo all’interno dell’attuale funzione istituzionale delle due Camere, producono una continua instabilità parlamentare, riflettendo la contraddizione, il contrasto fra rappresentanza istituzionale in quelle aule e il conflitto reale tra le classi nel paese; un conflitto reso assai acuto dalla possibilità di legiferare su questioni di enorme rilevanza per le condizioni di vita politiche e materiali del proletariato (ad esempio tagli alle spese sociali, revisione del diritto di sciopero, ecc.).

Il prodursi di modifiche sostanziali nell’ambito istituzionale attraverso una serie di colpi di mano crea sì una situazione di relativa instabilità, ma lavora anche alla preparazione di condizioni funzionali per impattare quello che è il vero nodo di questa fase istituzionale: la riforma elettorale. Questo in un contesto in cui non si formano equilibri politici stabili nella maggioranza ed è fumosa ed incerta la modalità di coinvolgimento delle opposizioni istituzionali, per quanto l’insieme dei partiti esprima palesemente una volontà di “piegare” le istituzioni ai propri schemi di potere nella futura configurazione della riforma elettorale.

Nella sostanza è molto problematico risolvere con formule varie di rappresentanza partitica l’urto del conflitto di classe, cosa che tra l’altro avviene solo formalmente; l’aspirazione a conformarsi verso i modelli di democrazia rappresentativa europei deve fare i conti con i caratteri tipici della situazione italiana, non solo per le particolarità di sviluppo dello Stato, ma soprattutto e in conseguenza del tipo di lotta di classe, per una coscienza anti-istituzionale e anti-statale affermatasi negli strati più maturi della classe. È questo il fattore che non permette evoluzioni scontate del sistema di rappresentanze istituzionali borghese e, d’altro canto, l’esigenza del governo delle contraddizioni necessario per legiferare, quindi formalizzare le decisioni prese, spinge verso una dinamica di rafforzamento del governo, del ruolo della Presidenza del Consiglio; un fattore politico che, nel quadro più complessivo del paese, prefigura ed avvicina la svolta ad una “Seconda Repubblica”. Inoltre, sulla situazione politica interna, si ribalta l’andamento determinato dal quadro politico internazionale, ovvero il movimento della catena imperialista all’interno di un preciso approfondimento della tendenza alla guerra.

Ciò si ripercuote nel nostro paese come elemento di accelerazione delle contraddizioni mettendo al contempo in risalto anche tutti i limiti e le caratteristiche inerenti alla formazione dello Stato in Italia. La tendenza al rafforzamento delle forme politiche della dittatura borghese è appunto un processo altamente contraddittorio a causa del contesto materiale su cui deve riflettersi; una concretezza che, oltre a dimostrare quanto sia difficile “pianificare” soluzioni istituzionali, mette in risalto le difficoltà nell’affrontare le contraddizioni prodotte dalla crisi economica e dall’approfondimento della dinamica dell’imperialismo, acutizzandosi molti ordini di conflitto, principalmente tra campo proletario e Stato e tra tutte le fasce di borghesia. Ciò provoca forti squilibri negli assetti dello Stato, il cui contesto deve essere governato negli interessi della frazione dominante di borghesia imperialista, interessi che divaricano maggiormente le contraddizioni, poiché le soluzioni prese investono le condizioni di vita del proletariato.

In sintesi, da un lato lo sviluppo dello scontro di classe nel nostro paese che esprime una elevata maturità per la presenza del processo rivoluzionario e dall’altro le contraddizioni generali della crisi, sono i fattori principali che decidono in ultima istanza l’attuabilità dei progetti borghesi, gli equilibri possibili e le modalità entro cui possono esplicarsi.

Per comprendere la complessità e contraddittorietà dei processi di riadeguamento che attraversano tutti gli Stati a capitalismo maturo, bisogna fare riferimento al grado di crisi-sviluppo in questa fase dell’imperialismo: nella misura in cui se ne approfondiscono e se ne definiscono i nuovi termini, ne deriva la necessità del riadeguamento degli Stati quali “involucri sovrastrutturali del capitalismo”.

La funzione degli Stati si è andata a complessificare attraverso salti di qualità in relazione alle tappe dello sviluppo storico del capitalismo. Le caratteristiche dello Stato contemporaneo nei suoi tratti fondamentali vanno fatte risalire alla grande crisi del ’29, una crisi che attraversò tutta la catena imperialista di quel tempo e costrinse gli Stati ad intervenire direttamente nell’economia (ad esempio furono definite politiche di bilancio specifiche a quel tipo di crisi, regolamentata la formazione del mercato del lavoro e del credito, lo Stato si fece capitalista reale); furono adottate in sintesi una moltitudine di interventi di politica economica per difendere e promuovere il proprio capitale monopolistico a base nazionale, indipendentemente dai caratteri assunti dalle forme-Stato di quel periodo. Esemplificativo di questo dato è lo Stato fascista, il quale faceva riferimento al nascente capitale monopolistico e che era contemporaneamente la risposta controrivoluzionaria della borghesia alla rivoluzione sovietica e ai moti insurrezionali combattuti dal movimento consiliare del biennio rosso.

Con la seconda guerra mondiale, nel contesto creato dal bipolarismo, con la nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati, espressione dello sviluppo ineguale del capitalismo e delle posizioni economiche e politiche acquisite nel corso dello stesso conflitto dalle borghesie nazionali, comincia quel processo di integrazione gerarchizzata della catena imperialista che nei suoi tratti principali a tutt’oggi conosciamo; un processo che sotto il dominio del capitale finanziario ha visto affermarsi un piano di internazionalizzazione delle economie e della produzione – pur all’interno della spinta concorrenziale e anarchica del capitale e delle sue ricorrenti crisi cicliche. Ciò ha trasformato il capitale monopolistico a base nazionale in capitale multinazionale-multiproduttivo; un processo che, fin dal suo inizio, ha portato alla formazione di una frazione dominante di borghesia imperialista e del proletariato metropolitano in ogni singolo Stato della catena imperialista.

Questo dato storico evidenzia come lo Stato abbia definito nel tempo un maggior peso e qualità dei suoi interventi di politica economica, pur permanendo essi nella sfera della circolazione. Infatti, più le politiche economiche assumono peso nel supportare e favorire il ciclo capitalistico, più le funzioni dello Stato tendono a complessificarsi; con ciò lo Stato non perde la sua natura, non diventa soltanto il comitato d’affari della frazione dominante della borghesia imperialista né tantomeno il “semplice“ mediatore del conflitto di classe; questa duplice natura viene invece esaltata nel ruolo e nella funzione politica dello Stato, poiché, quale organo delle forme mature di dittatura borghese, riflette nel rapporto conflittuale con il proletariato i livelli di controrivoluzione stabilitisi storicamente nel corso dello scontro di classe.

Le attuali tendenze di riassetto degli Stati per le contraddizioni provocate dalla crisi generale di sovrapproduzione assoluta di capitali e mezzi di lavoro, sono soggette a percorsi contraddittori dovendo far fronte al portato di contraddizioni sul piano politico e sociale, poiché l’acutezza della crisi restringe il campo delle risposte possibili cui la borghesia imperialista può far ricorso. Dentro questo quadro complessivo l’erosione progressiva dei margini di manovra nell’attuazione di politiche controtendenziali, determina una crescente difficoltà per gli Stati a ricucire e spostare in avanti le contraddizioni che si producono su tutti i piani, derivandone una generale instabilità politica. Ciò si riflette nella necessità di rafforzare quegli strumenti politici di cui lo Stato dispone per pesare sugli equilibri generali a favore della borghesia imperialista determinando un “irrigidimento” della mediazione politica.

I processi di riassetto degli Stati sono collocati all’interno della tendenza dell’imperialismo in questa fase. Dal punto di vista generale si assiste all’approfondimento dei processi di integrazione e interdipendenza tra le economie della catena relativamente alla maturazione dei nuovi livelli di concentrazione e centralizzazione del capitale monopolistico, un movimento da cui scaturiscono le attuali condizioni della concorrenza intermonopolistica nei mercati capitalistici. Un processo economico di fondo che muove ad un maggior compattamento dei paesi della catena imperialista a partire dai livelli di integrazione politico-economico-militare affermatasi nel dopoguerra. Linee di compattamento caratterizzate nel loro movimento dall’avanzamento della tendenza alla guerra entro gli equilibri stabiliti dalla dominanza della contraddizione Est/Ovest a partire dall’aggravarsi della crisi economica.

Da qui la necessità per i paesi della catena imperialista di stabilire risposte concertate sul piano delle politiche economiche e per altro verso di ridefinire le relazioni politiche e militari tra i paesi del blocco. Questo spinge all’avanzamento qualitativo dei rapporti interimperialistici, principalmente a partire dai processi di coesione politica dell’Europa Occidentale che si riflettono sul piano politico e militare dell’Alleanza occidentale.

