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MILITARIZZAZIONE E MACCHINA MEDIATICA

L’attacco mediatico di ottobre al movimento NO-TAV è stato orchestrato con la presentazione spettacolare della talpa, della sua messa in opera, e con l’invio di altre truppe d’occupazione: insomma, una dimostrazione muscolare – intimidatoria, a fronte dei continui attacchi ai cantieri e all’irriducibilità del movimento. La canea mediatica è passata anche attraverso la strumentalizzazione di un passaggio del nostro intervento contro la repressione.
Altro che giornalisti, questi pennivendoli, arruolati dagli uffici stampa della Questure e del Ministero degli Interni, manipolano, falsificano, aizzano, criminalizzano e al servizio del vero criminale, il capitale.
Come spiegare questa costante opera d’intimidazione e attacchi, senza precedenti, rispetto a un movimento popolare?
Sappiamo, ormai da tante esperienze, che la fabbricazione dell’“opinione pubblica“ è fondamentale per coprire e avallare una campagna repressiva. E campagna che mira a colpire quanti collocano la propria azione di resistenza in una più generale critica sociale, per una prospettiva di trasformazione. Con le sue pratiche terrorizzanti, lo stato vorrebbe rinchiudere il conflitto sociale entro precisi confini. Confini che, in questa fase di crisi e involuzione autoritaria, si vanno sempre restringendo.
Il crescente discredito verso partiti e istituzioni e la rabbia sociale fanno dei movimenti portatori di istanze di classe, un pericolo da contenere, disinnescandone il potenziale sviluppo. L’ossessione per un loro possibile sviluppo in senso rivoluzionario spiega l’attacco mediatico-repressivo.

In questa logica inquadriamo il provvedimento di censura – nei fatti un vero e proprio blocco-sequestro – che ci è stato imposto, a seguito del nostro intervento. Testo che, come altri che l’hanno preceduto, si poneva in quanto contributo al dibattito, e in forma di riflessioni – critiche ed autocritiche – per il confronto, per l’approfondimento di questioni troppo spesso bloccate nei luoghi comuni di posizioni date per scontate. Questioni che invece vanno considerate, riconosciute e affrontate, in tutto il loro carattere problematico e critico.
Fra cui spicca appunto, la questione del come affrontare la repressione in rapporto allo sviluppo delle lotte, dei movimenti di resistenza e … degli orizzonti di guerra sociale. Ed ecco il punto, la ragione di scandalo: il solo evocare tali orizzonti, da parte di militanti che (con tutti i loro limiti) rappresentano la tendenza alla lotta rivoluzionaria. Si sa, l’incubo per il potere è che dal semplice livello della resistenza, dei „NO“, dell’opposizione a tutte le sue infamie, si passi al livello di determinazione rivoluzionaria. E cioè a lottare per risolvere alla radice l’oppressione sociale, le cause della catastrofe in corso, e cioè a lottare per abbattere il sistema e aprire concrete possibilità di trasformazione.
Ed ecco quindi che l’ulteriore repressione nei nostri confronti, il far di tutto per silenziarci, acquista tutto il suo significato (al di là dell’aspetto strumentale, menzionato): si teme anche solo un’episodica dialettica, a distanza; e ancor più (forse) quando è condotta con intenti dialoganti e di confronto. Proprio perché si sa il potenziale latente nella realtà di classe.
E noi, pur nella modesta consapevolezza di ciò cui sono ridotte le forze rivoluzionarie da tempo (e anzi nella convinzione che anche di questo bisogna dar conto, per quello che è), pensiamo che appunto sia utile e corretto un metodo di approccio e confronto fra i diversi livelli della realtà di classe. La forza accumulata storicamente dai percorsi politico-militari non è inossidabile, né viva per la sua solo coerente presenza nelle carceri. Le sconfitte, per quanto transitorie, hanno scavato profondi fossati fra le fasi alte di espressione della tendenza rivoluzionaria e le successive, fragili esperienze, nel contesto di un tessuto sociale molto disgregato. Anche per questo è necessaria un’attitudine viva ed aperta per riattivare comunicazione e interazione fra le realtà di classe.
Né le aree di movimento hanno da imbarazzarsi, da temere nostri interventi: noi siamo interni al movimento di classe e, in quanto operai e militanti, da circa 40 anni; essendoci investiti a fondo e fino alla militanza sul piano dell’organizzazione armata. Il fatto di riconoscere l’internità delle tendenze rivoluzionarie armate al movimento di classe, seppur nell’ovvia differenza e dialettica critica, fa parte del patrimonio storico e dell’identità. La lotta di liberazione sociale ha spesso fatto ricorso all’uso della forza, non fosse’altro che per resistere alla violenza del dominio e per conquistare i diritti più semplici.
Viceversa, cedere al ricatto terroristico del potere – “bisogna essere pacifici“ (sic) – significa paura e subalternità nei suoi confronti, alle sue menzognere narrazioni, alla sua falsificazione storica. Significa rinuncia preventiva ad avanzare, imponendosi il rispetto della legalità degli oppressori, cioè la legalità del crimine. Significa rassegnarsi alla condizione di massa di manovra della “democrazia“ dell’inganno e della compra-vendita, la “democrazia“ borghese, proprio mentre il sistema si rileva sempre più nella sua natura violenta e dispotica.
Spesso s’intendono oggi la rabbia e l’indignazione diffuse di fronte alla depravazione globale, del sistema, ma anche il senso d’impotenza. Si sente l’insufficienza dei movimenti di lotta e resistenza, pur in sviluppo e certamente da sviluppare. La nostra ricerca si situa proprio lì: come avanzare? Cosa costruire e cosa distruggere? Come far crescere una forza (in tutti i sensi) capace, adeguata ai propri obiettivi di liberazione sociale? Come arrivare a riaprire e sviluppare un processo rivoluzionario?
Pensiamo che tutti abbiamo bisogno d’imparare, reciprocamente, e di cogliere ogni apporto che contribuisca a questo sviluppo. Così è da intendere pure un altro nostro testo – “Lotte e composizione di classe 2012“ – che sconta, anch’esso, varie traversie della condizione carceraria e dunque un ritardo di molti mesi.
Intendiamo dunque la censura, ed altri atti repressivi, come parte della guerra interna, di classe, condotta dal potere. Perché dovrebbe essere ormai chiaro che ci si muove in quest’orizzonte: è ora di finirla di farsi abbindolare col pacifismo, quando chi lo predica è un sistema criminale che esercita violenza, tutti i giorni, contro le classi oppresse e sfruttate, e nel mondo!

Terminiamo perciò come abbiamo cominciato il testo incriminato:
CONTRO LA REPRESSIONE    –    NUOVA DETERMINAZIONE!

SISI Vincenzo
DAVANZO Alfredo                                            novembre 2013
militanti per il PCP-M                                       carcere di SIANO (CZ)

Il marchio della Vita. Cercando una via immaginifica alla distruzione dell’esistente. Nucleo Olga FAI/FRI, Rivendicazione azione contro Roberto Adinolfi

Le idee nascono dai fatti, le parole accompagnate dall’azione portano il marchio della vita. Abbiamo azzoppato Roberto Adinolfi, uno dei tanti stregoni dell’atomo dall’anima candida e dalla coscienza pulita. Roberto Adinolfi ingegnere nucleare, amministratore delegato in carica dell’Ansaldo Nucleare, ha guidato in qualità di direttore tecnico il consorzio Ansaldo Fiat, creato per la progettazione degli impianti italiani di Montalto di Castro e di Trino Vercellese, in passato ha collaborato al rimodernamento del fu Superphenix e ha costruito gli impianti a Cernavoda in Romania. Prima che il nucleare ricadesse in disgrazia, è stato tra i maggiori responsabili insieme a Scajola del rientro del nucleare in Italia. Membro della commissione Unicem per la normativa nucleare e vice presidente della Società Nucleare Italiana, componente del Governing Board della piattaforma tecnologica europea Sustainable Nuclear Energy. Pur non amando la retorica violentista con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore. Impugnare una pistola, scegliere e seguire l’obiettivo, coordinare mente e mano sono stati un passaggio obbligato, la logica conseguenza di un’idea di giustizia, il rischio di una scelta e nello stesso momento un confluire di sensazioni piacevoli.

Un piccolo frammento di giustizia, piombo nelle gambe per lasciare un imperituro ricordo di quello che è ad un grigio assassino.

L’obiettivo è uno scienziato incolore, un tecnico, parola tristemente di moda in questi tempi che dietro una fittizia neutralità nasconde la longa manus del capitale, un dirigente poco incline a comparire alla ribalta, nello stesso tempo un responsabile scellerato che non solo ha progettato e rimodernato centrali nucleari che hanno fatto e continuano a fare morti in giro per il mondo.

Non solo ha progettato od ha collaborato nella gestione di centrali mortifere ma ne ha promosso l’impianto e lo sfruttamento con l’Ansaldo tramando con i singoli governi; scienza, politica ed economia in perfetto connubio. La scienza nei secoli passati ci aveva promesso l’età dell’oro, oggi ci sta conducendo per mano verso l’autodistruzione e la più totale delle schiavitù.

Il binomio scienza-tecnologia non è mai stato al servizio dell’umanità, nella sua più profonda essenza mostra il bisogno impellente di eliminare tutto ciò che è irrazionale, di disumanizzare, annichilire, di fatto distruggere l’umanità.

Il capitalismo con l’aiuto della scienza tende ad annullare i conflitti, gli individui oggi sono liberi di realizzare la propria soggettività solo attraverso il consumo e la produzione di merci. La macchina ordina, l’uomo esegue. Il capitale ordina, il consumatore consuma. La scienza ordina, la tecnologia uccide. Stato e scienza, capitalismo e tecnologia sono una cosa sola, un unico solo moloch. Accordi sempre più stretti tra stati, capitalismo diffuso, scienza senza scrupoli, tecnologia criminale stanno uccidendo inesorabilmente il pianeta. A pochi chilometri da noi in Francia, Svizzera, Romania le centrali nucleari non si contano più. Nella sola Unione Europea ve ne sono centonovantasette, dodici a ridosso dei confini italiani. Adinolfi lo sa bene è solo questione di tempo ed una Fukushima europea mieterà morti nel nostro continente. Siamo certi ingegnere che mai nemmeno per un secondo ti sei sentito corresponsabile di tale spada di Damocle sulle nostre teste. Ti diamo una cattiva notizia ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, è la tua fisica che ce lo insegna. Con questa nostra azione ti restituiamo una piccolissima parte delle sofferenze che tu uomo di scienza stai riversando sul mondo. Roberto Adinolfi uomo di punta dell’Ansaldo Nucleare tentacolo della Finmeccanica, mostruosa piovra artificiale. I suoi tentacoli ovunque si strangola uccide e opprime. Finmeccanica vuol dire Ansaldo Energia con le sue tombe nucleari. Finmeccanica vuol dire Ansaldo Breda con i suoi treni ad alta velocità che devastano il territorio. Finmeccanica vuol dire Selex Sistemi Integrati, Dirstechinical Service Inc. Elsag Datamat con i suoi equipaggiamenti della polizia razzista statunitense per il controllo dei confini messicani, con il suo delirante progetto di muro elettronico al confine della Libia contro i migranti, e le sue sofisticate forniture elettroniche ai carabineros cileni. Finmeccanica vuol dire Avio Alenia, Galileo e Selex con i suoi mortali caccia bombardieri F35, e i terribili droni aerei senza piloti. Finmeccanica vuol dire poligono interforze del Salto di Quirra in Sardegna. Finmeccanica vuol dire bio e nano tecnologie. Finmeccanica vuol dire morte e sfruttamento, nuove frontiere del capitalismo italiano. Gli esseri umani sono fatti di carne e sogno. Il nostro sogno è quello di un umanità libera da ogni forma di schiavitù, che cresca in armonia con la natura. Un sogno che rendiamo vivo nel momento in cui lottiamo per realizzarlo. Questo sogno ha per noi un nome “anarchia” e siamo disposti a giocarci tutto per realizzarlo. Non siamo soli in questa avventura, in tutto il mondo una nuova anarchia è sbocciata al fianco di un anarchismo ideologico e cinico, un anarchismo svuotato da ogni alito di vita che solo nella teoria e nel presenzialismo ad assemblee e manifestazioni trova la sua realizzazione, il tutto invigliacchito da un cittadinismo che puzza di morte. Una nuova anarchia è sorta dalle macerie di questo anarchismo, mille e mille nuclei sparsi per il mondo che parlano tra di loro attraverso mille e mille azioni. Damiano Bolano, Giorgos Nikolopoulos, Panayiotis Argyrou, Gerasimos Tsakalos, Michalis Nikolopoulos, Olga Ikonomidou, Christos Tsakalos, Haris, Hatzimichelakis la cellula dei membri prigionieri delle CCF/FAI sono stati questi fratelli e questa sorella a darci la determinazione ed il coraggio di lottare, la loro coerenza e progettualità ci hanno fatto forti. Camenish, Pombo da Silva, Eat e Billy, Tortuga, Silva, Costa, Billy e tanti altri prigionieri nelle carceri di mezzo mondo, Russia, Messico, Cile, Indonesia, Svizzera, Stati Uniti sono stati loro a insegnarci a non avere paura delle galere. De Blasi, Pinones, Di Napoli, Cinieri, Morales, Sole, Baleno e i tanti uccisi dalla repressione statale sono stati loro a insegnarci a non aver paura della morte. Sono state le sorelle e i fratelli a noi sconosciuti della FAI/FRI italiana che ci hanno preceduto a darci una concreta prospettiva organizzativa informale. Con la loro determinazione, costanza e testardaggine, a dispetto del pessimismo generale, contro una critica-critica sempre piena di livore, contro un realismo senza speranza, contro tutto e tutti sono riusciti a tenere accesa la fiaccola del nuovo anarchismo. Fiaccola diventata luminosa come il sole quando le sorelle e i fratelli delle CCF hanno apportato il loro contributo di coraggio-azione-organizzazione. Se fossimo stati realisti non avremmo armato le nostre mani. Se fossimo stati realisti non affronteremmo tanti rischi, vivremmo le nostre esistenze producendo, consumando, magari indignandoci. Siamo dei folli amanti della libertà e mai rinunceremo alla rivoluzione, alla distruzione completa dello stato e delle sue violenze. nella nostra rivolta anarchica e nichilista la speranza di un futuro senza confini, guerre, classi sociali, economia, sfruttati e sfruttatori. La possibilità di concretizzare questo sogno è per noi come un bagliore di luce nell’oscurità. Per quanto sia lieve questo bagliore vale sempre la pena di tentare, costi quello che costi, la qualità della nostra vita ne sarà sempre arricchita. A voi anarchici che ci accusate di essere velleitari, avventuristi, suicidi, provocatori, martiri diciamo che con le vostre lotte “sociali” con il vostro cittadinismo lavorate al rafforzamento della democrazia. Sempre alla ricerca del consenso, senza mai oltrepassare i limiti del “possibile” e del “razionale”, l’unica bussola delle vostre azioni il codice penale. Disposti a rischiare solo fino ad un certo punto sempre pronti a trovare infinite giustificazioni ideologiche pur di non ammettere le proprie paure. Siamo sicuri che un giorno avrete l’ultima parola anche su di noi, come in passato l’avete avuta su altre esperienze di lotta armata. Tra qualche anno scriverete un bel libro sulla nostra storia, criticando i nostri errori e le nostre mancanze, dall’altezza della vostra “coerenza” non si è mai abbastanza rivoluzionari, ma nessuno neppure voi, potrà toglierci il piacere che oggi proviamo ad aver realizzato pienamente e vissuto qui e oggi la nostra rivoluzione. Se ci soffermiamo sulle vite della stragrande maggioranza di noi anarchici ci rendiamo conto che non sono così tanto lontane dall’alienazione di chi consuma, produce e crepa. Produciamo e consumiamo cultura radicale e musica alternativa e lentamente molto lentamente crepiamo senza mai aver impugnato un’arma o colpito un oppressore. Tutta la nostra tensione rivoluzionaria si sfoga in articoli infuocati per i nostri giornali e siti, in testi infuocati per le nostre canzoni e qualche sporadico scontro di piazza tanto per mettere a tacere la propria coscienza. Sia ben chiaro che è un autocritica quella che facciamo, non ci sentiamo così diversi dagli altri anarchici. Impugnando una stupida pistola abbiamo solo fatto un passo in più per uscire dall’alienazione de “non è ancora il momento…”, “I tempi non sono maturi…”. Vincere la paura è stato più semplice di quello che ci eravamo immaginati. Realizzare oggi quello fino a ieri ci sembrava impossibile è l’unica soluzione che abbiamo trovato per abbattere il muro dell’oppressione quotidiana, dell’impotenza e della rassegnazione che ci hanno visti fino ad ora come pedine di un anarchismo insurrezionalista di facciata, che con la sua mancanza di coraggio legittima il potere. Potevamo colpire alla ricerca del “consenso” lì dove il dente duole per esempio qualche funzionario dell’Equitalia, ma con questa azione non siamo alla ricerca di “consenso”.

