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Rivendicazione azione contro Alfonso Noce

Oggi martedì 14 dicembre, alle ore 8,45, un nucleo armato dei NAP ha condotto un’azione di guerra tendente all’esecuzione del boia, capo dell’SDS del Lazio, Alfonso Noce, e con lui i suoi fedeli cani da guardia Renato Russo e Prisco Palumbo.

L’azione dal punto di vista militare è fallita per alcuni errori tecnici – militari fatti dai compagni che hanno condotto l’operazione.

Questi errori sono stati pagati con il fallimento dell’azione stessa e con la perdita del compagno combattente Martino Zichittella.

L’operazione contro il capo dell’SDS del Lazio è scaturita dalla necessità politica di attaccare lo Stato imperialista delle Multinazionali che oggi più che in passato sta accentuando la sua dittatura sulla classe operaia terrorizzandola con gli assassini e gli arresti di massa e con i licenziamenti.

L’SDS è il corpo di polizia speciale che da anni, agendo sotto sigle diverse si è distinto nella repressione più brutale delle avanguardie comuniste combattenti e del movimento in generale.

Questo processo terroristico vede impegnato in prima persona come ideatore il ministro di polizia Cossiga e quali esecutori materiali Santillo, Noce ed i vari capi di tale apparato poliziesco.

In particolare Noce è il mandante dell’assassinio della meravigliosa compagna Annamaria Mantini. Fu lui infatti ad armare la mano del killer di turno AntoninoTuzzolino facendo promessa di un avanzamento di grado, un premio in denaro e la copertura giudiziaria della magistratura.

Nel progetto terroristico dello Stato si inseriscono a fianco dell’SDS molti giudici e magistrati, poliziotti che forniscono una parvenza di legalità sugli omicidi coprendo le stragi, facendo sequestraree rinchiudere nei lager di Stato i compagni combattenti.

Contro questi porci che credono di poter svolgere la loro infame attività di carcerieri ed assassini come pensano di fare a Napoli al processo ai nostri militanti, va intensificata la lotta.

La Rivoluzione proletaria nonpuò essere giudicata in un tribunale dello Stato borghese.

Chiunque crede di poterlo fare si assicurerà non denaro o rapida carriera ma la condanna che il proletariato e le sue avanguardie riterranno più giuste.

Martino Zichittella, Sergio Romeo, sono compagni che sono maturati politicamente in carcere, sono la punta di diamante e punto di riferimento delle lotte dei detenuti e l’espressione più alta che il movimento stesso ha saputo esprimere negli ultimi anni. Martino in carcere, con la sua militanza è potuto essere un’avanguardia politico – militare complessiva preparando il 9 maggio 1975 l’operazione Viterbo – Di Gennaro con la quale portò l’Organizzazione a misurarsi in uno dei più alti livelli di scontro con lo Stato borghese e fascista. Solo dopo quell’esperienza poté preparare ad Agosto l’operazione di Lecce con la quale portò alla liberazione altri compagni e vari proletari.

In quest’ultima operazione le sue capacità politico militari sono state determinanti per la preparazione e l’esecuzione dell’azione stessa.

Ma, come già detto, la buona riuscita dell’azione è stata impedita da errori tecnici – militari.

Noce, Dell’Anno, Tuzzolino, la condanna a morte che i proletari hanno sentenziato è stata soltanto rinviata.

I proletari hanno tanta pazienza e lunga memoria.

 

ONORE AL COMPAGNO MARTINO MILITANTE COMUNISTA COMBATTENTE.

IL MITRA CHE TI È CADUTO ALTRE MANI LO HANNO GIA’ IMPUGNATO.

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO

PORTARE L’ATTACCO AL CUORE DELLO STATO

NUCLEO “29 OTTOBRE”

 

Dicembre 1976

In ricordo di Vito Principe, stralci

La sera dell’11 marzo 1975 il compagno Vito Principe è caduto a Napoli.
Il fatto che Vito sia morto dilaniato da una carica di esplosivo ha scatenato le iene borghesi e riformiste. Ricordare come gli ‘incidenti di lavoro’ capitano purtroppo ai compagni che si muovono sul terreno della lotta armata, sarebbe superfluo se non fosse per far tacere queste luride carogne.
Nel 1970 Vito Principe ha lavorato entusiasticamente con il Movimento Studentesco napoletano in tutte le esperienze di lotta, antifasciste, accademiche, antirepressive, e trasse da questa esperienza quanto di positivo poteva offrire. Non è un’accettazione ideologica del marxismo, ma la scoperta di esperienze pienamente realizzate di vita diversa, di diversi rapporti umani e politici.
È in questo anno e in quelli immediatamente successivi che matura il salto qualitativo che lo porterà nel 1973 ad essere un’avanguardia reale del movimento. In questo periodo Vito paga sulla propria
pelle il vivere da comunista; il distruggersi come intellettuale borghese segna il suo momento cruciale di crescita. Per lui l’essere un compagno, l’essere un comunista diviene sempre più un fatto
complessivo, vissuto fino in fondo, in tutti i suoi aspetti (…).
È tra i primissimi compagni dei Nuclei Armati Proletari; il suo contributo è enorme, il suo lavoro è preziosissimo. È un altro salto di qualità che Vito compie e con piena coscienza. (…)
Il suo stile di lavoro, la sua serietà fatta di azioni e non di professioni di fede, la sua ricerca di unità reale, non formale, la sua decisione sono ora il patrimonio di tutti i compagni che hanno lottato e
lavorato con lui.
Nuclei Armati Proletari
Napoli marzo 1975