Un piano che investe tutti gli Stati della catena e che li spinge ad attivizzarsi intorno alla definizione di queste politiche (le quali procedono in modo nient’affatto lineare a causa delle contraddizioni interimperialiste). Scelte che si riflettono nel contesto di ogni Stato e che investono gli stessi processi di rifunzionalizzazione. In altre parole, la definizione qualitativa delle politiche concertate investe le funzioni politiche che riguardano il modo con cui lo Stato si relaziona al piano internazionale e assume il suo ruolo nella catena imperialista. Tale dinamica, nella misura in cui favorisce attraverso questi processi di coesione la definizione qualitativa delle scelte politiche dell’imperialismo, rafforza i singoli Stati relativamente alla loro collocazione nella catena e di conseguenza si riflette anche sulla forza politica di cui la borghesia imperialista può disporre nel rapporto generale col proletariato.

In sintesi, lo sviluppo integrato delle economie, di conseguenza le similitudini politico-sociali dei paesi della catena, determina una tendenza all’omogeneizzazione dei caratteri della forma-stato; una tendenza che, proprio perché investe il contesto di ogni Stato, dà luogo ad un processo che, contrariamente a quanto fenomenicamente appare, va ad esaltare la funzione dello Stato. Questo perché lo Stato, essendo la sovrastruttura del modo di produzione capitalistico, non può non riflettere la natura concorrenziale e di sviluppo ineguale dello stesso. I processi di coesione economica e politica avvengono in un contesto fortemente concorrenziale, non è quindi un processo pacifico di unità sovranazionale.

Non bisogna scambiare la tendenza naturale del capitale ad espandere la propria influenza con un processo di formazione di uno Stato sovranazionale, questo perché in primo luogo lo Stato, storicamente, è manifestazione e prodotto dell’antagonismo tra le classi e la sua forza concreta è sempre l’espressione della concreta lotta politica tra le classi; non può quindi la forma-Stato riferirsi ad una generica inconciliabilità tra le classi. Per questo complesso di fattori il superimperialismo è privo di fondamento scientifico.

Da questa analisi generale che definisce il quadro storico e la fase dell’imperialismo, ne discende sul terreno rivoluzionario l’assunzione dell’antimperialismo come dovere prioritario di ogni forza rivoluzionaria conseguente – a maggior ragione per le guerriglie dell’Europa Occidentale – poiché operano all’interno del cuore dell’imperialismo, sapendone però collocare il piano e la portata rispetto all’antimperialismo praticato dalle forze rivoluzionarie nella periferia. Per la guerriglia del centro imperialista si è trattato di attualizzare l’internazionalismo proletario in una strategia politica adeguata alle condizioni dello scontro nella metropoli imperialista.

Si è reso cioè evidente che, stante l’attuale grado di integrazione della catena imperialista e i conseguenti livelli di coesione politico-militare, è necessario indebolire e ridimensionare l’imperialismo in quest’area geo-politica per realizzare il processo rivoluzionario, sia che si tratti di rivoluzione socialista, sia che si tratti di liberazione nazionale.

L’antimperialismo per le BR si materializza nel contributo alla costruzione e consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista, quale termine adeguato ad impattare le politiche centrali dell’imperialismo. In altri termini, per la nostra Organizzazione la tematica dell’antimperialismo deve imperniarsi intorno allo sviluppo di politiche di alleanza con tutte le forze rivoluzionarie che combattono l’imperialismo in quest’area geo-politica (europea, mediorientale, mediterranea) al fine di costruire offensive comuni contro le politiche centrali dell’imperialismo. Più precisamente, si tratta di lavorare a concretizzare, in successivi momenti di unità, l’attacco all’imperialismo, all’interno del criterio politico che l’attività del Fronte non deve essere impedita dalle peculiarità di analisi e di concezione politica delle diverse forze rivoluzionarie che vi lavorano, né tantomeno discriminare l’attività del Fronte come unica attività rivoluzionaria, ma essa deve stringere l’unità realizzabile nell’attacco pratico.

Per questo affermiamo insieme alla RAF che «non si tratta di fondere ciascuna organizzazione in un’unica organizzazione ma di costruire la forza politica e pratica per attaccare l’imperialismo». In questo senso cioè il consolidamento della politica di Fronte costituisce un salto nella lotta proletaria e rivoluzionaria.

L’antimperialismo per le BR vive in unità programmatica con l’attacco al cuore dello Stato, costituendo entrambi i perni su cui si costruiscono i termini della guerra di classe di lunga durata.

Se dal punto di vista della sostanza dell’analisi leninista dello Stato nulla è cambiato nell’arco di questo tempo storico, l’espressione e il ruolo della macchina statale nella fase dell’imperialismo si sono però complessificati, rendendo relativamente più stabile la dittatura della borghesia. Il relativo affinamento delle sue forme di dominio è il risultato di un salto di qualità avvenuto con la fine del secondo conflitto mondiale.

Già il contesto creatosi col bipolarismo ha rafforzato quei processi di integrazione economica tra i paesi della catena stringendoli nel piano politico-militare dell’Alleanza Atlantica all’interno della contraddizione Est/Ovest.

In questo quadro va inserita pienamente la controrivoluzione imperialista capeggiata dagli USA che ha operato nella repressione-contenimento dei processi rivoluzionari e di liberazione sviluppatisi nel corso della guerra che attraversavano molti paesi europei. Dal tipo di restaurazione che ne è risultata con la normalizzazione imperialista ne è derivata l’incorporazione della sua sostanza nelle relazioni politiche che la borghesia ha instaurato con la classe, definendosi al suo interno un preciso tipo di relazioni: la controrivoluzione preventiva come politica costante finalizzata a contenere e a non far collimare l’antagonismo con il terreno rivoluzionario.

Gli Stati usciti dal dopoguerra sono quindi espressione dell’ulteriore sviluppo dell’imperialismo, e nelle sue forme politiche sono andati a consolidarsi i caratteri delle democrazie rappresentative contemporanee. La questione principale da rilevare è una relativa similitudine nella mediazione politica classe/Stato in tutti gli Stati a capitalismo maturo. In altre parole quel complesso di modalità, forme, strumenti con cui lo Stato si rapporta alla classe e governa l’insieme della società, a partire dal fatto che lo Stato è espressione dell’antagonismo inconciliabile tra le classi e contemporaneamente mediatore del conflitto, nonché rappresentante degli interessi generali della borghesia imperialista; quindi la mediazione politica è la risultante nelle forme e nei modi del rapporto di forza e politico dello scontro di classe, la cui sostanza viene appunto mediata, cioè veicolata, dagli strumenti e organismi politici istituzionalmente preposti a tale scopo. Al suo interno vi influiscono da un lato l’insieme dei “tamponi” politici che costituiscono la controrivoluzione preventiva, dall’altro la forza politica che la classe operaia e il proletariato si sono conquistati nei loro processi di lotta e di emancipazione generale a cavallo di questo secolo. Una risultante che per la sua consistenza storica è un dato affermato nei caratteri della mediazione politica.

Questi dati danno alla mediazione politica la caratteristica di “tenere” entro tempi determinati le lacerazioni e le forzature che lo Stato cerca di operare in determinate circostanze di scontro. Essa, in linea di massima, non consente un “uso indiscriminato” (di massa e prolungato nel tempo) degli strumenti coercitivi e repressivi straordinari (vale a dire uccisioni, torture…) contro l’opposizione di classe, pena lo stravolgere la mediazione, l’uscire quindi dalle forme politiche che si sono stabilite mediamente a livello generale, a meno di non riferirsi a specifiche condizioni di scontro nelle quali è attiva la presenza del processo rivoluzionario.

Ma anche in questo caso l’uso di questi strumenti è sempre calibrato agli specifici caratteri dello scontro, per come esso si è formato storicamente, che ad esempio “obbligano” ad un ricorso massificato di strumenti repressivo-coercitivi, in Irlanda, in Spagna, mentre per quanto riguarda la RFT, l’Italia e la Francia, il ricorso a misure “straordinarie” è necessariamente limitato a determinate circostanze dello scontro, con un più marcato carattere selettivo. Il fattore rivoluzionario, infatti, si riflette nella mediazione politica per l’influenza che ha nei rapporti di forza tra le classi; il conseguente contesto del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che si determina, sottopone la mediazione politica all’assorbimento delle modifiche sostanziali conseguenti all’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione. Questo complesso sistema di pesi e contrappesi politici, giuridici e istituzionali che fanno capo all’uso della democrazia rappresentativa contemporanea è il relativo affinamento compiuto dalle forme politiche di dominio negli Stati a capitalismo maturo.