Quella che adesso cerchiamo è complicità. In un passato recente un nucleo della FAI/FRI lo ha fatto ferendo gravemente una diffusa approvazione, cosa che gli anarchici autodenominatosi “sociali” in questi anni hanno infinite volte tentato di raggiungere senza mai riuscirci. I fratelli e le sorelle del “Nucleo Free Eat e Billy” ci hanno dimostrato con quell’azione che tutto sommato la coerenza paga e che non c’è bisogno di limitarsi nelle azioni per ottenere “consenso”. Questi compagni hanno scrollato dalle nostre spalle una maledizione che sta pesando da troppo tempo sulle spalle degli anarchici, la maledizione di quella mal interpretata ricerca di consenso sociale che lega le mani di quanti sono consapevoli dell’urgenza dell’agire, qui ed ora. In questi tempi in cui tante certezze dello stato capitale stanno naufragando l’idea di libertà non ammette deroghe: l’idea di sociale in lotta in cui ci riconosciamo e vogliamo muoverci è quella di un popolo in armi contro ogni forma di oppressione statale, politica, economica. Non consideriamo un referente i cittadini indignati per qualche malfunzionamento di un sistema di cui vogliono continuare ad essere parte. Scambiare rabbia ed indignazione per un processo di rivolta allo status quo è segno di una pericolosa miopia rivoluzionaria. Fa invischiare compagni/e anche generosi nella coltivazione di un orticello di democratico dissenso, con le sue piccole cricche e consorterie i suoi politicanti in sedicesimo, la generosità che si trasforma in assistenzialismo, la spettacolarizzazione dello scontro con relative manipolazioni mediatiche. Solo la radicalizzazione del conflitto può condurre a percorsi di libertà individuale e sociale. Individuare l’obiettivo, “colpire dove più nuoce”, saper riconoscere il nemico anche quando veste i panni dell’agnello. Far lavorare di pari passo le armi della critica e la critica delle armi. Non c’è né retorica né spettacolo in un’azione portata a termine con l’adeguata scelta di strumenti ed obiettivo. Con questa azione diamo origine al “Nucleo Olga”. Con entusiasmo aderiamo alla FAI/FRI, unendoci ai tantissimi gruppi della nuova internazionale anarchica sparsi per il mondo, Messico, Cile, Perù, Argentina, Indonesia, Russia, Inghilterra, Italia, Spagna, Grecia… A progettare e realizzare questa azione sono stati degli anarchici senza alcuna esperienza “militare”, senza alcun specialismo, solo degli anarchici che con questa nostra prima azione vogliono segnare definitivamente un solco tra loro e anarchismo infuocato solo a chiacchiere e intriso di gregarismo. Abbiamo preso il nome di una nostra sorella delle CCF, Olga Ikonomidou perché nella coerenza e forza dei componenti della “Cellula dei membri prigionieri delle CCF/FAI” risiede il cuore della FAI/FRI.

Nelle nostre prossime azioni, il nome degli altri fratelli greci un azione per ognuno di loro. Con il ferimento di Adinolfi proponiamo una campagna di lotta contro Finmeccanica piovra assassina. Oggi Ansaldo Nucleare domani un altro dei suoi tentacoli, invitiamo tutti i gruppi e singoli FAI a colpire tale mostruosità con ogni mezzo necessario.

 

Lunga vita alle cospirazione delle cellule di fuoco

Lunga Vita alla FAI/FRI

Viva l’anarchia!

 

Nucleo Olga FAI/FRI

 

Maggio 2012

QUATTRO ANNI… DICEMBRE 2006. Documento-incontro Federazione Anarchica Informale a 4 anni dalla nascita

– 4 anni sono passati dalla “Lettera aperta al movimento anarchico e antiautoritario” e della nascita della Federazione Anarchica Informale (Dicembre 2003).

– 4 anni dai pacchi regalo all’Unione Europea e a Prodi… e… a posteriori… sorge il rimpianto di aver avuto troppi scrupoli nel rovinare la giornata a qualche “innocente” segretaria… se al posto del clorato avessimo usato la dinamite…

– 4 anni sono passati, ed in questi 4 anni 6 gruppi si sono uniti alla “nostra” proposta iniziale: FAI/Cellule Armate per la Solidarietà Internazionale, FAI/Cellule Metropolitane, FAI/Nucleo Rivoluzionario Horst Fantazzini, FAI/Narodna Volja, FAI/Rivolta Tremenda, FAI/Rivolta Animale.

– 4 anni sono passati, dove abbiamo sperimentato sulla nostra pelle il piacere di veder concretizzarsi e “autocostruirsi” un reale progetto di organizzazione informale insurrezionale.

– In questi 4 anni abbiamo portato a termine 7 campagne rivoluzionarie.

– In questi 4 anni abbiamo portato a termine almeno 30 attacchi tra esplosivi e incendiari a cose e/o persone…senza discriminare gli uni o gli altri, alcuni mirati all’eliminazione di una manciata di manovali della repressione:

COME È COMINCIATA

– Ottobre 1999: Pacchi bomba all’Ambasciata e Camera di Commercio Greca di Madrid, bomba ad una filiale della City Bank di Barcellona in Spagna. Bomba all’ufficio del Turismo Greco e pacco bomba alla caserma dei carabinieri del quartiere Musocco a Milano. Tutte le azioni sono realizzate da Solidarietà Internazionale in appoggio dell’anarchico greco Maziotis che era stato arrestato per alcune azioni realizzate ad Atene.

– 25 Aprile 2000 Pacco bomba ad un giornalista della Razon di Madrid in solidarietà con i detenuti del FIES.

– 25 Giugno 2000 Ordigno incendiario nella chiesa di Sant’Ambrogio a Milano, depositato da Solidarietà Internazionale per i detenuti FIES.

– 7 Giugno 2000 Due bombe al tribunale di Valencia in Spagna, sempre Solidarietà Internazionale in appoggio alla lotta del detenuti FIES.

– 18 Dicembre 2000 Dinamite sul Duomo di Milano. Azione di Solidarietà Internazionale per la lotta contro il regime di detenzione FIES.

– Luglio 2001 Pacchi bomba e incendiari ai Carabinieri (1 ferito), alla Prefettura a Genova, alla redazione del TG 4 e al Leoncavallo (pacco pieno di merda di cane) a Milano, alla Benetton a Ponzano Veneto e al sindacato dei secondini di Barcellona. A Bologna viene lasciata una bicicletta bomba per gli agenti di polizia. Tutte le azioni sono realizzate dalla Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (Occasionalmente spettacolare) contro il vertice del G8 che stava per tenersi a Genova.

– 25 Febbraio 2002 Motorino bomba nei pressi del Ministero dell’Interno a Roma, a colpire è la Brigata 2° Luglio per ricordare degnamente l’uccisione di Carlo Giuliani e di un ragazzo rom ucciso ad un posto di blocco.

– 10 Dicembre 2002 Due bombe esplodono nei pressi della Questura di Genova, è la Brigata 20 Luglio sempre in memoria di Carlo Giuliani e contro la violenza delle forze dell’ordine.

– Dicembre 2002 Vengono spediti cinque pacchi bomba a sedi dell’Iberia, alla redazione de El Pais, alla Rai a Roma e al TG 5 a Milano per sostenere la lotta dei prigionieri FIES. L’azione è realizzata dalle Cellule Contro il Capitale, il Carcere, i suoi Carcerieri e le sue Celle.

– 17 Giugno 2003 Bomba contro l’Istituto Cervantes di Roma, attacco realizzato dalle Cellule Conto il Capitale, il Carcere, i suoi Carcerieri e le sue Celle in solidarietà con la lotta contro il FIES.

– 8 Ottobre 2003 Bomba contro la sede Iberia a Roma, a colpire sono le Cellule Armate per la Solidarietà Internazionale sempre in appoggio alla lotta contro il FIES.

NASCE LA FEDERAZIONE ANARCHICA INFORMALE

– 21 Dicembre 2003 Due bombe esplodono nei pressi della casa di Bologna di Prodi allora presidente dell’Unione Europea. Dopo pochi giorni il maiale riceve anche un pacca incendiario. Nei giorni seguenti vari pacchi bomba raggiungono diverse istituzioni europee: Banca Centrale Europea, Europol, Eurojust, ufficio al capogruppo del Partito Popolare Europeo, ufficio di un membro del Partito Socialista Europeo. Tutte le azioni, che segnano la nascita della FAI, sono indirizzate contro l’Unione Europea.

– 30 Marzo 2004 Due bombe contro il commissariato Sturla di Genova, azione realizzata dalla FAI/Brigata 20 Luglio.

– 02 Aprile 2004 Due pacchi bomba vengono spediti a dirigenti del DAP dalla FAI/Cellule Armate per la Solidarietà Internazionale.

– 8 Novembre 2004 Bomba contro una sede Manpower di Milano, azione realizzata dalla FAI/Cellule Metropolitane.

– 10/11 Dicembre 2004 Pacchi bomba alla sede del SAPPE e all’Associazione Nazionale Carabinieri di Roma inviati dalla FAI/Cellule Armate per la Solidarietà Internazionale.

– 2004 Azione esplosiva contro un allevamento di animali da pelliccia in provincia di Cremona realizzata dalla FAI/Rivolta Animale.

– 3 Marzo 2005 Attacchi con esplosivo alle caserme dei Carabinieri di Pra e Voltri a Genova e presso la caserma di via Monti a Milano, minacce al Festival di Sanremo. L’azione viene realizzata dalla FAI/Brigata 2° Luglio e dalla FAI/Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (Occasionalmente spettacolare) in ricordo di Marcello Lonzi ucciso dai secondini e contro il carcere.

– 6 Marzo 2005 Bomba contro il Tribunale di Ostia a Roma, l’azione è realizzata dalla FAI/Nucleo Rivoluzionario Horst Fantazzini.

