Tutti gli articoli di curatore

Incursione nella sede della Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (Napoli 25 ottobre 1974)

Oggi 25 ottobre 1974 un gruppo di compagni dei Nuclei Armati Proletari ha fatto irruzione nella sede dell’U.C.I.D. (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) in via Medina 40. La sede è stata perquisita e sono stati requisiti registri e schedari con i nomi degli aderenti e dei dirigenti di questa organizzazione.

L’esame del materiale sequestrato ci permetterà di smascherare completamente il ruolo di questa organizzazione confermando le informazioni che sono già in nostro possesso.

L’U.C.I.D. è l’organizzazione dei dirigenti industriali più strettamente legati al potere democristiano che svolge un ruolo continuo di direzione politica e orientamento ideologico con conferenze riservate, riunioni, diffusioni di circolari, documenti di analisi completi e indicazioni politiche. Tanto per dare un’idea del calibro dei personaggi relatori abituali delle conferenze dell’U.C.I.D sono Vito Scalia e Alberto Boyer presidente dell’Associazione sindacale Intersind.

L’U.C.I.D. è particolarmente importante a Napoli e in Campania, zone in cui il potere economico è totalmente legato al carro democristiano, dopo il periodo laurino.

Nell’attuale situazione politica in cui si lancia un attacco assai duro al potere ed alle condizioni di vita dei proletari il ruolo di organizzazioni come l’U.C.I.D. viene ancora accresciuto.

All’attacco dei padroni i compagni stanno rispondendo in tutta Italia con la lotta dura a tutti i livelli nelle fabbriche e nei quartieri con le forme di lotta violenta che la situazione richiede: azione nei supermercati a Milano per difendere il livello di vita della classe operaia; azione alla Face Standard contro la cassa integrazione e l’imperialismo americano; le esplosioni e i messaggi registrati davanti alle carceri e lo scontro a fuoco di Robbiano di Mediglia contro le forze repressive dello Stato.

All’accusa di terrorismo isolato lanciata dai padroni e dai riformisti risponde il numero di queste azioni e l’ampiezza del fronte di lotta che investono.

 

CREARE, ORGANIZZARE POTERE PROLETARIO ARMATO

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO

NUCLEI ARMATI PROLETARI
NUCLEO FIORENTINO

 

Fonte: Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione

 

 

 

 

Intervista ai compagni dei NAP

È da tempo che sull’attività dei compagni che danno vita a nuclei armati proletari, il potere borghese ha scatenato una collaudata campagna di calunnia di diffamazione e di terrorismo; la stampa padronale e parafascista ha assunto in questa operazione una parte di notevole rilievo.

Più volte a questi squallidi figuri si sono affiancati compagni che avendo troppo bene imparato il mestiere di giornalista, preferiscono confrontarsi con le veline delle questure piuttosto che con le esigenze reali del movimento rivoluzionario.

Troppe volte si sono ignorate le vittorie ottenute con queste iniziali esperienze di lotta armata in Italia.

Troppe volte ci si è allineati agli sciacalli borghesi e riformisti nel diffamare ed insultare i compagni caduti combattendo.

Troppe volte si sono montate pretese vittorie degli sbirri di ogni arma preferendo ignorare la reale forza e la reale portata politica che la generalizzazione di esperienze di lotta armata riveste nella crescita del movimento rivoluzionario.

La scelta di rendere pubblici alcuni documenti elaborati dai compagni del nucleo “29 ottobre” non rientra assolutamente in una logica di propaganda e la scelta dei diversi giornali cui sono stati inviati ha logicamente motivazioni differenti.

Oltre ai comunicati che hanno accompagnato le azioni portate a termine, questi documenti tendono a chiarificare ancora meglio le posizioni dei compagni dei nuclei armati proletari.

Chi ancora preferirà muoversi sulle veline delle questure o sulle confidenze dei “corpi separati” si sarà assunto oggettivamente il ruolo che preferisce.

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO

CREARE ED ORGANIZZARE 10 100 1000 NUCLEI ARMATI PROLETARI

Nucleo Armato “29 Ottobre”

Come sono nati e che scopi si propongono i Nuclei Armati Proletari?

I NAP sono nati da precise esperienze di massa in vari settori, che hanno spinto alcuni compagni a porsi completamente il problema della clandestinità. Per noi clandestinità significa conquistare strutture politiche e organizzative che ci mettano in grado di sviluppare e consolidare tutte quelle esperienze di lotta violenta illegale che sono state e sono un momento centrale per la crescita della autonomia proletaria e dell’alternativa rivoluzionaria nello scontro di classe in Italia, oggi.

Per lotta violenta illegale intendiamo sia esperienze di massa quali l’occupazione della FIAT, San Basilio, le giornate di aprile a Milano; sia la lotta condotta da avanguardie armate clandestine che autonomamente compiono tutte quelle azioni che, pur rispondendo a profonde e generalizzate esigenze del movimento rivoluzionario, in una fase come quella attuale, che secondo noi non si può considerare pre-insurrezionale, non è possibile organizzare a livello di massa. Queste sono per noi le punte emergenti di una pratica politica quotidiana, di una vera e propria prassi alternativa che in questi anni si è diffusa in Italia a un livello abbastanza di massa e rappresenta un primo abbozzo di un programma comunista generale.

Per noi l’unico terreno di crescita comune e omogeneizzazione è stato la costruzione di esperienze di lotta armata la cui continuità è stata garantita da una continua crescita organizzativa che è stata un momento essenziale del nostro sviluppo.

È questo l’unico terreno su cui è stato possibile realizzare al nostro interno un livello di unità non formale. Gli sviluppi delle varie esperienze hanno portato alla creazione di nuclei di compagni che agiscono in luoghi e situazioni diverse in maniera totalmente autonoma e che conservano tra di loro un rapporto organizzativo e di confronto politico.

Noi vediamo la sigla “NAP” non come firma che caratterizza una organizzazione con un programma complessivo, ma come una sigla che sintetizza i caratteri propri della nostra esperienza. Per definire ancora meglio l’autonomia dei vari nuclei, i compagni che hanno risposto a queste domande hanno firmato le loro azioni “Nucleo Armato 29 Ottobre”.

Quali rapporti si hanno o si vogliano avere con organismi di massa non clandestini?

Secondo noi oggi in Italia ci si può organizzare ed agire efficacemente in maniera non clandestina. Bisogna però tenere ben presente che la durezza e la violenza dello scontro di classe richiedono da parte di tutti i compagni rivoluzionari in qualunque settore della società essi operino, la coscienza della necessità da parte loro della costruzione di livelli di clandestinità che li mettano in grado non solo di resistere alla repressione che li colpirà ma anche di praticare efficacemente e con il massimo di sicurezza possibile le forme di lotta illegali e violente che il loro lavoro di massa, qualunque esso sia, necessariamente richiede e richiederà.

I rapporti che noi abbiamo con compagni non clandestini, da una parte vogliono mettere a loro disposizione gli strumenti pratici e teorici che ci vengono dalla nostra esperienza di clandestinità, dall’altra ci servono per trovare, attraverso un confronto il più ampio possibile con compagni rivoluzionari esterni nuove forze alle nostre azioni, nuovi obiettivi da colpire, elementi che affrettino lo sviluppo della nostra esperienza e quindi del movimento rivoluzionario di cui poi siamo una componente.

Naturalmente questi rapporti assumono varie forme dipendendo:

  1. a) dal reale livello di illegalità richiesto dalla situazione in cui operano i compagni con cui ci confrontiamo;
  2. b) dalla maturità con cui essi affrontano il problema della clandestinità con tutti i rischi che vi sono legati per loro e per noi;
  3. c) dalla nostra capacità di misurarci realmente con il livello della lotta di classe nei vari settori con cui entriamo in contatto e di dare quindi un contributo non formale alla crescita del movimento rivoluzionario in quel settore.

Bisogna pure tenere presente che le esperienze e le situazioni di militanza in cui si agisce in Italia oggi hanno ancora caratteristiche abbastanza particolari per cui non è detto che i tempi e le forme della clandestinità che è necessario praticare siano omogenee tra di loro. Già oggi però alcuni momenti come le giornate di aprile a Milano costituiscono una scadenza per tutto il movimento nel suo complesso e quindi anche per noi. È cosi che va vista l’azione contro Filippo De Jorio, agente del STC e consigliere regionale DC da noi effettuata a Roma.

Il confronto pratico e teorico con i compagni esterni deve farci conseguire l’obiettivo di una reale unità d’azione in occasioni come queste sia per svilupparle al massimo livello possibile, sia per sperimentare nuove forme di azione e di organizzazione.

Che cosa avete da dire in merito al quadro che la stampa borghese neoriformista dà della vostra esperienza?

Per quanto riguarda la stampa borghese c’è da dire solo che essa assolve il suo compito di provocazione e calunnia contro le avanguardie rivoluzionarie meritandosi la paga dei padroni.

Alcuni giornalisti e giornali che non dimenticheremo hanno eseguito con particolare zelo questo compito; per quanto riguarda la stampa riformista e neo riformista, entrambi nella loro paura di perdere il cantuccio legale che si sono creati, in uno Stato dove la legalità è quella dei padroni sono abituate a gridare alla provocazione ogni qualvolta si trovano di fronte la violenza proletaria armata e tanto più, da veri sciacalli, quando si subiscono sconfitte.

Il ruolo di costoro (Avanguardia Operaia in testa) si configura oggettivamente come provocatorio. È il tempo che ciascuno si prenda le proprie responsabilità. Da una parte si sono calunniati i compagni caduti o arrestati, dall’altra, accettando in pieno e anzi arricchendo di particolari, inventati di sana pianta, le versioni che la polizia forniva delle nostre azioni, si è insinuato il sospetto di infiltrazioni per screditare una scelta e delle ipotesi politiche e i momenti organizzativi che ne derivano. Tutto questo facendo sfoggio di un atteggiamento professorale ed esperto su problemi della clandestinità, atteggiamento profondamente ridicolo per tutti i compagni che conoscono il passato di scaldasedie degli aspiranti consiglieri comunali Corvisieri e C. nonché le eroiche imprese dei vari “servizi d’ordine” a cominciare da quello di AO più noto come la “Brigata Lepre”.

I NAP si sono finora caratterizzati dalla perfetta conoscenza reciproca di tutti i militanti di ciascun nucleo che è politicamente e organizzativamente autonomo.

Attraverso la discussione e il lavoro politico comune si tende ad avere il massimo controllo reciproco sui singoli militanti e sulle strutture. Ciò non vuol dire che non si commettono errori tecnico-militari e di valutazione politiche su singole azioni.

Questi errori, pesantissimi da pagare sono difficili quando si pratica un terreno, quello della costruzione di una organizzazione clandestina su cui le esperienze sono enormemente limitate.

Noi rivendichiamo come nostro patrimonio gli errori commessi e riteniamo fondamentale risolverli: molte volte abbiamo pagato la nostra inesperienza e troppe sono pure le volte che abbiamo pagato anche la leggerezza dei compagni esterni alle nostre strutture sui quali non abbiamo avuto il controllo necessario.

Infine i compagni e specialmente quelli che si muovono o intendono muoversi nella clandestinità devono avere ben chiari il continuo rafforzamento qualitativo e quantitativo dell’apparato repressivo borghese e il costo politico, organizzativo, umano che questo comporta.

Ad ogni nostra azione noi ci rafforziamo politicamente e organizzativamente però ci scontriamo con una repressione più forte e raffinata.

In questa situazione è illusorio pensare di potere evitare gli errori e le sconfitte che possono anche essere fatali per questo o quel singolo nucleo.

La validità di una esperienza clandestina deve essere valutata solo per giudicare se si presenta o no come una componente del progetto complessivo che il proletariato rivoluzionario sta oggi elaborando in Italia.

In base a quale analisi e verso quali prospettive intendete agire?

Precisiamo innanzi tutto che secondo noi il movimento rivoluzionario in Italia non ha ancora raggiunto un livello e una generalizzazione tali da possedere una reale analisi che preveda sul piano tattico e strategico i tempi e le forme dello scontro di classe e un programma comunista articolato a tutti gli aspetti della società. Ci sono senz’altro alcuni punti fermi teorici e pratici che sono patrimonio del movimento rivoluzionario quali: il rifiuto del lavoro nella sua forma attuale, la lotta violenta alla oppressione capitalistica, il diritto a riappropriarsi del complesso della propria esistenza.

Più che di un programma teorico si tratta di un programma pratico che già ora viene posto in atto a livello di massa. Alcuni compagni che sono più coscienti ne vedono più chiaramente le implicazioni, altri ne hanno una coscienza teorica meno chiara ma la loro prassi politica non per questo è diversa. La dimensione di massa di questi fatti e il potenziale rivoluzionario che possono esprimere ci sembrano ampiamente dimostrati da decine di episodi particolari della lotta di classe in questi anni e dai momenti di lotta generale che ci troviamo di fronte.

Noi intendiamo all’interno di questo processo, di cui siamo una componente, sviluppare al massimo le nostre capacità di intervento sia pratico sia come contributo teorico sulla base della nostra esperienza.

L’aver portato felicemente a termine alcune operazioni negli ultimi tempi non ci fa pensare di essere invincibili.

La morte dei compagni Sergio, Luca, Vito, il pesante prezzo dei compagni arrestati e condannati spesso sulla base di prove false, con cui abbiamo pagato ogni minimo errore non sono cose che si possono sottovalutare.

Ma riteniamo di rispondere con la nostra azione e con le nostre esperienze a una reale esigenza della lotta di classe e di contribuire allo sviluppo del programma comunista.

Questo fatto e questa prospettiva giustificano i rischi che corriamo.

Lotta armata per il comunismo!

Creare organizzare 10 100 1000 NAP!

NUCLEO ARMATO 29 OTTOBRE

1975

Fonte, Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione

 

Rivendicazione azione contro Alfonso Noce

Oggi martedì 14 dicembre, alle ore 8,45, un nucleo armato dei NAP ha condotto un’azione di guerra tendente all’esecuzione del boia, capo dell’SDS del Lazio, Alfonso Noce, e con lui i suoi fedeli cani da guardia Renato Russo e Prisco Palumbo.

L’azione dal punto di vista militare è fallita per alcuni errori tecnici – militari fatti dai compagni che hanno condotto l’operazione.

Questi errori sono stati pagati con il fallimento dell’azione stessa e con la perdita del compagno combattente Martino Zichittella.

L’operazione contro il capo dell’SDS del Lazio è scaturita dalla necessità politica di attaccare lo Stato imperialista delle Multinazionali che oggi più che in passato sta accentuando la sua dittatura sulla classe operaia terrorizzandola con gli assassini e gli arresti di massa e con i licenziamenti.

L’SDS è il corpo di polizia speciale che da anni, agendo sotto sigle diverse si è distinto nella repressione più brutale delle avanguardie comuniste combattenti e del movimento in generale.

Questo processo terroristico vede impegnato in prima persona come ideatore il ministro di polizia Cossiga e quali esecutori materiali Santillo, Noce ed i vari capi di tale apparato poliziesco.

In particolare Noce è il mandante dell’assassinio della meravigliosa compagna Annamaria Mantini. Fu lui infatti ad armare la mano del killer di turno AntoninoTuzzolino facendo promessa di un avanzamento di grado, un premio in denaro e la copertura giudiziaria della magistratura.

Nel progetto terroristico dello Stato si inseriscono a fianco dell’SDS molti giudici e magistrati, poliziotti che forniscono una parvenza di legalità sugli omicidi coprendo le stragi, facendo sequestraree rinchiudere nei lager di Stato i compagni combattenti.

Contro questi porci che credono di poter svolgere la loro infame attività di carcerieri ed assassini come pensano di fare a Napoli al processo ai nostri militanti, va intensificata la lotta.

La Rivoluzione proletaria nonpuò essere giudicata in un tribunale dello Stato borghese.

Chiunque crede di poterlo fare si assicurerà non denaro o rapida carriera ma la condanna che il proletariato e le sue avanguardie riterranno più giuste.

Martino Zichittella, Sergio Romeo, sono compagni che sono maturati politicamente in carcere, sono la punta di diamante e punto di riferimento delle lotte dei detenuti e l’espressione più alta che il movimento stesso ha saputo esprimere negli ultimi anni. Martino in carcere, con la sua militanza è potuto essere un’avanguardia politico – militare complessiva preparando il 9 maggio 1975 l’operazione Viterbo – Di Gennaro con la quale portò l’Organizzazione a misurarsi in uno dei più alti livelli di scontro con lo Stato borghese e fascista. Solo dopo quell’esperienza poté preparare ad Agosto l’operazione di Lecce con la quale portò alla liberazione altri compagni e vari proletari.

In quest’ultima operazione le sue capacità politico militari sono state determinanti per la preparazione e l’esecuzione dell’azione stessa.

Ma, come già detto, la buona riuscita dell’azione è stata impedita da errori tecnici – militari.