Quello che si può affermare quindi, è che i caratteri generali e fondamentali della guerriglia, validi in ogni Stato a capitalismo maturo, determinano un processo di maturazione nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione che obbligatoriamente si generalizza in ogni contesto e in ogni Stato. Cosicché l’avanzamento del processo rivoluzionario che si sviluppa anche in paesi che non hanno avuto precedenti, deve misurarsi per forza di cose con il livello dato, nel contesto generale, dal rapporto rivoluzione/controrivoluzione.

Sui caratteri della democrazia rappresentativa contemporanea italiana si sono inseriti il complesso di fattori che derivano dal contesto storico-politico ed economico-sociale in cui lo Stato stesso si è formato. Fattori che ne hanno in parte condizionato lo sviluppo dando luogo alla sua relativa originalità nello specifico percorso seguito dalle forme di dominio borghese.

La nascita della Repubblica è il risultato dei rapporti di forza proletariato/borghesia usciti dal dopoguerra, data la qualità del processo di liberazione dal nazifascismo che, per la storia politica del proletariato, così ricca di esperienze in termini di lotte sociali e tentativi di sbocchi rivoluzionari, era caratterizzata oggettivamente da un movimento insurrezionale di massa e con connotazione classista e, al tempo stesso, è il risultato di un processo molto originale nella formazione/sviluppo del capitale monopolistico a base multinazionale che nella sua evoluzione a tappe forzate ha portato l’Italia a trasformarsi nel breve arco di un quarantennio da paese agricolo industriale a paese industrializzato.

Da questi due fattori principali è necessariamente derivata la classe dominante e le sue rappresentanze politiche, le cui caratteristiche risentono, da una lato della velocità di formazione della democrazia rappresentativa nel contesto del bipolarismo, dall’altro del fatto che essa nel formarsi ex novo sulle condizioni mutate dell’imperialismo nel periodo post-bellico, aveva come riferimento storico concreto l’esperienza dello Stato liberale monarchico ed aveva ereditato in parte apparati e personale politico del regime fascista.

La collocazione dell’Italia nell’Alleanza Atlantica ne ha fortemente caratterizzato lo sviluppo politico ed economico, dato il rapporto instauratosi con gli USA che, se da un lato risentiva del più generale processo di normalizzazione dell’Europa Occidentale teso a creare le condizioni politiche necessarie alla penetrazione del capitale finanziario USA, dall’altro ha avuto con essa un tipo di relazioni bilaterali particolarmente stretto e su più piani, testimoniato sia dall’influenza statunitense nel quadro politico interno, sia dal supporto particolare offerto dal Piano Marshall, data l’arretratezza economica dell’Italia.

Il plasmarsi della sovrastruttura statale sulle condizioni dettate dal ripristino dell’ordine imperialista e in un contesto di classe ricco di fermenti rivoluzionari ha condizionato la stessa impalcatura istituzionale e, ciò che è più importante, il personale e le forze politiche atte al suo funzionamento.

La stessa formazione della DC avviene in questo contesto, assumendo nel dopoguerra la rappresentanza più fedele della borghesia imperialista e assicurandone gli interessi generali attraverso il concorso delle altre forze politiche in grado di articolare la necessaria dialettica interborghese. Nello stesso tempo ottemperando alla funzione di stabilizzazione e normalizzazione del quadro politico interno, all’interno del quale l’insieme dei partiti costituiranno il garante democratico delle feroci politiche antiproletarie degasperiane. Una normalizzazione e stabilizzazione che si è avvalsa, nelle diverse fasi dello scontro, di forzature vere e proprie nelle relazioni politiche tra classe e Stato, operate anche attraverso l’uso del terrorismo di Stato (da Portella delle Ginestre alle stragi degli anni ’70 e ’80). È in relazione a queste caratteristiche che possiamo rilevare nel percorso storico e politico dello Stato della borghesia imperialista nostrana dentro al processo di assestamento/approfondimento delle forze di dominio borghese, un unico tratto antiproletario e controrivoluzionario inerente alla natura e allo sviluppo dello scontro di classe, un filo organico dentro il procedere non lineare di questo scontro che va dalla nascita della democrazia rappresentativa all’attuale “fase costituente” che evolve verso una “Seconda Repubblica”.

Un filo che passa per il disarmo politico e militare del movimento di resistenza e per la restaurazione borghese degli anni ’50, attuata con feroci politiche antiproletarie così da ottenere un contesto pacificato necessario ai nuovi termini di produzione nell’ambito della concorrenza intermonopolistica e all’accumulazione del capitale in pieno ciclo espansivo. È non a caso di quegli anni il primo tentativo di “manipolazione” del sistema elettorale (la legge truffa) tendente ad agevolare forme di governo “forti” e stabili.

Per giungere poi alla politica del centro-sinistra degli anni ’60, tesa ad adeguare il governo del paese alla nuova situazione economico-sociale, quando con i fatti di Piazza Statuto si ravvisa l’esordio politico della nuova figura operaia nata dal modello tayloristico adottato nella nuova organizzazione del lavoro, frutto del salto tecnologico compiuto nella produzione e nei conseguenti nuovi livelli di sfruttamento: dunque il centro-sinistra come l’equilibrio politico più adatto alle necessità di adeguare la sfera della mediazione politica attraverso un nuovo quadro politico-istituzionale per smussare e contenere gli aspetti più avanzati della lotta di classe.

È poi la volta del tentativo neo-gollista di stampo fanfaniano dei primi anni ’70 teso a contrastare in termini reazionari le forti spinte dell’autonomia di classe e dell’esordio della guerriglia.

Nell’evolvere della crisi economica, l’unità nazionale morotea è tesa a porre gli elementi di superamento del sistema di potere costruito intorno allo “stato sociale” nel suo duplice senso: di tentativo di cooptazione della classe alle scelte borghesi tramite le rappresentanze istituzionali (anticipando così la sostanza del “neocorporativismo”) e di processo di riqualificazione dei partiti, così da porre mano alle modifiche istituzionali indispensabili a determinare un quadro politico stabile. Ciò in presenza di un forte scontro politico di classe e del suo legarsi dialetticamente alla strategia della lotta armata. Due elementi il cui peso andrà a determinare la messa in crisi del progetto moroteo.

Per giungere alla controffensiva dello Stato degli anni ’80, vera e propria controrivoluzione che consente alla borghesia imperialista di riconquistare posizioni di forza nei confronti del campo proletario.

Una controffensiva che si colloca proprio a partire dallo spessore del conflitto di classe e che ha trovato nel terreno rivoluzionario diretto dalle BR il suo punto più alto e la sua risoluzione di potere. E per questo è partita dall’attacco alla nostra Organizzazione e alle espressioni più mature dell’autonomia di classe, per riversare il suo peso sull’intero corpo di classe, incidendo sulle condizioni politiche e materiali del proletariato. Una dinamica controrivoluzionaria che, per le sue caratteristiche, ha modificato la mediazione politica tra classe e Stato, il modo stesso di governare il conflitto di classe in riferimento all’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione e alle dinamiche di sviluppo dell’autonomia di classe, poiché le loro caratteristiche sono influenzate dalla dialettica instaurata con la guerriglia. Un elemento politico questo che ha comportato una pressione estesa su tutte le componenti dell’autonomia di classe dentro specifici calibramenti, finalizzati ad impedire che si esprimesse e si coagulasse l’antagonismo contro lo Stato. Un intervento che ha permesso in questo contesto di aprire la strada e gestire le ristrutturazioni economiche rese impellenti dalla crisi. All’interno di questo quadro poi si sono rese possibili le forzature necessarie per dare corso alle prime ratifiche sul piano istituzionale dei rapporti di forza favorevoli alla borghesia, di cui i Patti neocorporativi sono stati primo elemento e base di ulteriore avanzamento, concretizzando, nella modifica delle relazioni industriali, con l’avocazione al vertice della contrattazione, i termini verso i quali devono conformarsi le parti sociali, che sanciscono nella sostanza il modello di rappresentanza istituzionale sganciato dagli interessi di classe.

Da questo passaggio politico significativo assestato nei confronti della classe sono scaturiti i momenti di equilibrio all’interno delle coalizioni (i governi “laici”) che hanno dato concretizzazione, dentro la tendenza alla centralizzazione delle funzioni politiche dello Stato, ai processi di esecutivizzazione. Processi che nell’ultimo decennio hanno maturato sostanziali passaggi tesi a svincolare e impermeabilizzare l’azione di governo, nella forma, dalle spinte di natura particolaristica dei partiti, nella sostanza, dalle spinte della lotta di classe.