Comunicato azione contro il giudice Paolino Dell’Anno

Oggi 5 maggio alle ore 8 un nucleo armato ha colpito il sostituto procuratore Paolino Dell’Anno. L’attività di questo porco contro i compagni rivoluzionari e contro tutti i proletari è troppo nota perché valga la pena di dilungarvisi. Basterà ricordare che come magistrato inquirente fornì la copertura legale all’assassinio della compagna Annamaria Mantini.

Le sue imprese gli hanno meritato il soprannome di ‘ergastolino’. Paolino Dell’Anno è stato un precursore e tuttora a Roma è il principale esponente di quel tipo di magistratura che, operando a fianco degli organismi militari specializzati nella repressione, fornisce, usando gli strumenti legislativi che la democrazia borghese mette loro a disposizione (legge Reale e codice Rocco), la copertura legale al processo di repressione in atto in Italia oggi. Questi magistrati legati direttamente all’apparato militare della repressione sono indispensabili allo sviluppo e all’efficienza del progetto repressivo lasciando formalmente intatte le garanzie legali di cui si ammanta l’attuale ordine borghese per colpire i proletari.

Bisogna perciò colpirli nella maniera più dura sia per inceppare la struttura repressiva che per provocare una loro sempre maggiore separazione dai magistrati ‘normali’ e aumentare la possibilità di individuazione per tutto il movimento rivoluzionario combattente. Del resto questi magistrati son pienamente coscienti del ruolo che giocano e dei rischi che comporta (accanto a cospicui vantaggi): Paolino Dell’Anno dal mese di ottobre 1975 al mese di febbraio 1976 ha perpetuamente viaggiato con due sbirri dell’antiterrorismo in una 500 bianca, auto civetta del distretto di PS di San Lorenzo in Lucina; anche adesso che i suoi padroni gli avevano tolto la scorta si spostava cambiando spessissimo macchina e percorso. Tutto questo non è servito a molto. Per i compagni rivoluzionari che praticano la lotta armata è centrale capire che l’attacco va portato ai centri di potere economico e ai centri dell’apparato repressivo. Altri obiettivi e altre forme di lotta come il sabotaggio e la distruzione degli apparati produttivi non colpiscono l’asse portante del progetto delle multinazionali di repressione controrivoluzionaria e ristrutturazione produttiva antiproletaria, dando spazio alla calunnia riformista e alle provocazioni borghesi, e soprattutto non rappresentano un terreno reale di crescita politica e organizzativa per i proletari e le loro avanguardie armate. E’ necessario costruire forme d’organizzazione e di lotta che facciano progredire il processo di maturazione e di unificazione del movimento combattente. Questo compito è tanto più importante in questo momento che vede la crisi profonda dell’apparato politico della borghesia, per cui l’efficienza e la stabilità dello Stato borghese sono affidate essenzialmente al ricatto della disoccupazione e dell’affamamento contro i proletari e alla violenza dell’apparato militare di repressione contro le sue avanguardie comuniste, Lotta armata per il comunismo! Viva l’unità del movimento combattente! Creare e organizzare 10 100 1000 Nuclei Armati Proletari. Colpiscine uno per educarne cento!

NUCLEI ARMATI PROLTARI, NUCLEO ARMATO ANNAMARIA MANTIN

ROMA, 5-5-76

Onore al compagno Martino Zichittella

Il compagno Martino Zichittella nacque a Marsala (TP) il 26-4-1936 ma fin da piccolo ha vissuto a Torino, la città della borghesia savoiarda, degli ex-repubblichini, la città dei Valletta, la città in cui la sperequazione capitalistica è più evidente e più umiliante. La città metropoli in cui, già negli ultimi anni del “boom”, la vita sociale è pianificata, controllata e manipolata; dove ogni attività è finalizzata alla produzione di plusvalore e di consenso, attraverso l’utilizzazione dei più rudimentali mass-media del tardo capitalismo.

Dai casermoni di via Verdi ai portici di via Roma lastricati di marmo, alla Barriera di Milano (il quartiere di Martino), alla Crocetta, i salariati di Torino si battono tra centinaia di contraddizioni giornaliere, simili a quelle di qualsiasi altra metropoli di qualsiasi altro paese capitalista, ma tutte riconducibili a una sola: quella della propria appartenenza di classe, del proprio potere di acquisto dal quale dipende la gradazione della propria identità umana e sociale. Qui l’acquisizione e l’interiorizzazione dei valori legati all’ideologia borghese non sono scelta, sono induzione violenta, costante, asfissiante.