Noce, Dell’Anno, Tuzzolino, la condanna a morte che i proletari hanno sentenziato è stata soltanto rinviata.

I proletari hanno tanta pazienza e lunga memoria.

 

ONORE AL COMPAGNO MARTINO MILITANTE COMUNISTA COMBATTENTE.

IL MITRA CHE TI È CADUTO ALTRE MANI LO HANNO GIA’ IMPUGNATO.

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO

PORTARE L’ATTACCO AL CUORE DELLO STATO

NUCLEO “29 OTTOBRE”

 

Dicembre 1976

A gran velocità!

L’inquinamento e la distruzione ambientale non sono una novità per nessuno. Alcune valli già deturpate dalla costruzione di autostrade e di linee ad alta tensione stanno per essere invase da un nuovo progetto del capitale: l’alta velocità ferroviaria (TAV). In Val Susa a partire dal 1995 si sono verificati una serie di sabotaggi contro i cantieri per la costruzione del TAV, contro ripetitori di Mediaset, Telecom e dei carabinieri. Tutte azioni di attacco per difendersi dalle devastazioni dei tecno-terroristi dello Stato-capitale.

Giovedì 5 marzo Edo, Silvano e Soledad sono stati arrestati con l’accusa di essere i responsabili degli attacchi in Val Susa. Contemporaneamente venivano perquisite e sgomberate tre case occupate a Torino e Collegno. Il giorno seguente durante un presidio sotto il Comune la polizia carica e, dopo gli scontri, arresta sette persone.

Abbiamo sempre guardato con simpatia coloro che senza aspettare le decisioni di politici e ambientalisti (contro solo a parole) si oppongono anche praticamente ai progetti di distruzione dell’ambiente e delle loro vite. Questo ci basta per essere vicini a chiunque possa aver compiuto questi atti, a maggior ragione essendo Edo, Sole e Silvano nostri amici. Sosteniamo questi compagni aggrediti dall’infamante campagna dei mezzi di informazione che li ha dipinti come criminali-terroristi.
Siamo orgogliosi di difendere e di essere al fianco di chi è accusato di azioni che ognuno di noi vorrebbe commettere.

Un abbraccio a Edo, Soledad e Silvano sequestrati dallo Stato italiano.

 

Anarchici del Canavese

Compañeros contro le nocività

4 Aprile 1998

 

 

Assassini – Volantino di varie realtà anarchiche e di movimento

EDOARDO MASSARI, “BALENO”, E’ MORTO.

Si é suicidato in una cella, alle Vallette.
Estrema ribellione contro la segregazione della propria vita, vissuta in ogni momento fuori e contro la logica imposta
dal meccanismo produci – consuma – crepa.
Baleno non ha piegato la testa di fronte a quella morte quotidiana che è il carcere, una cancrena che non avrebbe augurato nemmeno al peggior nemico.
Per noi Baleno è vivo per sempre.

TERRORISTI SIETE VOI:

amministratori e padroni del TAV
(Lorenzo Necci, Enzo Ghigo, Maurizio Cavagnaro, Luigi lavella…)

magistrati
(Maurizio Laudi, Fabrizia Pironti, Marcello Tatangelo…)

Ros, Digos e sbirri di ogni tipo
(Ferdinando Brizzi, Moscatelli, Adriano Casale, Silvano Ceccato, Andrea Battistini…)

Giornalisti e opinionisti vari
(Ezio Mascarino, Angelo Conti, Ludovico Poletto, Gianni Bisio, Emanuela Minucci, Gianfranco Bianco, Ettore Boffano, Meo Ponte, Giacomo Bramante, Giovanna Fauro, Giampiero Maggio, Marina Cassi, Gianni Vattimo, Lorenzo Mondo…)

politici tutti
cittadini silenziosi
con le vostre corse al colpevole, con le vostre gabbie dentro e fuori le carceri,
con il vostro tacito e “innocente” silenzio, il cappio al collo l’avete stretto voi!

Esigiamo l’immediata liberazione di Sole e Silvano, coimputati di Baleno e tuttora imprigionati.

D’ora in poi la vita in questo mondo di morti non sarà più la stessa, nemmeno per voi…

CORTEO
sabato 4 aprile a Torino ore 14 al ponte del Balon

La Casa Occupata, Asilo, Prinz Eugen, El Paso, Barocchio, Delta House, Alcova,
La Cascina, CSA Onda Occupata, Gabrio, CSA Murazzi, Askatasuna, Radio Blackout,
Anarchici Valdostani, Anarchici del Canavese, Anarchici Bolognesi, individualità

Per contatti 011-650.34.22 (fax 669.50.24), 011-317.41.07, 011-436.73.38
blackout@ecn.org elpaso@ecn.org zero@ecn.org

Una tra le mille risposte
TRANQUILLI… 1 APRILE 1998

Volantino rivendicazione azione in via Prati di Papa

Sabato 14 Febbraio l987, un nucleo armato della nostra Organizzazione ha espropriato un furgone portavalori delle poste, nel corso dell’azione la scorta armata è stata neutralizzata ed è stata requisita una pistola in dotazione agli agenti.

Per un’Organizzazione Comunista Combattente che si pone correttamente alla testa dello scontro di classe perseguendo gli interessi strategici del proletariato – la conquista del potere politico – l’esproprio è l’unico mezzo per finanziare il programma rivoluzionario; l’esproprio è altresì il mezzo più coerente poiché prefigura la totale espropriazione da parte del proletariato dei mezzi di produzione in mano alla borghesia, il problema dell’autofinanziamento è quindi elemento politico e strategico dell’attività rivoluzionaria ed è su questo piano che le Brigate Rosse per la costruzione del PCC l’hanno sempre affrontato, perciò abbiamo deliberatamente scelto le modalità d’intervento con cui abbiamo operato, salvaguardando la vita dei civili e risparmiando la vita all’agente che si è arreso.

Una scelta politica la nostra calibrata all’andamento dello scontro, scontro di classe che può subire arretramenti, permettere alla borghesia di dettare da posizioni di forza le “regole del gioco” cambiandole a suo vantaggio ma che non azzera il patrimonio storico della qualità dello scontro di classe che si è prodotto in Italia. In altri termini: la strategia della Lotta Armata, 17 anni di prassi rivoluzionaria, dialettizzandosi con le istanze più mature dell’autonomia di classe, hanno determinato il percorso strategico per dare soluzione alla questione del potere.

Per questo i piani per demotivare politicamente e socialmente la strategia della Lotta Armata messi in atto dallo Stato e dai suoi più o meno illustri fiancheggiatori post-moderni devono fare i conti con questo dato di fatto; così come l’aspetto complementare di questa politica, vale a dire il tentativo di strumentalizzare la Lotta Armata con interventi preordinati al fine di inserirsi nelle contraddizioni del movimento rivoluzionario è destinato ad infrangersi, nonostante gli sforzi fatti dai portavoce della borghesia, il duo Scalfaro-Parisi, tramaioli di vecchia data. A questi signori ricordiamo che queste elucubrazioni maturate nei vari covi della borghesia non sono che velleità; lo scontro politico tra le classi non è pianificabile a tavolino.

Tutti coloro che si uniscono al coro del “canto del cigno” sulla strategia della Lotta Armata sappiano chiaramente che i proventi dell’esproprio saranno investiti con il rigore rivoluzionario che ci ha sempre contraddistinto.

Oggi la borghesia parla di stabilità politica, di paese pacificato, decanta i successi economici e pone sul piano internazionale il rilancio della sua collocazione nella catena imperialista. Di fatto “l’azienda Italia” ha operato le fasi più salienti della ristrutturazione economica, adeguandosi al profondo salto tecnologico nella produzione, pena la perdita di posizioni nelle quote di mercato internazionale.

La borghesia imperialista nostrana incalzata dall’andamento della crisi economica, dal carattere recessivo dell’economia mondiale ha intrapreso un riadeguamento complessivo che partendo dalla produzione ha comportato e comporta una rifunzionalizzazione di tutti gli aspetti sovrastrutturali a partire dalle relazioni industriali fino alla razionalizzazione delle funzioni dello Stato.

Quello che si è verificato e si sta verificando è il risultato di un lungo scontro politico-sociale che si è risolto, allo stato attuale, con l’arretramento delle posizioni politiche e materiali della classe, ciò è stato ottenuto attraverso un attacco articolato che per proporzioni e dinamiche ha assunto carattere di vera e propria controrivoluzione. Questa ha attraversato orizzontalmente tutta l’autonomia politica di classe che si era sviluppata principalmente intorno alla strategia politico-militare delle Brigate Rosse; infatti l’attacco ha investito sia le avanguardie rivoluzionarie che quelle di classe, ridimensionando paradossalmente anche le rappresentanze istituzionali della classe. La borghesia sta rideterminando ulteriormente attraverso rotture nei rapporti di forza, tutti i termini delle relazioni fra Le classi, dalla contrattazione della forza lavoro agli aspetti più generali del rapporto politico tra classe e Stato riformulando in ultima istanza il modo di governare il conflitto di classe, il carattere stesso della mediazione politica tra te classi, allo scopo di consentire il relativo contenimento delle dinamiche antagoniste.

L’accentramento dei poteri nell’Esecutivo, la ridefinizione di “nuovi” strumenti di governo delle contraddizioni sociali, quali fra gli ultimi la staffetta – esperimento di democrazia matura ad hoc – non sono beghe interne alla borghesia, ma sono strettamente legati ai modi e ai tempi per determinare le condizioni politiche e materiali della classe. È dentro a questa nuova fase politica che operiamo per il rilancio fattivo dello scontro rivoluzionario apertosi a suo tempo nel nostro paese, e che costruiamo il riadeguamento teorico-politico-corganizzativo per essere direzione effettiva del movimento di classe e delle sue espressioni più avanzate dando così prospettiva strategica alla questione del potere.

Asse d’intervento strategico delle Brigate Rosse è l’attacco al cuore dello Stato, inteso come attacco alle politiche dominanti nella congiuntura che oppongono il proletariato alla borghesia, attacco che mira a rompere gli equilibri politici che fanno marciare i programmi della borghesia imperialista rendendone ingovernabili le contraddizioni. L’intervento politico-militare è calibrato da un lato all’andamento dello scontro di classe, dei rapporti di forza tra le classi nel paese e del movimento rivoluzionario; dall’altro ciò si misura sul rafforzamento delle forze rivoluzionarie in modo dà renderle sempre più capaci di attestarsi in modo adeguato allo scontro col nemico di classe, con l’imperialismo. Lavoriamo quindi alla modificazione dei rapporti di forza per assestarli in favore del campo proletario, affinché possano pesare nello scontro contro lo Stato e dare propulsione alla guerra di classe di lunga durata per la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura del proletariato.

Se questi sono i caratteri interni dell’attuale fase politica, la sua maturazione è informata dai cambiamenti intervenuti nel contesto internazionale che influiscono sulle scelte dei vari Stati della catena imperialista.

L’acutezza della crisi determina per l’imperialismo la necessità di una ridefinizione generale della divisione internazionale del lavoro e dei mercati tale da permettere un nuovo ciclo espansivo dell’economia capitalistica. L’approfondimento tecnologico e nell’organizzazione del lavoro con la conseguente concentrazione finanziaria determina un’aspra concorrenza fra i gruppi monopolistici-multinazionali dell’occidente; questi fattori però non sono in grado di dare superamento alla grave crisi recessiva mondiale, anzi nelle attuali condizioni questi dati provocano il loro opposto!

La sovrapproduzione di capitali non fa che aumentare i fattori di instabilità nell’economia mondiale. In sintesi il piano economico a questo stadio della crisi non è in grado di riequilibrare gli scompensi in atto, la necessità di dare soluzione alla crisi si sposta sul piano politico, poiché una ridefinizione complessiva dei mercati necessita di una nuova ripartizione delle zone d’influenza e di un nuovo assetto nelle relazioni tra i blocchi.

Nelle intenzioni dell’imperialismo ciò significa la volontà di ridimensionare il blocco Sovietico e di ricondurre nell’orbita occidentale tutti quei paesi che vi si sono sottratti attraverso percorsi di liberazione nazionale. È all’interno dell’acuirsi della contraddizione Est/Ovest che trovano convergenza le politiche imperialiste del blocco occidentale, pur fra i diversi interessi e contraddizioni che l’attraversano.

Le forzature statunitensi nell’area mediorientale hanno posto le condizioni di un passaggio in avanti della politica imperialista, coagulando in senso filo atlantico le varie iniziative dei paesi del blocco. In altri termini superata, come elemento trainante, la politica dei bombardamenti terroristici si apre una fase in cui l’iniziativa politico-diplomatica fa da battistrada ad una strategia globale tesa ad assestare alleanze ed equilibri politici favorevoli all’occidente, di cui gli europei si fanno carico pur dentro a laceranti contraddizioni provocate anche dalle batoste sul campo.

L’Esecutivo nostrano è perfettamente allineato a questa strategia guerrafondaia con un proprio ruolo attivo. Questo attivismo diventa elemento di ulteriore razionalizzazione nel processo dl accentramento dei poteri, in quanto tale pesa anch’esso sui rapporti di forza generali. In questo contesto l’antimperialismo è problema politico prioritario per ogni forza rivoluzionaria che combatte, non solo perché è posto dalle condizioni oggettive dell’aggravamento della tendenza alla guerra, ma principalmente perché posto soggettivamente dalle forze rivoluzionarie combattenti e dai popoli progressisti che lottano per sottrarsi al giogo imperialista.

La questione dell’antimperialismo, nel suo maturarsi come problema politico immanente non può essere risolto solo come problema solidaristico o rimandato in termini libreschi ad un “indeterminato” internazionalismo proletario. Esso deve trovare la sua prassi rivoluzionaria in una proposta politico-organizzativa adeguata ad impattare con le politiche imperialiste. Per questo lavoriamo al consolidamento del Fronte Combattente antimperialista.

L’opportunità politica del Fronte è problema di una politica concreta e può essere attuabile in determinate condizioni, ma per essere affrontata necessita da parte dei comunisti di un atteggiamento politico che pur nella saldezza dei propri principi, abbia la flessibilità necessaria per ricercare il massimo d’unità possibile; in altri termini una reale politica d’alleanze non passa attraverso la mercificazione dei principi e delle finalità dei comunisti: politica d’alleanze e finalità dei comunisti sono due termini che non si escludono, ma vivono un rapporto programmatico.

La praticabilità di una politica d’alleanze è determinata dell’analisi concreta della situazione concreta, cioè riferita alle dinamiche della crisi e della tendenza alla guerra, alla controrivoluzione e alle forze rivoluzionarie presenti, attive o attivabili in senso progressista ma soprattutto alla sua funzione nei confronti del nemico comune; e questo perché oggi sviluppare il processo rivoluzionario nel proprio paese non può prescindere dall’indebolimento politico militare dell’imperialismo nell’area, ossia si rende necessaria una politica d’alleanze fra le diverse forze rivoluzionarie che oggi combattono l’imperialismo, affinché operino questo indebolimento.

In questo senso l’obbiettivo politico del Fronte è parte del programma comunisti. La politica d’alleanze che ci riguarda si pone quindi all’interno della più ampia politica antimperialista da noi praticata; alleanza che deve relazionarsi con forze rivoluzionarie che possono essere caratterizzate da criteri e finalità diverse dalla conquista proletaria del potere, la cui unità politica nell’alleanza è data dalla lotta al nemico comune e la sua concretizzazione nei livelli d’unità e cooperazione raggiungibili.

È chiaro che il Fronte non è lo stadio inferiore dell’Internazionale, ma lavorare per il Fronte non preclude la ricerca dell’unità dei comunisti.

L’attività della guerriglia in Europa che pur nella specificità ha come denominatore comune l’attacco all’imperialismo USA e alla NATO, trova convergenza obiettiva con le lotte dei popoli progressisti della regione mediorientale mediterranea.

La prassi combattente di R.A.F. e A.D. per la promozione del Fronte, segna un’importante tappa politica alla quale ci rapportiamo; tale prassi pone una convergenza oggettiva che è la base politica, in termini più generali, per il rafforzamento e consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista.

È su questi termini di programma e sulla strategia della Lotta Armata che trova concretezza la parola d’ordine dell’unità dei comunisti per la costruzione del Partito Comunista Combattente.

 

ATTACCARE IL CUORE DELLO STATO NELLE SUE POLITICHE DOMINANTI!

RAFFORZARE IL CAMPO PROLETARIO PER ATTREZZARLO ALLO SCONTRO CONTRO LO STATO!

GUERRA ALL’IMPERIALISMO! GUERRA ALLA NATO!

PROMUOVERE E CONSOLIDARE IL FRONTE COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA – LOTTARE INSIEME!

ONORE A TUTTI I COMPAGNI CADUTI!

 

per il Comunismo BRIGATE ROSSE
per la costruzione del P.C.C.