Dentro alla tendenza generale di riadeguamento dello Stato, calato nello specifico contesto italiano, è scaturito il progetto politico demitiano.

Non di un tentativo “reazionario” si tratta ma di avanzamento delle forme di dominio della borghesia imperialista, di affinamento della democrazia formale. Un progetto da un lato teso a sancire l’equilibrio politico in grado di far marciare i programmi della borghesia imperialista, dall’altro a ratificare e dare assestamento ai rapporti di forza classe/Stato. Riferito quindi alle esigenze della frazione di borghesia imperialista nostrana e all’altezza delle posizioni che l’Italia deve assumere nel contesto imperialista, soprattutto nello specifico europeo, e che possono avanzare solo dentro la ridefinizione dei rapporti di forza tra classe e Stato che permettono di procedere all’attuazione di quei provvedimenti di politica economica imposti dal ciclo, attraverso la modifica degli strumenti e dei soggetti istituzionali con cui lo Stato si rapporta al proletariato, nel modo di governare il conflitto di classe, teso a sancire, assestare e dare avanzamento ai caratteri della controrivoluzione incorporandoli nel quadro della mediazione politica classe/Stato.

L’ossatura del progetto politico demitiano per questo era imperniata sulla formazione di coalizioni che si possono alternare alla guida del governo, dandogli così un carattere di forte stabilità, una maggioranza ed un Esecutivo in grado di garantire da un lato risposte in tempo reale ai movimenti dell’economia, dall’altro decisioni consone all’instabilità del quadro politico interno e internazionale. Il massimo cioè della “democrazia formale”, dove l’alternanza fa la funzione dell’opposizione per riuscire a contenere le spinte conflittuali che si producono nel paese.

Un disegno complesso che necessita anche di stimolare la funzione della democrazia rappresentativa attraverso strumenti ad hoc nella raccolta di consenso attivo attorno alle scelte dell’Esecutivo e della maggioranza che lo presiede.

Un processo teso, attraverso fasi di transizione, ad approdare ad una nuova fase che nello snodo della riforma elettorale apra il terreno ad una “Seconda Repubblica”. Passaggi transitori di un’importanza fondamentale sia nel verificare la tenuta politica degli schieramenti, sia nel tradurre sul piano concreto i processi di riformulazione degli apparati dello Stato, riferiti all’armonizzazione del loro ruolo intorno alle scelte politiche dell’Esecutivo (Magistratura, Corte Costituzionale, Corte dei Conti, autonomie locali). La proposta di riforma degli enti locali intendeva fornire un terreno concreto alla sperimentazione dei termini di rifunzionalizzazione complessiva, da un lato tesa a funzionalizzare i poteri decentrati – sia in termini di spesa che di gestione – all’Esecutivo, dall’altro e soprattutto, come primo banco di prova della praticabilità di una nuova legge elettorale.

Infatti il nodo più delicato è il processo di modifica del ruolo e delle funzioni che le forze politiche devono rivestire dentro una nuova geografia politica, in quanto questo terreno investe i rapporti politici tra le classi, cioè gli strumenti attraverso i quali la rifunzionalizzazione dello Stato deve essere mediata in relazione alle condizioni politiche generali del paese. Strettamente legate a ciò sono le esigenze, ben presenti nel progetto demitiano, di riadeguamento dei partiti nel ruotare intorno a questo processo di rifunzionalizzazione, dentro ad un “modello“ di “democrazia compiuta” che il progetto politico persegue.

Un progetto politico che rappresenta il secondo tentativo organico da parte delle forze politiche borghesi di rapportarsi con una visione complessiva al problema del riassetto dello Stato, e in entrambi i casi, è stata la DC a farsene carico. Con il fallimento del progetto moroteo, nella sostanza restano irrisolti tutti i nodi che ne avevano determinato l’elaborazione, dalle contraddizioni politiche e sociali, allo scontro di classe e rivoluzionario, alle contraddizioni interborghesi fin dentro la stessa DC. E’ proprio il fallimento dell’unità nazionale che determinerà in quel momento la realizzazione di “staffette” che vedranno le forze “laiche” alla guida degli Esecutivi, quali forze politiche dotate dell’elasticità/trasformismo necessari per garantire la governabilità e funzionalità del sistema, un elemento questo che rende conto della complessità della democrazia rappresentativa e di quanto gli equilibri politici che si instaurano tra le forze di maggioranza siano relativi al livello di scontro generale tra le classi.

Successivamente l’interconnettersi di due fattori, ovvero la dinamica di avvitamento delle stesse forze laiche incapaci di fare i conti con il complesso di fattori posti dalla nuova fase politica, e l’elaborazione del progetto demitiano, nel percorso interno al partito che ne ha permesso la definizione, consentirà alla DC di riacquisire il ruolo di perno degli equilibri politici attorno a cui far ruotare le forze politiche borghesi (di maggioranza e di opposizione) e di maturare un importante passaggio nel processo di riadeguamento.

Il progetto demitiano, riallacciandosi alla “terza fase” morotea, intendeva colmare lo scarto derivante dal tipo di sviluppo storico dello Stato in Italia rispetto alle esigenze che il quadro di crisi imperialista poneva sempre più all’ordine del giorno “pianificando” i passaggi volti al rafforzamento della democrazia rappresentativa (le “staffette” travestite da “alternanza”) in un processo di accentramento della sostanza del potere nell’Esecutivo.

Ma ancora una volta, per la seconda volta, il progetto democristiano ha dovuto fare i conti con la realtà dello scontro di classe e con l’intervento dell’avanguardia combattente: una realtà che, contrariamente alle velleità borghesi, non si presta ad essere pianificata e sistematizzata.

Come la storia ben dimostra, essendo la Dc per il suo ruolo da sempre individuata dal proletariato come il nemico dichiarato, è per questo oggetto di numerosi atti di giustizia proletaria. Sul piano generale della lotta di classe il quadro di scontro che si configurava veniva così giustamente focalizzato dalla nostra Organizzazione nella rivendicazione:

«… la classe, dopo un primo momento di difesa delle precedenti condizioni di vita politiche e materiali, ha dovuto confrontarsi subito con i nuovi termini di relazioni industriali propri del neocorporativismo, messi in campo per imbrigliare e depotenziare qualsiasi possibilità di espressione di autonomia e organizzazione di classe. Quindi non tanto di classe sulla difensiva si può parlare (ciò sarebbe una visione statica dello scontro) ma di una classe non propriamente pacificata che cerca di fornirsi degli strumenti idonei a sfondare gli steccati costruiti dal neocorporativismo, nonostante i durissimi attacchi politici e materiali che lo Stato in prima persona decide di operare.

I tentativi della classe di organizzarsi al di fuori delle gabbie neocorporative producono di riflesso le cosiddette crisi di rappresentatività del sindacato.

Una spinta conflittuale che trae forza dallo spessore della lotta di classe sviluppatasi in Italia, che non riempie le prime pagine dei giornali ma che vive costantemente sia nei principali poli industriali sia nei centri della piccola industria. Una lotta tenacemente perseguita dalle avanguardie di classe, che pur vivendo nella condizione generale di controrivoluzione (basti pensare al clima da caserma nei posti di lavoro), si misura concretamente con essa…».

Lo sforzo di fare apparire il progetto demitiano come asettico e idilliaco, privo di riferimenti con le condizioni politiche e materiali vissute nello scontro, come una cosa che riguarda solo il modo di sedersi a Montecitorio, si è infranto con la realtà, facendo i conti con la nostra Organizzazione che, attaccando il nodo centrale dei progetti borghesi antiproletari e controrivoluzionari, ha inciso dentro le contraddizioni politiche riferite al terreno materiale di praticabilità, scompaginando gli equilibri politici atti a far marciare il progetto, portandone al punto critico le contraddizioni, le quali solo all’apparenza si riferiscono all’ambito interborghese, nella sostanza fanno i conti con gli equilibri generali, politici e di forza tra classe e Stato e con quanto su questo terreno l’attività rivoluzionaria ha inciso.

Una dinamica che si ripercuote sui caratteri della fase attuale, nel senso che, pur non essendo inficiata la linea di tendenza contenuta nel progetto, questa si caratterizza per un procedere non lineare e contraddittorio: le modifiche del quadro istituzionale si arenano intorno al nodo sostanziale del riassetto istituzionale parlamentare sulla base delle modifiche della legge elettorale.