Martino sceglie la strada dell’appropriazione violenta ed individuale del benessere padronale: quella della rapina, per cui viene arrestato nel 1966.

Durante l’alluvione di Firenze, Martino evade, vive ancora contraddittoriamente la sua realtà di proletario detenuto; salverà invece alcuni giovani dalla melma dell’Arno.

Il carcere e lo scontro che in esso si vive collettivamente gli fanno acquisire i primi elementi di coscienza rivoluzionaria e lo portano nel ’68 alla testa, come direzione ed avanguardia riconosciuta, delle prime dimostrazioni pacifiche nelle carceri “Nuove” di Torino, alle quali il potere risponde brutalmente, come sempre.

Nel ’70 Martino ha pienamente chiarificato la sua identità, ha identificato lo Stato anche nelle sua appendici carcerarie e riesce a evadere da Alessandria.

Rimane fuori poche ore con le gambe spezzate per il salto dal muro di cinta. Ripreso viene massacrato dalle guardie e rimarrà claudicante.

Nel ’71 è alla testa della rivolta delle “Nuove”. Con lui altri compagni che in quelle lotte e da quelle lotte hanno consequenzialmente maturato la scelta della lotta armata; all’interno della quale rappresentano le avanguardie più alte e più coscienti del proletariato detenuto, al quale la loro prassi fornisce le più chiare indicazioni: l’evasione e l’organizzazione combattente.

Il ’71 è l’anno di Attica per i proletari che si ribellano in USA; quello di Porto Azzurro per i compagni come Martino.

Le successive rivolte ad Alghero, Noto, Enna, lo vedono farsi carico, nella gestione delle lotte, degli interessi di sopravvivenza dei proletari prigionieri, della loro necessità di organizzarsi e combattere.

Nel ’74 a Viterbo inizia un confronto con altre avanguardie espresse dalle lotte dei detenuti sulla costituzione in organizzazione politico-militare all’esterno di alcune avanguardie rivoluzionarie.

Con la presenza a Viterbo di un militante dei NAP, il confronto prosegue e si sviluppa interno-esterno, sul piano politico quanto su quello organizzativo-militare.

Partecipa così alla costruzione e alla realizzazione della operazione coordinata con l’attacco armato interno-esterno del maggio ’75 che vede al primo posto la parola d’ordine della liberazione dei combattenti comunisti prigionieri.

L’attacco interno non coglie l’obiettivo della liberazione ma, per effetto dell’attacco esterno che vede imprigionato il boia Di Gennaro, è comunque un momento di enorme crescita politico-militare che Martino fa suo patrimonio all’interno dell’organizzazione dei NAP.

Trasferito a Lecce per rappresaglia subisce per mesi torture fisiche e psicologiche ma non cessa di porsi come direzione dello scontro organizzando e realizzando con un altro militante dei NAP l’azione armata dell’agosto ’76 che porta alla liberazione di 11 prigionieri.

La sua morte nello scontro di Roma caratterizza e definisce la sua vita e la coerenza di un combattente comunista.

 

Nuclei Armati proletari

Roma 1976

 

Pubblicato in Processo allo Stato n. 2, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano 1977.

Nucleo fiorentino, Volantino in ricordo di Luca Mantini e Sergio Romeo

La mattina del 29 ottobre 1974 a Firenze cinque militanti dei NAP sono caduti nella premeditata imboscata tesa a loro dai carabinieri di Calamari. I compagni fucilati in Piazza Alberti erano militanti dei NAP e come tali li rivendichiamo. Lo scopo della loro operazione: un esproprio per autofinanziamento e le loro vite sono state stroncate a raffiche di mitra con la precisa intenzione di ottenere il massacro che si è concluso con la morte di due compagni ed il ferimento di altri due: uno dei quali in modo grave. Un compagno è riuscito a fuggire ed è ora in luogo sicuro. Questa logica del massacro premeditato, si ricollega alla fucilazione di Del Padrone (Firenze-Murate), alla strage di Alessandria, alla morte dei compagni uccisi a San Basilio e a Lamezia Terme, tanto per citare gli ultimi fatti che concretizzano la precisa volontà dello Stato dei padroni. Come sempre anche a Firenze i carabinieri hanno aperto il fuoco senza preavviso alcuno contro i nostri compagni, sicuri dell’impunità propria dei lacchè armati dello Stato, garantita e avallata dalla diretta complicità della stampa borghese e revisionista con i suoi falsi, con le sue mistificazioni. La morte di questi compagni prosegue l’infinita lista di quanti da sempre hanno saputo battersi e morire per la libertà anche quando il “comodo politico” di tutti esigeva i più immondi baratti di questo inalienabile valore.

Sappia di illudersi chiunque pensi che la morte di Mantini e Romeo sia un pauroso esempio di repressione che dovrebbe far desistere quanti, proprio da questo esempio, trarranno motivo e momento per effettuare un salto qualitativo definitivo dalla loro lotta.