 

Febbraio 1987

Testo comune Raf Br-Pcc

Il salto ad una politica di Fronte è necessario e possibile per le forze combattenti allo scopo di incidere adeguatamente nello scontro. Per questo bisogna battere e superare tutte le impostazioni ideologiche e dogmatiche che esistono oggi dentro le forze combattenti e il movimento rivoluzionario in Europa occidentale, poiché le posizioni dogmatiche ed ideologiche dividono i combattenti. Queste posizioni non sono in grado di portare le lotte e l’attacco al livello necessario di incisività politica. Le differenze storiche di percorso e di impianto politico di ogni Organizzazione, differenze (secondarie) di analisi, ecc., NON POSSONO E NON DEVONO essere di impedimento alla necessità di lavorare ad unificare le molteplici lotte e l’attività antimperialista in un ATTACCO COSCIENTE E MIRATO al potere dell’imperialismo. NON SI TRATTA di fondere ciascuna Organizzazione in un’unica organizzazione. Il Fronte in Europa occidentale si sviluppa INTORNO ALL’ATTACCO PRATICO, in un processo cosciente e organizzato in cui si maturano successivi momenti di unità tra le forze combattenti. Perché organizzare il Fronte Combattente Rivoluzionario significa organizzare l’attacco, non si tratta di una categoria ideologica, né tanto meno di un modello di rivoluzione.

Si tratta invece di sviluppare la forza politica e pratica per combattere adeguatamente la potenza imperialista, per approfondire la rottura nelle metropoli imperialiste e per il salto qualitativo della lotta proletaria. La nostra esperienza comune dimostra come sia possibile SULLA BASE DI UNA SCELTA SOGGETTIVA lavorare allo sviluppo del Fronte nonostante l’esistenza di contraddizioni e differenze, ma malgrado queste nel lavoro insieme non abbiamo MAI perso di vista l’elemento unitario dell’attacco all’imperialismo. L’Europa occidentale è il PUNTO CARDINE nello scontro tra proletariato internazionale e borghesia imperialista.
L’Europa occidentale per le sue caratteristiche storiche, politiche, geografiche è la parte dove si incontrano le tre linee di demarcazione: classe/Stato; Nord/Sud; Est/Ovest.
L’inasprimento delle crisi del sistema imperialista, l’abbassamento del potenziale economico USA, sono il motivo principale che insieme ad altri fattori determinano una perdita relativa del peso politico degli USA. Questi fattori comportano un avanzamento (sviluppo) del processo di integrazione economico, politico, militare del sistema imperialista. In questo contesto e per le ragioni sopraddette LA FUNZIONE dell’Europa Occidentale nel governo della crisi cresce d’importanza:
SUL PIANO ECONOMICO: l’Europa occidentale sviluppa un piano concertato di politiche economiche di sostegno e ammortizzamento delle contraddizioni economiche all’interno del governo della crisi dell’imperialismo.

SUL PIANO MILITARE: forzature verso una maggiore integrazione politico-militare nell’ambito dell’Alleanza Atlantica (NATO), sia con piani politici, economici di riarmo all’interno della nuova strategia militare imperialista nei confronti dell’Est, sia con un intervento politico e militare integrato contro i conflitti che si inaspriscono nel terzo mondo, principalmente verso l’area di crisi mediorientale.

SUL PIANO CONTRORIVOLUZIONARIO: la riorganizzazione ed integrazione degli apparati di polizia e dei servizi segreti contro lo sviluppo del Fronte rivoluzionario, contro le attività rivoluzionarie e contro l’estensione e l’inasprimento dell’antagonismo di massa. Riorganizzazione ed integrazione che si avvale di precisi interventi politici contro la guerriglia, come ad esempio i progetti di soluzione politica che stanno avvenendo in vari paesi europei.
SUL PIANO POLITICO/DIPLOMATICO: i progetti di soluzione negoziata dei conflitti al fine di consolidare le posizioni di forza imperialiste. Questa attività politico-diplomatica ha anche la funzione di rafforzare i processi di coesione politica dell’Europa occidentale nel quadro integrato dell’imperialismo.

Questi piani si intrecciano tra loro e concorrono alla coesione politica dell’Europa occidentale, un movimento dal quale nessun paese dell’Europa occidentale è escluso. Un dato questo da cui NESSUNA forza rivoluzionaria combattente può prescindere nella propria attività rivoluzionaria.
È da questi elementi politici di fondo che il Fronte nell’Europa occidentale si rende possibile e necessario.
I livelli di controrivoluzione maturati storicamente dall’imperialismo hanno modificato sostanzialmente il rapporto di scontro tra imperialismo e forze rivoluzionarie.
Ciò significa in primo luogo avere coscienza dell’AUMENTATO PESO DELLA SOGGETTIVITÀ come dato generale dello scontro di classe, avere coscienza cioè che il terreno rivoluzionario non è il semplice riflesso delle condizioni oggettive.
L’attacco del Fronte è contro i progetti strategici attuali della coesione politica/economica/militare dell’Europa occidentale allo scopo di indebolire il sistema imperialista per provocare la crisi politica.

La nostra offensiva comune è mirata: è mirata:

CONTRO:
la formazione delle politiche economiche e finanziarie dell’Europa occidentale, che all’interno della catena imperialista sono concepite per armonizzare e sostenere l’acutizzarsi dell’erosione economica.
Queste politiche in concertazione con quelle di USA, e Giappone fanno solo gli interessi delle banche, dei consorzi, delle multinazionali ed hanno una duplice funzione:
– dettare le condizioni della realtà dei paesi in cui operano;

– impedire la rottura del sistema finanziario internazionale.

Tutto ciò sulla pelle dei popoli metropolitani e del terzo mondo.

CONTRO:
le politiche di coesione dell’Europa occidentale che sono tese al rafforzamento delle posizioni dell’imperialismo, che attualmente intervengono per stabilizzare l’area mediorientale sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.

– L’ATTACCO UNIFICATO CONTRO LE LINEE STRATEGICHE DELLA COESIONE DELL’EUROPA OCCIDENTALE DESTABILIZZA LA POTENZA DELL’IMPERIALISMO.
– ORGANIZZARE LA LOTTA ARMATA NELL’EUROPA OCCIDENTALE.

– COSTRUIRE L’UNITA’ DELLE FORZE COMBATTENTI SULL’ATTACCO:

ORGANIZZARE IL FRONTE COMBATTERE INSIEME.

Settembre 1988

ROTE ARMEE FRAKTION
BRIGATE ROSSE
PER LA COSTRUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE

 

Fonte: www.bibliotecamarxista.org

Rivendicazione congiunta con la RAF dell’azione contro Hans Tietmeyer

Le Brigate Rosse per il P.C.C. rivendicano congiuntamente alla RAF l’attacco a Hans Tietmeyer sottosegretario alle finanze della RFT e uomo-chiave delle decisioni politiche e degli indirizzi economici concertati dai paesi imperialisti dell’Europa occidentale.

L’offensiva portata su base politica unitaria contro le politiche di coesione dell’Europa occ. esprime l’avanzamento compiuto dalle B.R. e dalla RAF nella costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista ed apre in termini concreti una nuova fase di sviluppo della strategia rivoluzionaria in quanto sostanzialmente qualifica un più maturo carattere dell’internazionalismo proletario. La “politica di alleanze” attesta le Forze Rivoluzionarie antimperialiste su un piano più adeguato ad impattare con l’imperialismo; i passaggi realizzati dalla RAF e dalle B.R. pongono basi più mature per l’ulteriore sviluppo di una proposta politico/militare/organizzativa che unifichi in una linea di attacco comune contro l’imperialismo le Forze Rivoluzionarie combattenti antimperialiste.

La proposta politica del Fronte nasce e si sviluppa a partire dall’unità d’intenti delle Forze Rivoluzionarie dell’Europa occ., e questo sia per la rilevanza strategica che l’Europa assume negli interessi dell’imperialismo, sia per le contraddizioni che, a partire dal cuore del sistema imperialista, investono in forma diversa tutta la catena. Obbiettivo generale perseguito all’interno di una “politica di Fronte” è l’indebolimento e il ridimensionamento dell’imperialismo.

L’interesse generale delle Forze Rivoluzionarie che combattono l’Imperialismo è favorire rotture rivoluzionarie, siano esse di rivoluzione proletaria o di liberazione nazionale. Infatti, il grado raggiunto di integrazione e interdipendenza economica dei paesi della catena imperialista, esprime i livelli di coesione politica e militare che si sono attestati, rendono vitale per l’imperialismo ogni angolo del mondo, tanto da rendere impraticabile il distacco di un anello della catena al di fuori di una condizione generale di instabilità e debolezza del sistema imperialista nel suo complesso.

Questo interesse comune tra tutte le Forze Rivoluzionarie antimperialiste è dato oggettivo ancor prima che soggettivo e pone le condizioni politiche per proporre e praticare una “politica di alleanze”.

Per le B.R. per il P.C.C. la costruzione e il consolidamento del F.C.A. si pone all’interno di una più ampia politica antimperialista praticata, costituendone altresì un livello più avanzato nell’affermazione concreta di un salto avvenuto in termini qualitativi nella lotta proletaria e rivoluzionaria. I temi centrali della pratica antimperialista non possono che ruotare a questo livello di maturazione raggiunto dall’imperialismo, intorno al rafforzamento di una “politica di alleanze” che tenda a costruire, con le Forze antimperialiste combattenti in quest’area geopolitica (Europea, Mediorientale, Mediterranea) la forza politica e pratica per attaccare il nemico comune.

Lo sviluppo del F.C.A. deve tendere all’obbiettivo irrinunciabile di realizzare offensive comuni contro le politiche centrali dell’imperialismo. Il raggiungimento dell’obbiettivo si consegue attraverso la costruzione di successivi momenti di unità. L’attività di attacco all’Imperialismo non può che seguire il criterio politico secondo cui la “politica di Fronte” non deve essere impedita dalle particolarità di analisi o dalla concezione politica delle diverse forze che vi contribuiscono. Non si tratta di fondere ciascuna Organizzazione in un’unica organizzazione, ma di stringere l’unità raggiungibile nell’attacco pratico nell’interesse e negli obbiettivi comuni. È quindi chiaro che i percorsi specifici di ogni Forza Rivoluzionaria antimperialista non devono essere posti come discriminanti all’agire del Fronte.

È questa consapevolezza che ha consentito alla R.A.F. e alle B.R. di costruire i presupposti per un salto in avanti, sia nella costruzione/consolidamento del F.C.A. sia per una definizione maggiormente adeguata della proposta politica che il Fronte incarna, così da uscire dalle secche del genericismo. La svolta decisiva è l’approdo ad un testo comune che individua nelle (…) direttrici principali, le linee di attacco su cui attualmente si realizza la politica di Fronte.

È stata l’attività concreta e pratica a sostanziare il salto di qualità avvenuto, sono gli obbiettivi individuati e il realismo nell’impostazione della “politica di Fronte” a qualificare il valore della proposta, il suo portato strategico che va oltre l’unità momentaneamente raggiunta: essa apre nuove prospettive di sviluppo al F.C.A. L’intento è favorire il più vasto schieramento combattente contro l’imperialismo al fine di ricomporre nell’attacco comune l’unità che già esiste sul piano oggettivo tra cui le lotte del centro imperialista e i movimenti di liberazione nella periferia.

Le direttrici principali su cui il Fronte articola l’attività antimperialista combattente fanno riferimento alle politiche di coesione tese a compattare i paesi dell’Europa occ. all’interno degli interessi del blocco. Questo costituisce il cuore dei progetti dell’imperialismo, passaggio essenziale della più generale strategia imperialista che tende alla realizzazione di un maggior grado di compattamento e di responsabilizzazione dei vari paesi della catena.

Una strategia che nasce si approfondisce in relazione all’acutizzarsi dalla crisi economica che è il prodotto di successive forzature e del collimare del reciproco interesse generale della catena imperialista dentro un quadro politico internazionale che vede una polarizzazione di interessi e campi contrapposti.

Le politiche di coesione si dispiegano su tre fronti principali: sul piano delle politiche economiche, sul piano politico-diplomatico, sul piano controrivoluzionario.

– Il piano delle politiche economiche comprende la concertazione in ambiti sovranazionali (FMI, BM, CEE, ecc.) dei termini generali di governo dell’economia. Misure concertate di supporto all’ambito capitalistico, di sostegno alle formazioni monopolistiche e al movimento finanziario vengono elaborate come risposte controtendenziali agli effetti della crisi economica.

Il principale piano controtendenziale che si afferma a fronte della recessione generalizzata è, ad un certo stadio della crisi, il ricorso allo speciale stimolo del riarmo. Il ricorso a questo “stimolo economico” è il reale indicatore dell’avanzamento della tendenza alla guerra. Si caratterizza cioè lo stadio economico più vicino allo sbocco bellico. Infatti, per le caratteristiche economiche che racchiude, ha in sé tutte le condizioni per provocare una bancarotta finanziaria; la sua efficacia temporanea é relativa al solo immobilizzo di ingenti quote di capitale finanziario eccedenti che trovano impiego nella ricerca sulle nuove tecnologie da applicare nel campo militare.

Sono gli USA che, in quanto polo economico e finanziario dominante, hanno imboccato la scelta del riarmo come “volano” dell’economia. Il grado di integrazione economica esistente tra i paesi della catena imperialista fa sì che ogni movimento economico di rilievo si ripercuote e condiziona le scelte dei paesi della catena. Per questo le scelte degli USA tendono a configurarsi come il piano controtendenziale della catena imperialista.

In Europa occidentale il riarmo non è ancora una politica economica affermata, stante il grado di profondità raggiunto dalla crisi economica e quindi la possibilità di mettere in atto diverse politiche controtendenziali; ma si prefigura già come tendenza. I passaggi di maturazione della tendenza al riarmo in Europa occ. si stanno realizzando non tanto a livello nazionale, dei singoli paesi, quanto su un piano di concertazione e cooperazione europea causa il livello finanziario necessario. Questo dato prefigura un più elevato e maturo livello di coesione politica ed economica centralizzato in sede NATO. Ed è proprio questo l’elemento più importante. L’accresciuta importanza della NATO come momento di concertazione politica multilaterale che implica un maggiore impegno europeo tutto in chiave filo-atlantica, cioè strettamente vincolato agli USA e sotto le sue direttive generali.

– È sul piano politico-diplomatico che si esprime l’aspetto principale della coesione politica in Europa occ. La funzione della “diplomazia europea” si svolge nell’ambito dell’area geopolitica Mediterranea-Mediorientale con l’intento di ricucire e sancire le forzature operate dagli USA nella fase precedente. Nel passato le forzature militari operate hanno definito l’indirizzo politico su cui doveva vertere il riallineamento delle politiche europee all’interno della più complessa strategia NATO nell’area, ridefinendo ruoli, compiti e responsabilità.

L’attività politico-diplomatica europea non si pone in alternativa ai bombardamenti e alle invasioni militari operate dagli USA e da Israele, ma è complementare, e tesa a “normalizzare” la regione Mediorientale con iniziative di ricucitura e di supporto al piano generale di stabilizzazione di rapporti di forza più favorevoli al blocco imperialista. La “stabilizzazione” è prodotto di una necessità politica generale di chiudere i conflitti regionali per ridefinire, dentro il quadro internazionale mutato, l’egemonia politico-militare dei paesi imperialisti, imponendo rapporti di preminenza e di forza negli equilibri Est/Ovest.

Il piano Schultz/Shamir corrisponde a questa necessità in quanto progetto politico complessivo tendente a dare soluzione al conflitto arabo-israeliano. È il pilastro-base attorno al quale ruotano tutte le altre proposte e suggerimenti che indicano i diversi tempi e modi di approccio alla questione, per arrivare comunque alla trasformazione dello scenario mediorientale in chiave filo-occidentale. La frenetica attività diplomatica europea sì coagula in definitiva intorno a due questioni: appoggio incondizionato al piano Schultz/Shamir come appoggio ad una strategia globale che, aldilà delle formule diplomatiche, prefigura già l’assetto futuro dell’area come passaggio nei rapporti di forza tra i due blocchi; ricerca e definizione di un piano funzionale a perseguire operativamente quei passaggi politici possibili che assestino, su diversi livelli, piani di stabilità politica ed economica col mondo arabo, in funzione della più totale “normalizzazione” dell’area.

Il Piano Marshall per il Medioriente proposto dalla CEE si pone dentro questo quadro generale ricercando una maggiore integrazione tra i paesi Mediterraneo/Mediorientali e l’Europa; ponendo anche qui l’accento sulla necessità di passare da rapporti bilaterali Nord/Sud a rapporti multilaterali, nei quali Israele verrebbe ad assumere un ruolo di riferimento per il mondo arabo. Questo come punto di arrivo di un percorso che veda parallelamente la trasformazione di Israele da manipolo di occupanti a “Stato di diritto” su stile europeo, rispettoso dei diritti dell’uomo e in grado di controllare e regolare le contraddizioni tramite gli strumenti della mediazione politica e diplomatica.

