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Per il processo rivoluzionario di classe. Costituire il Partito Comunista nell’unità del politico-militare!

La crisi è finita? Di nuovo il capitalismo tira fuori dal cappello una sorprendente soluzione? La “nuova economia” apre una nuova frontiera e, superando vecchi e rigidi vincoli contrattuali, inventa un modo nuovo di lavorare e vivere? Le guerre sono diventate “pulite”, “umanitarie”, e i prepotenti storici diventano commossi soccorritori di popoli sventurati?

Quello che noi vediamo è una capacità di menzogna decuplicata, sconfinante in veri e propri deliri: Goebbels ha partorito Bush e Berlusconi!

E vediamo una sfilza di attacchi alle condizioni di vita popolari.

L’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è una picconata alle residue barriere a un modello di sfruttamento selvaggio, all’americana, dove il lavoratore sarà sballottato nella giungla del mercato senza più la minima garanzia contrattuale collettiva, “libero nella libera concorrenza”.

Il legittimo e ancestrale bisogno di sicurezza dei lavoratori (e parliamo ancora di quei bisogni vitali di sicurezza dell’avvenire, contro la malattia, gli infortuni, la vecchiaia, base delle prime grandi conquiste operaie…) viene denigrato come rigidità, corporativismo, conservatorismo, per non parlare dell’oscena contrapposizione dell’egoismo degli occupati agli esclusi, ai precari. Disgustoso argomento in bocca ai parassiti di questa società, ai borghesoni miliardari!

Quello che è tragico è che la difesa contro questo gravissimo attacco è ancora nelle mani, per il momento, della sinistra borghese, cioè di quell’altra frazione della borghesia che ha governato fino all’altro giorno, portando avanti lo stesso tipo di provvedimenti e di linea di assoggettamento del mondo del lavoro al capitale, vecchio, e nuovo. Semplicemente usando metodi e tempi un po’ differenti, spesso più efficaci (come dice il signor Agnelli).

 

E intendiamoci, non tratta di restare alla difesa delle storiche conquiste operaie, perché restano anche e comunque un’impalcatura attorno alla condizione di Classe sfruttata, e che in quanto tale tende a protrarne l’esistenza.

Le conquiste dello Statuto del lavoratori non sono nulla di ideale, sono semplicemente l’espressione del rapporto di forza che la Classe Operaia ha imposto nella fase alta del ciclo di lotte dei ’70.

Attestarsi sulla difesa di queste posizioni non solo è irrealistico e, alla lunga, perdente (come tante altre battaglie dei ’80/’90, i vari “questo non si tocca, quell’altro neppure”…) ma per di più sfalsa quello che è lo scontro oggi e nell’avvenire.

Questo scontro porta in sé, oggettivamente, l’orizzonte dell’abolizione di capitale, obiettivi, forme di lotta e organizzazione in quello che è il vissuto delle masse, dei loro movimenti. E dentro alla strategia di Partito.

Orizzonte utopista solo all’apparenza, in realtà ben più realista di tutti i riformismi, che rivelano puntualmente la loro inefficacia e subalternità alle regole sociali dettate dal capitale (è tutta la storia delle svendite e tradimenti della socialdemocrazia, fino alla attuale tragica parodia).

Molte esperienze storiche insegnano che quando i margini di tolleranza capitalistica si contraggono, tutte le riforme e conquiste vengono sconvolte, riviste o soppresse. Oltre una certa soglia di scontro di classe, o si fa il salto al piano strategico di lotta per il potere, o c’è sconfitta.

La crisi capitalistica, quand’è generale e di portata storica come l’attuale impone uno sconvolgimento sociale violento: in tutti i casi capitale e borghesia imperialista impongono il loro, ristrutturando da capo a piedi la società; il proletariato può imporre il proprio solo attraverso il processo rivoluzionario di presa del potere. Coniugare difesa e attacco, con l’attacco come prospettiva: per questo le mezze misure, la “piccola” contrattazione sulle condizioni sociali è cortocircuitata dalla questione del potere.

E con il potere si aprono ben altre prospettive: abolizione di capitale e lavoro salariato! Per cominciare.

 

Prendiamo l’altro aspetto connesso a questo attacco contro l’art. 18, la dilagante precarizzazione dei rapporti di lavoro. Si sta configurando un vero modello europeo, calcato sul predecessore, quello americano. Tutte le invenzioni e modifiche sono buone pur di ridurre le garanzie e la stabilità del posto di lavoro. È tutta una strategia tesa all’indebolimento della Classe Operaia, della sua capacità di resistenza e di lotta, immettendo il veleno della concorrenza tra i lavoratori. Il lavoro interinale in particolare costituisce un “ritorno” alle origini del capitalismo, al tristemente famoso “caporalato”. Tutto ciò ha delle conseguenze più vaste e profonde sull’esistenza proletaria: è il rapporto stesso al lavoro, il quotidiano, i rapporti sociali, la cultura operaia. Vengono ancora una volta sconvolti e spinti verso forme accentuate di alienazione da mercificazione. Nulla di nuovo, per carità, Solo gli intellettuali alla moda o gli “antimondialisti” piccolo – borghesi possono scoprire scandalizzati che siamo diventati merci: per la Classe Operaia questa realtà è nata col capitalismo!