– Maggio 2005 Tre pacchi bomba inviati dalla FAI/Narodna Volja al gestore del CPT di Modena, alla Questura di Lecce e ai Vigili Urbani di Torino campagna di solidarietà alle lotte dei migranti.

– Ottobre 2005 Due bombe contro la sede dei RIS di Parma e pacco bomba a Cofferati sindaco di Bologna. Azioni realizzate dalla FAI/Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (Occasionalmente spettacolare).

– 2 Giugno 2006 Due bombe contro la scuola allievi Carabinieri di Fossano, azione realizzata dalla FAI/Rivolta Anonima e Tremenda.

– Luglio 2006 Tre pacchi bomba inviati dalla FAI/Rivolta Anonima e Tremenda a Beppe Fossati direttore di Torino Cronaca, alla ditta Coema che lavora al raddoppio del CPT di Torino e a Chiamparino sindaco di Torino.

– In questi 4 anni, nonostante le mancanze tecniche e di comunicazione, abbiamo comunque fatto filtrare attraverso le maglie medianiche un messaggio chiaro: chi sono e cosa combattono gli anarchici; aumentando realmente le possibilità di comunicazione in fasce sociali che ci sarebbero diversamente precluse, perché difficilmente avvicinabili.

– In questi 4 anni nessun gruppo è stato individuato e distrutto dal nemico.

– In questi anni non siamo cresciuti come avevamo messo in conto, né siamo riusciti, a parer nostro… e speriamo di essere presto smentiti, ad aprire una breccia consistente tra i nuovi arrivati all’idea anarchica, ammorbate sul nascere tra vecchie organizzazioni di sintesi che di organizzativo hanno mantenuto solo la struttura e nuovi incendiari a parole, che spaventano solo per la retorica rivoluzionaria paternalista con gli “ultimi” e di fatto indolore per i “primi”…

– In questi anni non siamo riusciti a far uscire fuori dai confini del movimento di lingua italiana il nostro progetto organizzativo.

Queste alcune considerazioni, da qui partiamo per migliorare ed aprirci nuove strade… chi vivrà vedrà!

Natale 2006, Paperopoli casa di paperino.

Partecipano COOPERATIVA ARTIGIANA FUOCO E AFFINI, BRIGATA 20 LUGLIO, CELLULE CONTRO IL CAPITALE, IL CARCERE, I SUOI CARCERIERI E LE SUE CELLE, SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE

Alcuni compagni che fanno parte dei gruppi fondatori della FAI Federazione Anarchica Informale, hanno deciso di incontrarsi per approfondire alcune considerazioni emerse all’interno dei gruppi. Tutti assieme hanno scelto di rendere pubblica la loro discussione, facendo circolare il più possibile la trascrizione dell’incontro. La trascrizione, a parte alcune omissioni dovute ad ovvi motivi di sicurezza, rispecchia esattamente il tono colloquiale e diretto dell’incontro, la scelta di rifiutare burocrazia e formalismi, come nella parte restante della nostra vita….

QUI – L’idea di Pippo di registrare e sbobinare l’assemblea mi piace, piace anche a Quo e Qua, per noi ne vale la pena anche se rischiamo di essere scoperti (fischi corna e scongiuri…) basta che Pippo, visto che si è offerto volontario (risa) si preoccupi di togliere tutte le chiacchiere di troppo, e di distruggere subito la registrazione.

PIPPO – Si certo la mia idea iniziale era di tirare fuori alcune questioni che noi non riusciamo mi a esprimere nel modo giusto, insomma, le cose fondamentali, quelle che ci fanno girare i coglioni quando le sentiamo dire o le leggiamo da qualche parte… Si, tipo far vedere a sto cazzo di movimento che non siamo fantasmi venuti dal nulla (risate…“ma che ti sei visto!?”…) vabbè a parte gli scherzi che prima di fare un’azione ci pensiamo mille volte e cerchiamo di lasciare al caso il meno possibile…Altro che indiscriminate…sono azioni talmente controllate che non siamo riusciti ancora a fare quello che ci piacerebbe…(risate). Poi non c’è niente di oscuro e clandestino nel nostro modo di vivere, la maggior parte di noi, sto parlando di quelli che conosco, dei gruppi fondatori viene dal movimento ci vive, conosce questa realtà, a volte pure facendo parte di situazioni, lasciamelo dire di merda, non so come fai…

PAPERINO- …lasciamo perdere, è una lunga storia…

PIPPO- A parte le frecciate a Paperino, mi spiego meglio mi capita troppo spesso di leggere o sentire commenti e dubbi orrendi su di noi e su quello che facciamo. La roba del tipo “provocatori” o “servizi segreti” per intenderci, oltre alla visione miope e opportunistica di quello che facciamo e diciamo. Così trascrivendo questo incontro, magari risultano più chiare alcune nostre dinamiche interne, i ragionamenti, i nostri rapporti… Questo anche per i compagni dei gruppi che non conosciamo.

NONNA PAPERA- Io ho ancora dei dubbi sul trascrivere questo incontro, non sarebbe meglio un’autointervista: ogni gruppo risponde a domande precise da tutti. Almeno evitiamo di fare una trascrizione che sarebbe falsata sicuramente per motivi di sicurezza.

PAPERINA- No, l’assemblea riportata su carta è più spontanea, chiarisce meglio la nostra realtà. Facciamo un giro di correzioni, passando ai diversi gruppi, così in un paio di settimane abbiamo lo scritto pronto per essere spedito. Paperino ed io ci occuperemo della stampa e della spedizione abbiamo un PC nuovo, pronto da rottamare (risate) però dovremo dividerci le spese di spedizioni, perché c’è molto da fare…

QUI- Vediamo i punti da toccare in quest’assemblea, è importante scegliere cosa socializzare, anche in forma frammentaria, potrebbe aiutare noi a farci capire meglio in generale, e poi io ho una voglia incredibile di comunicare con i gruppi che ci hanno seguito nella FAI, magari con un diffusione capillare riusciamo a raggiungerli e loro potrebbero comunicare con lo stesso metodo.

ARCHIMEDE- Una cosa bella per me di quest’esperienza è la sperimentazione, il mettere in pratica cose di cui prima parlavo solamente, unire pensiero e azione, evitare quel dualismo schizofrenico tra ciò che si dice e ciò che si fa. Per non parlare poi di una schizofrenia, un’alienazione più profonda: non poter parlare chiaramente con i compagni che ci sono attorno e che non sono dei nostri gruppi, non poter dire fino in fondo come la si pensa se no si rischia di esporsi e far rischiare i compagni. Insomma questa prudenza continua, quando a volte vorrei urlare in faccia alle persone le mie ragioni, questa cautela mi dilania.

QUA- Beh, anch’io provo cose simili ma ne soffro di meno… comunque, tornando al documento, come abbiamo intenzione di spedirlo? La stampa anarchica scarseggia, quella disposta a pubblicare testi che gli spediscono è poca e non è neppure giusto trasformare i compagni in bersagli della repressione, come spesso accade. Poi ci sono quelli che appena arriva qualcosa svengono e corrono dagli sbirri…Internet per noi, che con l’informatica siamo a zero, è un problema. Poi, dopo che hanno perquisito il server di indymedia per la rivendicazione delle bombe all’Unione Europea, sarà difficile che qualcuno si prenda la responsabilità di pubblicare nostri scritti…

PAPERINA- …E la libera informazione democratica, internet per tutti? (risate)

QUA- A parte le battute per me la comunicazione e la censura, quindi…sono problemi fondamentali… Una delle critiche più valide che ci è stata fatta riguarda proprio i veicoli per comunicare e la possibilità che i nostri comunicati siano falsificati dal potere, cioè che vista la nostra informalità e la volontaria non comunicazione diretta tra i nuovi gruppi, potrebbero creare falle e annientarci a livello comunicativo con false azioni e rivendicazioni.

PAPERINA- Per me non esiste un problema simile, in questi tempi è fantapolitica. Cioè o cercano di censurare, cioè cercano di non far pubblicare sui quotidiani le rivendicazioni che arrivano (e anche questo è difficile con i giornalisti che si buttano su qualsiasi notizia un po’ succosa) oppure la comunicazione riusciamo a farla filtrare da qualche parte tra le maglie del sistema.

QUI- Condivido parte di quello che ha detto Qua: comunicare bene è fondamentale. Le potenzialità di alcune azioni è stata limitate proprio dalla mancata diffusioni di gruppi nuovi o avvenute in provincia (risate). No, non ridete a volte a livello locale è più facile censurare prima di far finire nel gran circuito nazionale della comunicazione. Anche se non c’è una regola precisa, noi abbiamo sbagliato all’inizio dando poco peso alla comunicazione; sottovalutando in maniera superficiale il momento di gestire la rivendicazione abbiamo dimezzato l’effetto della nostra “moto bomba” al Ministero degli Interni. Bisogna inventarsi qualcosa di nuovo, forzare sulla spettacolarizzazione della azioni per far si che sia impossibile che i mass media censurino, inoltre dovremmo imparare ad usare meglio i mezzi informatici. Certamente vista la stupidità degli investigatori non possiamo delegare la diffusione delle nostre idee alla sola stampa di movimento. Per quanto riguarda eventuali rischi di provocazioni portate avanti usando la nostra sigla, sta a noi con la chiarezza delle azioni di avere la capacità di scoraggiare o rendere inefficaci le provocazioni, per il momento comunque questo problema non si è verificato.

PIPPO- Sì la solita menata degli infiltrati e delle provocazioni… Tutte le cazzate che devo sentir, non solo dai nostri omini (risate “guarda che si offendono”) ma pure da persone che, almeno in teoria, certi meccanismi dovrebbero capirli… Che i moderati piangano (risate) per me è normale, è sempre stato così…non ho capito però perché si scaldano tanto certi pensatori (“che vuoi dire?”) ma si pensatori dal cervello piccolo, senza pensieri dentro, solo un paio di concetti base tipo “Gli anarchici non fanno…” per loro l’unica cosa che gli anarchici possono farsi, sono le seghe…(risate…) Comunque mi è bruciato molto vedere forme di dissociazione, di rifiuto della lotta da parte di compagni che a parole si dicono radicali. Da quando abbiamo iniziato a muoverci, e da quando si è alzato il livello della repressione si sono verificati fenomeni strani, anche il termine “insurrezionalismo” che una volta usavano un po’ tutti, è diventato tabù se ne impadronita la stampa…

PAPERINO- Non possiamo pretendere che tutti condividano le nostre azioni, non mi interessa questo… l’importante è che non ci infamino con certe accuse, che non ci sia malafede negli attacchi critici.

PAPERINA- Sta attento a come usi il termine “infami” io lo uso solo per chi fa arrestare i compagni, non per le differenze di idee…

PIPPO- Ma se le differenze di idee vengono usate per additare persone?

PAPERINA- Per me non è ancora successo, se dovesse accadere sapremo come comportarci. Piuttosto per me è strano dire “non possiamo pretendere che tutti condividano le nostre azioni”, le azioni non le faccio per il mio piacere personale ma perché credo sia una lotta giusta, quindi vorrei che la maggior parte di compagni fossero d’accordo e le facessero propria, se no vivremo in un movimento di spettatori…

PAPERINO …Noi di Solidarietà Internazionale abbiamo sempre avuto come priorità il comunicare attraverso l’azione, propagandare con i fatti le nostre idee. Abbiamo scelto di amplificare lotte intermedie come quella sul FIES in Spagna, di solidarizzare con gli anarchici arrestati in Grecia e altrove. Spesso sia io e lei (Paperina) che gli altri compagni del nostro gruppo, ci siamo chiesti se quello che abbiamo fatto influisse positivamente sulle lotte portate avanti dai compagni, dai detenuti… Siamo arrivati tutti alla stessa conclusione: che un’azione concreta d’attacco vale sempre, dà sempre i suoi frutti anche se tecnicamente fallita… Non è solo importante far danni ma far passare il messaggio. Purtroppo alcuni nostri fallimenti tecnici, è chiaro che non siamo specialisti ma abbiamo lavorato con fatica per crearci i mezzi, hanno vanificato l’incisività di certe azioni che potrebbero essere stata mille volte maggiore. Voi in seguito siete stati tecnicamente migliori.

ARCHIMEDE PITAGORICO- Se non si hanno nozioni tecniche di base è sempre difficile e richiuso. A proposito alla fine dell’incontro vorrei socializzare con voi alcuni meccanismi… per me è importante parlare di questo e dimostrare che la facilità di reperimento dei materiali e la riproducibilità dei mezzi sono un dato di fatto.

QUO- Prima di addentrarci in questo, vorrei parlare ancora un po’ più di “teoria”, visto che quello che diciamo verrà diffuso mi interessa continuare a ribadire il motivo per cui continuiamo la propaganda armata un mezzo ancora utile per diffondere le idee anarchiche nell’occidente semi-pacificato del XXI secolo. Noi questo continuiamo a sostenerlo praticamente nelle azioni che portiamo a termine, voglio continuare a spiegare l’attualità e la giustezza anche in teoria. Per me troppi compagni, spaventati dal movimento che in questi anni si è ridotto e fermato, continuano (se posso dire così) a ripetersi il mantra del sociale, dell’accompagnare le -poche- lotte che sorgono spontanee senza fare mai il passo più lungo della gamba, appiattendosi su piattaforme di lotta spesso risibili. Non è che ho paura si sporcarmi le mani, ma non credo che sia utile alla progettualità rivoluzionaria moderare il mio linguaggio o le mie azioni, bisogna avere l’onestà di dire e far vedere praticamente quello per cui lottiamo, saranno poi i singoli individui a decidere se stare dalla parte del potere o provare a lottare per una vita libera e degna di essere vissuta. Certo che questo da solo non fa la rivoluzione ma serve a gettare il seme di un modo vero e reale di combattere l’esistente, qualcosa per cui valga la pena di lottare.