Si assiste al proliferare di proposte tra loro divergenti, non tanto perché espressione pura di interessi particolaristici (come quella del PSI), ma perché incapaci di portare ad una sintesi politica quale quella contenuta nel progetto demitiano. Nei fatti tali proposte, a parte le improponibili oscillazioni intorno a “modelli di importazione” sganciati dal contesto politico italiano, non fanno che ruotare per approssimazione intorno agli elementi del progetto stesso, cioè intorno al modello di “riforma elettorale” imperniato sulla formazione di coalizioni alternative da sottoporre alle scelte dell’elettorato.

Un’ipotesi questa in cui va a ruotare il PCI stesso, attivizzandosi in funzione di garante del “rinnovamento delle istituzioni borghesi” e della modifica delle “regole del gioco” spacciandole come condizioni atte a favorire l’alternanza del PCI. Un’ipotesi che mostra tutta la sua velleità, perché non tiene conto che, stante gli equilibri politici con cui si approda al modello di riforma elettorale, nella sostanza favorisce la stabilità e la funzionalità degli Esecutivi formati dalle forze di regime, consentendogli di superare gli scogli di una situazione in cui al dirigismo del governo non si è più in grado di affiancare sul piano formale la dialettica maggioranza/opposizione sulla quale s’impernia l’attuale democrazia rappresentativa.

Un processo quindi niente affatto lineare e che si riflette nelle oscillazioni del PCI tra il conformarsi alla sua nuova collocazione entro il quadro borghese, e la necessità di operare una funzione di controllo e incanalamento delle tensioni di classe; il tutto in presenza di uno scontro di classe e rivoluzionario che per la sua storia e i suoi livelli di maturità non si cancella certo con colpi di spugna.

In questo senso le necessità sulle quali il progetto demitiano è sorto permangono tutte e si approfondiscono, si aggrava cioè il divario tra quadro politico-istituzionale e contesto reale delle contraddizioni che deve governare, e che rende necessario un salto nella modalità di governo, tanto più sostanziale quanto più, dentro a questo sfasamento, alle vecchie contraddizioni irrisolte, si aggiungono quelle riproducentesi ad un nuovo livello.

Lo stallo dell’ipotesi politica organica di cui il progetto demitiano era espressione più avanzata, si è tradotto in questa fase in ripercussioni interne alla stessa DC, da un lato legate allo “scompaginamento” del personale politico che si era potuto coagulare intorno al progetto demitiano, di cui la sconfitta della sinistra interna è un effetto, dall’altro per le scadenze imposte anche dal quadro reale di accelerazione delle contraddizioni. Da qui la necessità di ricorrere in questa fase a vecchi metodi di contenimento delle contraddizioni, riaggiornati con tutto il loro portato destabilizzante, gestiti da personale politico riciclato da fasi precedenti e pertanto portatore di limiti sul terreno specifico delle problematiche relative al porre mano ai passaggi della “riforma dello Stato” e alla ricostruzione intorno a ciò delle necessarie alleanze e punti possibili di equilibrio.

Il processo contraddittorio apertosi in questa fase, che tende verso una Seconda Repubblica, per i passaggi effettuati, mostra l’accelerazione dei processi di accentramento dei poteri nell’Esecutivo, così come la necessità di operare “a suon di forzature” nei rapporti politici complessivi, là dove ieri si credeva di potervi far fronte con il processo di sviluppo della democrazia formale e attraverso la formazione di false alternanze di governo. In realtà l’unica alternanza che si è realizzata è stata quella all’interno della DC, tutta relativa alle contraddizioni che sono maturate in questo processo nel suo procedere e misurarsi con il terreno reale del contesto di classe e dell’intervento della nostra Organizzazione.

Per concludere: questa la natura e le basi da cui scaturiscono i caratteri degli odierni processi che investono la rifunzionalizzazione dello Stato dentro ai dati generali propri di questa fase dell’imperialismo, dall’intersecarsi del movimento delle crisi capitalistiche con l’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che si colloca concretamente e specificatamente dentro alle peculiarità strutturali, agli equilibri politici propri del contesto storico-politico italiano. Un processo che investe le forme e i meccanismi del potere che, se da un lato rende l’Italia ben inserita nel contesto generale dei paesi della catena imperialista, dall’altro trova i suoi punti di squilibrio nell’estrema complessità dei fattori che intervengono nello scontro, per la natura di classe dello stesso, e che, riversandosi negli equilibri politici, rendono questo quadro quanto mai instabile e problematico.

E questo perché sul piano del rapporto classe/Stato, l’attuale Esecutivo si misura con il livello maturato dal conflitto di classe entro un clima di aspro scontro politico e sociale che esprime la vasta resistenza proletaria ai costi della crisi e agli effetti della riforma dei poteri dello Stato. Un conflitto che pertanto si caratterizza per la connotazione politica che giocoforza assume nel misurarsi con l’intervento e le scelte dell’Esecutivo sulle principali questioni che riguardano il conflitto di classe: dalla contrattazione della forza-lavoro al rimodellamento di nuove “relazioni industriali”, alle misure antisciopero fino agli interventi manu militari nelle vertenze più calde.

Il dato di sostanza che esprime lo scontro di classe nel nostro paese è riferibile allo spessore politico raggiunto dal movimento di classe, uno spessore che è tale per il legame dialettico con l’attività rivoluzionaria diretta dalle BR, per la propositività che la proposta strategica della lotta armata alla classe ha determinato sul terreno rivoluzionario. In sintesi, è la dialettica attività della guerriglia/autonomia di classe che ha sedimentato una base di qualità che permane (e si riproduce) nel rapporto di scontro tra campo proletario e Stato.

Una base di qualità da cui sono sempre scaturiti, nei diversi momenti dello scontro, forze d’avanguardia e processi di aggregazione e organizzazione conseguenti. Questa maturazione politica dello scontro di classe, essendo un elemento che si riflette nella mediazione politica, è pertanto non eliminabile nella sua sostanza dalla stessa controrivoluzione (che può contribuire invece a ridimensionarne il peso relativamente ai rapporti di forza più generali).

Un contesto in cui l’approfondimento dello scontro non ha a che vedere con meccaniche interpretazioni che vedono tradursi l’aggravamento delle condizioni di vita proletarie con un aumento dell’antagonismo contro lo Stato, ha a che fare invece con l’aumentato peso della soggettività nello scontro generale. Un elemento questo che condiziona le dinamiche della guerra di classe, a partire dal rapporto che si instaura tra attività della guerriglia e relativo affinamento delle risposte controrivoluzionarie dello Stato, all’interno del più generale rapporto rivoluzione/controrivoluzione.

Le caratteristiche politiche dello scontro di classe in una certa misura si riflettono sulla stessa dinamica spontanea delle lotte dovendo esse fare i conti con il livello stabilitosi nelle relazioni tra le classi; in questo senso si comprende come l’avanzamento stesso del piano di scontro generale si misuri con questo dato condizionandone il terreno di risoluzione.

Per questa ragione l’affermazione degli interessi generali del proletariato è quanto mai legata all’attività rivoluzionaria della guerriglia, al terreno di sviluppo della guerra di classe, il solo in grado di incidere sui rapporti di forza e rompere i reticoli della mediazione politica, in modo da aprire la dialettica che consente il rafforzamento (relativo) del campo proletario, riportando cioè sul terreno del potere il contesto dello scontro proletariato/borghesia.

Per inciso va detto che lo spazio aperto dal terreno rivoluzionario diretto dalle BR si riflette anche su tutti i piani dello scontro, compreso quello capitale/lavoro.

 

I termini del programma politico delle BR per la costruzione del PCC

Il dato politico centrale che emerge per parte rivoluzionaria è la valenza dell’attacco al cuore dello Stato, la valenza e la centralità della questione dello Stato nella prassi rivoluzionaria delle BR. Non una contrapposizione generica al potere della borghesia ma la contrapposizione scientifica alla sede del suo potere politico.

In questo senso le BR fanno propria la concezione leninista dello Stato, quindi del rapporto che con esso devono avere al fine del suo abbattimento per conquistare il potere politico ed instaurare la dittatura del proletariato.

Questa concezione fondamentale per i comunisti è correttamente inserita dalle BR nella concreta situazione storica in modo da misurarsi adeguatamente con le diversità sopravvenute nelle forme di dominio della borghesia imperialista.

Il rapporto Guerriglia/Stato è quindi il corrispettivo storico del rapporto che i comunisti, nel dirigere il processo rivoluzionario, stabiliscono con esso. Ciò che è mutato è il modo con cui viene perseguito il suo abbattimento, poiché è inserito all’interno del processo di guerra di classe di lunga durata, in cui l’avanguardia combattente deve assolvere alla funzione di mettere in campo, nelle specifiche modalità dell’operare della Guerriglia, il combattimento contro lo Stato. Esso è praticato in prima persona dalla Guerriglia a livello dell’attività d’avanguardia che le compete, nei momenti di attacco e di organizzazione calibrati alla fase di scontro in atto.