Il piano controrivoluzionario è teso principalmente a contrastare l’attività antimperialista del Fronte delle Forze Rivoluzionarie. Non si tratta solo di coordinare interventi repressivi sul piano internazionale con la collaborazione tra le forze antiguerriglia di ogni paese europeo ma avvalersi di progetti politici controrivoluzionari: i progetti di “soluzione politica” per la guerriglia, che se pure con particolari sfumature vengono portati avanti in diversi paesi imperialisti europei, ne sono un esempio. Misure coordinate sul piano politico che influiscono sulla connotazione del rapporto Imperialismo/Antimperialismo, rivoluzione/controrivoluzione nell’Europa occidentale.

Il bipolarismo, la divisione del mondo in due blocchi, è la contraddizione dominante che influenza e sovrasta i rapporti internazionali. Gli equilibri sanciti a Yalta hanno definito le aree di influenza nel mondo, la nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati uscita dalla seconda guerra mondiale. A fronte della crisi economica generale (di valorizzazione) che attanaglia l’imperialismo questi equilibri vengono attualmente messi in discussione.

L’imperialismo tende alla riformulazione di una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati e nuovi equilibri politici, un quadro di insieme che necessariamente passa per il ridimensionamento del blocco sovietico. L’internazionalizzazione della produzione e dei mercati ha segnato un passaggio di sviluppo dell’imperialismo nel dopoguerra, rendendo oggi improbabile un conflitto interimperialista. Al contrario il blocco sovietico non solo si pone al di fuori delle sfere di influenza politica ed economica occidentale, ma rappresenta per l’imperialismo un ambito sufficientemente sviluppato sul piano industriale e delle infrastrutture, oggettivamente recettivo e complementare al livello di sviluppo dell’imperialismo. In secondo luogo l’impatto con il blocco sovietico ha un significato politico, teso al ridimensionamento del modello di sviluppo dei paesi socialisti.

La necessità di impattare con il blocco dei paesi socialisti emerge in relazione allo stadio di maturazione raggiunto dall’imperialismo che, per fuoriuscire dalla crisi generale di sovrapproduzione di capitali, deve necessariamente ampliare la sua area di influenza e la sua base produttiva a scapito di chi è sconfitto e distruggere capitali e mezzi di lavoro eccedenti, così da riprendere per un periodo relativamente lungo il ciclo economico espansivo.

Quindi la tendenza alla guerra si presenta come portato dell’accumularsi critico di tutte le contraddizioni capitalistiche. I passaggi di maturazione ai questa tendenza si manifestano in una acutizzazione delle contraddizioni tra le classi e tra sviluppo e sottosviluppo e, in particolare in una maggiore polarizzazione all’interno della contraddizione dominante Est/Ovest.

Nel quadro di insieme l’area geopolitica Europea-Mediorientale-Mediterranea assume un significato particolare, e viene a definirsi come area di massima crisi oggi nel mondo proprio per il convergere di tre linee di demarcazione che delineano i diversi piani di contraddizione: dal piano dominante Est/Ovest, al piano Nord/Sud, al piano principale Proletariato/Borghesia.

In base a questi dati possiamo ipotizzare che il possibile teatro di guerra sarà ancora una volta l’Europa. Inoltre la regione Mediterranea-Mediorientale non è stata coinvolta nella definizione delle zone di influenza nell’immediato dopoguerra e, al tempo stesso, l’Europa ha, per motivi essenzialmente geografici, in quest’area la sua “naturale” zona di influenza. Per queste ragioni si presenta come il possibile punto di partenza, il “detonatore” per un conflitto allargato.

I conflitti che si determinano nella regione assumono un peso politico particolare in relazione da un lato alla loro posizione politica e di equilibrio all’interno della contraddizione Est/Ovest, dall’altro al grado di sviluppo delle guerre rivoluzionarie (di liberazione nazionale). I conflitti regionali si collocano oggettivamente all’interno del quadro degli equilibri bipolari di conseguenza sono il terreno di modifica di questi equilibri, di acquisizione e assestamento di posizioni di forza. I popoli progressisti e le Forze Rivoluzionarie, indipendentemente dai fattori ideologici e dagli obbiettivi che perseguono, si impegnano in conflitti che assumono un carattere antimperialista, trovandosi ad impattare con gli interventi imperialisti nel contesto dei loro interessi generali. Da ciò ne consegue che le Forze Rivoluzionarie in questione si pongono oggettivamente ancor prima che soggettivamente dentro la progettualità complessiva del Fronte Combattente Antimperialista.

Con l’attacco all’imperialismo vive, in unità di programma, l’attacco al cuore dello Stato. La questione dello Stato è questione ineludibile per i comunisti. Lo Stato è sede dei rapporti politici tra le classi nonché l’organo della dittatura borghese; il piano Classe/Stato, quindi, è l’asse principale su cui si articola lo svolgimento dello scontro; l’attacco ai progetti dominanti, al cuore congiunturale dello Stato assume carattere strategico fondamentale.

I criteri centrali che debbono guidare la scelta dell’obbiettivo per trarre il massimo del vantaggio politico e materiale sono: la centralità, la selezione e il calibramento dell’attacco.

La centralità dell’attacco sta nella capacità politica di individuare la contraddizione dominante che oppone le classi nella congiuntura. La selezione dell’attacco vive nella capacità di individuare il personale politico che concorre alla realizzazione del programma congiunturale della politica dominante della Borghesia Imperialista e svolge un ruolo determinante di ricerca di equilibrio tra le forze che a tale progetto partecipano. Il calibramento deve vivere in relazione al grado di approfondimento dello scontro, allo stato di assestamento delle forze proletarie e rivoluzionarie e allo stato dei rapporti di forza generali nel paese e presenti nell’equilibrio internazionale tra Imperialismo e Antimperialismo.

Il progetto politico demitiano di riformulazione dei poteri e degli apparati dello Stato è attualmente il perno centrale attorno al quale lo Stato da una parte sancisce gli equilibri politici in grado di sostenere e far avanzare gli interessi e i programmi della frazione dominante di borghesia imperialista: dall’altra assesta e ratifica i rapporti di forza generali a proprio favore evidenziando così il carattere antiproletario e controrivoluzionario. Il progetto demitiano, va precisato, non ha carattere “reazionario”, al contrario tende alla realizzazione di una “democrazia governante”, compiuta, come forma di dominio adeguata alla fase matura dell’imperialismo. In termini generali si inserisce nella tendenza attuale di ridefinizione e riadeguamento di tutte le funzioni e istituzioni dello Stato ai nuovi termini di sviluppo dell’Imperialismo e ai corrispettivi termini nel governo del conflitto di classe. Una tendenza perseguita passaggi successivi a modifica del carattere della mediazione politica tra le classi.

Questo ha maturato nello sviluppo storico dell’imperialismo una complessificazione del suo ruolo nell’intervento nei processi economici sia nella capacità di governare il conflitto e riqualificando il carattere della controrivoluzione preventiva quale politica costante per contenere la lotta di classe.

I caratteri della mediazione politica, ovvero il modo con cui si governa il conflitto di classe, si affermano in relazione alla modificazione degli strumenti e degli organismi istituzionali atti a mantenere l’antagonismo della classe dentro gli ambiti compatibili, vere gabbie istituzionali, così da non farlo collimare con la proposta rivoluzionaria. Le trasformazioni dei caratteri della mediazione politica sono il risultato sia dei livelli di sviluppo economico e di crisi conseguente, sia dei rapporti di forza generali che si instaurano tra le classi in interrelazione reciproca, il carattere di governo del conflitto di classe che si afferma è quindi sintesi del modo in cui si è attestato lo scontro di classe e al tempo stesso punto di partenza per i passaggi successivi.

La coscienza acquisita in 19 anni di prassi rivoluzionaria e gli insegnamenti di questi anni di Ritirata Strategica consentono alle B.R. per il P.C.C. di affermare la necessità e la praticabilità del terreno della guerra di classe di lunga durata, nonché l’attualità della questione del rilancio della proposta della Lotta Armata per il Comunismo come strategia politico-militare per tutto il proletariato, è nato nella capacità, maturata all’interno della ritirata strategica di dialettizzarsi correttamente con i compiti posti dallo scontro di classe.

Un’acquisizione che si traduce nel sapere organizzare e dirigere adeguatamente le forze che si dispongono sul terreno della L.A., e incidere da una parte sui rapporti di forza generali tra le classi, sviluppando un attacco che colga il cuore congiunturale della contraddizione Classe/Stato; dall’altra nelle dinamiche dello scontro tra Imperialismo e Antimperialismo, apportando il contributo qualitativo alla costruzione del F.C.A.

Il processo di riadeguamento e rilancio ha tratto e trae la sua linfa vitale dal radicamento della proposta strategica della L.A. nel tessuto proletario e, in particolare, dal riconoscimento da parte delle istanze più mature della lotta di classe, del peso politico assunto dalle BR per il P.C.C. nello scontro.

La Ritirata Strategica ha consentito alle B.R. di approfondire alcuni termini della guerra di classe, costringendole a misurarsi con le peculiarità che regolano lo scontro nelle metropoli imperialiste.

È stata acquisita la consapevolezza della complessità delle dinamiche che regolano la guerra di classe di lunga durata, in particolare la comprensione del carattere non lineare della guerra rivoluzionaria che, a partire dalla dinamica rivoluzione/controrivoluzione si afferma attraverso un percorso fatto di avanzamenti e arretramenti, ripiegamenti ed offensive.

Il principio su cui si fonda la strategia della L.A., l’unità del politico e del militare, nasce dall’adeguamento della politica rivoluzionaria alle forme di dominio della Borghesia Imperialista, dalla consapevolezza che non é possibile accumulare forza politica da riversare sul piano militare contro lo Stato. Da qui la necessità di tradurre l’attacco allo Stato, al suo cuore congiunturale in organizzazione di classe sul terreno della L.A., calibrando ciò alle diverse fasi dello scontro.

Lo sviluppo maturato nella dialettica prassi-teoria-prassi ha portato ad affermare che non è sufficiente accumulare le forze disponibili sul terreno della L.A.: la direzione dello scontro implica necessariamente la formazione e la disposizione delle forze, concentrandole sugli obbiettivi della fase rivoluzionaria. Il Compito delle B.R., quale Avanguardia Rivoluzionaria, è di organizzare le forze intorno alla costruzione del P.C.C., al fine di attrezzare il campo proletario nello scontro prolungato contro lo Stato per il potere.

L’approfondirsi del rapporto rivoluzione/controrivoluzione maturato negli anni ‘80, ha chiarificato il carattere eminentemente politico in cui opera la guerriglia negli Stati del centro imperialista. La capacità assunta dallo Stato di contenere le contraddizioni che si esprimono nel rapporto di classe è di elaborare interventi politici diversificati, calibrati alle singole fasi che si susseguono. Gli interventi politico-militari operati Sull’Avanguardia Rivoluzionaria si pongono in questo contesto e vengono fatti pesare sul corpo proletario per approfondire la separazione tra la classe e la sua Avanguardia Rivoluzionaria. L’esperienza acquisita nell’approfondimento della dinamica rivoluzione/controrivoluzione ha precisato maggiormente il carattere immanente dello scontro rivoluzionario: l’accerchiamento strategico.

L’accerchiamento strategico riflette un dato essenziale della guerra di classe di lunga durata ossia che la guerra rivoluzionaria viene condotta all’interno di rapporti di forza generali favorevoli alla Borghesia Imperialista, nell’impossibilità di avere retrovie di alcun genere. Al tempo stesso è una guerra che, facendo riferimento ad un nemico “assoluto”, non ha per definizione un fronte. Infatti quello che è in gioco è il dominio della classe dominante.

Nello scontro la borghesia e lo Stato non hanno la possibilità di annientare la controparte mentre il processo rivoluzionario può vivere e sviluppare un movimento di trasformazione che abbatta la borghesia e il suo potere politico.

Lo Stato a fronte di questa consapevolezza affina la capacità di impedire la congiunzione tra spontaneità proletaria e progetto rivoluzionario. I caratteri politici generali che hanno dominato la controrivoluzione degli anni 80 sono stati successivamente incorporati e stabilizzati nell’attività controguerrigliera, e hanno modificato i caratteri dello scontro.

Si è affermata la logica politica secondo cui il problema guerriglia va affrontato in termini incisivi politico-militari, da una parte ricercando i punti deboli che si manifestano nelle Forze Rivoluzionarie, per trasformarli in vittorie militari cospicue da far pesare nello scontro di classe, dall’altra approfondendo il carattere della controrivoluzione preventiva presente nei progetti e negli interventi dello Stato.

La Ritirata Strategica, scelta soggettiva, è stata applicata a fronte di condizioni dello scontro che evidenziano la impossibilità di sostenere posizioni politiche avanzate, al fine di ricostruire i termini per nuove offensive. Il ripiegamento è legge dinamica della guerra: al contrario se considerata come atto difensivo nega l’essenza stessa della guerriglia, la sottopone al logoramento del nemico e quindi di fatto all’arretramento.

La Ritirata strategica apre una fase rivoluzionaria a carattere generale all’interno della quale è maturata la fase attuale, la quale si precisa essenzialmente per gli obbiettivi da perseguire, ossia: ricostruzione delle forze proletarie e rivoluzionarie e costruzione degli strumenti politico-organizzativi idonei ad attrezzare il campo proletario nello scontro prolungato contro lo Stato al fine di modificare i rapporti di forza attuali.

Gli obiettivi della fase di ricostruzione precisano i termini di conduzione della guerra, l’atteggiamento tattico, la disposizione e organizzazione delle forze.

L’applicazione della tattica è elemento dinamico che concretizza e riempie la strategia.

La Strategia definisce il carattere generale della disposizione delle forze sulla lotta Armata; la tattica, informata dai criteri generali della strategia precisa la direzione delle forze in riferimento agli obbiettivi programmatici che di volta in volta maturano.

La fase rivoluzionaria attuale si presenta come fase di transizione, pur mantenendo un carattere generale dove i passaggi necessari per operare a tutti i livelli un adeguamento del campo proletario e rivoluzionario ai termini dello scontro sono funzionali alla ricostruzione delle condizioni di nuove offensive, e costituiscono le fondamenta su cui invertire la condizione attuale nei rapporti di forza. Nello sviluppo di questi passaggi si è inserito l’attacco controrivoluzionario di settembre, infliggendo perdite che approfondiscono il carattere generale della fase di ricostruzione/costruzione.

Il rovescio subito a settembre, quindi, é una sconfitta parziale e temporanea, collocata nel quadro naturale della guerra di classe di lunga durata: non nega la giustezza dell’impianto politico, ma, paradossalmente, lo riafferma e lo arricchisce. Infatti evidenzia i punti deboli nell’attuazione della linea politica senza mettere in discussione gli strumenti politici per farvi fronte. Al tempo stesso mette in luce ancor più chiaramente il carattere non lineare della guerra rivoluzionaria, nel corso della quale si infliggono e si subiscono perdite.

La guerra ha il suo prezzo: il problema di limitare le perdite trova soluzione “relativa” nella stretta applicazione dei principi strategici della guerriglia (clandestinità e compartimentazione), nonché del “modulo guerrigliero”, nel suo complesso.

ATTACCARE E DISARTICOLARE IL PROGE1TO ANTIPROLETARIO E CONTRORIVOLUZIONARIO DEMITIANO DI “RIFORMA” DELLO STATO.

COSTRUIRE E ORGANIZZARE I TERMINI ATTUALI DELLA GUERRA DI CLASSE.

ATTACCARE LE LINEE CENTRALI DELLA COESIONE POLITICA DELL’EUROPA OCCIDENTALE E I PROGETTI IMPERIALISTI DI “NORMALIZZAZIONE” DELL’AREA MEDIORIENTALE CHE PASSANO SULLA PELLE DEI POPOLI PALESTINESE E LIBANESE.

LAVORARE ALLE ALLEANZE NECESSARIE PER LA COSTRUZIONE/CONSOLIDAMENTO DEL FRONTE COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA, PER INDEBOLIRE E RIDIMENSIONARE L’IMPERIALISMO NELL’AREA GEOPOLITICA.

ONORE AI RIVOLUZIONARI ANTIMPERIALISTI CADUTI.

16/3/1989

per il Comunismo
BRIGATE ROSSE
per la costruzione del P.C.C.

 

Fonte: bibliotecamarxista.org

Volantino rivendicazione azione contro Gino Giugni

Martedì 3 maggio, un nucleo armato della nostra organizzazione ha colpito GINO GIUGNI, culo di pietra dello staff di teste pensanti del “partito della guerra” nel nostro paese. Le nostre intenzioni nei confronti di questo porco erano e sono chiare: LA LIQUIDAZIONE DEL PERSONALE IMPERIALISTA È UN PROBLEMA CHE LA GUERRA DI CLASSE SAPRÀ AFFRONTARE SEMPRE MEGLIO!