PIPPO- Il nostro compito dev’essere, o almeno dobbiamo provarci, a buttare continuamente benzina sui piccoli fuochi di rivolta che si accendono qua e là. Visto che verrà trascritto tutto permettetemi di citarvi… (“permettiamo”risate) ora la vado a prendere… “Un pacco bomba ad un carabiniere e ad un pennivendolo asservito al potere o una bomba che provoca una semplice sbrecciatura nel muro di un carcere sono fondamentalmente utili, in un attivo evidenziano la vulnerabilità del dominio indicano chiaramente i nemici e la varietà dei mezzi per combatterli e soprattutto lasciano tutti liberi di valutare la possibilità di intervenire direttamente contro ciò che opprime!” (“AMEN” rumore di piatti, casino)

PAPERINO- Purtroppo in giro c’è ancora chi pensa che il conflitto sociale lo si possa innescare con la carta stampata, con proclami più o meno incendiari o peggio ancora facendo assistenzialismo, entrismo assistenzialista… si finirà per entrare nelle associazioni cattoliche… (risate). Non credo che la rivoluzione la faccia l’avanguardia armata e non è neanche auspicabile (“ma dov’è quest’avanguardia?” risate), ma non vi rendete conto a che livelli preteschi si è arrivati con la cosi detta lotta nel sociale.

ARCHIMEDE PITAGORICO- Vorrei ricollegarmi a quello detto da Pippo con alcune… precisazioni tecniche (risate). Eh si lo so è un vizio! Anche a me ha dato fastidio sentire critiche, soprattutto da certi ambienti dell’anarchismo che non sono certo alieni all’utilizzo dell’azione violenta in certi casi (almeno in teoria… risate), anche se mi sembrano un po’ ignorantelli o superficiali a sentire le critiche. Come fanno a pensare tutte le volte che arriva un pacco bomba all’incolumità del postino o della segretaria? Prima di tutto avranno ben visto che come molti di noi continuano a ripetere, nessun innocente si è mai fatto male, anzi a forza di mettere in atto cautele tecniche (tempi, luoghi, modalità e dosi di confezionamento) purtroppo la stiamo facendo scampare anche ai colpevoli… Come se un pacco che si incendia e non scoppia, sia un capriccio del caso e non la scelta di evitare di far male alla segretaria. Naturalmente speriamo lo spavento corso le faccia aprire gli occhi, una volta dissipato il fumo (risate) sull’istituzione per cui lavora, e le invogli magari a cambiare mestiere.

QUA- A me fanno imbestialire quelli che sminuiscono con falsa superiorità le azioni, prendendo magari per buone le cazzate dei giornali. Non li sfiora l’idea che se si nascondono due ordigni nei cassonetti dell’immondizia fuori da un carcere od una caserma e li si fanno esplodere a diversi minuti di distanza l’uno dall’altro non è per fare dispetto alla nettezza urbana ma per stanare e colpire qualche servo dello stato. Ci tengo a ripetere che se tali azioni sono fallite è da imputare solamente agli scrupoli eccessivi per non rischiare di coinvolgere passanti.

PAPERINA- Poi dobbiamo fare capire che anche quando un’azione fallisce rispetto al suo obbiettivo primario, crea comunque al potere numerosi danni economici e non solo. Ogni volta che ci avviciniamo a loro e gli depositiamo qualcosa sotto il culo li mettiamo comunque in pericolo e ridicolizziamo l’enorme apparato repressivo e di controllo che vantano di avere, per esempio le due bome a pochi metri dagli uffici dei RIS di Parma non devono essere stati uno scherzo per loro, peccato che la seconda non ha funzionato. (“sfiga” risa), queste azioni costringono il potere ad aumentare le misure di sicurezza… che tanto qualche nuovo ribelle riuscirà a superare.

NONNA PAPERA- Questo vale anche per un pacco inesploso: costringe gli aguzzini a vivere nella paura o sotto scorta e rende evidente a tutti l’infamità della loro attività. Un altro esempio è quello di Giovanardi, che vive sotto scorta da quando ha ricevuto dai nostri compagni della Narodnaja Volja/FAI un bel pacco regalo al CPT di Modena.

PIPPO- A proposito, a me piace la campagna contro il CPT di Torino, porta avanti dalla FAI/RAT, questi compagni hanno recepito bene la strategia che abbiamo utilizzato in questi anni, e cioè quella di portare avanti una lotta intermedia su contenuti rivoluzionari attraverso la radicalità dell’azione.

PAPERINA- Io invece devo dire che sono un po’ delusa dai risultati ottenuti sino ad ora: l’influenza sul movimento anarchico c’è stata, ma relativa, vedo uno stato letargico un po’ dappertutto non solo tra gli anarchici. Quando anni fa, con Paperino e pochi altri abbiamo fondato Solidarietà Internazionale, cercando di relazionarci abbiamo corso molti rischi, io mi aspettavo una crescita numerica maggiore, ho visto invece all’interno del movimento molti vecchi compagni rimanere al palo, immischiarsi in derive istituzionali o chimerici bagni nel sociale. Sarà banale ma la penso così!

ARCHIMEDE PITAGORICO- I numeri secondo me non contano, quando si parla di incidere nel sociale, di fronte a milioni di persone essere un movimento di 300 o 3000 non cambia, quello che conta è la qualità delle azioni che vengono fatte.

PAPERINO- Per me la qualità delle azioni è proporzionale al numero dei compagni coinvolti… da solo si fanno delle belle cose ma poi si finisce a dare cornate ai muri come tori infuriati, ci si fa più male che altro. Bisogna ampliare il coinvolgimento di compagni, è linfa vitale in questo momento.

PAPERINA- Ora si incazzeranno in molti! Anche all’interno del mio gruppo. Per me bisogna abbassare e diversificare il livello delle azioni, ora stiamo tutti rincorrendo l’obbiettivo di far fuori un servo dello stato… è giusto ma se ci limitiamo a questo degli anarchici, che non sono tra noi, possono rimanere spiazzati, non voglia dire che si impauriscono ma…

PAPERINO- No è cosa? (risate, battute)

PAPERINA- Non è semplice è c’è poco da ridere, sono spiazzata, tra chi blatera di provocazioni e chi si butta sulle lotte più astratte non riescono più a leggere bene la realtà che vivono. Guardate quello che è successo in Val Susa, per la lotta contro il TAV, ci si è interessata un ventagli sociale e politico vastissimo, dai sindaci ai cattolici, dai fascisti agli anarchici, li ha messi d’accordo una sola cosa… è bastato un candelotto esplosivo per farli gridare tutti allo scandalo (anarchici compresi)

ARCHIMEDE PITAGORICO- Secondo me il problema è opposto. Dobbiamo far vedere che facciamo sul serio, che non ci nascondiamo dietro cervellotici ragionamenti e non abbiamo problemi a passare all’attacco anche a rischio di giocarsi la vita!

PAPERINA- Che retorica del cazzo!

ARCHIMEDE PITAGORICO- Lasciami finire, il problema è un altro, abbiamo scrupoli non ci spingiamo mai oltre. Bisogna essere più efficaci, non lesinare con gli esplosivi e non aver paura di rischiare di far male ad una segretaria se l’obbiettivo è uccidere il padrone.

QUO- E’una questione di mezzi, bisogna usarne di più selettivi: pistole non esplosivo. Chiunque riesce a procurarsele, noi invece andiamo avanti a dinamite, diserbante e qualche manciata di polvere nera. Io parlo per il nostro gruppo, ne abbiamo già discusso, abbiamo deciso di procurarcele e iniziare ad usarle.

ARCHIMEDE PITAGORICO- Non è questo il problema, io so come fare a farvele avere, da parte mia mi sembra di essere l’unico qui ad agire anche individualmente, per quanto ne so è meglio la buona vecchia dinamite: riesco a gestire tranquillamente l’azione e i tempi di fuga e soprattutto ha un maggiore effetto, spaventa di più insomma. E poi, lo ripeto il rischio di venire presi è molti minore, non possiamo permetterci di cadere siamo pochi e quindi, non ridete, preziosi.

PAPERINA- Bah, a parte salvare i gioielli di famiglia… non credo che i rischi con l’esplosivo siano bassi. Noi non siamo degli esperti, continuo a dirlo, però pur usando tutte le precauzioni del caso, una volta per colpa di un circuito elettrico isolato male stavamo per saltare in aria… non sto scherzando io già quella volta mi ero ripromessa di mollare con le bombe e usare le pistole, non per uccidere però!

ARCHIMEDE PITAGORICO- Come cazzo le vuoi usare, come fionde?

PAPERINA- Colpire senza uccidere è chiaro! Non perché non mi farebbe piacere uccidere qualche porco, ma per il solito, vecchio discorso… Insomma la repressione si scatenerebbe in maniera indiscriminata…

ARCHIME PITAGORICO- La repressione è sempre indiscriminata e poi gli anarchici devono essere pronti a sostenerla, mi dispiace per le retate di compagni, ma è sempre stato così, soprattutto con i giornali, le casse di solidarietà e compagnia bella…

PAPERINA- Che vuoi dire? Meglio loro che noi!? Sei scemo, non ti rendi conto che se i giornali chiudono le realtà di movimento si disgregano è un danno per tutti!

PAPERINO- Si ma non è colpa nostra, se gli anarchici fanno bene il loro mestiere è chiaro che il sistema si difende, quelli che per primi finiscono in gabbia sono i migliori tra quanti lavorano alla luce del sole.

QUI- Ma che dite? Se si spara arrestano tutto il movimento? Cazzate… E poi quando i comunisti hanno sparato, non hanno fatto retate nell’intero movimento, mi sembra? Al limite sono stati linciati mediaticamente come relitti del passato!.

PAPERINA- Non parliamo di relitti del passato che è la critica buona per tutti i rivoluzionari anche per noi, da qualsiasi intellettualino di sinistra che così può dedicarsi all’uncinetto senza problemi di coscienza…

ARCHIME PITAGORICO- Fammi spiegare non è per cinismo che dicevo che la repressione è indiscriminata. Noi con le nostre esplosioni e tutti gli anarchici e ribelli sociali che praticano azioni contro il dominio, contribuiamo ad alzare il livello della repressione. Nello stesso momento chiunque in questo periodo sceglie di propagandare determinate idee con giornali, circoli, via internet, è consapevole di finir nell’occhio del ciclone, che a noi piaccia o meno!

PAPERINA- Si, io comunque per il futuro cercherò una progettualità diversificata, anche con nuovi compagni, azioni forse meno spettacolare che salire sul tetto del Duomo (Milano) ma più diffuse, più riproducibili, anche se la parola non mi piace. Più veloci in termini di progettazione ed esecuzione, per capirci piccoli ordigni incendiari a pioggia sul territorio, pentole piene di benzina e bombolette del gas, insomma il KIT base del fai da te del piccolo anarchico! (risate)

PAPERINO- Si, lo abbiamo deciso con gli altri compagni di Solidarietà Internazionale che hanno preferito non venire… Sia per fedeltà allo statuto (risate) e soprattutto perché almeno tra noi abbiamo deciso di non rischiare mai di circolare assieme in più di due o tre persone per evitare troppi danni, se le cose si mettono male! Dicevo, non condivido tutto quello che dice Paperina, soprattutto non capisco perché un morto saltato in aria sia meno portatore di repressione di un morto sparato… condivido e metteremo in pratica la scelta di ampliare e diversificare le azioni…

ARCHIMEDE PITAGORICO- Allora buona fortuna, ma guardate che pure morire abbrustoliti è possibile…

PIPPO- Cerchiamo di tornare ai punti base, piuttosto che alle teorie sulla morte migliore (sic.). Maggior eclatanza e forza hanno le azioni, maggior numero di oppressi ne avrà notizia. Il nostro referente non può essere il movimento, è un ambito troppo ridotto e poco significativo, l’obbiettivo è comunicare nella società nella maniera più ampia a tutti gli oppressi.

NONNA PAPERA- Ricordati però che è dal movimento, cioè da quei compagni che consapevolmente hanno scelto di combattere l’esistente, che provengono quelli che le azioni le portano a termine.

PIPPO- Non è detto, e sicuramente non è sempre così. Poi, che ne sai che i gruppi nati in questi anni non siano composti da oppressi che abbiano scelto di ribellarsi? E poi qual è, dove comincia la differenza? E’ un discorso chi mi piacerebbe approfondire, a rischio di essere banale, magari non ora, ma secondo me, noi viviamo in tempi magri parlare di “movimento” ora non ha senso.

QUI- Chiamalo come vuoi gente-movimento-società, non mi interessa, per me il problema – e li ha ragione Paperina a sollevarlo- è che siamo in pochi e con il tempo rischiamo di diventare degli specialisti, è un rischio da evitare!

QUO- Magari fossimo degli specialisti, con tutte ste bombe e bombette in questi anni siamo riusciti a fare solo un paio di sbirri feriti! Fanno di più allo stadio la domenica!