Attraverso l’attacco, quello che è immediatamente il piano di relazione su cui agisce la Guerriglia è la natura di guerra dello scontro di classe, una natura dominata dall’aspetto politico, il quale riveste come un “involucro” le contraddizioni (e le relazioni) classe/Stato. L’attività di combattimento contro lo Stato esplicita al suo punto più alto questa natura, esaltando nel contempo l’aspetto politico dello scontro nel momento in cui la disarticolazione degli equilibri politici causa una ricaduta in termini di relativa crisi del quadro politico statale.

Quello che la ventennale prassi rivoluzionaria delle BR ha dimostrato è che l’attacco allo Stato nei nodi politici centrali che lo contrappongono alla classe, lo costringe ad un relativo ripiegamento nelle sue scelte, mettendo in essere la possibilità di trasformare lo sbandamento relativo dei progetti borghesi in forza politica da riversare nell’attività di costruzione per stringere le forze proletarie che politicamente e materialmente si dialettizzano con la linea politica delle BR, nella disposizione e organizzazione sulla lotta armata calibrata, nelle forme e nei modi, alla fase di scontro. La forza politica, che momentaneamente deriva dall’attacco operato, viene tradotta in organizzazione di classe sulla lotta armata, perché lo scontro rivoluzionario diretto dalla Guerriglia nelle metropoli imperialiste non può costruire “basi rosse”, non può avere retroterra logistici, perché lo scontro rivoluzionario nei centri imperialisti è una guerra senza fronti dove l’attività controrivoluzionaria dello Stato si dispiega contro l’intero campo proletario (Guerriglia, movimento rivoluzionario, classe), dove il processo rivoluzionario avanza in una condizione d’accerchiamento strategico almeno fino alla fase finale dello scontro rivoluzionario.

In poche parole, l’attività d’avanguardia delle BR nell’attacco allo Stato, rende concretamente praticabile l’inceppamento e l’arretramento non solo dei progetti borghesi in generale ma, quello che è più importante, l’inceppamento dei processi di rafforzamento dello Stato che rappresentano il processo stesso di rafforzamento della dittatura borghese.

Una prassi che, unitamente all’altro fondamentale termine di programma perseguito, l’antimperialismo nella pratica di Fronte, materializza la possibilità e necessità dell’avanzamento della guerra di classe di lunga durata, essendo questa l’espressione storicamente determinata del processo rivoluzionario in questa fase storica. Un processo che le BR, con la loro nascita, si sono assunte attraverso la proposta alla classe della strategia della lotta armata, da iniziare fin da subito, come il modo adeguato per incidere nello scontro sul terreno del potere. Un processo di guerra dunque, perché la Guerriglia deve unificare nella sua attività il politico e il militare; unità che è implicita a tutti gli aspetti che compongono il processo rivoluzionario, il quale avanza nella contemporanea espressione (assolvimento) dell’aspetto militare con l’aspetto politico, perché nello scontro rivoluzionario nei paesi imperialisti la natura di guerra, che pure esiste nella lotta di classe, è una questione che deve essere affrontata immediatamente, data l’impossibilità di separarla (rimandarla) nel tempo, nella sola offensiva insurrezionale che prelude la presa del potere.

Nella realtà storica attuale vi è l’impossibilità di praticare un’attività rivoluzionaria di classe solamente politica; essa è impossibile da conseguire e consolidare: non può essere conseguita perché, sottraendosi al livello storico raggiunto dallo scontro, non vi incide; non può essere consolidata dati i mezzi esistenti per vanificarla e disperderla, per l’affinamento delle forze di dominio della borghesia imperialista. Queste hanno la possibilità di assorbire l’urto delle istanze prodotte dalla lotta di classe, dentro a selettivi processi che consentono di diluire e neutralizzare tali istanze nelle maglie degli strumenti della mediazione politica e nel contempo di procedere alla repressione/criminalizzazione delle sue espressioni antagoniste, in grado quindi di “normalizzare” qualunque attività che non fa i conti con il problema di rompere un tale reticolo o che si esprimesse nelle vecchie forme.

La Guerriglia nelle metropoli imperialiste non è semplicemente un surrogato della guerra, una tecnica militare, ma l’organizzazione adeguata a misurarsi contro lo Stato, a rompere il reticolo della mediazione politica che caratterizza il rapporto politico tra le classi, è l’unità del politico e del militare, è rompere con il monopolio della violenza della classe dominante per praticare gli interessi generali del proletariato e collocarli nella loro giusta dimensione: scontro per il potere con il fine del superamento della società divisa in classi.

L’attacco al cuore dello Stato si è definito come una parola d’ordine prioritaria (elemento di programma), una direttrice di combattimento fondamentale, nella coscienza che è a partire dal rapporto classe/Stato che si costruiscono i termini dell’organizzazione di classe sulla lotta armata.

Non si tratta, come nel passato, di disarticolare – mettendoli sullo stesso piano – tutti i centri della macchina statale (periferici e centrali) anche perché ciò era il riflesso di una visione schematica dello Stato visto in una separatezza dei suoi apparati (politici, burocratici e militari) a sua volta derivata da una visione semplificata e un po’ manualistica delle fasi rivoluzionarie che si succedono nella guerra di classe, ricondotta a due sole fasi principali: quella dell’accumulo di capitale rivoluzionario e il suo dispiegamento nella guerra civile.

L’esperienza acquisita dalle BR ha permesso di ricentrare non solo la dinamica del succedersi delle fasi rivoluzionarie nell’andamento discontinuo dello scontro, ma soprattutto di collocare correttamente la funzione dello Stato, il quale necessariamente centralizza nella sede politica la funzionalità dei suoi apparati. Un dato approfondito ulteriormente negli attuali processi di rifunzionalizzazione. Per queste ragioni l’attacco allo Stato, al suo cuore congiunturale, va inteso nel giusto criterio, affermatosi nella pratica, come capacità di riferirsi alla centralità, selezione e calibramento dell’attacco.

Centralità: si può affermare che date le condizioni politiche di scontro, il suo approfondimento, la capacità di disarticolare (intesa in termini relativi e non assoluti) risiede in primo luogo nella capacità tutta politica d’individuare, all’interno della contraddizione dominante che oppone le classi, il progetto politico centrale della borghesia imperialista.

Selezione: sta nella capacità d’individuare il personale che nel progetto politico assume una funzione di equilibrio delle forze che tale progetto sostengono.

Calibramento: sta nella capacità di calibrare l’attacco in relazione al grado di approfondimento dello scontro (ad esempio, anche in caso di arretramento, il livello d’intervento non può prescindere dal punto di scontro più alto assestato), allo stato di aggregazione-assestamento delle forze proletarie e rivoluzionarie, allo stato dei rapporti di forza generali sia interni al paese che negli equilibri internazionali tra imperialismo e antimperialismo.

Questi i criteri che guidano l’attacco e la scelta dell’obiettivo e che permettono alla Guerriglia di incidere adeguatamente nello scontro traendone il massimo del vantaggio politico e materiale.

In ultima analisi possiamo affermare che questo criterio sarà determinante per molte fasi ancora dello scontro, poiché solo la fase della guerra civile dispiegata consente di attaccare contemporaneamente e su più livelli la macchina statale.

La continuità nella prassi e dentro i salti di qualità operati dal complesso del processo rivoluzionario al cui interno sono situati i momenti qualificanti dell’attacco al cuore dello Stato, hanno contrassegnato i passaggi salienti del processo di guerra di classe, in stretta relazione con i nodi sostanziali dello scontro di classe generale, un’interrelazione che ha evidenziato come l’attività rivoluzionaria delle BR abbia influito nella configurazione dei caratteri dello scontro e specificatamente nello sviluppo dei caratteri dell’autonomia di classe.

Quello che il complesso processo di riadeguamento delle BR nel contesto della Ritirata Strategica ha definito, è la maturazione di una conoscenza complessiva dell’andamento dello scontro rivoluzionario, avendone saputo sintetizzare gli elementi di continuità/rottura dentro alla prassi sviluppata nel processo di riadeguamento stesso.