Chi è costui e quale progetto rappresenta è presto detto: la sua “Fortuna” in campo nazionale od internazionale se l’è costruita come lucido rappresentante degli interessi della borghesia imperialista nel campo delle diverse strategie di ingabbiamento dell’antagonismo di classe che la borghesia chiama “contrattazione”, ossia conciliabilità (ovviamente dal suo punto di vista!) delle lotte e delle conquiste proletarie dentro un quadro di compatibilità con gli interessi e le esigenze capitalistiche.

Tutto questo nel tentativo di istituzionalizzare e corporativizzare l’antagonismo proletario e ingabbiarlo all’interno della logica sindacale della contrattazione.

Appartenente ai massimi livelli della banda Craxiana, traduttore nella realtà italiana delle politiche imperialiste di ristrutturazione antiproletaria, cervello politico-tecnico al servizio dei vari ministeri economici e più in generale delle politiche economiche dello Stato nei vari governi, rappresenta tutte le tappe, da più di vent’anni a questa parte, percorse dalla borghesia nel tentativo di veicolare secondo le sue esigenze la lotta di classe.

A seconda delle congiunture politico-economiche, infatti, questo “Uomo per tutte le stagioni” ha cavalcato la tigre del movimento operaio, cercando di piegarlo dentro il margine della contrattazione Sindacato-Borghesia.

L’abbiamo visto all’opera negli anni 69/70, quando un formidabile movimento di lotte operaie e proletarie, in nome dell’egualitarismo e dell’autonomia di classe dal revisionismo, incominciava a sganciare gli interessi ed i bisogni delle masse dalle necessità della produzione e dell’accumulazione capitalistica e strappava consistenti conquiste politiche e materiali ad una borghesia ancora in grado di attuare una politica di scelta di consenso nei confronti dell’antagonismo di classe.

Quello che i mass-media poi indicano come il “Padre dello Statuto del Lavoratori” non è altro che il solerte legislatore che registra ed istituzionalizza uno stato dei rapporti di forza tra le classi, in quegli anni a favore del proletariato, tentando di tradurre in norme scritte, quindi concordate, quello che il movimento proletario andava conquistando fuori da ogni contrattazione possibile.

Quello che ha sempre terrorizzato questo losco individuo è proprio la forza non mediabile della lotta di classe e per questo ha sempre lavorato per rendere il conflitto fra le classi un pacato e “democratico” confronto tra i “diversi” rappresentanti in campo, in disaccordo tra loro, ma uniti comunque da un’unica volontà: subordinare gli interessi proletari alle esigenze ed alle scelte del capitale.

Ma se nel 60/70 alla borghesia era ancora possibile attuare una politica riformista per i margini economici e politici che gli erano ancora possibili, (salvo contemporaneamente attaccare direttamente la classe con le stragi e la caccia alle avanguardie), la crisi generale del Modo di Produzione Capitalistico in campo mondiale ha messo completamente in luce la reale natura di classe di tutti i vari progetti riformisti e sindacali che Giugni ha contribuito ad elaborare. Dietro la parola d’ordine “Autonomia del sindacato” a malapena si nasconde la strategia dell’attacco frontale a tutto il Proletariato Metropolitano, alle sue lotte ed ai suoi interessi. Secondo le ferree necessità della ristrutturazione per la guerra imperialista, il proletariato dovrebbe consapevolmente accettare la sconfitta totale della sua Autonomia di Classe e farsi “rappresentante” al tavolo delle trattative nel gioco del confronto fra quelle che chiamano le “Partì”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: gli accordi sulla Cassa Integrazione, quello sulle liquidazioni e sul costo del lavoro.

In particolare l’accordo di Gennaio è la base del progetto di “PATTO SOCIALE” e costituisce un salto di qualità nell’estromissione della classe dalle “contrattazioni” tra forza-lavoro e capitale.

Questo accordo è stato realizzato proprio grazie al livello raggiunto dal progetto di ridefinizione dello Stato e della funzionalizzazione dei partiti e del sindacato al piano dì maggior esecutivizzazione delle scelte generali nel campo della politica economica.

Rappresenta infatti un salto di qualità della tradizionale contrattazione tra forza-lavoro e capitale, In quanto stabilisce un piano decisionale che investe tutto l’arco dei costi della riproduzione sociale e tutta la normativa del salario sociale complessivo (assistenza, sicurezza sociale, ecc.). Questo accordo permette il varo dei licenziamenti di massa, il governo ancora più rigido del mercato della forza-lavoro, la compressione fino all’inverosimile delle spese sociali e dei meccanismi di recupero salariale sull’inflazione, ma soprattutto lo spostamento della contrattazione fuori dalle fabbriche, dal collocamento dai posti di lavoro: è la materializzazione delle scelte recessive della politica economica di guerra che significano l’imposizione al proletariato di lavorare di più, lavorare in pochi, lavorare per poco.

È attacco diretto all’abbassamento del costo della riproduzione della forza-lavoro, ottenuto per mezzo di vincoli alle spese contrattuali e sociali più in generale che per tre anni e mezzo bloccano gli aumenti salariali dentro il quadro rigido dei “tetti antinflazionistici” stabiliti dal governo-Confindustria-sindacato.

La Lotta Operaia dovrebbe, nei piani di questi signori ridursi a costituire la massa di manovra in un gioco delle parti, in cui gli obiettivi da raggiungere sono già stabiliti in partenza dal quadro di compatibilità con le esigenze dl “governo” del ciclo dell’accumulazione.

È ristrutturazione del mercato del lavoro, tesa a rendere le condizioni di vendita della forza-lavoro idonee a tenerne basso il costo; è sterilizzazione degli automatismi e della scala mobile che rende oggi la capacità di reddito proletario molto al di sotto delle effettive necessità; e differenziazione massima tra categorie contro quello che i padroni chiamano “appiattimento”. È taglio delle spese sociali e loro dirottamento verso quelle militari e di sostegno alle multinazionali.

È, SOPRATTUTTO, ATTACCO POLITICO ALLA CLASSE, PER ANNULLARNE LE CONQUISTE, LA RIGIDITÀ, I LIVELLI D’ORGANIZZAZIONE COSTRUITI IN ANNI DI LOTTE.

Oggi, l’attacco al proletariato metropolitano per mutare il rapporto di forza generale fra le classi a maggior vantaggio della borghesia imperialista, porta ad un peggioramento delle condizioni di vita delle masse e chiude definitivamente ogni velleità capitalista di governare il conflitto di classe, nel senso che l’ambito della mediazione riformista con l’antagonismo, si riduce drasticamente, aprendo una fase di scontro aperto. L’unica possibilità di governabilità è data dall’accettazione da parte del proletariato a farsi compartecipe di un ampio fronte interclassista a sostegno delle necessità di ristrutturazione del capitale multinazionale.

Il sogno di Giugni e dei suoi compari è un proletariato diviso e corporativizzato che si mette in concorrenza ai suo interno per poter essere immesso nel ciclo produttivo al prezzo e alle condizioni dettate dai margini ristretti della crisi.

All’interno della pace contrattuale e delle revisionalità degli obiettivi posti dalle lotte, si apre la contrattazione individuale sull’accesso ai posti di lavoro disponibili, e sulle condizioni dello sfruttamento in fabbrica e in tutti i posti di lavoro.

Ciò che questi accordi sanciscono politicamente è la possibilità da parte della borghesia di sferrare un attacco frontale a tutto il proletariato metropolitano, in presenza di una relativa debolezza del movimento rivoluzionario ed antagonista; ogni accordo infatti è frutto di rapporti di forza precisi tra le classi e un ulteriore passo in avanti per rafforzare la posizione di forza della borghesia. Tutto questo immediatamente ha l’effetto di un peggioramento generale delle condizioni di vita e della contrattazione del prezzo della forza-lavoro; ma soprattutto il senso politico di un attacco liquidatorio all’antagonismo di classe del proletariato e alla sua politica rivoluzionaria; è la strategia dell’annientamento della possibilità storica di trasformare la ristrutturazione per la guerra imperialista in guerra di classe per il COMUNISMO.

I conti in tasca ai vari Giugni, Merloni, Benvenuto, De Mita, Lagorio, tornerebbero solo se il proletariato metropolitano, nel nostro paese, avesse realmente scelto di convivere pacificamente con i suoi sfruttatori e si fosse dissociato dalla lotta dì classe in favore del “patto sociale” e neocorporativo.

Che le cose non stiano esattamente così lo dimostrano le fughe scomposte dei vari sindacalisti da tutte le piazze d’Italia, e i secchi NO alle scelte di politica economica che caratterizzano le lotte più significative di questi ultimi mesi.

Il tentativo di far arretrare il movimento antagonista alle spoglie della resistenza estrema, e il tentativo revisionista di convogliare le tensioni di classe a difesa di condizioni politico generali oggi improponibili, in presenza dei livello raggiunto dalla crisi e quindi dalle scelte obbligate del capitale multinazionale per poter continuare a funzionare come tale. Nel progetto dì liquidazione d’ogni pur minima parvenza di politica proletaria antagonista (per non parlare poi d’ogni progetto rivoluzionario) l’attacco è diretto a ricostruire un quadro di rapporti tra le classi in cui i processi di ristrutturazione per la guerra imperialista siano garantiti dal massimo di pace sociale.

Al proletariato non si concede più nulla. Per il proletariato si prevede solo “il privilegio” di concorrere in una sequela di patteggiamenti continui, a sostenere le scelte della borghesia imperialista, in posizione definitivamente subordinata. Questo è stato possibile con la rottura della rigidità operaia e proletaria allo sfruttamento capitalistico, con l’arretramento dalle posizioni d’autonomia politica conquistate in anni di lotta e d’organizzazione proletaria sul terreno rivoluzionario.

Di fronte all’attacco generalizzato della borghesia, il problema oggi non è quello di attestarsi su posizioni di “estrema difesa”, ma quello di riconquistare le condizioni politiche, i rapporti di forza sempre più favorevoli per lacerare ulteriormente il livello di contraddizioni sul terreno dell’antagonismo dl classe e collocare l’iniziativa rivoluzionaria nel senso contrario ai progetti dì pacificazione tra le classi.

Il proletariato metropolitano non ha nulla da difendere se non la possibilità d’espressione della sua politica rivoluzionaria, come condizione per spezzare i tentativi di ricacciarlo nell’ambito del pacifismo imbelle e ribaltarli nel suo opposto; per liberarsi definitivamente dalla catena revisionista che lavora alla sconfitta della sua autonomia di classe e poter far arretrare significativamente i progetti di ristrutturazione per la guerra imperialista nel suo percorso di liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato.

La funzione dello stato in questa fase è la sua assunzione di nuovi compiti sul terreno della politica economica, della politica controrivoluzionaria e della politica estera, la sua maggiore funzionalizzazione alle esigenze della ristrutturazione, staglia con maggior chiarezza il ruolo dello stato come interprete al massimo livello degli interessi della borghesia imperialista.

La fine dell’assistenzialismo ridefinisce lo stato non più come regolatore del conflitto tra le classi, ma come esplicita espressione del dominio della borghesia; come garante in termini politici, economici, militari, e ideologici della ristrutturazione per la guerra imperialista.

Tutto ciò porta con sé l’accelerarsi dell’individuazione da parte proletaria della natura politica dello scontro, svelando contemporaneamente l’inconsistenza di ogni proposta che punta alla difesa delle condizioni politiche generali proprie della fase passata. La capacità di ricostruire la rigidità operaia e proletaria ai progetti di guerra della borghesia imperialista, è legata alla lacerazione rivoluzionaria del quadro politico attuale ed alla ridefinizione del nuovo carattere dell’autonomia di classe.

Questo è reso possibile anche dalla crescente difficoltà per i revisionisti di avere la benché minima credibilità per poter continuare a “rappresentare” gli interessi, anche quelli immediati, del proletariato metropolitano.

La politica revisionista è compressa oggi tra due forze contrapposte: da una parte la borghesia imperialista che tende a subordinarla completamente ai suoi progetti; dall’altra il proletariato metropolitano che la “obbliga” a garantire in qualche modo la difesa dei suoi interessi. Questo “vaso di coccio” non potrà che frantumarsi fragorosamente, e con lui tutti i tentativi di subordinare l’antagonismo proletario ai progetti della borghesia imperialista.

Se la ristrutturazione per la guerra imperialista apre ed acuisce le contraddizioni tra interessi materiali e politici del proletariato e sua “rappresentanza storica”, gettandola in una crisi di ruolo senza rappresentanza, le forze rivoluzionarie devono favorire questa crisi. Solo dallo sgretolamento di queste gabbie è possibile liberare tutte le nuove forze proletarie prodotte dall’antagonismo alla ristrutturazione per la guerra. Si tratta di favorire la demistificazione dei contenuti e delle proposte che impediscono l’espressione della classe proprio nel momento in cui mostrano la corda e la loro debolezza si evidenzia di fronte al progetto di fase della borghesia imperialista. Si tratta di aiutare a far emergere ogni elemento che si afferma nella lotta contro il progetto guidato dal “Partito della guerra” di appoggiare, sostenere i contenuti più avanzati delle lotte del proletariato metropolitano e ricomporre la classe sul terreno rivoluzionario, attaccando nel contempo chi tenta di ingabbiarla in schemi vecchi e perdenti.

I contenuti politici più avanzati emersi dalle lotte contro la guerra, contro lo stato della tortura, contro la politica economica del governo, contro il progetto della resa e della desolidarizzazione, hanno evidenziato ancora una volta la capacità del proletariato metropolitano, in particolare della classe operaia, nel nostro paese, nonostante la controrivoluzione scatenata e g1i errori delle forze rivoluzionarie, di essere in grado di tener testa ai progetti guerrafondai della borghesia.

Questo già mette in luce le modificazioni avvenute (e soprattutto quelle future) dell’attività generale delle masse contro lo stato e il suo progetto di fase.

Contro la ristrutturazione dello stato per la guerra imperialista, la spontaneità proletaria si oppone nei modi in cui riesce ad esprimersi; ma questa resistenza rischia di attestarsi ad una difesa passiva e senza sbocco. Questa resistenza deve essere invece diretta a trasformarsi in senso rivoluzionario per opporsi in modo vincente alla prospettiva della guerra, sviluppando i contenuti dell’antagonismo proletario e l’attività generale delle masse, in partecipazione cosciente allo scontro imposto dalla borghesia. Si tratta quindi di dotarsi della POLITICA RIVOLUZIONARIA adeguata ad operare su tutto l’arco delle contraddizioni che i piani del nemico di classe scatenano all’interno del proletariato metropolitano, indirizzando le lotte e il combattimento proletario contro le articolazioni progettuali, nelle diverse congiunture, della borghesia e dotare i programmi del piano strategico rivoluzionario, puntando al raggiungimento dell’obiettivo politico di fase: la distruzione del progetto di ristrutturazione per la guerra imperialista con la conquista del potere politico del proletariato metropolitano.

Quest’obiettivo deve vivere e guidare fin da oggi l’attività di direzione delle lotte e del combattimento proletario, nel senso che i programmi delle varie congiunture sono legati alla conquista di rapporti di forza sempre più favorevoli al proletariato, nel percorso per tappe della liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato.

La possibilità di vittoria è legata alla capacità dell’avanguardia comunista di identificare chiaramente gli obiettivi che si intendono perseguire in rapporto ai reali e concreti livelli di coscienza e di organizzazione delle masse.

L’attacco a Giugni è per noi il primo momento del rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria che identifica il programma delle B.R. contro il cuore dello stato in questa congiuntura, come ATTACCO MULTIFORME DI TUTTO IL PROLETARIATO METROPOLITANO CONTRO IL “PATTO SOCIALE”, TAPPA FONDAMENTALE DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA PER L’ATTUAZIONE DEL SUO PROGETTO DI LIQUIDAZIONE DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA.

L’attacco portato si inserisce al livello più alto delle contraddizioni tra proletariato metropolitano e stato in questa congiuntura, e per questo costituisce un poderoso passo in avanti nella ridefinizione del rapporto tra avanguardia comunista e masse proletarie, che va nel senso della necessità di: CONQUISTARE L’ANTAGONISMO PROLETARIO AL PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO!

CONQUISTARE ED ORGANIZZARE LE AVANGUARDIE SULLA STRATEGIA DELLA LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!

L’attuale congiuntura politica internazionale è caratterizzata da una marcata accelerazione alla preparazione delle condizioni politiche e materiali per il dispiegamento della guerra interimperialistica. Est ed Ovest accelerano tale processo ristrutturando i propri apparati politici, economici, militari ed ideologici col fine dichiarato che la risoluzione dei problemi creati dall’attuale crisi possono essere risolti solo con un conflitto armato che ridisegna complessivamente il volto del mondo.

I motivi che scatenano la dinamica conflittuale tra i due blocchi imperialisti sono quelli relativi al venir meno delle condizioni della riproduzione del capitale su scala internazionale. La modificazione della posizione di ciascun paese all’interno della divisione internazionale del lavoro, i termini sempre più aspri della concorrenza in un mercato mondiale non più in grado dì espandersi, le difficoltà d’accesso alle fonti di energia e di materie prime dovute all’incrinarsi del complesso delle relazioni tra i paesi, sono le cause che condurranno la barbarie imperialista a scatenare il genocidio dei proletari, alla distruzione dì beni e mezzi di produzione, per una nuova spartizione del mondo e per un maggior sfruttamento dei popoli.