QUI- Non è questo il problema, questo genere di conti non torna mai. Il punto è l’idea che ci sta dietro, bisogna riuscire a portare in un periodo di pacificazione sociale la scintilla che incendi la prateria, come si diceva un tempo!

QUO- Sei un poeta! Ma mi sembra che ultimamente l’unica cosa che prende fuoco per iniziativa popolare sono i campi nomadi!

QUI- Non fare il nichilista di merda… Ste cose dei campi nomadi sono pilotate dai fascisti, si stanno coltivando un po’ di manovalanza di destra e fanno ste cose sotto gli occhi delle telecamere.

QUO- No, sei tu che ti sbagli: la destra sta facendo un lavoro serio, da anni, sia i fasci vecchia maniera che i leghisti, per creare un’opinione pubblica qualunquista, forcaiola e stanno pure bene attenti a pompare su temi come salute, ecologismo, ecc. che una volta non erano terreno loro.

QUI- Sarà che non mi capacito che i fasci si stiano ricostruendo la base sociale, mentre noi negli anni scorsi avevamo avuto crescita reale siamo di nuovo al palo… Ma vi ricordate il periodo del G8? A Genova molti di noi ci sono stati ed è stato un momento bellissimo, anche le azioni di Genova e Bologna che avevamo portato a termine in quei giorni avevano un ottimo riscontro.

ARCHIMEDE PITAGORICO- Qua torniamo alla forza delle azioni, se al posto della polvere pirica, nel pacco aperto dal carabiniere di S. Fruttuoso ci fosse stata dinamite, le cose sarebbero andate meglio.

QUI- Si la febbre degli sbirri da alta sarebbe altissima, ma per farla altissima sarebbe stato meglio scendere in piazza non solo con la benzina ma con le pistole, i meccanismi di recupero fatti poi sarebbero stati più difficili.

ARCHIMEDE PITAGORICO- Ci serva da lezione la prossima volta.

QUI- Comunque anche l’attacco successivo alla questura di Genova, quello fallito per un pelo, ha dato buoni risultati! Il movimento sarà ancora colpito nel vivo dalle porcate della repressione, nel sociale la reattività era buona. Io personalmente ho sentito entusiasmo anche da quelli che ultimamente non fanno altro che criticare e fare distinguo su quel che succede.

QUO- Guarda che anche allora è andata così: tutti contenti per la bomba sotto il culo dei questurini poi è arrivata la rivendicazione e giù con i soliti distinguo… la paura di ritorsioni sbirresche sul movimento viene cervelloticamente mascherata da rifiuto ideologico delle rivendicazioni, perché l’azione non rivendicata è riproducibile, frutto del mare del sociale ribelle mentre quella con la firma è di un’avanguardia…ma questi sono solo giochi di parole..

PIPPO- Sì ma tranquillo che non è per tutti così! In questi anni sono nati almeno sei nuovi gruppi, molte cose sono state fatte, il messaggio è passato per non parlare di tutte le azioni non rivendicate o diversamente rivendicate che continuano a succedere.

PAPERINA- Tra l’altro anche i comunisti si stanno muovendo negli ultimi mesi, ho letto di diverse azioni, una a Livorno una a Milano mi pare.

QUO- Paperina, anche io ho momenti di pessimismo, come tutti ma l’alternativa mi piace ancora meno… Non ho voglia di richiudermi in qualche circoletto frequentato da cervelli impolverati, non voglio più partecipare a manifestazioni che sembrano cortei funebri di un idea precocemente spirata, non voglio diventare l’assistente sociale degli oppressi, né il gestore di un bar alternativo, visto che anch’io sono un oppresso, non mi resta che agire… è semplice.

QUI- Sai che è quello che stiamo continuando a fare, ma sai anche che non sempre nei luoghi, fra virgolette ufficiali di movimento si parla male di quello che facciamo.

QUO- Non mi interessano gli spettatori più o meno soddisfatti, e poi almeno io conosco quali ambienti fasulli siano alcuni di questi in realtà, dove si fanno i benefit per i carcerati (o meglio per gli avvocati dei carcerati) per poi demonizzare qualsiasi forma di azione reale che rompe gli schemi preordinati…

PIPPO- Prima di sputare sentenze pensa al positivo, la crescita anche se minima c’è stata. Almeno all’inizio sui giornali, su internet, nelle varie realtà di movimento un grosso dibattito si è aperto sul velleitarismo o meno della nostra lotta, non sempre le vecchie cariatidi sono riuscite ad impedire ai compagni più giovani di farsi qualche domanda, e non ti dimenticare che proprio tra i più giovani molti si sono avvicinati grazie all’onda lunga del G8, e a Genova le pratiche messe in atto non erano certo da pacifisti o da FAI–formali.

ARCHIMEDE PITAGORICO- Mi sembra impossibile che da organizzazioni di quel tipo, anche per caso possa uscire fuori qualcosa di vitale. Guardate che anche a livello di rapporti di base quello che stiamo vivendo tra noi è impensabile per chi vivacchia utilizzando l’anarchismo come un hobby e circoli ed occupazioni come un dopolavoro. Rischiare la libertà per le proprie azioni ti dona una profondità e naturalezza nell’agire “politico” che un qualsiasi militante della FAI ufficiale o scribacchino si sogna.

PIPPO- Ti chiudo qui questo momento lirico su anime e corpi liberati su cui tra l’altro sono d’accordo (applausi) per farvi notare alcune falle del sistema… La prima è che le campagne proposte al di fuori dei 4 gruppi fondatori non sono mai state appoggiate dagli stessi. Per esempio FAI/Rivolta Animale non ha avuto risposta alcuna, per quanto ne so io e neppure il gruppo FAI/Cellule Metropolitane, con i suoi attacchi alle agenzie interinali a Milano, anche se ha agito contemporaneamente con FAI/Solidarietà Internazionale con l’attacco al carcere.

PAPERINA- E’ stata una coincidenza -piacevole di sicuro- ma non ne sapevamo nulla.

PAPERINO- Un problema è sempre quello della comunicazioni, la notizia dell’attacco animalista noi l’abbiamo avuta in ritardo, i mass media a livello nazionale non ne hanno parlato o ci è sfuggita subito, quando l’abbiamo saputo eravamo già impegnati su altro.

PAPERINA- Sicuramente l’informazione e la comunicazione sono i nostri punti deboli, ma questa apparente disgregazione è anche la nostra forza, il nostro punto di imprevedibilità. Se neppure noi a parte i pochi qui, ci conosciamo tutti e tanto meno riusciamo a capire la forza numerica e la collocazione dei vari gruppi e quello che bolle in pentola, figuratevi la repressione.

QUI- I mass media possono censurarci, ma dal momento che lo stanno facendo è una vittoria per noi, dimostriamo che la loro libertà d’informazione, e sto parlando anche di certi canali alternativi è andata a farsi sfottere…

PIPPO- Ciò non toglie che se non fanno passare le rivendicazioni e se distorcono l’entità delle azioni possono crearci grossi problemi, l’informazione non la possono garantire i giornali di movimento o almeno non solo loro, altre alla repressione che gli si carica addosso hanno comunque una diffusione limitata. Con internet va un po’ meglio ma anche i siti di movimento non è che vengano visti da milioni di persone…

ARCHIMEDE PITAGORICO- Bisogna continuare ad insistere sulla spettacolarità sulla visibilità massima… Se i fuochi d’artificio sono potenti li vedono e sentono tutti, il gioco è fatto! Basta far capire che non sono poi così complicati da costruire!

PAPERINA- Intanto io continuo a pensare ai meccanismi della repressione, magari in scala più diffusa vorrei fare una campagna in solidarietà agli arrestati anarchici, di quelle classiche per intenderci…

ARCHIMEDE PITAGORICO- Di questo e dei particolari tecnici che volevo socializzare ne parliamo dopo ora vorrei fare un’ultima osservazione, ognuno per conto sui e Solidarietà Internazionale con la sua scelta di rendere più capillare la loro azione, io con i miei fuochi d’artificio, QUI QUO QUA con quello che riusciranno a trovare mi sembra che l’indicazione sia quella di continuare, qualcuno di noi ha parlato di meno, magari aggiungerà delle correzioni, per stanotte mi sembra che basti, a domani, ora BRINDIAMO ALLA RIVOLTA E ALL’ANARC!!!!

Sergio Spazzali resta un grande comunista, un grande rivoluzionario, una presenza viva dentro il movimento rivoluzionario

In molti abbiamo conosciuto la sua straordinaria ricchezza umana, caratterizzata da una forte determinazione e generosità per la causa proletaria e dalla modestia con cui ha ricoperto fino all’ultimo un ruolo di primo piano nella battaglia politica per il Partito.

Con modestia e generosità ha posto la sua enorme esperienza politica al servizio del movimento comunista, soprattutto in quest’ultimo difficile decennio, in cui il peso del riflusso dei primi anni ’80 ed altri limiti hanno imposto un duro lavoro di resistenza e di paziente ricostruzione di posizione politica e delle condizioni per fare i salti necessari.

Da alcuni articoli apparsi e dai discorsi interessati di qualche area politica, si vorrebbe accreditare una visione pietistica, di umana comprensione per quello che comunque tutti riconoscono come un grande militante comunista ma anche presunto sconfitto, esempio della definitiva deriva di un’esperienza sconfitta che non può chiedere più che un’onorevole resa.

Di questa esperienza non resterebbe più altro che il drammatico protrarsi di stenti e di difficili condizioni di vita per quei militanti che, in prigione o in esilio, sono rimasti coerenti e dignitosi.

Certo, come compagni che fino agli ultimi giorni abbiamo condiviso con lui lo stesso percorso, rivendichiamo orgogliosamente l’appartenenza a questa schiera di militanti che non si sono arresi e che continuano a pagare a caro prezzo l’appartenenza a questa schiera di militanti che non si sono arresi e che continuano a pagare a caro prezzo l’appartenenza alla lotta di classe rivoluzionaria. Prezzo che per noi, come per lui, significa galera, latitanza, precarietà, extralegalità e le immaginabili difficoltà che ne derivano.

Ma non resta solo questo! E soprattutto ci rifiutiamo a che si interessino con “umana comprensione” a queste difficoltà proprio coloro che hanno contribuito a determinarle, coloro che in varia misura hanno partecipato ai successivi attacchi per la disgregazione del movimento comunista, coloro che hanno anteposto meschinamente il loro interesse personale e di gruppo alimentando posizioni dissociative.

Sergio Spazzali, crediamo di poterlo dire senza ombra di dubbio, non era mai stato nella condizione di quell’errante anima in pena che, proprio mentre si accingeva a mettergli termine rientrando finalmente in patria, improvvisamente muore dimenticato da dio e dagli uomini. Crediamo che non si sia mai sentito nella condizione di chi, vittima illustre di un regime repressivo, ottuso e vendicativo, ripara all’estero per mettersi “al sicuro”.

Perché come non ci sembra che egli abbia mai concepito il suo impegno in funzione degli anni di galera che esso avrebbe comportato, così non ci sembra che il suo interesse ultimamente fosse volto alla ricerca di qualche soluzione che gli permettesse di uscire dal “tunnel” in cui per disgrazia si era cacciato.

Questa immagine è propria a una visione rinunciataria del problema posto dalla repressione dello Stato nei confronti delle avanguardie rivoluzionarie, in quanto considera le singole situazioni/condizioni (detenzione, clandestinità, latitanza…) da un punto di vista puramente difensivo (come se si trattasse unicamente di subire o scongiurare la repressione di Stato tralasciando proprio quell’elemento che, in realtà, fa sì che queste situazioni risultino interne allo scontro di classe: il loro carattere offensivo, il fatto cioè che a monte dell’attacco repressivo della borghesia, esiste l’attacco politico dei rivoluzionari e che dunque non esiste condizione materiale (di detenzione, clandestinità, ecc.) che possa essere considerata “in sé” di “ripiegamento”.

Ciò che decide sul carattere offensivo o difensivo di queste condizioni è, allora, l’atteggiamento che si mantiene nei confronti del potere: contrapposizione o patteggiamento, riaccettare con false autocritiche il quadro borghese o proseguire nella progettualità rivoluzionaria dentro lo scontro di classe.

In un momento in cui sono ancora diffusi gli atteggiamenti di patteggiamento da parte di una consistente frangia di ex appartenenti al movimento rivoluzionario, la sua costante presenza rivoluzionaria è uno splendido esempio cui guardare. Ad uno sguardo anche soltanto superficiale, appare evidente come impegno politico di Sergio al servizio della classe proletaria non sia mai stato limitato, parziale, estemporaneo, contingente: questo perché le sue scelte, le sue idee, sono sempre state il risultato di una ricerca basata in primo luogo sulla pratica delle sue convinzioni così come al confronto con quelle altrui, riconoscendo in tal modo il solo metodo e il solo criterio di validità di qualsiasi opinione politica.

Egli cercava, lo ripetiamo, la “verità” nella pratica e nel confronto politico delle idee alla luce di questo metodo si poneva il problema della formazione dell’avanguardia comunista, nella pratica e nel confronto con altri che, con idee diverse, si ponevano lo stesso problema; egli considerava la soluzione di questo problema come determinante e non vincolato ad ipotetiche congiunture favorevoli, come spesso si è sentito blaterare da più parti.

Tutti noi sappiamo che la convinzione della validità delle nostre idee non basta a garantire l’impegno di una vita intera, che le alterne vicende della lotta, il suo andamento ciclico, i momenti estremamente difficili che si attraversano, mettono a dura prova anche le acquisizioni più solide, le menti più lucide, le volontà più ferree. In questi momenti, così frequenti in questi anni, si può vacillare paurosamente se non si possiede quella particolare qualità che è la coscienza di classe.