Mentre le trombe della paura padronale strombazzano la presunta sconfitta dell’organizzazione che per prima porta avanti i toni della lotta armata (Brigate Rosse) queste ottengono dai fatti la loro vittoria che si realizza nel progressivo generalizzarsi di questa scelta a tutti i livelli proletari. Questo nuovo massacro rientra nei precisi disegni del potere che tende a rafforzare, fascistizzando ulteriormente le strutture autoritarie dello Stato, un quadro di pesante ristrutturazione e di svolta a destra già in atto da tempo; e che trova nella politica di delazione e di tradimento della sinistra parlamentare la sua migliore garanzia.

Dalla dinamica dei fatti di Piazza L.B. Alberti emergono incontestabili due dati di fatto:

  • La premeditazione. Intesa come scelta di intervenire nel fatto solo quando fosse stato possibile, secondo i canoni della logica borghese, “giustificare il massacro”.
  • La precisa volontà di uccidere. Essenziale affinché la brillante operazione dei carabinieri fosse esemplare.

Significativa la corsa affannosa della stampa padronale tutta tesa ad esaltare il massacro richiedendo alla pubblica opinione un vasto assenso; negato di fatto nei commenti dei proletari fiorentini nonostante la disinformazione sul fatto specifico.

Mantini e Romeo sono morti coscientemente, avendo accettato a priori una possibilità di questo genere, forti della convinzione che l’unico banditismo esistente sia quello capitalistico; banditismo che si combatte oggi con l’unico mezzo che abbia una possibilità reale di trasformarsi in vittoria: la lotta clandestina, propaganda armata ed anticipo della lotta armata del proletariato.

Ricordiamo a quanti ancora si illudono (in buona o malafede) che la lotta rivoluzionaria sia possibile all’interno di un contesto legale, che la legalità in Italia è firmata Mussolini. Quella cilena è firmata Pinochet. Quella dell’imperialismo mondiale è firmata dalle multinazionali USA.

Il modo in cui sono morti i compagni Mantini e Romeo ci impone di portare i livelli del nostro scontro anche contro gli individui della repressione; ed a questo dato si uniformeranno le nostre prossime azioni. Non si illudano i lacchè armati dello Stato che sia ancora possibile il ripetersi della causa che ha portato al massacro di P.zza Alberti (una delazione esterna è del tutto estranea e distribuita a tutti i suoi componenti) e siano questa volta veramente pronti difendere la loro vita poiché colpiremo come e quando riterremo opportuno sia logico fare affinché i conti tornino pari. Tutti sappiamo che i NAP si muovono all’interno di una logica di lotta totale allo Stato e che a questo principio si uniformeranno per rispondere al massacro di Firenze.

Viva il comunismo, viva i compagni Mantini e Romeo!

 

Nuclei Armati Proletari. Nucleo fiorentino

 

 

Pubblicato in Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di Controinformazione, Milano 1976.

 

Comunicato in onore di Annamaria Mantini

9 luglio 1975: Ieri in un agguato teso dalla polizia, è stata uccisa a freddo la compagna Annamaria. La volontà del potere di chiudere la partita con i compagni che si organizzano clandestinamente, ha armato la mano del killer di turno, che con la precisa coscienza di uccidere, ci ha privato di una compagna eccezionale. Annamaria era uno dei compagni che hanno dato vita al nucleo “29 ottobre”. Ha fatto parte del gruppo che ha sequestrato sotto casa il magistrato Di Gennaro, e il contributo che ha dato alla costruzione ed esecuzione di questa azione, dimostrando il livello politico militare che aveva raggiunto. E’ enorme l’abisso che separa una compagna rivoluzionaria da uno sbirro. Non basterebbero la vita di cento Tuzzolino per pagare la vita di Annamaria.
Questo non significa che dimenticheremo i Tuzzolino, i Barberis, così come non abbiamo dimenticato i Conti e i Romaniello.
La mano che uccide un proletario ci è nemica come i porci che la armano. Ma lo ripetiamo, non è uccidendo uno o più sbirri che i proletari si possono ripagare del prezzo che stanno pagando per liberarsi. E per questo prezzo altissimo, in noi come in tutti i rivoluzionari, non c’è solo la rabbia ma anche la coscienza che il movimento si sta arricchendo in maniera definitiva del patrimonio di importantissime esperienze che questi compagni ci lasciano.
Le giornate di aprile, le innumerevoli azioni armate, gli espropri per autofinanziamento, le azioni nelle carceri, dimostrano la crescita di una nuova generazione di combattenti, e non bastano gli omicidi e gli arresti per distruggerla.
La nostra esigenza di comunismo è indistruttibile.
Luca Mantini, Sergio Romeo, Bruno Valli, Vito Principe, Gianpiero Taras, Margherita Cagol, Annamaria Mantini.
Non siete i soli e non sarete gli ultimi, ma rappresentate per tutti i rivoluzionari una scelta irrinunciabile.
Lotta armata per il comunismo.
9 luglio 1975.
Nucleo Armato 29 ottobre

Nuclei Armati Proletari – Nucleo Armato 29 ottobre, Autointervista.