Questa tendenza, oggi dominante, non è data né da un fatale destino, né da una mente occulta che elabora piani e strategie, ma è la naturale conseguenza di scelte in materia di politica economica, finanziaria, e militare, operate dalle frazioni di capitali più forti per ritagliare la propria quota di mercato, per aumentare i profitti e per accrescere il proprio capitale a scapito di quelli più deboli. Il movimento di questi capitali, modifica e ridefinisce rispetto alle proprie esigenze, le condizioni generali di tutta la formazione economica e sociale, nonché i rapporti tra le classi, polarizzando i rispettivi interessi. Questo processo e le sue finalità, al di là delle differenze specifiche in ciascun paese, essendo informato da grandi fattori comuni trova compatta tutta la borghesia imperialista occidentale.

Ciò è dimostrato per un verso dal processo di rinsaldamento delle alleanze e dei vincoli tra paesi della stessa area e creazioni di nuove alleanze ai fini dello schieramento finale per l’altro, dal porre in essere processi di ristrutturazione degli Stati nazionali, cercando di renderli fortemente esecutivizzati e diretti da una frazione politica, che chiamiamo “Partito della guerra”, in grado di rappresentare gli interessi di classe (borghese) entro quelli più generali dì tutta l’area.

L’ipotesi di guerra tra le due maggiori superpotenze è discussa apertamente sui mass-media, accompagnata da sintomi inequivocabili d’imbarbarimento politico, come la propaganda tesa a mostrificare il nemico potenziale. Se il terreno più reclamizzato è quello delle trattative sulla riduzione degli armamenti strategici, questo è anche il meno rappresentativo dei reali rapporti in maturazione, perché teatro di continue iniziative propagandistiche, di miglioramento dell’immagine internazionale dei protagonisti. In ogni epoca tutte le dichiarazioni di guerra hanno sorpreso gli ambasciatori seduti intorno al tavolo delle trattative, o quasi!

La misura reale dei rapporti interimperialistici è data invece da un complesso di decisioni economico-politico-militari che i due blocchi imperialisti, stanno attuando, che dimostrano senza equivoci una volontà di riarmo colossale in tempi brevi. Per l’occidente, con l’avvento di Reagan, la politica estera americana punta al ripristino della supremazia USA a livello planetario, assumendosi il “carico” di difendere ed allargare i propri interessi vitali in ogni parte del mondo.

“Noi viviamo in un’epoca in cui un colpo di stato, uno sciopero di grandi dimensioni, un attentato terroristico o una guerra tra paesi vicini, anche se lontana dalle nostre frontiere, possono, come mai prima d’ora, scatenare le conseguenze su scala mondiale che colpirebbero il nostro benessere nazionale e la nostra sicurezza. È necessaria per noi un’ampia visione strategica che inserisca i problemi regionali in un quadro globale” (D. Jones capo di stato maggiore USA.)

La politica dell’amministrazione Reagan intende rilanciare la politica internazionale americana nel tentativo di recuperare tutte le sconfitte degli ultimi anni, dal Vietnam all’Angola, dal Nicaragua all’Iran.

Una politica imperialista, dunque che punta al ripristino del rapporto di forza generale USA-URSS che sia decisamente favorevole agli americani e che dissuada l’URSS da una politica d’espansione in aree pericolose per la “sicurezza” degli USA, cioè in ogni parte del mondo!

L’installazione degli euromissili nello sviluppo di questa strategia è essenziale in quanto è in Europa e nel Mediterraneo che i blocchi si confrontano direttamente. Non solo. Questa strategia vuole assumere forza ed aggressività superando il concetto di “reciproca deterrenza”, cioè l’impossibilità (non convenienza) concreta di un conflitto nucleare limitato ma diretto tra NATO e Patto di Varsavia in aree come l’Europa e il Mediterraneo. Questa politica, nell’attuale contesto di crisi determina negli USA e in Europa una situazione nuova sul piano interno ed in tutta l‘area occidentale rispetto ai decenni passati.

Se prima gli aumenti della spesa sociale marciavano parallelamente in termini crescenti (seppure con differenti volumi) a quelli delle spese militari, oggi esiste un apporto rigido tra queste due voci e la crescita dell’una va a scapito dell’altra.

Questa situazione fa sì che la politica militare, diretta dagli USA in tutta l’area occidentale, trovi l’opposizione e la resistenza di vasti movimenti di massa composti da tutti quegli strati sociali che vengono attaccati da una politica di tagli alla spesa sociale che per la sua valenza “interna” si collocano oggettivamente in termini antimperialisti così come lo sono soggettivamente i movimenti contro la guerra.

Questa politica costituisce una scelta obbligata per l’imperialismo, determinata da un contesto internazionale caratterizzato da una recessione economica generalizzata che si avvia a permanere per il terzo anno consecutivo in cui tutte le misure e controtendenze messe in atto non possono costituire altro che un freno temporaneo alla tendenza dominante.

La “gestione controllata” della recessione costituisce attualmente il “credo” della maggioranza dei paesi a capitalismo avanzato e l’aspetto fenomenico che assume il processo in atto in tutto l’occidente che chiamiamo “ristrutturazione per la guerra imperialista”. Le scelte in materia di politica economica e monetaria operate dai singoli paesi, pur essendo omogenee con gli indirizzi generali e le prospettive di fondo, sviluppano grosse contraddizioni a livello economico tra i paesi dello stesso blocco, come ad esempio in Europa, tra Europa e USA, USA e Giappone ed Europa e Giappone.

Da questo punto dì vista, l’esigenza di rafforzamento dei vincoli politico-militari non è riconducibile ad esigenze specifiche di singoli paesi, ma alla necessità del sistema imperialista nel suo complesso di superare la crisi avviandosi al confronto con il blocco avversario.

Il capitalismo allo stadio dell’imperialismo delle multinazionali, ha creato un sistema di rapporti talmente integrato che il suo sviluppo può avvenire solo accrescendo tanto le dimensioni, quanto la forza dì coesione dell’interdipendenza.

L’Italia, essendo parte organica del sistema di relazione (catena imperialista) dell’occidente, i caratteri generali delle crisi non si discostano da quelli dell’area di cui fa parte, e si identificano nella recessione produttiva, nell’inflazione, nella disoccupazione, ecc… Il carattere specifico è dato invece dalla particolare acutezza e gravità di questi fenomeni, e che portano a confermare il ruolo di “anello debole della catena imperialista”.

Il capitalismo italiano, più ancora di altri paesi, vede restringersi il ventaglio delle scelte possibili dentro un sistema di equilibri in cui il recupero di un ruolo competitivo è reso maggiormente vincolato dall’aggravarsi della crisi.

Accade così che i fattori che hanno concorso ad aggravare localmente i fenomeni critici comuni a tutto il sistema imperialista, si presentano oggi come facenti parte della fisiologia stessa della società italiana, e al tempo stesso, come i principali ostacoli al recupero “in tempo utile” della competitività commerciale.

IL PIU’ POTENTE DI QUESTI OSTACOLI È COSTITUITO OGGI DALLA CAPACITÀ DELLA CLASSE OPERAIA E DEL PROLETARIATO METROPOLITANO DI STABILIRE RAPPORTI DI FORZA GENERALI TALI DA PESARE SULLA DETERMINAZIONE DELLE SCELTE CAPITALISTICHE, PER CUI LA SCONFITTA POLITICA DELLA CLASSE DIVENTA UNO DEI PRINCIPALI OBIETTIVI DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA, INSIEME ALLA RIDEFINIZIONE DELLA FISIONOMIA SOCIALE DEL SISTEMA DEI PARTITI E DELLO STATO.

 

Compagni, proletari,

la strategia della lotta armata come aspetto più avanzato della politica rivoluzionaria deve saper conquistare i diversi e differenziati livelli dell’antagonismo proletario al PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO che può essere sintetizzato, come programma di tutto il proletariato metropolitano nella congiuntura; solo dentro una dialettica concreta con i movimenti di massa esistenti sul terreno della lotta antimperialista e con i contenuti delle lotte espresse dalla classe operaia.

Conquistare l’antagonismo proletario al programma rivoluzionario, vuol dire orientare e dirigere le forme e contenuti delle lotte espresse dai vari settori del proletariato metropolitano entro la strategia della conquista del POTERE POLITICO. Vuol dire riunificare e generalizzare i contenuti politici più avanzati delle lotte che accomunano le condizioni e le esigenze di tutto il proletariato contro i progetti di ristrutturazione antiproletari della borghesia. Gli interessi proletari trovano in tutta Europa lo stesso antagonista al di là delle differenze esistenti tra i movimenti che si mobilitano e i contenuti che questi agitano e che costituiscono un complesso d’antagonismo proletario che investe non solo le scelte che l’imperialismo sta facendo, ma la stessa sostanza dell’organizzazione capitalistica del lavoro e della società.

Va affermandosi la consapevolezza, nel proletariato, che al di là di ogni possibile soluzione la borghesia possa escogitare per far fronte alla crisi, il suo futuro entro questo modo di produzione non può non essere che di maggior sfruttamento e miseria a fronte, paradossalmente, di uno sviluppo della ricchezza sociale disponibile solo a settori di classe sempre più ristretti. Le prospettive sono abbastanza chiare: cicli produttivi sempre più automatizzati che riducono l’occupazione, aumento dello sfruttamento della forza-lavoro rimasta occupata ecc., tutto ciò in funzione di una riduzione dei costi di produzione delle merci per favorire la quota d’esportazione verso mercati esterni, ad un grado direttamente proporzionale all’immiserimento delle condizioni di vita delle masse proletarie interne.

L’antagonismo che questa consapevolezza sviluppa nel proletariato metropolitano, va sintetizzato nei suoi aspetti politici più avanzati in programma rivoluzionario dalle avanguardie comuniste e organizzato e diretto in scontro politico per il potere.

Entro questo processo va ricercata la riunificazione delle avanguardie attorno al progetto politico rivoluzionario e sue forme organizzative (sistema di potere proletario armato) che diriga lo scontro di classe costruendo una progettualità rivoluzionaria in grado di porre in ogni fase le direttrici e gli obiettivi da conseguire per conquistare il potere politico, instaurare la dittatura operaia e proletaria come condizione per il dispiegamento della Transizione al Comunismo.

Il modo di porsi del progetto della Lotta Armata entro la Politica Rivoluzionaria condotta da milioni di proletari, oggi si ridefinisce ponendo al centro della sua teoria-prassi i contenuti politici più avanzati e generalizzati come espressione degli interessi generali del proletariato metropolitano che nella congiuntura trovano il massimo di collisione con progetti di ristrutturazione posti in atto dal “partito della guerra”.

Ciò permetterà di costruire le condizioni politiche e i rapporti di forza favorevoli al proletariato metropolitano per affrontare i problemi dell’attacco controrivoluzionario non solo dal punto di vista delle avanguardie combattenti, ma di tutta la classe.

Tutte le pratiche rivoluzionarie condotte dalle avanguardie che vengono informate da questi presupposti politici, pensiamo che costituiscano reali punti di riferimento per la costruzione del PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE in quanto, non esprimono semplicemente una “espressione”, “rappresentanza” degli interessi del proletariato metropolitano, ma una sua componente di avanguardia ad esso interna posta sotto la sua costante critica e verifica, attraverso la cui direzione il proletariato metropolitano può e deve costituirsi come CLASSE DOMINANTE.

Compagni,

le difficoltà, gli errori e le deviazioni nel movimento rivoluzionario, hanno messo in luce accanto all’enorme possibilità di rilancio della proposta rivoluzionaria nel nostro paese, anche tutta la sua debolezza.

L’attacco della borghesia alle avanguardie combattenti, la messa in atto dei piani controrivoluzionari della dissociazione e della resa, il tentativo di isolare i comunisti dal movimento di classe, ha costretto anche i più restii a riflettere sugli errori commessi che tanto hanno favorito i progetti del nemico.

Oggi pilotate e amplificate dai mass-media, si assiste alle più svariate prese di posizione che sotto l’etichetta di “processo autocritico” puntano alla proclamazione del fallimento della Strategia della Lotta Armata magari per bocca di qualche “illustre protagonista”. Al di là delle differenze di impostazioni evidenziatesi, che sono terreno di dibattito e battaglia politica tra rivoluzionari, ci interessa chiarire che le autocritiche di cui sono capaci i comunisti sono tutt’altra cosa delle teorizzazioni che nulla hanno a che fare con i reali problemi del movimento rivoluzionario.

Chi oggi, nascondendosi dietro eleganti elucubrazioni sulle novità dello scontro, rinnega la funzione dell’arma della politica rivoluzionaria, la necessità della costruzione del partito, la strategia della Lotta Armata per il comunismo come unica politica proletaria per la conquista del potere politico, rappresenta il puntello teorico più pericoloso alla liquidazione del patrimonio più prezioso di questi ultimi anni, che pur tra incertezze ed errori, ha potentemente favorito la maturazione del movimento proletario più forte d’Europa.

Intendiamo dire che i difficili compiti di questa fase lasciano poco spazio ad una convivenza pacifica tra le diverse posizioni che sono maturate nei movimento rivoluzionario.

Occorre oggi portare a fondo una battaglia politica che sia in grado di sconfiggere politicamente dentro il proletariato metropolitano tutta l’influenza nefasta di tesi che puntano coscientemente alla liquidazione di oltre un decennio di progettualità rivoluzionaria nel nostro paese.

Non si tratta più di convivere con i teorici dell’antimarxismo viscerale, con chi ripercorre la stratificazione di classe esaltandone i comportamenti trasgressivi di gruppo o addirittura individuali, con le analisi di stampo sociologico in cui sparisce ogni carattere di classe; ma capire a fondo tutta l’influenza disgregatrice che hanno nei confronti del proletariato metropolitano, denunciarne l’ultra soggettivismo insito in dichiarazioni di guerra a cui la classe non sta partecipando e i vagheggiamenti radical-chic di chi, a seconda del vento che tira, fa e disfà progetti politici a sua immagine e somiglianza.

La durezza delle condizioni dello scontro oggi mette a nudo le discriminanti politiche tra chi sta lavorando alla riconquista di un impianto strategico adeguato alla fase e chi consapevolmente punta alla distruzione di ogni capacità proletaria di organizzarsi come classe contro lo stato. Contro ogni ipotesi, più o meno mascherata di trovare la causa di tutti i mali nell’aver lottato e combattuto in questi anni, guidati dalle armi del marxismo-leninismo, si erge potente una ripresa del movimento rivoluzionarlo che, materialisticamente e fuori dall’idealismo dell’ultra-soggettivismo, si sta ponendo ben altri problemi: esattamente quelli relativi alla costruzione della teoria rivoluzionaria nelle metropoli imperialiste e degli strumenti politici, teorici, e militari adatti a sostenere una guerra di classe contro la borghesia imperialista.

È in riferimento a queste forze che le BR hanno lavorato in quest’anno nelle proposte dell’autocritica e della ricostruzione dei primi elementi di programma politico.

È con queste forze che intendiamo trovare gli elementi d’unità sul piano strategico dell’attacco al progetto dominante della borghesia, come espressione della capacità di direzione del movimento antagonista secondo i criteri dell’agire da partito per costruire il partito.

In questo lavoro politico, non ultimo è il problema di combattere accanto alle tesi apertamente di resa della piccola borghesia impaurita di non trovarsi più in cattedra, anche tutto il coacervo di tesi e di posizioni ultrarivoluzionarie a parole che, alle prime avvisaglie dell’indurimento dello scontro, hanno già dimostrato tutta l’inconsistenza e l’erroneità.

Se il movimento di classe in Italia ha dovuto assistere fin dentro la Banca di Torino al fallimento dei fautori dell’offensiva a tutti i costi, questo ha messo in luce l’estraneità dei soggettivismo trasgressivo ai reali problemi dello scontro tra le classi.

Al contrario pensiamo che la ripresa del movimento rivoluzionario e la possibilità di vittoria siano legate alla capacità dei Comunisti di avviare un percorso di confronto e di battaglia politica che, pur nelle diversità, punti alla rivisitazione critica dei limiti di analisi che ci hanno caratterizzato in questi ultimi anni. Gli errori commessi nel valutare le forme e i contenuti delle lotte espresse da grandi masse sul terreno del nucleare, della guerra, della politica economica di guerra; la sottovalutazione dell’elemento cosciente e un rapporto sbagliato con la classe, ha fatto dipingere questi movimenti come sul punto di scendere sul terreno della lotta armata ed ha ridotto la politica rivoluzionaria da una parte alla proposta armata, dall’altra ad “inascoltati” appelli alle masse ad organizzarsi immediatamente sul terreno politico-militare.