Ebbene, chi ha conosciuto Sergio Spazzali non può non riconoscergli l’acquisizione di questo elemento così importante, egli ha fatto propria la visione proletaria rivoluzionaria dello scontro di classe in tutti gli aspetti della sua vita, ha assunto completamente la difesa degli interessi proletari fino al supremo obiettivo dell’abolizione dell’infame società di classe.

Con questa coscienza di classe, Sergio si è assunto le dure conseguenze della coerenza, tenendo saldamente ferma la convinzione che il terreno da praticare, la prospettiva da alimentare non poteva che essere la lotta di classe finalizzata alla presa del potere politico con le armi, da parte di un proletariato che compia il suo percorso di costituzione in classe indipendente e cosciente di se stessa e delle proprie potenzialità storiche. Atti questi che si pongono come la premessa minima necessaria, unica realistica, per avviare una qualche trasformazione sociale durevole, dentro un vasto processo di transizione socialista al Modo di Produzione Comunista, al Comunismo.

Questo è sempre stato il quadro di massima che l’ha, che ci ha aiutati a orientarci nei percorsi accidentati della lotta politica di questi anni. Lotta politica che, naturalmente, è ben complessa e fatta di passaggi e necessità talvolta molto piccole. Lotta politica che è stata molto oscura ed ingrata perché fatta soprattutto di difesa delle posizioni essenziali e fondanti del movimento comunista, dal fuoco incrociato in cui la politica e la cultura borghese hanno canalizzato le contraddizioni ed i limiti dello stesso movimento, servendosi della grande schiera di traditori, dissociati, “innovatori” e “ripensatori”. Lotta politica cui egli ha partecipato lontano dal vizio classista dei suddetti sempre pronti a ricercare le luci della ribalta ed il tornaconto personale, insomma lontano dalla visione borghese di proprietà privata nel campo intellettuale, bensì saldamente ancorato ad una dimensione modesta e disciplinata del lavoro collettivo.

Lotta politica che nella difesa delle posizioni fondanti – costituzione del proletariato in “classe per sé”, Partito, avvio del processo rivoluzionario fino al passaggio insurrezionale, avvio della transizione socialista – da subito non poteva essere solo difesa, ma anche costruzione delle condizioni per operare politicamente come la Forza Rivoluzionaria del Proletariato.

Quindi, a maggior ragione, si rinforzarono i caratteri di lotta politica improntata ai principi del lavoro collettivo, disciplinato e capace di sostenere l’immancabile pressione della controrivoluzione. Sergio aveva scelto di non accettare le “gratificanti” luci della ribalta della politica e della cultura borghesi in cui tanti “ex” si dibattono come squallidi parvenu; aveva mantenuto il rapporto organico con la classe, affrontando le durezze dei percorsi politici interni alla classe, che avvengono nella strutturale povertà delle nostre sedi e dei nostri mezzi e nella tensione di un costante affrontamento con la controrivoluzione.

Il percorso della classe per costituirsi politicamente in Partito Comunista è sicuramente uno dei percorsi più difficili che si possano immaginare, viste le continue aggressioni borghesi e le tante contraddizioni interne. Ma la realtà è là: di fronte alla violenza e profondità della grande crisi capitalista, aggressioni e contraddizioni perdono peso, il proletariato è spinto a lasciar cadere illusioni riformiste e retaggi del passato perché non ha tante scelte se vuole affrontare la causa sempre più evidente della propria tragica condizione; la Rivoluzione Proletaria torna prepotentemente d’attualità.

Oggi tutto ciò sta riemergendo con forza, si sta diradando la nebbia ammorbante della collaborazione di classe, il pantano della corruzione interclassista: le forze di classe si stanno polarizzando irresistibilmente ed il lavoro politico, la lotta politica dei comunisti riemergono insieme ai rinnovati movimenti di massa, alla nuova vigorosa ripresa di attività delle masse proletarie, come il magma che prima ribolliva sotterraneamente per poi fuoriuscire esplodendo dal vulcano.

Sergio faceva parte di quei militanti che prevedevano ciò e che hanno tenacemente lavorato come il magma, nell’oscurità del sottosuolo. Per questo sono state grandi le sue qualità e grande, molto grande, il suo apporto al movimento comunista.

La serietà e il coraggio delle sue scelte, la coerenza ed il modo con le quali sono state fino alla fine della sua vita perseguite, costituiscono un esempio cui fare costantemente riferimento, fino a quando all’ordine del giorno del movimento comunista vi saranno la conquista del potere per via rivoluzionaria e l’edificazione della società senza classi.

Salutiamo Sergio con grande affetto e con grande riconoscenza rivoluzionaria.

 

I comunisti all’estero che hanno condiviso l’identità ed il percorso politico di Sergio.

 

Febbraio 1994.

Per il processo rivoluzionario di classe. Costituire il Partito Comunista nell’unità del politico-militare!

La crisi è finita? Di nuovo il capitalismo tira fuori dal cappello una sorprendente soluzione? La “nuova economia” apre una nuova frontiera e, superando vecchi e rigidi vincoli contrattuali, inventa un modo nuovo di lavorare e vivere? Le guerre sono diventate “pulite”, “umanitarie”, e i prepotenti storici diventano commossi soccorritori di popoli sventurati?

Quello che noi vediamo è una capacità di menzogna decuplicata, sconfinante in veri e propri deliri: Goebbels ha partorito Bush e Berlusconi!

E vediamo una sfilza di attacchi alle condizioni di vita popolari.

L’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è una picconata alle residue barriere a un modello di sfruttamento selvaggio, all’americana, dove il lavoratore sarà sballottato nella giungla del mercato senza più la minima garanzia contrattuale collettiva, “libero nella libera concorrenza”.

Il legittimo e ancestrale bisogno di sicurezza dei lavoratori (e parliamo ancora di quei bisogni vitali di sicurezza dell’avvenire, contro la malattia, gli infortuni, la vecchiaia, base delle prime grandi conquiste operaie…) viene denigrato come rigidità, corporativismo, conservatorismo, per non parlare dell’oscena contrapposizione dell’egoismo degli occupati agli esclusi, ai precari. Disgustoso argomento in bocca ai parassiti di questa società, ai borghesoni miliardari!

Quello che è tragico è che la difesa contro questo gravissimo attacco è ancora nelle mani, per il momento, della sinistra borghese, cioè di quell’altra frazione della borghesia che ha governato fino all’altro giorno, portando avanti lo stesso tipo di provvedimenti e di linea di assoggettamento del mondo del lavoro al capitale, vecchio, e nuovo. Semplicemente usando metodi e tempi un po’ differenti, spesso più efficaci (come dice il signor Agnelli).

 

E intendiamoci, non tratta di restare alla difesa delle storiche conquiste operaie, perché restano anche e comunque un’impalcatura attorno alla condizione di Classe sfruttata, e che in quanto tale tende a protrarne l’esistenza.

Le conquiste dello Statuto del lavoratori non sono nulla di ideale, sono semplicemente l’espressione del rapporto di forza che la Classe Operaia ha imposto nella fase alta del ciclo di lotte dei ’70.

Attestarsi sulla difesa di queste posizioni non solo è irrealistico e, alla lunga, perdente (come tante altre battaglie dei ’80/’90, i vari “questo non si tocca, quell’altro neppure”…) ma per di più sfalsa quello che è lo scontro oggi e nell’avvenire.

Questo scontro porta in sé, oggettivamente, l’orizzonte dell’abolizione di capitale, obiettivi, forme di lotta e organizzazione in quello che è il vissuto delle masse, dei loro movimenti. E dentro alla strategia di Partito.

Orizzonte utopista solo all’apparenza, in realtà ben più realista di tutti i riformismi, che rivelano puntualmente la loro inefficacia e subalternità alle regole sociali dettate dal capitale (è tutta la storia delle svendite e tradimenti della socialdemocrazia, fino alla attuale tragica parodia).

Molte esperienze storiche insegnano che quando i margini di tolleranza capitalistica si contraggono, tutte le riforme e conquiste vengono sconvolte, riviste o soppresse. Oltre una certa soglia di scontro di classe, o si fa il salto al piano strategico di lotta per il potere, o c’è sconfitta.

La crisi capitalistica, quand’è generale e di portata storica come l’attuale impone uno sconvolgimento sociale violento: in tutti i casi capitale e borghesia imperialista impongono il loro, ristrutturando da capo a piedi la società; il proletariato può imporre il proprio solo attraverso il processo rivoluzionario di presa del potere. Coniugare difesa e attacco, con l’attacco come prospettiva: per questo le mezze misure, la “piccola” contrattazione sulle condizioni sociali è cortocircuitata dalla questione del potere.

E con il potere si aprono ben altre prospettive: abolizione di capitale e lavoro salariato! Per cominciare.

 

Prendiamo l’altro aspetto connesso a questo attacco contro l’art. 18, la dilagante precarizzazione dei rapporti di lavoro. Si sta configurando un vero modello europeo, calcato sul predecessore, quello americano. Tutte le invenzioni e modifiche sono buone pur di ridurre le garanzie e la stabilità del posto di lavoro. È tutta una strategia tesa all’indebolimento della Classe Operaia, della sua capacità di resistenza e di lotta, immettendo il veleno della concorrenza tra i lavoratori. Il lavoro interinale in particolare costituisce un “ritorno” alle origini del capitalismo, al tristemente famoso “caporalato”. Tutto ciò ha delle conseguenze più vaste e profonde sull’esistenza proletaria: è il rapporto stesso al lavoro, il quotidiano, i rapporti sociali, la cultura operaia. Vengono ancora una volta sconvolti e spinti verso forme accentuate di alienazione da mercificazione. Nulla di nuovo, per carità, Solo gli intellettuali alla moda o gli “antimondialisti” piccolo – borghesi possono scoprire scandalizzati che siamo diventati merci: per la Classe Operaia questa realtà è nata col capitalismo!

Ma indubbiamente gli attuali passaggi costituiscono un approfondimento, una ulteriore degradazione della condizione proletaria e di ampi settori popolari. Processo di degradazione che va avanti dagli anni ’80 e fa tutt’uno con i processi di ristrutturazione capitalistica che subiscono periodicamente brutali accelerazioni, gruppi imperialisti decidono di attaccare violentemente ora un settore economico ora un paese intero, un’area intera. Oggi è il turno, di nuovo, dell’Argentina e dell’America Latina più generalmente.

Anche qui il salto nella brutalità é evidente: si tratta di un vero e proprio taglieggiamento/rapina su un popolo intero da parte dell’oligarchia finanziaria internazionale, i circoli della borghesia imperialista, attraverso i loro esecutori FMI-banca mondiale e i governanti argentini.

Al di là della sacrosanta solidarietà di classe, parliamo dell’Argentina perché è sintomatica dello stato di salute reale del capitalismo internazionale. Una tale brutalità è significativa dello “stato di necessità” dei gruppi imperialisti nella ricerca esasperata di profitti, è significativa cioè non solo dell’avidità devastante del sistema, ma anche del fatto che esso non riesce ad uscire dalla crisi di valorizzazione del capitale, che da anni spinge ai peggiori crimini. Sì, crimini! Perché bisogna pensare al filo conduttore che attraversa i massacri in Medio Oriente, in Europa dell’Est, in Africa, in Asia, in America Latina, dove gli imperialisti strozzano le popolazioni, le affamano, le violentano, devastano, e tutto ciò per strapparsi di mano l’un l’altro le fonti di materie prime, le riserve di mano d’opera, il controllo “geostrategico” delle aree del mondo etc.

Avrebbero bisogno di essere così feroci se i loro affari fossero più sicuri? Se il loro ciclo di valorizzazione/accumulazione fosse davvero prospero e garantito nel futuro? Per quanto siano canaglie, ne dubitiamo.

Basta guardare alla storia e constatare che la loro ferocia è proporzionale alle difficoltà che incontrano a soddisfare la sete di profitto.

Basta guardare allo stato interno delle economie imperialiste per rendersene conto: l’Argentina non è così lontana quando si pensa al disastro Enron in USA. Un’intera popolazione di salariati e pensionati truffati e taglieggiati, masse rovinate da un giorno all’altro! (se non altro un buon avvertimento a chi si illude sui fondi-pensione e altre amenità della “partecipazione al capitalismo”).

I processi di privatizzazione e “compartecipazione” dei lavoratori alle imprese capitaliste sono sempre sul filo del processo di precarizzazione/divisione/concorrenzialità che abbiamo descritto prima. E sono del peggiore augurio: trasmettere, aizzare istinti della giungla tra i poveri, gli sfruttati.

 

LA CRISI PORTA ALLA GUERRA IMPERIALISTA

La Germania è in recessione, il Giappone non esce dal marasma economico-finanziario da anni, gli USA si mantengono a galla soprattutto in virtù del primato nella rapina imperialista perpetrata al seguito del 300,000 militari che occupano i quattro angoli del mondo. Questa è la situazione essenziale dei tre principali imperialismi concorrenti, all’origine delle due guerre mondiali, mentre nuovi imperialismi famelici, come quello cinese, si fanno avanti. In Afghanistan si sviluppa quell’asse di penetrazione ad est che denunciamo dai tempi della deflagrazione della Jugoslavia. Anche adesso si intravvedono le linee di tensione e concorrenza interimperialista (in particolare lo schiaffo alla Francia confinata con le sue truppe nella base uzbeka, in attesa di autorizzazione per entrare in Afghanistan) attorno ai futuri oleodotti-gasdotti dei giacimenti del Caspio. Ma non è che una tappa con lo sbarco delle truppe imperialiste nelle steppe ex-sovietiche ci si può attendere al peggio, Russia e Cina sono attaccate nel loro cortile di casa.