  1. Come sono nati e che scopi si propongono i Nuclei Armati Proletari?

I NAP sono nati da precise esperienze di massa in vari settori, che hanno spinto alcuni compagni a porsi completamente il problema della clandestinità. Per noi clandestinità significa conquistare strutture politiche e organizzative che ci mettano in grado di sviluppare e consolidare tutte quelle esperienze di lotta violenta illegale che sono state e sono un momento centrale per la crescita della autonomia proletaria e dell’alternativa rivoluzionaria nello scontro di classe in Italia, oggi.

Per lotta violenta illegale intendiamo sia esperienza di massa quali l’occupazione della FIAT, San Basilio, le giornate di aprile a Milano; sia la lotta condotta da avanguardie armate clandestine che autonomamente compiono tutte quelle azioni che, pur rispondendo a profonde e generalizzate esigenze del movimento rivoluzionario, in una fase come quella attuale, che secondo noi non si può considerare pre-insurrezionale, non è possibile organizzare a livello di massa. Queste sono per noi le punte emergenti di una pratica politica quotidiana, di una vera e propria prassi alternativa che in questi anni si è diffusa in Italia a un livello abbastanza di massa e rappresenta un primo abbozzo di un programma comunista generale.

Per noi l’unico terreno di crescita comune e omogeneizzazione è stato la costruzione di esperienze di lotta armata la cui continuità è stata garantita da una continua crescita organizzativa che è stata un momento essenziale del nostro sviluppo.

E’ questo l’unico terreno su cui è stato possibile realizzare al nostro interno un livello di unità non formale. Gli sviluppi delle varie esperienze hanno portato alla creazione di nuclei di compagni che agiscono in luoghi e situazioni diverse in maniera totalmente autonoma e che conservano tra di loro un rapporto organizzativo e di confronto politico.

Noi vediamo la sigla – NAP – non come firma che caratterizza una organizzazione con un programma complessivo ma come una sigla che sintetizza i caratteri propri della nostra esperienza. Per definire ancora meglio l’autonomia dei vari nuclei, i compagni che hanno risposto a queste domande hanno firmato le loro azioni “Nucleo Armato 29 Ottobre”

  1. Quali rapporti si hanno o si vogliano avere con organismi di massa non clandestini?

Secondo noi oggi in Italia ci si può organizzare ed agire efficacemente in maniera non clandestina. Bisogna però tenere ben presente che la durezza violenta dello scontro di classe richiedono da parte di tutti i compagni rivoluzionari in qualunque settore della società essi operino, la coscienza della necessità da parte loro della costruzione di livelli di clandestinità che li mettano in grado non solo di resistere alla repressione che li colpirà ma anche di praticare efficacemente e con il massimo di sicurezza possibile le forme di lotta illegali e violente che il loro lavoro di massa qualunque esso sia, necessariamente richiede e richiederà.

I rapporti che noi abbiamo con compagni non clandestini, da una parte vogliono mettere a loro disposizione gli strumenti pratici e teorici che ci vengono dalla nostra esperienza di clandestinità, dall’altra ci servono per trovare, attraverso un confronto il più ampio possibile con compagni rivoluzionari esterni nuove forze alla nostre azioni, nuovi obiettivi da colpire, elementi che affrettino lo sviluppo della nostra esperienza e quindi del movimento rivoluzionario di cui poi siamo una componente.

Naturalmente questi rapporti assumono varie forme dipendendo:

  1. dal reale livello di illegalità richiesto dalla situazione in cui operano i compagni con cui ci confrontiamo;
  2. dalla maturità con cui essi affrontano il problema della clandestinità con tutti i rischi che vi sono legati per loro e per noi;
  3. dalla nostra capacità di misurarci realmente con il livello della lotta di classe nei vari settori con cui entriamo in contatto e di dare quindi un contributo non formale alla crescita del movimento rivoluzionario in quel settore.

Bisogna pure tenere presente che le esperienze e le situazioni di militanza in cui si agisce in Italia oggi hanno ancora caratteristiche abbastanza particolari per cui non è detto che i tempi e le forme della clandestinità che è necessario praticare siano omogenee tra di loro. Già oggi però alcuni momenti come le giornate di aprile a Milano costituiscono una scadenza per tutto il movimento nel suo complesso e quindi a anche per noi. E’ cosi che va vista l’azione contro Filippo De Jorio, agente del STC e consigliere regionale DC da noi effettuata a Roma.

Il confronto pratico e teorico con i compagni esterni deve farci conseguire l’obiettivo di una reale unità d’azione in occasioni come queste sia per svilupparle al massimo livello possibile, sia per sperimentare nuove forme di azione e di organizzazione.