Ciò permette alle BR di usufruire di un patrimonio di esperienze che danno all’agire rivoluzionario una maggiore padronanza nel definire la conoscenza della conduzione della guerra di classe di lunga durata entro la direttrice della strategia della lotta armata che è disposizione generale delle forze e piano sistematico d’azione fino al raggiungimento dell’obiettivo di tappa, strategia che si basa sul fatto che fin da subito l’avanguardia armata si pone come direzione e organizza i settori di classe e i rivoluzionari che si dialettizzano e si dispongono sulla lotta armata. Questo perché tutto il complesso dell’esperienza rivoluzionaria fin qui prodotta contiene degli insegnamenti che vanno oltre la loro valenza politica immediata nel momento in cui viene praticata, poiché essi indicano principi e leggi di movimento che hanno un loro valore generale derivando dal procedere dell’unità del politico e del militare. In sintesi ciò permette alle BR di precisare il profilo specifico del corso del processo rivoluzionario nel nostro paese: vale a dire non una semplice sommatoria delle diverse fasi rivoluzionarie fin qui succedutesi, ma l’individuazione più netta della stessa strategia della lotta armata, arricchita dalle peculiarità politiche del terreno di scontro che si sviluppa negli Stati a capitalismo maturo. Un terreno che mette le forze rivoluzionarie nella necessità di misurarsi con le modifiche apportate nello scontro dal rapporto rivoluzione/controrivoluzione e che ha posto alla nostra Organizzazione la necessità di attuare le “tattiche” (che traggono la loro natura dalle leggi generali della guerra rivoluzionaria) adeguate a sostenere i livelli raggiunti dallo scontro a partire dal fatto che si concretizzano in condizioni di volta in volta mutate proprio a causa dell’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione.

In questo senso si comprende perché nella fase rivoluzionaria di “Ricostruzione”, che si sviluppa all’interno della Ritirata Strategica, l’attività rivoluzionaria è obbligata ad un movimento continuo d’avanzate e ritirate, dato il livello di affinamento della risposta controrivoluzionaria e, su un altro piano, per le condizioni politico-generali in cui si sviluppa lo scontro rivoluzionario.

Per ben comprendere questo dato di fondo è necessario fare alcune considerazioni sulla dinamica generale rivoluzione/controrivoluzione che si è espressa nel nostro paese, precisando alcuni elementi di sostanza per parte rivoluzionaria.

Sono le BR che aprono soggettivamente il processo rivoluzionario nella piena coscienza della loro funzione e che si attrezzano per condurre la guerra di classe di lunga durata assumendosi il ruolo di “reparto d’avanguardia dell’esercito di classe in formazione”. In questa concezione offensiva pongono le solide basi del processo rivoluzionario in Italia e trovano sostanzialmente impreparati lo Stato e la borghesia che, unitamente alle contraddizioni politico-sociali, vengono scossi dall’agire rivoluzionario delle BR a partire dalla stretta dialettica che queste instaurano con le istanze politiche dell’autonomia di classe (è anche per questo livello un po’ “incerto” del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che gli errori iniziali trovano un rapido recupero dentro al metodo prassi-teoria-prassi).

Ma tanto è incisiva l’azione rivoluzionaria delle BR, altrettanto consistente e mirata va a configurarsi la risposta controrivoluzionaria: dall’uso di infiltrati e spie dei servizi segreti degli anni iniziali, al varo dei reparti speciali di Dalla Chiesa, sono queste le risposte che vanno a caratterizzare le prime fasi della politica antiguerriglia. Questa andrà a configurarsi sempre più chiaramente come la punta avanzata del conformarsi e dell’approfondirsi del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, il quale è espressione del procedere complessivo dello scontro rivoluzionario nella dialettica generale con il movimento dell’autonomia di classe in rapporto alle controrisposte dello Stato.

Per questa ragione la dinamica generale del rapporto rivoluzione/controrivoluzione prende forma da come si è sviluppata nel movimento di classe e nel movimento rivoluzionario l’indicazione di organizzarsi sulla lotta armata, una caratterizzazione che ha costituito una ricchissima base di esperienza sulle modalità e sulla praticabilità del terreno della guerra di classe (indipendentemente dagli errori di indirizzo e di finalità derivati dall’imprecisa definizione delle fasi rivoluzionarie). In questo senso ha avuto un peso importante nella formazione del rapporto rivoluzione/controrivoluzione come componente massificata dello scontro rivoluzionario, un peso che è tale per essere il prodotto della dialettica realizzata dalle BR con il campo proletario.

È da questo contesto che prenderanno forma e si matureranno le risposte controrivoluzionarie dello Stato e che sfoceranno nella controffensiva degli anni ’80. Una controffensiva che, per l’ampiezza della sua portata e per le modalità con cui ha operato, ha strappato letteralmente i margini dei rapporti di forza per incidere nella mediazione politica. Su questa controrivoluzione gravano gli specifici interventi di controguerriglia sulla nostra Organizzazione, avendo essi rappresentato aperte risposte di guerra che cozzano e rompono gli involucri formali della “democrazia“ borghese, esplicitando al massimo l’intima natura dello scontro e nello stesso tempo lo Stato, rafforzando l’attività controrivoluzionaria, manifesta la sua illegittimità storica e politica rispetto agli interessi generali del proletariato.

A questo punto vanno considerate le ragioni per cui questo focale passaggio del processo rivoluzionario si è evoluto nel suo approfondimento invece che nel suo esaurimento (così come auspicato dalla borghesia e dallo Stato), tenendo conto del fattore generale relativo al fatto che il processo rivoluzionario diretto dalle BR ha suscitato man mano una controrivoluzione che ha maturato il suo portato proprio in concomitanza del ricentramento politico-organizzativo operato dalle BR per superare gli errori di giovinezza politica (economicismo, soggettivismo). A questo approfondimento vi influiscono ragioni di carattere generale e ragioni strettamente inerenti a come le BR hanno affrontato soggettivamente questo passaggio.

Partendo da quest’ultimo dato, che è anche il principale, è certamente la capacità dimostrata dalle BR di misurarsi con le nuove condizioni dello scontro che ha consentito di mantenere una capacità di resistenza e tenuta nell’impatto con la controffensiva, poiché tale capacità è stata l’espressione, sul piano dell’attività pratica, dell’iniziale processo di ricentramento (operato con Dozier sul terreno dell’antimperialismo e con Taliercio sul piano classe/Stato); in questo senso queste iniziative combattenti hanno in parte controbilanciato gli effetti negativi della controrivoluzione, mantenendo il terreno della propositività rivoluzionaria. E’ questa capacità di correggere gli errori dentro ad un piano che non è empirismo, ma la giusta risoluzione delle contraddizioni col metodo prassi-teoria-prassi, che consentirà alle BR di assumere la scelta più appropriata: la Ritirata Strategica.

Sono queste iniziative combattenti e queste decisioni politiche maturate dalle BR, unitamente alle consolidate basi di rappresentanza rivoluzionaria nel tessuto proletario, che imprimeranno al rapporto rivoluzione/controrivoluzione un movimento verso l’approfondimento dello scontro rivoluzionario e non verso il suo esaurimento. (Approfondimento che si evidenzierà in tutta la sua portata a seguito del processo di riadeguamento complessivo delle BR).

Questo aspetto prettamente soggettivo va poi relazionato al fattore politico a carattere generale, ovvero l’impossibilità per la borghesia e per lo Stato di risolvere militarmente il problema del processo rivoluzionario, il problema rappresentato dalla proposta della strategia della lotta armata come alternativa effettiva per la classe al potere della borghesia imperialista, dato il tipo di scontro di classe storicamente prodottosi nel paese. In sintesi, il dato generale che si è maturato nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione evidenzia il legame tra politiche antiguerriglia verso le BR e loro riversamento nel contesto dello scontro di classe; più precisamente, del loro ribaltamento verso gli ambiti politici delle avanguardie di classe, una relazione che, dopo l’80, sarà caratterizzante nell’azione dello Stato, tendente a smorzare l’espressione dell’antagonismo di classe che si dialettizza con l’attività rivoluzionaria delle BR.

Si evidenzia altresì come alle mutate condizioni prodotte dall’evolvere del rapporto rivoluzione/controrivoluzione le BR hanno saputo adeguare, pur dentro un processo non lineare, la prassi complessiva messa in campo, riqualificando l’impianto politico-organizzativo. Insegnamenti che, essendosi forgiati nel vivo dello scontro e nelle condizioni durissime di questi anni, hanno sancito dentro un salto di qualità un punto di non ritorno nel processo rivoluzionario determinandone il suo avanzamento.

Questa fase della guerra di classe è segnata, dal lato dell’attività controrivoluzionaria dello Stato, da una riformulazione complessiva di tutti i termini della mediazione politica tra le classi e, da parte rivoluzionaria, è inserita nella fase generale definita dalle BR di Ritirata Strategica, cioè un periodo politico non quantificabile in anni, nel quale l’attività rivoluzionaria è prevalentemente tesa ad un ripiegamento delle forze, in modo da mantenere e rilanciare la capacità offensiva espressa dalla Guerriglia. All’interno dell’unità del politico e del militare, la Ritirata Strategica non è risolvibile semplicemente nella ricollocazione di un corpo di tesi, essa ha investito ed investe non solo l’adeguamento dell’impianto politico e organizzativo, ma soprattutto il modo in cui si costruiscono i termini politico-militari dell’andamento della guerra di classe.