I due fenomeni si intrecciano e si alimentano: la crisi generale storica da sovraproduzione di capitale attizza la tendenza alla guerra di rapina contro i popoli oppressi e alla guerra contro i banditi imperialisti.

Qual è la nostra prospettiva? Come posso pensare la Classe Operaia, il Proletariato di affrontare questa situazione? Come difendersi? Come immaginare un altro mondo possibile e come lottare per arrivarci?

Resistere! Per cominciare. Come diceva Marx “una classe che non sa battersi per le piccole cose della sua condizione immediata non può imparare a lottare per un’altra società”. Dunque organizzarsi, sempre e comunque, sulla base delle lotte immediate: ciò che vuol dire tante cose, come superare il fatalismo, le paure, le divisioni, saper battagliare contro gli agenti del capitale nelle nostre fila, ecc. Numerose sono le lotte oggi in Italia e in Europa che fanno vivere la volontà di rivolta del proletariato, la sua capacità di critica pratica del capitalismo, la sua ricchezza di espressioni.

Bisogna collegarsi a queste lotte, valorizzarle, sostenerle nel loro percorso affinché diventino autentici momenti di autonomia di classe.

Percorso non dato, non immediato, ma che richiede maturazione, esperienza, battaglia politica interna alle stesse istanze di lotta per isolare ed espellere via via le posizioni conciliatorie, collaborazioniste, le varie posizioni che portano al suicidio “riformista”. Percorso difficile ma possibile e che può prendere rapidamente consistenza, massificandosi. Abbiamo visto con quale potenza in altri cicli di lotta.

Ma, come dicevamo prima, questo percorso non è esente dalla dialettica con l’espressione politico-militare di classe, con l’organizzazione che agisce da Partito, che tende a costituirsi in Partito. Questa dialettica è essenziale per tanti motivi, e per uno su tutti: senza la prospettiva dello scontro per il potere, qualsiasi istanza di trasformazione sociale (per quanto forte e massificata essa sia), qualsiasi ciclo di lotta va a sbattere contro questo muro, il potere! Il grande ciclo degli anni ’70 ha dimostrato in modo inequivocabile che vi erano due vie: o l’inganno parlamentare dei revisionisti o il processo rivoluzionario guidato dalle B.R.

Nonostante gli errori e le immaturità di questo nuovo processo rivoluzionario, esso resta fondamentalmente valido, ancor più se si pensa che ha ridato concretezza alla Rivoluzione nel cuore di un paese imperialista, nel cuore del capitalismo internazionale, là dove é decisivo vincere.

Senza costruire in questo senso, nel senso dell’organizzazione politico-militare di lotta per il potere, non solo non si può pensare di costruire le condizioni per vincere, ma nemmeno di difendersi, di rinforzare le nostre lotte immediate, perché da tempo la borghesia é riuscita a tagliarci l’erba sotto i piedi, a disgregare il tessuto di classe, il tipo di ciclo produttivo che sosteneva la nostra organizzazione di massa. La borghesia è riuscita a “sfasare” il livello di scontro, a usare contro le lotte la mondializzazione, il potere che ha di muoversi su tanti paesi e possibilità di sfruttamento. In questo contesto, la lotta economica, immediata trova difficoltà a mordere, ad incidere, è preda del reticolo politico-istituzionale predisposto al suo recupero e/o repressione.

Proprio per supplire a queste carenze, per poter fare noi, come Classe, il salto al livello necessario per lottare, affrontare la borghesia imperialista e sopratutto rispetto ai tempi a venire di tendenza alla guerra, è necessaria, decisiva la costituzione in Partito sulla base dell’unità politico – militare. Ciò che significa tradurre in pratica, nella pratica di una strategia e di una linea politica la tendenza di lotta per il potere che si vuole affermare. È il fatto di essere conseguenti con quella che è la natura della lotta di classe, con quelle che sono le finalità, gli obiettivi ultimi di Classe, che impone la relazione tra la natura del Partito e la strategia. La scelta della clandestinità e dell’utilizzo delle armi nella lotta politica sono la necessaria concretizzazione di tutto ciò.

Solo in questo modo si può essere credibili agli occhi della Classe, sviluppare un processo di accumulo di forze, nella misura in cui si offrono gli strumenti per incidere politicamente nel vivo dello scontro di classe (è il grande insegnamento della storia delle B.R. rispetto ai partitini m-l tanto pretenziosi quanto platonici).

È in conseguenza della strategia rivoluzionaria per la presa del potere che il Partito è costretto dallo sviluppo storico della contraddizione tra Rivoluzione e Controrivoluzione a operare la scelta della clandestinità.

Coloro che oggi, nella crisi generale dell’epoca imperialista del capitalismo, considerano di lavorare alla costruzione del Partito ma non si pongono il problema della sua natura clandestina, nelle intenzioni e nei fatti non si pongono nelle condizioni di percorrere la via rivoluzionaria. Non pongono al centro del lavoro di costruzione la strategia da adottare e sviluppare per la presa del potere. Non considerano di costruire il Partito sulla base di questa strategia. Il più delle volte sono afflitti da opportunismo e scivolano nel revisionismo.

Coloro che si pongono il problema della natura clandestina ma non la concepiscono come condizione per lo sviluppo della strategia rivoluzionaria (oggi basata sull’unità del politico – militare) distaccano la forma dal contenuto, lo sviluppo dall’organizzazione dal processo concreto del perseguimento del suo obiettivo strategico. Sono afflitti anch’essi da un misto di opportunismo e dogmatismo e scivolano nel revisionismo.

Il revisionismo è il riflesso dell’imperialismo nel movimento operaio e proletario. È la sua capacità di influenzarlo per deviarlo dal suo compito storico di sviluppare la Rivoluzione Proletaria mondiale, come processo che pone fine al dominio della borghesia, instaura la dittatura del proletariato per distruggere e superare il modo di produzione capitalistico, basato sul profitto dei capitalisti e lo sfruttamento dei lavoratori.

La strategia rivoluzionaria del movimento comunista internazionale e dei suoi partiti è quella strategia che si sviluppa nella lotta contro il revisionismo e ristabilisce il corso della storia di Classe (che è rivoluzionaria o non esiste). Questa è la sua forza e per questo ha già vinto e può vincere ancora, fino alla vittoria finale contro la borghesia imperialista contro il capitalismo!

 

CONTRO LA CRISI CAPITALISTA E LA GUERRA IMPERIALISTA

SVILUPPARE L’AUTONOMIA DI CLASSE

COSTITUIRE IL PARTITO COMUNISTA POLITICO – MILITARE

RILANCIARE IL PROCESSO RIVOLUZIONARIO NELL’UNITA’ DEL POLITICO – MILITARE STRATEGIA VERSO LA GUERRA POPOLARE PER LA PRESA DEL POTERE

INSTAURAZIONE DEL SOCIALISMO, SVILUPPO DELLA GUERRA ANTIIMPERIALISTA

DEI POPOLI OPPRESSI E DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE

 

(Nota: la proposta di una nuova categoria, così carica di implicazioni – il PCP-M è solo una proposta da sottoporre al dibattito. La scelta dei termini programmatici fondamentali non può essere azzardata o “emotiva”.

Evidentemente l’idea è interessante e frutto di riflessioni: rispetto al classico PCC caratterizza meglio l’unità degli elementi, è più parlante e costituirebbe un’innovazione. Può darsi si potrebbe anche solo sperimentare in alcune prime uscite. Comunque tutto da discutere).

 

Gennaio 2002

(Primo documento unitario del progetto Partito comunista politico-militare)

 

Circolare campagna propaganda

Alzare la bandiera della ricostruzione del partito tra gli operai e i proletari

Dopo una campagna organizzazione che ha ottenuto risultati parziali (vedi bilancio) diamo avvio ad una nuova campagna propaganda in una situazione in cui per quanto riguarda l’aspetto interno, la nostra soggettività, abbiamo fatto la prima fusione organizzativa tra forze soggettive con storia e provenienza diverse. Abbiamo inoltre raggiunto una comprensione maggiore dei problemi logistici e organizzativi che dobbiamo affrontare sia a livello centrale che a livello locale. E abbiamo verificato la costruzione di una soglia logistica minima anche nelle situazioni in cui non esistiamo ancora compiutamente con ambiti collettivi d’organizzazione. La gran parte di questo lavoro è ancora allo stadio di comprensione e impostazione preliminare e pertanto dovrà essere proseguito e sviluppato nei prossimi mesi nel lavoro ordinario.

Diamo avvio a questa campagna in una situazione generale caratterizzata dall’incessante sviluppo della guerra imperialista condotta dagli USA nella forma dell’occupazione militare permanente dell’IRAQ. Una guerra che vede coinvolta direttamente anche la borghesia imperialista italiana rappresentata politicamente dalla banda Berlusconi asservita completamente agli interessi americani. Questo coinvolgimento ha già portato l’esercito italiano a collaborare all’oppressione militare del popolo iracheno e di conseguenza ad essere bersaglio degli attacchi della resistenza all’occupazione come nel caso di Nassyria. La guerra in IRAQ è solo l’episodio principale della terza guerra mondiale strisciante che il principale gruppo imperialista sta conducendo per dettare le proprie condizioni nel processo di rispartizione del mondo. Una questione di vita o di morte per i diversi gruppi imperialisti in questa fase della crisi generale del capitalismo. Una rispartizione resa necessaria dal definitivo superamento dell’assetto bipolare sancito dalla seconda guerra mondiale a causa del crollo dei regimi revisionisti nei paesi socialisti, dalla costituzione del polo imperialista europeo sull’asse franco-tedesco, dall’emergere della potenza cinese e dalla ricostruzione un imperialismo russo. Una rispartizione che ha come centro il controllo mondiale del settore energetico e quindi delle possibilità di ipotecare lo sviluppo e di imporre dividendi imperialisti alle economie delle diverse formazioni sociali sia delle nazioni oppresse che delle potenze imperialiste. Il possesso della risorsa strategica petrolifera è l’arma principale di questa guerra. Il petrolio infatti non è semplicemente la materia prima del contendere per la soddisfazione di una esigenza di approvvigionamento o di un’autonomia strategica in campo energetico, cosa che potrebbe essere soddisfatta con il ricorso ad altre fonti, ma è principalmente il coltello che afferrato per il manico può essere puntato alla gola di tutti quelli le cui economie ne hanno assoluto bisogno. E cioè con buona pace dei teorici del superimperialismo e della sua variante ipertecnologica, della maggior parte delle economie del mondo per i prossimi 50 anni. Una rispartizione resa impellente dall’approfondirsi in un processo a spirale della crisi generale del capitalismo. I diversi gruppi imperialisti si scontrano con la consapevolezza che la carestia di profitti, che ad ogni tornante della spirale diventa più acuta, possono affrontarla solo con la logica della “morte tua, vita mea”. In questo contesto il gruppo imperialista dominante USA ha elaborato la strategia della guerra preventiva, che non è guerra preventiva al terrorismo, ma guerra preventiva alle condizioni di sviluppo di altri gruppi imperialisti che possono mettere in discussione il suo primato. È uno scontro che si sviluppa lungo la linea di penetrazione imperialista che va dal medioriente all’Asia Centrale investendo territori che racchiudono la stragrande maggioranza di riserve di petrolio attualmente censite. Questa guerra oltre a registrare l’acutizzarsi delle contraddizioni interimperialiste, registra anche necessariamente l’acutizzarsi della contraddizione imperialismo-nazioni oppresse e si rovescia nello sviluppo di un sistema di guerre popolari di liberazione di lungo periodo dall’Intifada palestinese alla resistenza irachena a quella afgana. Questa guerra crea una situazione nuova anche nei paesi imperialisti come il nostro dove rende imprescindibile la necessità di schierarsi o a fianco degli imperialisti USA o a fianco della resistenza armata contro l’occupazione. Un’alternativa che toglie spazio alle mistificazioni e ambiguità revisioniste, riformiste o pacifiste della sinistra borghese. Si genera una spinta verso la saldatura del movimento contro la guerra con il movimento della classe operaia in difesa delle conquiste e contro le cosiddette riforme (mercato del lavoro, pensioni) e per migliori condizioni di vita e di lavoro. Questo in una situazione caratterizzata dall’inasprirsi del conflitto di classe come mostra il caso della lotta dei lavoratori dei trasporti pubblici. Il loro è nei fatti un grande esempio di autonomia di classe sul piano rivendicativo dopo un ventennio. Una lotta che ha il grande merito di portare un grande contributo alla ricostruzione di un rapporto di forza favorevole alla classe estendendo la mobilitazione successivamente e contro lo stesso accordo sottoscritto dai sindacati di regime. Una lotta che, a prescindere dall’esito, ha già posto alcune questioni fondamentali come quella della riapertura della questione salario contro lo scellerato patto corporativo per la diminuzione del costo del lavoro, o quella delle forme di lotta mettendo in campo forme che siamo paradossalmente indotti a definire radicali come lo sciopero senza preavviso o lo sciopero in presenza della precettazione. Questa lotta è la dimostrazione più chiara che la fascistizzazione dei rapporti sociali, la cooptazione corporativa delle organizzazioni sindacali, la limitazione e negazione coercitiva del diritto di sciopero non possono fermare lo sviluppo della lotta di classe che trova alimento nell’acutizzarsi delle contraddizioni determinate dalla crisi generale del capitalismo e dalle misure che il governo borghese è costretto a prendere per farvi fronte. È la stessa crisi che determina uno stato di stagnazione generalizzato. Una situazione in cui la spirale della crisi è un susseguirsi di fasi di recessione intercalate da piccole riprese dovute principalmente all’economia di guerra. Una situazione in cui ad ogni tornante della spirale non solo si approfondisce lo sfruttamento della classe operaia e delle masse popolari, non solo si soffoca maggiormente la fascia delle piccole attività economiche del settore concorrenziale ma si verifica anche il crollo di grandi imprese monopolistiche come mostrano i casi più eclatanti della Enron, della Wordcom o quello che riguarda più da vicino della Parmalat. Non si tratta di speculazioni sbagliate o di ruberie particolarmente fameliche, sono semplicemente effetti della crisi di valorizzazione e dei maldestri tentativi di aggirarla con artifizi finanziari. Tutto questo compone a livello mondiale un quadro generale in cui si apre potenzialmente un grande spazio rivoluzionario.