  1. Che cosa avete da dire in merito al quadro che la stampa borghese neoriformista da della vostra esperienza?

Per quanto riguarda la stampa borghese c’è da dire solo che essa assolve il suo compito di provocazione e calunnia contro le avanguardie rivoluzionarie meritandosi la paga dei padroni. Alcuni giornalisti e giornali che non dimenticheremo hanno eseguito con particolare zelo questo compito; per quanto riguarda la stampa riformista e neo riformista, entrambi nella loro paura di perdere il cantuccio legale che si sono creati, in uno Stato dove la legalità è quella dei padroni sono abituate a gridare alla provocazione ogni qualvolta si trovano di fronte la violenza proletaria armata e tanto più, da veri sciacalli, quando si subiscono sconfitte. Il ruolo di costoro (Avanguardia Operaia in testa) si configura oggettivamente come provocatorio. E il tempo che ciascuno si prenda le proprie responsabilità. Da una parte si sono calunniati compagni caduti o arrestati, dall’altra, accettando in pieno e anzi arricchendo di particolari, inventati di sana pianta le versioni che la polizia forniva delle nostra azioni, si è insinuato il sospetto di infiltrazioni per screditare una scelta e delle ipotesi politiche e i momenti organizzativi che ne derivano. Tutto questo facendo sfoggio di un atteggiamento professorale ed esperto su problemi della clandestinità, atteggiamento profondamente ridicolo per tutti i compagni che conoscono il passato di scalda sedie degli aspiranti consiglieri comunali Corsivieri e C. nonché le eroiche imprese dei vari “servizi d’ordine” a cominciare da quello di AO più noto come la “Brigata Lepre”.

I NAP si sono finora caratterizzati dalla perfetta conoscenza reciproca di tutti i militanti di ciascun nucleo che è politicamente e organizzativamente autonomo. Attraverso la discussione e il lavoro politico comune si tende ad avere il massimo controllo reciproco sui singoli militanti e sulle strutture. Ciò non vuol dire che non si commettono errori tecnico-militari e di valutazione politiche su singoli azioni. Questi errori, pesantissimi da pagare sono difficili quando si pratica un terreno, quello della costruzione di una organizzazione clandestina su cui le esperienze sono enormemente limitate. Noi rivendichiamo come nostro patrimonio gli errori commessi e riteniamo fondamentale risolverli: molte volte abbiamo pagato la nostra inesperienza e troppe sono pure le volte che abbiamo pagato anche la leggerezza dei compagni esterni alle nostre strutture sui quali non abbiamo avuto il controllo necessario.

Infine i compagni e specialmente quelli che si muovono o intendono muoversi nella clandestinità devono avere ben chiare il continuo rafforzamento qualitativo e quantitativo dell’apparato repressivo borghese e il costo politico, organizzativo, umano che questo comporta. Ad ogni nostra azione noi ci rafforziamo politicamente e organizzativamente però ci scontriamo con una repressione più forte e raffinata. In questa situazione è illusorio pensare di potere evitare gli errori e le sconfitte che possono anche essere fatali per questo o quel singolo nucleo. La validità di una esperienza clandestina deve essere valutata solo per giudicare se si presenta o non come una componente del progetto complessivo che il proletariato rivoluzionario sta oggi elaborando in Italia.

  1. In base a quale analisi e verso quali prospettive intendete agire?

Precisiamo innanzi tutto che secondo noi il movimento rivoluzionario in Italia non ha ancora raggiunto un livello e una generalizzazione tali da possedere una reale analisi che preveda sul piano tattico e strategico i tempi e le forme dello scontro di classe e un programma comunista articolato a tutti gli aspetti della società. Ci sono senz’altro alcuni punti fermi teorici e pratici che sono patrimonio del movimento rivoluzionario quali: il rifiuto del lavoro nella sua forma attuale, la lotta violenta alla oppressione capitalista, il diritto a riappropriarsi del complesso della nostra esistenza. Più che di un programma teorico si tratta di un programma pratico che già ora viene posto in atto a livello di massa. Alcuni compagni che sono più coscienti ne vedono più chiaramente le implicazioni altri ne hanno una coscienza teorica meno chiara ma la loro prassi politica non per questo è diversa. La dimensione di massa di questi fatti e il potenziale rivoluzionario che possono esprimere ci sembrano ampiamente dimostrati da decine di episodi particolari della lotta di classe in questi anni e dai momenti di lotta generale che ci troviamo di fronte. Noi intendiamo all’interno di questo processo, di cui siamo una componente, sviluppare al massimo le nostre capacità di intervento sia pratico sia come contributo teorico sulla base della nostra esperienza. L’aver portato felicemente a termine alcune operazioni negli ultimi tempi non ci fa pensare di essere invincibili. La morte dei compagni Sergio, Luca, Vito, il pesante prezzo dei compagni arrestati e condannati spesso sulla base di prove false, con cui abbiamo pagato ogni minimo errore non sono cose che si possono sottovalutare. Ma riteniamo di rispondere con la nostra azione e con le nostre esperienze a una reale esigenza della lotta di classe e di contribuire allo sviluppo del programma comunista. Questo fatto e questa prospettiva giustificano i rischi che corriamo.

Lotta armata per il comunismo !

Creare organizzare 10 100 1000 Nuclei Armati Proletari!