Ciò che ha favorito errori di questo tipo va ricercato nella carenza di progettualità, di programma, di teoria rivoluzionaria che sintetizzi in ogni congiuntura i passaggi necessari da operare e gli obiettivi da realizzare che i contenuti delle lotte operaie e proletarie, ovvero i rapporti di forza, rendono possibile.

Va aggiunto che in mancanza di ciò, ne deriva inevitabilmente una dispersione dell‘iniziativa combattente che non polarizzandosi attorno all’elemento centrale del programma nella congiuntura, si frammenta e ripiega su se stessa endemizzando lo scontro a livello puramente militare con la controrivoluzione, fino alla sua sconfitta.

L’autocritica deve servire a rafforzare la strategia della lotta armata per il Comunismo epurando dall’impianto rivoluzionario tutte le impostazioni soggettiviste che ci hanno fatto perdere di vista le reali condizioni dello scontro e ci hanno impedito di collocare la nostra iniziativa in un rapporto corretto col movimento antagonista, che pur lanciava messaggi significativi sul terreno rivoluzionario. Aver ridotto le indicazioni d’avanguardia al solo terreno di combattimento, dando già per scontata l’esistenza di un sistema di potere armato dispiegato sul terreno della guerra di classe, ci ha impedito di cogliere i reali contenuti di potere espressi da ben più ampie espressioni dell’antagonismo proletario contro i progetti della borghesia imperialista. Questo ha significato l’esclusione dell’attività generale delle masse dai nostri programmi riducendo le nostre capacità propositive al ristretto ambito delle avanguardie.

L’errore non sta nell’aver voluto agire da partito, ma esattamente il suo opposto: nel non aver saputo materializzare la funzione di direzione che un partito rivoluzionario deve esercitare nei confronti delle lotte e del combattimento di milioni di proletari sul terreno della trasformazione rivoluzionaria della società. Questa funzione non è sempre uguale a se stessa ma deve trasformarsi a seconda delle diverse tappe del percorso rivoluzionario.

Non aver compreso i nuovi compiti di direzione alla chiusura della fase della propaganda armata, aver continuato a riferirci e livelli d’avanguardie, vagheggiando un movimento di massa rivoluzionario sorto spontaneamente dalla crisi del modo di produzione capitalistico che bastava indirizzare contro gangli periferici del dominio capitalistico, non solo ci ha separato politicamente dal movimento di classe, ma soprattutto ci ha relegato a sua retroguardia.

L’assolutizzazione della forma del combattimento ci ha portato a disarmare politicamente la nostra proposta politica ed a non mettere al centro della possibilità di trasformazione rivoluzionaria la complessità di livelli e diversità di contenuti del movimento antagonista, da orientare sul piano della partecipazione cosciente delle masse organizzate contro la borghesia imperialista e il suo stato.

In questo senso i nostri programmi hanno assunto o il carattere idealistico di ogni Comunismo alluso o quello economicista e praticone delle conquiste immediate di tutti quei bisogni definiti “irriducibilmente inconciliabili” con l’esigenza dell’accumulazione capitalistica.

Viene così teorizzata l’irrecuperabilità delle lotte contro la ristrutturazione senza mai entrare nel merito dei contenuti e delle forme in cui tali lotte si esprimono, che sono gli elementi che consentono di approssimare punti di programma e linea politica-rivoluzionaria. Questa presunta “irrecuperabilità” è la base su cui si è costruito tutto il barocco edificio del “sistema dei programmi” con la conseguente frammentazione della pratica politico-militare.

Secondo noi si dà scontro di potere quando gli interessi generali della classe entrano in contrasto non mediabile con gli interessi della borghesia, ed intorno a questi interessi generali della classe, entrati in contrasto non mediabile, si mobilita un movimento di classe di vaste proporzioni, costituito dalla lotta di milioni di proletari su obiettivi che, in quanto generali, comuni a tutta la classe, sono politici perché antagonizzano ai padroni ed allo stato una massa di proletari che tendono oggettivamente (ed a livelli diversi, anche soggettivamente) a fare come classe “per sé”, come classe cosciente.

Ma anche questo movimento antagonista, che già tende ad uscire fuori dalla capacità di controllo sindacale e revisionista, non è di per sé “irrecuperabile” ma costituisce unicamente la base reale su cui può svilupparsi un processo di organizzazione rivoluzionario della classe.

Passaggio questo non scontato, che non è un “portato oggettivo dell’accentuarsi della crisi” ma percorso cosciente di massa che scaturisce dalla dialettica tra movimento antagonista ed avanguardie rivoluzionarie.

Il concetto stesso di “irrecuperabilità” è frutto dell’idealismo dato che l’esperienza storica insegna che l’unica cosa irrecuperabile per la borghesia è la perdita del potere politico e l’edificazione della società comunista.

Il programma nasce dunque dallo scontro tra l’attività generale delle masse ed il progetto dominante della borghesia.

È QUINDI PROGRAMMA DI TUTTO IL PROLETARIATO METROPOLITANO.

Il Partito deve leggere i contenuti generali che percorrono in modo diversificato tutti i settori della classe, deve analizzare le possibili tappe che lo scontro può percorrere e raggiungere nella direzione dello sviluppo del processo rivoluzionario in una direzione: LA CONQUISTA DEL POTERE POLITICO.

La generalizzazione dei contenuti più avanzati, il miglioramento del livello di organizzazione e delle forme di lotta, la sempre più chiara identificazione del nemico principale da abbattere, sono la concretizzazione della politica rivoluzionaria come attività complessa ed articolata del SISTEMA DI POTERE PROLETARIO ARMATO IN COSTRUZIONE, che deve trovare nelle diverse congiunture il Partito, e gli organismi rivoluzionari delle masse in grado di identificare correttamente i compiti sempre nuovi, nella diversità degli obiettivi da raggiungere in relazione al reale livello di coscienza ed organizzazione delle masse.

In questo senso il programma, nato dai livelli di massima concentrazione dello scontro tra le classi e sintetizzato dal Partito, deve ritornare come piano unitario nelle lotte, nella mobilitazione e nel combattimento di tutto il proletariato metropolitano, contro tutte le articolazioni progettuali del nemico nelle diverse congiunture.

Questo programma, in dialettica con i bisogni immediati ma soprattutto con quelli generali del proletariato metropolitano, si dà dentro le leggi della guerra: non c’è conquista permanente da parte del proletariato metropolitano, c’è però la possibilità di conquistare non questo o quel bisogno, ma TUTTO IL PROPRIO DESTINO!!

GUERRA AL “PATTO SOCIALE”, ARTICOLAZIONE CONGIUNTURALE DEL PROGETTO DI ANNIENTAMENTO DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA DEL PROLETARIATO METROPOLITANO!

GUERRA ALLA GUERRA IMPERIALISTA! GUERRA ALLA NATO!

GUERRA AL “PARTITO DELLA GUERRA”!

SVILUPPARE L’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO CONTRO LE SCELTE DI GUERRA DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA!

COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE!

COSTRUIRE IL SISTEMA DI POTERE PROLETARIO ARMATO PER LA CONQUISTA DEL POTERE POLITICO!

LIQUIDARE I PROGETTI DELLA RESA E DELLA DISSOCIAZIONE DALLA LOTTA DI CLASSE!

BATTERE LE LINEE SBAGLIATE NEL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO!

ONORE A UMBERTO CATABIANI “ANDREA” E A TUTTI I COMPAGNI CADUTI COMBATTENDO PER IL COMUNISMO!

Maggio 1983

Per il Comunismo
BRIGATE ROSSE
per la costruzione del P.C.C.

 

Autointervista, giugno 1981

Da qualche tempo si va sostenendo di aver raggiunto vittorie significative nella lotta al terrorismo e ciò è anche confortato dal susseguirsi dei “pentiti”. Come mai si è potuto arrivare a tanto, mentre la guerriglia rivoluzionaria metropolitana si estende in più direzioni?

Ciò che nel movimento rivoluzionario è stato sconfitto, e si avvia a una ingloriosa morte, non è la proposta strategica della guerriglia metropolitana, bensì le interpretazioni e le varianti soggettiviste, militariste e organizzativistiche della lotta armata per il comunismo, ultimo riflesso della crisi mortale che attanaglia la piccola borghesia. C’è stato un profondo processo di critica di tali posizioni errate e di rettifica della linea politica che si è proiettato sin nell’organizzazione. Il processo di chiarimento politico nell’organizzazione ha avuto il suo punto di arrivo nella definizione delle tesi politiche affermate nella Risoluzione della Direzione Strategica dell’ottobre 1981. È la chiarezza sulla linea strategica della costruzione del Partito Comunista Combattente e degli organi di massa rivoluzionari che ha consentito all’organizzazione di essere all’offensiva. La D.S. ’80 in questo senso, è stato il punto di arrivo della critica alle tendenze erronee, ma anche il punto di partenza per un possente sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro Paese. Nel divenire di questo processo l’organizzazione si colloca ala testa di tutto il proletariato metropolitano.

Se la D.S. ’80 assume tale importanza per l’analisi degli errori e per nuovi processi di lotta, qual è il suo reale collegamento con la campagna D’Urso?

Da un lato la campagna D’Urso ha tradotto in prassi la linea strategica della D.S. ’80; dall’altro ha indicato e sviluppato la sostanza dell’agire da partito in questa congiuntura. Si può perciò dire che essa ha rappresentato un punto di non ritorno sul piano strategico-tattico, teorico-pratico, politico-militare. E ciò per il fatto che ha posto al centro dell’iniziativa guerrigliera il procedere per campagne. È nel procedere per campagne che si può trovare un’adeguata soluzione e rapporto partito-masse e, dunque, darsi l’elaborazione, l’applicazione, la verifica e lo sviluppo di una corretta linea di massa. È soltanto nel procedere per campagne che può trovare un’adeguata soluzione il rapporto del partito con l’avanguardia di tutto il proletariato metropolitano e, dunque, concretizzarsi un profondo e capillare lavoro di massa dell’organizzazione.

Qual è, allora, il modo di disarticolare lo Stato imperialista?

Innanzitutto non vi può essere disarticolazione senza organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata per il comunismo. Non vi può essere propaganda del programma prima e organizzazione e armamento delle masse dopo; è nella dialettica linea di massa-lavoro di massa che deve trovare soluzione e sviluppo la stessa disarticolazione dello Stato imperialista.

Allora, la proposta strategica dell’organizzazione delle Br, come affermata dalla D.S. ’80, è animata da una doppia dialettica: conquistare le masse alla lotta armata per il comunismo e colpire al cuore dello Stato.

Questa doppia dialettica deve vivere organicamente in ogni campagna. Diversamente operando, a loro avviso, si cade nel bieco militarismo e stolido organizzativismo. Sancendo, da un lato, un’esternalità abissale rispetto alle masse e ai loro bisogni politici immediati; dall’altro, una sfasatura incolmabile rispetto al cuore dello Stato. Non si può, dicono, ad esempio ritenere possibile disarticolare il cuore della ristrutturazione capitalistica del mercato del lavoro, attaccando il lavoro nero; né si possono costituire e sviluppare gli organismi di massa rivoluzionari all’interno del proletariato marginale ed extra legale intorno a una linea semplicemente disarticolante, senza porsi in dialettica attiva e trasformatrice con i contenuti reali di potere espressi dalla mobilitazione di massa, per delimitare il terreno di formulazione fissazione del programma immediato in rapporto di continuità e trasformazione col programma generale di transizione al comunismo.

In pratica, com’è possibile organizzare la classe operaia per questi fini?

È velleitario ed errato, a loro dire, ritenere possibile organizzare la classe operaia sul terreno della lotta armata per il comunismo agitando semplicemente un programma propagandistico che rimanda indefinitivamente la soluzione del problema cruciale della definizione dei programmi immediati e dell’attivazione di tutte le determinazioni del sistema del potere proletario armato.

Il procedere per campagne contiene specificità e originalità oppure è un modello organizzativo indifferenziato?

Non è un modello organizzativo indifferenziatamente e in maniera sempre uguale applicabile a tutti gli strati di classe. La campagna non è lo stereotipo fossilizzato che mummifica la sostanza dell’agire da partito. Essa articola la linea strategica entro strati di classe diversi. Ogni volta sviluppa in maniera originale la linea strategica, saldandola alla specificità di ogni strato di classe. In questa dialettica vive la traduzione, trasformazione, concretizzazione e sviluppo del programma generale di transizione al comunismo in programmi immediati specifici di potere. Intorno e dentro questa dialettica cresce e si rafforza il partito e nascono e si sviluppano gli organismi di massa rivoluzionari. È a questi principi e da questi problemi che può porsi e fondarsi una campagna come atto di fondazione politica, quale si è sviluppato per la campagna D’Urso; e così per la campagna Cirillo.

Sembra così di comprendere che attorno alla classe operaia ruoti questo generale procedere per campagne e il processo di costruzione del partito.

Infatti lo sviluppo obbligato di linea strategica della campagna D’Urso è porre al centro della pratica sociale dell’organizzazione la fondazione politico-militare di una campagna di intervento all’interno della classe operaia. Si misura qui la capacità, la possibilità e la necessità dell’organizzazione di articolare la corretta linea di massa entro le diverse figure che compongono la classe operaia. Come centralità operaia non vuol dire unidimensionalità operaia dell’agire da partito, così l’intervento nella classe operaia non può avere il carattere dell’unicità; così una campagna specifica all’interno della classe operaia deve tenere in conto la peculiarità strutturale di questo strato di classe centrale, le differenziazioni tra i diversi comparti produttivi e le mille originali forme del processo di stratificazione-annientamento prodotto dalla ristrutturazione in fabbrica.

La D.S. ’80 indica al centro della ristrutturazione imperialista nel nostro Paese la Fiat.

Non solo le lotte della classe operaia Fiat sono al centro dello scontro di classe nel Paese. L’autunno scorso è stato l’autunno della classe operaia Fiat; un’altra e più poderosa stagione di lotte già si preannuncia. È a partire di là, dunque, che si può e si deve articolare la corretta linea di massa all’interno della classe operaia. Senza classe operaia Fiat niente costruzione del Partito comunista combattente. “Senza Patto comunista combattente niente rivoluzione”.

Quale sarebbe il significato della centralità della classe operaia nel Sud?

Dalla dialettica sviluppo/sottosviluppo che azionerebbe il modo di produzione capitalistico, “incuneato nelle aree del sottosviluppo”, risulterebbe modellata la dinamica del rapporto tra le classi, rotando anche nel Sud attorno a due poli: la classe operaia metropolitana e la borghesia imperialista. Di qui si estenderebbe il ruolo di direzione politica del processo rivoluzionario esercitato dalla classe operaia e si affermerebbe che la stessa deve dirigere tutto. Altra conseguenza: la “questione meridionale” non esiste perché al Sud sono mature, secondo loro, le condizioni del radicamento della guerriglia metropolitana e matura sarebbe la prospettiva della guerra civile antimperialista che ruota intorno alla classe operaia.

Lo slogan “sfondare la barriera del Sud” come si collega alla teoria della centralità della classe operaia al Sud?

 

L’agire da partito, che nel Sud, parte dalla classe operaia che è figura strategica su cui si fonda l’azione di sfondamento, ma non la esaurisce. Ciò è tanto più vero nel caso del polo metropolitano napoletano, dove una molteplicità e ricchezza di tensioni politiche sono costantemente in ebollizione nel rigoglioso fluire delle contraddizioni di classe. Nel polo, la doppia dialettica accumulazione-produzione/accumulazione-sovrapopolazione relativa impone al partito una linea complessiva e un agire da definire con estremo rigore per confrontarsi con la dinamica delle contraddizioni di classe nel suo divenire storico e politico. Per cui tra prospettiva strategica e congiuntura politica non esisterebbe un aspetto di unità immediato ma di relazione dialettica di unità e opposizione. Spetta al partito individuare le posizioni dominanti di strati di classe, aprendo una dialettica con le masse allo scopo di interpretare e trasformare, al più alto livello di maturazione, la massima collisione. La soluzione è nell’opera di mediazione tattica di congiuntura: nel senso che al più alto livello di collisione e nella specificità del polo metropolitano l’iniziativa guerrigliera si confronta e si riferisce ai bisogni politici immediati. Pertanto, pur riconfermando che la classe operaia è il fulcro del processo rivoluzionario, esisterebbero altre potenti leve che si possono e debbono azionare per la costruzione del sistema del potere proletario.

 

Forse siamo giunti al famoso salto di qualità della lotta armata. Quindi saremmo in presenza di nuovi contenuti e nuovi metodi di lotta?

 

Affermo che nel variare delle congiunture e a seconda della specificità di ogni polo metropolitano, l’agire da partito si arricchisce costantemente, radicandosi in estensione e profondità in sempre nuovi strati di classe. Ecco perché, in questa congiuntura, nella specificità delle contraddizioni di classe che attraversano il polo metropolitano napoletano, abbiamo messo al centro del nostro intervento i bisogni politici del proletariato marginale ed extralegale. Questi bisogni erano già centrali nella dialettica rivoluzione/controrivoluzione; intorno a essi era possibile e necessario conquistare il programma immediato di questo strato di classe e costruire gli organismi di massa rivoluzionari, in dialettica col programma generale di transizione al comunismo. In tale modo la prospettiva strategica del progetto rivoluzionario cresce e può vivere già dentro tutta la congiuntura storica e politica.