Una situazione rivoluzionaria in sviluppo che se la rinascita del movimento comunista riesce ad affermarsi e a interpretarla, apre la possibilità di una nuova ondata della rivoluzione proletaria mondiale paragonabile a quella che ha contraddistinto la prima parte del ’900. La guerra imperialista e il suo possibile sviluppo orientato dalle contraddizioni interimperialiste in particolare determina una fase rivoluzionaria negli stessi paesi imperialisti. Ricrea anche qui le condizioni per la rottura rivoluzionaria come storicamente è già avvenuto nei casi della guerra franco-tedesca con la Comune di Parigi e delle due guerre mondiali con la Rivoluzione d’Ottobre, la Resistenza al nazifascismo e l’estensione del campo Socialista. Il fatto che in paesi imperialisti come il nostro la fase rivoluzionaria partorisca un effettivo processo rivoluzionario è una conseguenza della drammatica acutizzazione delle contraddizioni che si genera nell’ambito di una guerra interimperialista e della volontà della classe operaia di porsi alla testa del movimento delle masse popolari nella ricerca di una via rivoluzionaria di uscita dal baratro di distruzione e morte cui le costringe l’imperialismo. Questa via può essere solo quella della rivoluzione socialista. È una via che la classe può percorrere solo costruendo il suo strumento per la presa del potere, il suo partito comunista. Tutte le condizioni oggettive lavorano in questo senso ma il partito ci sarà solo se la classe vorrà costruirlo. Su questa volontà si gioca il nostro lavoro nel prossimo periodo. Da qui la centralità della propaganda della necessità della ricostruzione del partito. Questa nuova campagna propaganda la promuoviamo proprio per alzare la bandiera della ricostruzione del partito comunista tra le masse popolari e in particolare tra gli operai e i proletari con la consapevolezza che solo se la parte più avanzata della nostra classe si investirà in questo processo sarà possibile raggiungere questo obiettivo.

L’obiettivo principale della campagna è quindi “formarci e formare compagni in grado di propagandare tra gli operai e i proletari la necessità della costruzione del partito comunista della classe operaia”.

La costruzione del partito è un processo che passa attraverso la sconfitta del revisionismo come riflesso dell’imperialismo all’interno del movimento politico della classe operaia. Questa sconfitta ha delle condizioni oggettive e delle condizioni soggettive. Per quanto riguarda quelle oggettive la crisi e la guerra stanno facendo il loro lavoro. Per quanto riguarda quelle soggettive in questa fase hanno a che fare con un quadro capace di trovare le forme e i contenuti per propagandare la necessità della ricostruzione del partito della rivoluzione proletaria in tutti gli ambiti in cui trova espressione la classe operaia e il proletariato e in primo luogo i momenti di mobilitazione, i movimenti e le situazioni di lotta. È chiaro che solo scontrandoci con il revisionismo potremo liberare ambiti dove si può realizzare la raccolta delle forze operaie rivoluzionarie per la costruzione del partito. Solo combattendo i suoi luoghi comuni come la concezione del superimperialismo che fanno da pendant all’opportunismo pacifista; solo combattendo la concezione del “sono onnipotenti e senza contraddizioni e si può solo chiedere loro di essere più buoni” possiamo affermare la linea giusta dell’appoggiare la resistenza nel suo processo di trasformazione in guerra popolare prolungata contro l’imperialismo in ogni parte del mondo e in primo luogo nel nostro paese. Solo isolando ed espellendo dai ranghi della nostra classe gli agenti della resa agli interessi del capitale riusciremo a bonificare il terreno per la crescita di una nuova determinazione politica rivoluzionaria della classe. Un’attenzione particolare va riservata alla lotta all’opportunismo dentro le situazioni operaie. Alla cultura della delega coltivata per decenni dai revisionisti per la quale gli operai non si investono in prima persona nella politica di difesa dei loro interessi ma hanno bisogno di esperti che lo facciano al posto loro. Possiamo fare questo unendoci agli operai che sono determinati a difendere radicalmente i loro interessi, essi sono la sinistra che può conquistare il centro e isolare la destra. La loro esperienza concreta e la propaganda per il partito li porterà a diventare comunisti perché solo così potranno sviluppare strategicamente la loro giusta e corretta tensione.

Dobbiamo anche combattere l’opportunismo dentro le situazioni di movimento. Esso è il riflesso dell’influenza che esercita il revisionismo tra coloro che vorrebbero cambiare la società. Questa influenza si manifesta nella forma del pacifismo, della non violenza, ma anche del movimentismo, dell’eclettismo, del rifiuto di porsi la questione della presa del potere. Possiamo fare questo unendoci con chi è risolutamente determinato a contrapporsi allo sviluppo della guerra imperialista, non distingue opportunisticamente tra intifada palestinese e resistenza irachena ma coglie l’importanza strategica di unirsi alle guerre popolari di liberazione sviluppando il vero internazionalismo proletario che è in primo luogo sviluppare il movimento rivoluzionario nel nostro paese. Dobbiamo dare battaglia anche al soggettivismo che considera determinante solo l’azione dell’avanguardia, sia nella forma di iniziativa d’attacco che in quella di azione diretta per ribadire invece la concezione che la rivoluzione come la lotta di classe la fanno le masse mentre il partito, l’organizzazione dei comunisti, la dirige. Come d’altra parte dobbiamo dare battaglia alle posizioni oggettiviste che in realtà sono il peggiore opportunismo. L’opportunismo di chi aspetta che il processo di accumulazione delle forze rivoluzionarie si determini da solo oppure si dia solo ed essenzialmente sul piano dell’adesione ideologica. Dobbiamo ribadire invece che l’esperienza storica del movimento comunista internazionale ci porta a concludere che, anche nei paesi imperialisti, il processo rivoluzionario può nascere e svilupparsi solo se l’azione di partito ne traccia il solco sviluppando la sua linea di attacco sulla base della strategia della guerra popolare di lunga durata. I contenuti della campagna propaganda “Alzare la bandiera della ricostruzione del partito comunista tra gli operai e i proletari” sono:

Per le strutture centrali

  • la ripresa delle produzione del foglio (red)
  • sistemazione logistica del lavoro redazionale (red)
  • l’organizzazione della sua distribuzione e spedizione (red)
  • bilancio, rinnovo e rilancio com.prop. (com.prop.)
  • impostazione seminario per propagandisti (com.prop.)
  • impostazione ed esecuzione di una iniziativa di PA (red+com.pol.)
  • sviluppo di una linea di propaganda tra gli operai e nel movimento rivoluzionario per la costruzione di organismi di partito. (resp.camp)

Per le strutture locali e situazioni in sviluppo

  • discussione degli articoli del foglio
  • sistemazione logistica per diffusione locale
  • diffusione locale
  • produzione di corrispondenze operaie
  • inchiesta sulla possibilità di costruzione di organismi di fabbrica
  • altre forme di propaganda che mettano al centro la necessità del partito (scritte, affissioni, altro)

I nostri organismi locali sono invitati a riflettere sui termini generali della campagna, stendere un piano che definisca gli obiettivi e i contenuti locali e nominare un responsabile incaricato di dirigerne l’esecuzione.

I compagni delle situazioni in sviluppo sono invitati alla stessa riflessione generale e a dare avvio a soglie iniziali di propaganda di partito nelle loro zone. Il termine della campagna, salvo modifiche nel corso del lavoro, è fissato per il periodo estivo quando svolgeremo il lavoro di bilancio.

 

Note per le situazioni locali

1) Con l’uscita del prossimo numero rimettiamo in campo gli insegnamenti e il lavoro svolto nella scorsa campagna propaganda. È l’occasione quindi per rivedere le liste dei lettori e rifare il punto. Inoltre possiamo mettere in campo le iniziative di diffusione di massa preparate ma non svolte (andranno ripreparati i piani).

2) I punti che riguardano il lavoro sugli operai sono particolarmente importanti perché ci permettono di trarre importanti insegnamenti su come sviluppare la propaganda per il partito tra la classe e tradurla in organizzazione. Allo scopo i compagni possono trarre elementi e svilupparli dal breve allegato 1.

 

Allegato 1

Per svolgere il lavoro di inchiesta tra la classe operaia diamo alcune semplici indicazioni sulle forme percorribili.

  • innanzitutto individuare i referenti. Essi andranno trovati tra gli operai più combattivi, tra quelli che si sono distinti come avanguardie nella lotta, che si pongono realmente il problema della difesa degli interessi di classe e che in nome di questi non delegano a nessuno, tanto meno ai sindacati, la direzione della lotta. Questo tipo di operai scaturiscono spontaneamente dalla lotta economica ed hanno la caratteristica positiva di incarnare profondamente la pratica della lotta operaia. Da loro potremo raccogliere preziosi elementi per lo sviluppo della linea di massa, per la lotta concreta al revisionismo e possiamo capire meglio come tradurre in linee specifiche la nostra linea generale.

Altri andranno trovati tra coloro che già si definiscono comunisti. Se non nel caso di operai appartenenti a gruppi di orientamento ML rispetto ai quali va condotta una inchiesta sulla loro organizzazione prima di aprire il confronto con loro, in maggioranza la loro identità deriva dal movimento comunista che è degenerato nel riformismo e nel revisionismo. Di loro dobbiamo recuperarne l’identità comunista e ricollocarla sul piano rivoluzionario spiegando loro cosa sono e come si organizzano i comunisti. Dobbiamo allo stesso tempo avere la capacità di combattere le idee sbagliate che i riformisti e i revisionisti hanno inculcato nelle loro teste.

  • Possiamo individuare tre forme di incontro per svolgere questa inchiesta:

– incontri di basso livello con singoli o gruppi di operai per spiegare cosa pensiamo e per capire se è possibile un lavoro in comune (manteniamo uno stile verbale senza cose scritte). I temi riguarderanno principalmente la lotta sindacale e l’organizzazione sindacale in fabbrica e secondariamente la problematica dello sbocco delle lotte.

– incontri di medio livello con singoli per consegnare il giornale e trarne le impressioni e/o l’adesione ideologica (va valutata la forma per non esporsi troppo). I temi riguarderanno principalmente lo sbocco politico delle lotte, quale prospettiva vincente per la classe operaia e secondariamente le forme organizzative:

– incontri avanzati con singoli per curarne la formazione in vista dell’adesione organizzativa ricorrendo al seminario sul partito. I temi riguarderanno principalmente le forme organizzative, il tipo di partito e la sua strategia.

Queste semplici indicazioni servono per dare uno schema al lavoro pertanto non vanno eseguite alla lettera ma vanno arricchite dalla creatività e dallo slancio dei compagni che svolgono il lavoro. Nel bilancio finale della campagna dedicheremo uno spazio specifico a questo lavoro nei termini di:

1) quanto ci siamo formati come propagandisti tra la classe operaia;

2) con quanti operai abbiamo svolto questo lavoro e che risultati ne abbiamo tratto;

 

Allegato 2

Abbiamo deciso di promuovere questa campagna propaganda per alzare la bandiera della ricostruzione del partito tra la classe operaia e le masse popolari.

Non per questo ci dimentichiamo di valorizzare un importante passo fatto nella scorsa campagna che consiste nella riuscita del primo tentativo di fusione di forze rivoluzionarie presenti nel nostro paese. Questo importante passo avanti nel processo di ricostruzione del partito va necessariamente valorizzato e propagandato tra tutti i compagni dell’organizzazione, tra i candidati e tra gli stretti e fidati collaboratori. Valutiamo per il momento di non propagandare all’esterno (e cioè tra le forze soggettive) questo passo. Da una parte questo passaggio necessita di un periodo di verifica e consolidamento nel lavoro dei prossimi mesi, dall’altra occorre sviluppare il lavoro di inchiesta sulle forze soggettive seriamente intenzionate a sviluppare il lavoro di ricostruzione del partito così come lo abbiamo impostato. Quest’ultimo sarà uno degli impegni del lavoro ordinario che il comitato politico e la redazione del giornale esamineranno. Pertanto invitiamo gli organismi locali e i compagni dell’organizzazione a centralizzare suggerimenti e proposte in merito.

Organizzazione per il Partito comunista politico-militare.

Organizzazione per il Partito Comunista politico militare

gennaio 2004