NUCLEO ARMATO 29 OTTOBRE

Giugno 1975

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, p.239-242.

Nuclei Armati Proletari, Nucleo Interno “Azione Di Gennaro. Autointervista”, Volterra, Giugno 1975

a) Quali erano gli obiettivi che intendevate conseguire attraverso il sequestro del Giudice Di Gennaro e l’azione del nucleo interno a Viterbo?
Gli obiettivi che volevamo conseguire attraverso il sequestro Di Gennaro sono stati spiegati nel nostro comunicato; l’azione tendeva alla liberazione dei tre compagni di Viterbo, da tempo sequestrati dalla giustizia borghese. Il sequestro di Di Gennaro è servito ad evitare che i compagni di Viterbo fossero fucilati come in P.za Alberti o come nel carcere di Alessandria. Infine il collegamento tra i nuclei esterni ed interni, la perfezione di questo collegamento, attesta il grado di efficienza organizzativa politico-militare raggiunto dal Nap.
b) Non vi sembrano scarsi i frutti raccolti con un’operazione così complessa?
Se per i borghesi l’incolumità fisica dei loro simili è cosa da poco, per noi è fondamentale salvaguardare la vita dei compagni. Con questa azione abbiamo soprattutto teso ad affermare il nostro fermo proposito di non abbandonare i compagni che cadono nel corso della lotta in mano al nemico. Non saranno i lager della borghesia a fermare la lotta del proletariato. La nostra parola d’ordine è distruzione dei carceri e liberazione di tutti i detenuti.
c) Per quale ragione il volantino in possesso ai tre rivoluzionari di Viterbo parla già di non raggiungimento dell’obiettivo quando l’operazione era ancora in corso?
Per motivi ovviamente precauzionali i compagni hanno predisposto un volantino di gestione anche della eventuale ipotesi di un fallimento dell’obiettivo tattico della liberazione dei compagni. Ciò dimostra che i Nap non hanno lasciato niente al caso e che tutti i particolari dell’operazione sono stati vagliati nei minimi dettagli. In particolare della mancanza della nostra sigla e del nome del magistrato sul volantino in possesso del nucleo interno si spiega nel senso di ulteriori precauzioni predisposte al fine di non pregiudicare fino all’ultimo momento la riuscita dell’intera operazione.
d) Quale rapporto esiste tra i Nap e le Br?
Non esiste alcun legame operativo e organizzativo tra Nap e Br. Esiste comunque una omogeneità politica sulla strategia di lotta. Lotta armata per il comunismo.
e) A questo punto dovresti parlarci più per esteso dei Nap, della vostra origine, dei vostri programmi di lotta e infine come considerate la vostra azione rispetto al resto del movimento?
Le carceri sono oggi nello stesso tempo il luogo di organizzazione di vasti strati di proletariato e la risposta del sistema capitalistico alle richieste di potere delle masse subalterne, al tentativo individuale o collettivo di conquistarsi uno spazio vitale. In particolare nel meridione, dove i contrasti di classe travalicano la conflittualità di fabbrica e dilagano infiammando i ghetti nei quali proletari e sottoproletari si fondono in un’unica immensa massa di “dannati della terra”, nei quali la lotta per un qualunque miglioramento delle condizioni di vita si traduce immediatamente in uno scontro diretto e sovente armato con lo Stato e le istituzioni. Lo sbocco inevitabile, il passaggio obbligato di questa lotta sono le carceri e questo vale tanto per il braccato che sceglie di prendersi con la forza la casa che spetta a lui e ai suoi figli come per il rapinatore che riprende per sé una parte di quella ricchezza gestita ingiustamente dalla borghesia. I Nap nascono in questo contesto ed esprimono le speranze e lo slancio rivoluzionario di queste masse popolari meridionali, da sempre lasciate sole nella lotta per l’emancipazione. Questo basta a zittire certi critici che parlano di “concezione politica disperata che spinge a perdere il legame e la fiducia nell’organizzazione di classe dei lavoratori, per dedicarsi ad una guerra privata e suicida”. Il solo modo per essere legati alla nostra classe è il dare una risposta strategica al bisogno di potere che esprimono le molteplici istanze del movimento. La nostra strategia è la lotta armata per il comunismo; la nostra proposta organizzativa è la creazione e costituzione di nuclei armati proletari ovunque si esprima la volontà e autonomia di emancipazione delle masse proletarie. Le carceri sono solo uno dei settori di intervento della nostra azione politica. Nella dura lotta contro le strutture della attuale repressione carceraria si sono formati parecchi nostri militanti, così come tanti altri proletari hanno preso coscienza delle mostruose trappole che i padroni hanno costruito, sempre pronte a scattare su chiunque si ribelli alla logica dell’oppressione e dello sfruttamento legalizzato. Le battaglie dei detenuti, per molti aspetti e contenuti sempre più vicini alle battaglie di fabbrica, hanno fatto di questi uomini dei validi compagni di lotta del proletariato: la nostra organizzazione si propone di unificare ciò che la società borghese ha interesse a tenere diviso, di affiancare i compagni detenuti ai fratelli che si battono ogni giorno nei quartieri e nelle fabbriche. Per questa ragione il nostro principale ambito di intervento oggi è l’arco politico dell’autonomia operaia. La nostra iniziativa politico-militare intende intervenire concretamente nel vasto dibattito in corso in questo arco del movimento tra le avanguardie di lotta. Ai compagni che si battono per la casa, per l’autoriduzione dell’affitto e delle bollette, ai compagni che lottano contro lo stato di assedio dei quartieri proletari, contro la ristrutturazione antioperaia in fabbrica e la svolta controrivoluzionaria in atto nel paese, alle avanguardie armate che si formano oggi spontaneamente nel vivo della lotta contro il regime democristiano, noi dei Nap dichiariamo il nostro impegno a combattere fino in fondo per il comunismo”.