Per i caratteri di questa fase, diventano di fondamentale importanza i criteri con i quali si sviluppa l’attacco, si definiscono gli assi programmatici e la disposizione-strutturazione delle forze in campo.

Se la Ritirata Strategica è una fase a carattere generale, al suo interno si è definita la fase di ricostruzione delle forze proletarie e rivoluzionarie e degli strumenti politico-militari per attrezzare il campo proletario nello scontro prolungato contro lo Stato. Ovvero la fase di Ricostruzione, che già vive nell’attività rivoluzionaria, muove per creare le condizioni politiche e materiali atte a modificare e spostare in avanti il piano rivoluzionario e, di conseguenza, le posizioni del campo proletario. Stante la fase di scontro tra le classi, misurarsi con le condizioni politiche del rapporto classe/Stato mette in luce la necessaria dialettica Guerriglia/autonomia di classe a partire dalla direttrice dell’attacco allo Stato. Una dialettica che, a livello dell’organizzazione di classe sulla lotta armata, tenendo conto della concretezza dello scontro, deve agire sul binario costruzione-formazione: ovvero ricostruzione nell’ambito operaio e proletario delle condizioni politiche e materiali relative all’affermazione del terreno della lotta armata; formazione delle forze che si dispongono, in modo da renderle adeguate al livello di scontro contro lo Stato.

Un termine di lavoro in cui le BR fanno vivere, nella formazione delle forze che si dispongono, il patrimonio di vent’anni di attività rivoluzionaria rilanciata alla maturità e progettualità attuali.

Riassumendo, la fase di Ricostruzione è un passaggio delicato e complesso ed investe il tipo di riadeguamento stesso intrapreso dalle BR, cioè riferito alla capacità non solo di riqualificare l’impianto e il tipo di caratterizzazione del quadro militante, ma questo in relazione alla necessità di determinare una direzione e organizzazione delle forze in grado di muovere nel duplice binario ricostruzione-formazione; un passaggio non lineare perché è un percorso materiale collocato per intero all’interno delle contraddizioni generate dal confronto rivoluzione/controrivoluzione.

L’adeguamento nella capacità di esprimere la direzione idonea alle mutate condizioni dello scontro comporta un salto di qualità nella centralizzazione delle forze in campo intorno all’attività generale delle BR, cioè emerge la necessità politica che l’attività delle BR si muova in termini di forte centralizzazione politica che nell’accezione leninista significa: centralizzazione delle direttive politiche sull’intero movimento delle forze, decentralizzazione delle responsabilità politiche alle diverse sedi e istanze organizzate. Più precisamente la centralizzazione deve rispondere alla capacità di responsabilizzare le forze in un piano di lavoro le cui caratteristiche politiche siano patrimonio di tutti, ma non interpretabili spontaneamente dai diversi livelli organizzati. La centralizzazione nell’attività del movimento delle forze è condizione che richiede il massimo dell’utilizzo politico delle medesime, all’interno di una disposizione volta a farle muovere come un corpo solo intorno alle iniziative dell’Organizzazione. Ciò avviene solo dentro ad un piano di lavoro definito, all’interno del quale tutte le forze concorrono non per spontaneo apporto, ma disposte ed organizzate in modo da contribuire confacentemente. Una dinamica politica e organizzativa che può avvenire appunto nel duplice movimento: centralizzazione politica-decentralizzazione delle responsabilità. Si tratta in sintesi di formare le forze all’interno di una disposizione che permette di acquisire la dimensione politico-organizzativa che lo scontro richiede per rispondere alle necessità che derivano da questo livello di sviluppo della guerra di classe.

Questo adeguamento allo scontro implica la capacità di esprimere un livello di direzione politico-organizzativa adeguato alla centralizzazione nella disposizione delle forze sull’attività delle BR, livello di direzione che nel suo complesso muove verso un avanzamento del processo di costruzione del Partito Comunista Combattente.

Questo perché i caratteri del processo rivoluzionario, negli Stati a capitalismo maturo, comportano il fatto che l’avanguardia armata del proletariato si configuri come una forza rivoluzionaria che assume i principi di funzionamento di un esercito rivoluzionario; in altre parole le BR sono una forza rivoluzionaria che pur essendo il nucleo fondante il partito, non sono il Partito Comunista Combattente. Questo perché il nodo della direzione rivoluzionaria, determinata dal partito nella guerra di classe, non si scioglie con un atto di fondazione, ma esso è un vero e proprio processo di fabbricazione-costruzione del partito, che si configura come tale all’interno del percorso di costruzione delle condizioni stesse della guerra di classe. In sintesi, la direzione rivoluzionaria dello scontro di classe si realizza agendo da partito per costruire il partito.

 

Il programma politico praticato dalla nostra Organizzazione si sviluppa su questi termini:
– Il principale termine programmatico su cui si costruiscono i termini dell’organizzazione di classe sulla lotta armata è l’attacco al cuore dello Stato fino al suo abbattimento, inteso nelle sue politiche dominanti che di volta in volta lo oppongono alla classe; attualmente esse sono identificabili nei progetti di “riforma” dello Stato, i quali, modificando profondamente gli assetti istituzionali, hanno maturato concretamente la svolta verso una “Seconda Repubblica”.

– Sul piano dell’antimperialismo le BR lavorano ad una politica di alleanze contro il nemico comune, con tutte le forze rivoluzionarie che operano nell’area; ciò al fine di indebolire e ridimensionare l’imperialismo, costruendo offensive comuni contro le sue politiche centrali.
Perciò le BR lavorano alla costruzione-rafforzamento del Fronte Combattente Antimperialista. Nel quadro di queste attività e dentro gli accordi politici raggiunti con la RAF, rivendichiamo l’iniziativa politico-militare fatta dalla RAF contro Alfred Herrhausen e ne evidenziamo la sua centralità in rapporto alle politiche di coesione in Europa occidentale che sono tutte interne al rafforzamento della catena imperialista.

– Al livello dell’organizzazione di classe sulla lotta armata, ribadiamo i termini che scaturiscono dalla fase di “Ricostruzione”. Essi si esplicano sul duplice piano di lavoro costruzione-formazione e sono tesi a ricostruire nel tessuto di classe i livelli di riorganizzazione delle forze proletarie e rivoluzionarie in modo da disporle adeguatamente sul terreno della lotta armata nello scontro contro lo Stato. La fase di ricostruzione è termine prioritario nel mutamento dei rapporti di forza tra campo proletario e Stato e si pone come un tassello fondamentale per la ricostruzione dei livelli politico-militari che costituiscono i termini di avanzamento della guerra di classe di lunga durata.
Questi termini programmatici sono il terreno pratico su cui le BR sviluppano e verificano la loro capacità di attacco e assolvono alla funzione di direzione politica dello scontro all’interno della proposta strategica della lotta armata alla classe. Su questi termini di programma le Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente lavorano e danno sostanza alla parola d’ordine dell’unità dei comunisti.

– Attaccare e disarticolare il progetto controrivoluzionario e antiproletario di “riforma” dello Stato.

– Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.

– Attaccare le linee centrali della coesione dell’Europa occidentale e i progetti imperialisti di normalizzazione dell’area mediorientale che passano sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.

– Lavorare alle alleanze necessarie per la costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista per indebolire e ridimensionare l’imperialismo nell’area geopolitica.

– Onore al militante dei GRAPO José Manuel Sevillano Martin ucciso in questi giorni in carcere dallo Stato imperialista spagnolo.

– Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti!

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: Cappello Maria, Cherubini Tiziana, De Luca Antonio, Galloni Franco, Grilli Franco, Lupo Rossella, Matarazzo Fulvia, Minguzzi Stefano, Ravalli Fabio. I militanti rivoluzionari: Bencini Daniele, Vaccaro Vincenza, Venturini Marco

Forlì, 22 maggio 1990

Un pensiero su “Attaccare e disarticolare il progetto controrivoluzionario e antiproletario di “riforma” dello Stato. Corte d’Assise di Forlì, “Processo Ruffilli” – Documento dei militanti delle BR-Pcc Cappello Maria, Cherubini Tiziana, De Luca Antonio, Galloni Franco, Grilli Franco, Lupo Rossella, Matarazzo Fulvia, Minguzzi Stefano, Ravalli Fabio e dei militanti rivoluzionari Bencini Daniele, Vaccaro Vincenza, Venturini Marco allegato agli Atti.”

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