 

La campagna Cirillo ha una sua originalità e specificità?

 

L’originalità della campagna Cirillo sarebbe data dal fatto che essa si pone il compito di articolare la linea strategica dell’organizzazione e i contenuti del programma generale di transizione al comunismo nel corpo del proletariato marginale ed extralegale. La sua specificità sarebbe data dal fatto che deve trasformare, ricomporre e organizzare i bisogni immediati del proletariato marginale ed extralegale incanalandoli entro la costruzione del potere proletario armato. La campagna Cirillo intenderebbe da un lato articolare i contenuti del programma strategico in maniera originale; dall’altro recuperare le specifiche tensioni di un ben delimitato strato di classe alle ragioni sociali della dittatura proletaria per il comunismo. Il cartello Cirillo indica tutto ciò con estrema chiarezza.

A proposito di cartello, potremmo individuarne i contenuti precisi?

 

È possibile fare una rilettura dei tre famosi punti richiamati nei documenti finora pervenuti delle Br.
“Lavorare tutti, lavorare meno” – significherebbe fissare l’orizzonte strategico in cui si muove il programma di potere: abolizione del lavoro salariato. Ciò crea una dialettica organica e permanente, sul lungo periodo quanto sul breve, col programma generale di transizione al comunismo; organizza e concentra, fin da subito, la mobilitazione di massa contro i rapporti sociali dominanti. Far vivere già oggi il rovesciamento di tali rapporti nelle forme necessarie e possibili è una esigenza imprescindibile. In questa congiuntura la forma di tale rovesciamento è data dall’emancipazione politica del sistema di dominio imperialista, intorno ai contenuti del programma generale di transizione al comunismo. Le conquiste del proletariato marginale ed extralegale debbono essere parte integrante di tale emancipazione. Soltanto così esse possono configurarsi come occupazione stabile e allargata di spazi di potere. Fuori di questo orizzonte non restano che pii desideri e pratiche errate.
“Contro la ristrutturazione del mercato del lavoro sostenere le lotte del proletariato marginale ed extralegale e costruire gli organismi di massa rivoluzionari” – significherebbe articolare il contenuto del programma strategico nella specificità del proletariato marginale ed extralegale. Tale articolazione stabilisce un punto di sutura politica tra la disarticolazione dello stato imperialista e l’organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata per il comunismo. E, di fatto, contro il controllo e la gestione capitalistica del mercato del lavoro, le lotte offensive del proletariato marginale ed extralegale hanno affermato nel polo metropolitano napoletano i massimi livelli di antagonismo e di esercizio del potere proletario. In un inesauribile e poderoso ciclo di lotte, il proletariato marginale ed extralegale ha fecondato e fatto crescere nel polo livelli di organizzazione autonoma intorno a un programma di potere inconciliabile e irriducibile al dominio dello stato Elotte che l’organizzazione nel polo ha memorizzato per svilupparlo. Innestandosi sulla ricchezza di questo patrimonio, il salto agli organismi di massa rivoluzionari non è un salto nel vuoto.
“Contro la deportazione requisire le case sfitte dei padroni” – significherebbe individuare quale, nella congiuntura attuale, è il bisogno politico immediato fondamentale, affermato dalla mobilitazione di massa, e saldare la soddisfazione di tale bisogno con il programma di potere. Significherebbe pure individuare le forme specifiche attraverso cui si articola il progetto di stratificazione e annientamento del proletariato marginale ed extralegale nel polo metropolitano napoletano. Il progetto imperialista rovescia contro tale strato di classe la strategia differenziata dell’annientamento, trasferendo il carcere sul territorio. In una parola, contro il proletariato marginale ed extralegale viene applicata la strategia della deportazione di massa. Impedire, bloccare, far saltare in aria tale strategia criminale diventa un obiettivo irrinunciabile del movimento rivoluzionario. La requisizione delle case sfitte articola tatticamente tale obiettivo di potere. Essa non è semplicemente un obiettivo assolutamente irrinunciabile, ma anche assolutamente perseguibile dato il rapporto di forza pendente a favore della rivoluzione. Non solo; essa impedendo di fatto la deportazione salda i bisogni immediati con la costruzione del sistema del potere proletario armato, facendo ulteriormente progredire il processo rivoluzionario nel nostro Paese.

È possibile dal materiale pubblicato dedurre qualche riferimento alla questione dei pentiti?

 

Purtroppo sì! Il radicarsi e crescere della prospettiva di guerra civile antimperialista ha scosso tutto l’edificio del sistema di potere dominante. Tutte le strategie e le tattiche del cosiddetto progetto controrivoluzionario sarebbero state costrette a perfezionarsi; così le strutture di potere a rinnovarsi; così le manipolazione ideologiche a raffinarsi. Ciò sarebbe risultato vano perché lo stato imperialista non è riuscito a spegnere le guerriglia metropolitana. Di qui prenderebbe corpo la più grande utopia che il capitale potesse partorire: sconfiggere la guerriglia metropolitana dal suo interno. Secondo loro, la desolidarizzazione non bastava più, occorreva far dissociare attivamente. Occorreva dimostrare scientificamente che la lotta armata per il comunismo era scientificamente immotivata, strategicamente perdente, tatticamente una follia.

Cosa chiederebbe lo stato imperialista? Che la guerriglia metropolitana disarmasse le masse e dichiarasse pubblicamente la propria sconfitta?

 

A loro giudizio lo stato imperialista simulerebbe la più grande delle forze proprio nel dichiarare la sua impotenza, e nell’avvertire l’impossibilità di bloccare la crescita del processo rivoluzionario cercherebbe di dissimulare il proprio destino storico e la carenza di legittimazione sociale.

Come verrebbero considerati i pentiti e che sarebbero?

 

Rappresenterebbero la proiezioni di ossessioni e di impotenze della borghesia imperialista che, loro tramite, tenterebbe di esorcizzare la lotta armata del comunismo. Sarebbe quella faccia dello stato imperialista, più repellente e bavosa secondo loro, perché costretta a vomitare impotenza. Sicché i Fioroni, i Peci, i Sandalo, i Barbone, i Viscardi non sarebbero altro che la duplicazione più deteriore dello stato imperialista e i pentiti in genere rappresenterebbero lo specchio fedele ed evidente dell’impotenza dello stato imperialista che li divora tutti, quanto più si sposta avanti l’asse della guerra di classe.

Indicano un rapporto tra i pentiti e la guerriglia metropolitana? E di Peci, in particolare, qual è il loro giudizio ultimo?

 

Loro indicano, ad esempio, che Peci non sarebbe figlio delle Br per quanto è andato dichiarando nei processi, ma bensì la riproduzione in miniatura dei Caselli e Dalla Chiesa e delle loro nevrosi per il rigoglioso attecchire della guerriglia metropolitana. Mentre i veri e autentici “pentiti” sarebbero i migliori figli della borghesia come Sossi, Moro, D’Urso, Cirillo, Taliercio, e Sandrucci. In definitiva, tra movimento rivoluzionario e “pentiti” sembrerebbe stabilirsi una contraddizione antagonista, cioè tra rivoluzione e controrivoluzione e non all’interno del movimento rivoluzionario.

Come giudicherebbe le affermazioni delle Br secondo cui non esisterebbe il pentimento ma la delazione?

 

Non è un giudizio che posso esprimere, ma nel riferimento agli atti le Br affermano che i delatori sono nemici di classe e come tali vanno trattati; anzi, affermano che la lotta armata per il comunismo nonostante i pentiti stia conoscendo un grandioso slancio in tutto il paese: dopo che a Torino i compagni non hanno consentito che con la guerriglia si processassero dieci anni di lotta armata per il potere processando loro lo stato imperialista e delle multinazionali e schiacciando politicamente il Peci; dopo che Roberto Peci, da loro definito il più squallido dei rappresentanti della schiera degli infami, si trova nelle mani delle forze rivoluzionarie, che cosa resta della borghesia imperialista e della controguerriglia psicologica?

Si possono individuare basi oggettive che favoriscono la penetrazione degli infiltrati nel Partito comunista combattente in costruzione?

 

Sosterrebbero che la crisi irreversibile del modo di produzione capitalistico procede in uno con l’affermazione dispotica del dominio reale e totale del capitalismo; non solo su scala planetaria, ma in tutte le regioni della formazione economico-sociale. Da un lato sempre più larghe fasce della borghesia vengono sfracellate dalla crisi; dall’altro, sempre più si interiorizza la penetrazione della ideologia borghese e piccolo-borghese in tutte le pieghe dei rapporti di classe e delle relazioni sociali. Il tutto sarebbe il riflesso dell’oggettivo innalzarsi dello scontro di classe nella prospettiva della guerra civile antimperialista. Uno scontro mortale, senza esclusioni di colpi, comincia a contrapporre due sistemi di potere antagonisti: per l’insieme di queste ragioni, una organizzazione rivoluzionaria risulta più esposta alla penetrazione della ideologia borghese e piccolo-borghese. Saldi e compatti allora devono essere la base teorico-pratica, l’orientamento generale e la linea politica dell’organizzazione.
Debolezza, indecisione e sottovalutazione intorno ai termini reali del problema, favorendo la infiltrazione di ideologie controrivoluzionarie, facilitano infiltrazioni politiche nel Partito comunista combattente in costruzione. Esiste una unità dialettica tra ideologia controrivoluzionaria e pratica controrivoluzionaria; in ognuna si cela, nascosta, l’altra. La penetrazione delle ideologie controrivoluzionarie in seno all’organizzazione costituisce la base oggettiva su cui le pratiche di potere controrivoluzionarie, le tecniche della manipolazione ideologica, le dissociazioni del legame teoria-prassi, i procedimenti della simulazione fanno attecchire la produzione e la riproduzione della mistificata figura del pentito. Smontare alla base l’utopia tardo-imperialista di attaccare dall’interno la guerriglia metropolitana significa preservare tutta l’organizzazione dalla contaminazione della ideologia borghese e piccolo-borghese, attraverso una lotta incessante e inflessibile contro le deviazioni e le oscillazioni. Si eviterà così che l’organizzazione e il movimento rivoluzionario in generale paghino sull’altare della rivoluzione un tributo più alto di quello necessario.

Cosa si potrebbe aggiungere sul progetto di costruzione del partito?

 

La battaglia politica sarebbe uno status fisiologico della vita del partito che ne fa lievitare la crescita. È questo un patrimonio incancellabile della lotta di classe e della storia delle organizzazioni rivoluzionarie. Viene affermato che lo sviluppo della lotta di classe ha storicamente affinato e perfezionato la teoria-prassi e la metodologia politico-organizzativa di costruzione del partito. Questa teoria-prassi e questa metodologia si sono conquistate, con quella che definiscono la grande rivoluzione culturale proletaria, un caposaldo da cui secondo loro non è possibile prescindere. Si riferiscono ai principi strategici unità-crisi-unità e lotta-critica-trasformazione. La battaglia politica chiarirebbe in termini di unità-crisi-unità e di lotta-critica-trasformazione la linea corretta e quella sbagliata. Isola la linea errata e la sconfigge e dunque recupera, riunifica e assesta tutta l’organizzazione sulla linea corretta. La battaglia politica serve a determinare nuove unità a un livello superiore, dentro sintesi generali che rideterminano, congiuntura dopo congiuntura, il programma strategico dell’Organizzazione.

Supposto, secondo la logica delle Br, il valore del processo di unità-crisi-unità e di lotta-critica- trasformazione, sarebbe questo il dato di fondo del corretto divenire, l’unità del partito?

 

Mi sembrerebbe coerente con il discorso di prima quanto da loro affermato circa il recupero alla linea corretta di tutte le contraddizioni non antagonistiche presenti nel partito. E ciò per loro sarebbe possibile col metodo della discussione politica e del confronto; in caso contrario, per effetto di contraddizioni secondarie trasformate in antagonismo, deriverebbero gravi conseguenze al partito. A questo punto la filosofia delle Br come si evince, ricordiamo, dal loro proclama “unità nella chiarezza”, vuol dire costruire il partito intorno alla linea della D.S. ’80 e ai contenuti strategici della campagna D’Urso e della campagna Cirillo.

Avviandoci alla conclusione, condivide il fatto che si è aperta una nuova fase storica, quella della cosiddetta guerra civile antimperialista dopo il compimento della precedente campagna armata?

 

È il loro tanto proclamato salto al partito, nel senso della recente teorizzazione sullo sviluppo della guerriglia. Una fase storica, quella della propaganda armata, si avvia al compimento.
Una fase nuova, quella della guerra antimperialista, sempre più prepotentemente si afferma, fa valere i suoi diritti e presenta i suoi conti. Lo sviluppo della guerriglia metropolitana svilupperebbe le basi della condotta della guerra per una nuova sintesi tra guerra di lunga durata e politica rivoluzionaria e sarebbe compito di tutta l’organizzazione affrontarlo e risolverlo. La guerriglia metropolitana intenderebbe affermare in maniera compiuta questo principio strategico: il corso della guerra si svolge nello stesso tempo e nello stesso spazio nel corso dell’azione politica: la dialettica è unica.
Da un lato la strategia nel senso più propriamente politico e militare imporrebbe alla nazione politica i suoi criteri e le sue forme; dall’altro, è la politica rivoluzionaria che determina il campo delle decisioni strategiche. Non solo la guerra è la continuazione della politica con mezzi violenti; ma la politica è la continuazione della guerra con mezzi rivoluzionari. In questo senso acquista una nuova dimensione il principio maoista secondo cui “la guerra è il centro di gravitazione del lavoro del partito”. Nel particolare della congiuntura di transizione la guerriglia trasforma le leggi di condotta della guerra e diventa il vettore del salto al partito.
Conseguentemente il salto al partito, salto al sistema di potere proletario armato, significano salto alla guerra.

 

Affermano quindi un triplice salto nella guerriglia metropolitana?

 

Sembra di sì. Dichiarano tre livelli di lotta: per la produzione diventa abbattimento dell’orizzonte angusto dei rapporti capitalistici di produzione; di classe diventa guerra di classe per il comunismo; per il rinnovamento scientifico e culturale diventa rivoluzione culturale nelle metropoli. Inoltre queste tre forme farebbero maturare il salto in seno alle masse attraverso la ricomposizione del sapere col potere, del lavoro intellettuale col lavoro manuale, del politico col militare e percorrerebbe ora, a partire dal partito, tutto il corpo scomposto del proletariato metropolitano. Le pratiche di potere che ora la guerriglia metropolitana si prefiggerebbe si pongono come emancipazione complessiva della classe a tutti i livelli: politico, militare, ideologico, culturale, scientifico, ecc. il sapere secondo loro è la coscienza di classe e la consapevolezza degli scopi e pertanto si coniuga immediatamente col potere. Il potere, finalizzato e animato dalla definizione consapevole degli scopi, riunifica e ridetermina tutte le pratiche sociali. E tutto questo ora avviene nel cuore del proletariato metropolitano.

 

Cosa altro farebbero intendere di questo salto in seno alle masse?

Salto in seno alle masse per la guerriglia metropolitana vorrebbe dire estensione quantitativa del modello e della pratica della lotta armata per il comunismo, perché consentirebbe di affondare la progettualità del programma e delle pratiche del potere proletario armato nel cuore pulsante della classe. L’arma della critica e la critica dell’arma non sono solo i termini essenziali di una pratica sociale unitaria ma sono, dal partito, riunificate in tutte le determinazioni del sistema del potere proletario armato. Il partito irradia la consapevolezza, la conformità degli scopi, la progettualità del programma lungo tutto l’arco delle contraddizioni di classe all’interno di tutte le figure della composizione di classe e in tutte le determinazioni del potere proletario.
Il tutto in maniera pedagogica, ma dirigendo sempre più estese e profonde pratiche di potere e trasformazione sociale che la classe si renderebbe sempre più consapevole della sua missione storica e della immane opera di rivoluzione globale cui deve attendere.
Infine, salto in seno alle masse significherebbe dar corso, attuazione e sviluppo a questa immane opera di rivoluzione globale nel divenire delle contraddizioni di classe; col dischiudersi di così luminosi orizzonti, il soggettivismo, il militarismo e l’organizzativismo sarebbero definitivamente spiazzati.
Concludendo, è possibile aggiungere che le cosiddette organizzazioni combattenti comuniste hanno anche la preoccupazione di far richiamo alla vigilanza e alla lotta contro quelle che definiscono le penetrazioni dell’ideologia borghese e piccolo-borghese in seno al partito in costruzione.

 

Fonte: Luigi Manconi, Vittoio Dini, Il discorso delle armi, Roma, Savelli 1981