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. .

Nucleo Armato 29 Ottobre, Azione Di Gennaro. Comunicato N. 3

Oggi 11 Maggio 1975 alle ore 22 è stato rilasciato Giuseppe Di Gennaro. Sono stati raggiunti tutti gli scopi che ci proponevamo sia rispetto alle garanzie di incolumità per i compagni Zichittella, Panizzari e Sofia, sia rispetto alla possibilità di una gestione politica dell’azione che sfruttasse a fondo tutti i canali di informazione (giornali, radio, tv). I compagni Zichittella, Panizzari e Sofia non sono riusciti a liberarsi come era nelle loro intenzioni e nel loro diritto di proletari. Ma l’azione di Viterbo non si è trasformata in una seconda strage di Alessandria, come era nei piani omicidi del potere borghese. L’interrogatorio di Giuseppe di Gennaro si è rivelato utile per capire il funzionamento interno di istruzioni chiave della società borghese quali sono il Ministero di Grazia e Giustizia e la Magistratura. La lotta dei detenuti con l’azione di Viterbo ha conseguito un successo notevolissimo dopo più di un anno e mezzo di sconfitte costate fiumi di sangue al proletariato. Il risultato conseguito, ben lungi dal prestarsi a strumentalizzazioni di destra, è una risposta vincente alla linea bestiale di repressione borghese. L’indicazione politica della necessità di collegamento con l’esterno e della organizzazione clandestina si sono dimostrate totalmente giuste.
Viva la lotta dei proletari detenuti, lotta armata per il comunismo, creare e organizzare 10, 100, 1000 Nuclei Armati Proletari.
Roma, 11/05/75.
Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, p. 237

Nucleo Armato 29 Ottobre, Azione Di Gennaro. Comunicato N. 2

L’azione armata dei compagni Pietro Sofia, Giorgio Panizzari, Martino Zichittella, tre tra le più coscienti avanguardie che gli anni di dure lotte dei proletari detenuti hanno prodotto, tendeva alla riacquisizione della libertà. La loro provata coscienza di classe, di comunisti, conquistata a prezzo di lotte durissime condotte a fianco delle migliaia di altri proletari detenuti permetteva loro la più completa autonomia di organizzazione di tempi e di mezzi nella loro azione. Memori di come il potere ha risposto e risponde alle lotte dei proletari detenuti, come dimostrato dalle decine di morti degli ultimi anni, memori di come sono stati massacrati i compagni Concu e Di Bona ad Alessandria, solo per citarne alcun, i compagni si sono organizzati per garantirsi l’incolumità fisica e la riuscita politica e militare dell’azione pur non riuscendo nel riappropriarsi della propria libertà. La cattura di Giuseppe Di Gennaro ha permesso di colpire un settore preciso dell’organizzazione della repressione di Stato e di prevenire ogni tentativo omicida da parte del potere contro i compagni in lotta a Viterbo. Oggi la sinistra revisionista si affianca ai settori più luridi del potere borghese, nell’opera di discriminazione, diffamazione e repressione delle lotte dei proletari vendendo sull’altare dell’ordina pubblico e della “criminalità” le lotte e la vita, non solamente della classe operaia ma anche e particolarmente di quel vasto settore proletario che la borghesia canagliesca definisce “delinquenti”. La lotta armata si affianca e si integra con le lotte autonome dei proletari in una varietà di forme che tutte garantiscono ed indicano la costruzione della via rivoluzionaria al comunismo. Il compagno Sergio D. dato inizialmente per disperso nel corso dell’azione, è ora al sicuro. Quindi il rilascio di Giuseppe Di Gennaro è unicamente subordinato:
1) Alla sicurezza definitiva dell’accoglimento completo delle richieste dei compagni Panizzari, Sofia e Zichittella.
2) Alla cessazione immediata di ogni misura repressiva contro gli altri proletari detenuti nel carcere di Viterbo.
3) Ai nostri tempi di sicurezza per il rilascio.
Viva le lotte dei proletari detenuti.
Lotta armata per il comunismo.
Creare e organizzare 10, 100, 1000 Nuclei Armati Proletari.
Roma, 10 maggio 1975

Nucleo Armato 29 ottobre.