Ma indubbiamente gli attuali passaggi costituiscono un approfondimento, una ulteriore degradazione della condizione proletaria e di ampi settori popolari. Processo di degradazione che va avanti dagli anni ’80 e fa tutt’uno con i processi di ristrutturazione capitalistica che subiscono periodicamente brutali accelerazioni, gruppi imperialisti decidono di attaccare violentemente ora un settore economico ora un paese intero, un’area intera. Oggi è il turno, di nuovo, dell’Argentina e dell’America Latina più generalmente.

Anche qui il salto nella brutalità é evidente: si tratta di un vero e proprio taglieggiamento/rapina su un popolo intero da parte dell’oligarchia finanziaria internazionale, i circoli della borghesia imperialista, attraverso i loro esecutori FMI-banca mondiale e i governanti argentini.

Al di là della sacrosanta solidarietà di classe, parliamo dell’Argentina perché è sintomatica dello stato di salute reale del capitalismo internazionale. Una tale brutalità è significativa dello “stato di necessità” dei gruppi imperialisti nella ricerca esasperata di profitti, è significativa cioè non solo dell’avidità devastante del sistema, ma anche del fatto che esso non riesce ad uscire dalla crisi di valorizzazione del capitale, che da anni spinge ai peggiori crimini. Sì, crimini! Perché bisogna pensare al filo conduttore che attraversa i massacri in Medio Oriente, in Europa dell’Est, in Africa, in Asia, in America Latina, dove gli imperialisti strozzano le popolazioni, le affamano, le violentano, devastano, e tutto ciò per strapparsi di mano l’un l’altro le fonti di materie prime, le riserve di mano d’opera, il controllo “geostrategico” delle aree del mondo etc.

Avrebbero bisogno di essere così feroci se i loro affari fossero più sicuri? Se il loro ciclo di valorizzazione/accumulazione fosse davvero prospero e garantito nel futuro? Per quanto siano canaglie, ne dubitiamo.

Basta guardare alla storia e constatare che la loro ferocia è proporzionale alle difficoltà che incontrano a soddisfare la sete di profitto.

Basta guardare allo stato interno delle economie imperialiste per rendersene conto: l’Argentina non è così lontana quando si pensa al disastro Enron in USA. Un’intera popolazione di salariati e pensionati truffati e taglieggiati, masse rovinate da un giorno all’altro! (se non altro un buon avvertimento a chi si illude sui fondi-pensione e altre amenità della “partecipazione al capitalismo”).

I processi di privatizzazione e “compartecipazione” dei lavoratori alle imprese capitaliste sono sempre sul filo del processo di precarizzazione/divisione/concorrenzialità che abbiamo descritto prima. E sono del peggiore augurio: trasmettere, aizzare istinti della giungla tra i poveri, gli sfruttati.

 

LA CRISI PORTA ALLA GUERRA IMPERIALISTA

La Germania è in recessione, il Giappone non esce dal marasma economico-finanziario da anni, gli USA si mantengono a galla soprattutto in virtù del primato nella rapina imperialista perpetrata al seguito del 300,000 militari che occupano i quattro angoli del mondo. Questa è la situazione essenziale dei tre principali imperialismi concorrenti, all’origine delle due guerre mondiali, mentre nuovi imperialismi famelici, come quello cinese, si fanno avanti. In Afghanistan si sviluppa quell’asse di penetrazione ad est che denunciamo dai tempi della deflagrazione della Jugoslavia. Anche adesso si intravvedono le linee di tensione e concorrenza interimperialista (in particolare lo schiaffo alla Francia confinata con le sue truppe nella base uzbeka, in attesa di autorizzazione per entrare in Afghanistan) attorno ai futuri oleodotti-gasdotti dei giacimenti del Caspio. Ma non è che una tappa con lo sbarco delle truppe imperialiste nelle steppe ex-sovietiche ci si può attendere al peggio, Russia e Cina sono attaccate nel loro cortile di casa.

I due fenomeni si intrecciano e si alimentano: la crisi generale storica da sovraproduzione di capitale attizza la tendenza alla guerra di rapina contro i popoli oppressi e alla guerra contro i banditi imperialisti.

Qual è la nostra prospettiva? Come posso pensare la Classe Operaia, il Proletariato di affrontare questa situazione? Come difendersi? Come immaginare un altro mondo possibile e come lottare per arrivarci?

Resistere! Per cominciare. Come diceva Marx “una classe che non sa battersi per le piccole cose della sua condizione immediata non può imparare a lottare per un’altra società”. Dunque organizzarsi, sempre e comunque, sulla base delle lotte immediate: ciò che vuol dire tante cose, come superare il fatalismo, le paure, le divisioni, saper battagliare contro gli agenti del capitale nelle nostre fila, ecc. Numerose sono le lotte oggi in Italia e in Europa che fanno vivere la volontà di rivolta del proletariato, la sua capacità di critica pratica del capitalismo, la sua ricchezza di espressioni.

Bisogna collegarsi a queste lotte, valorizzarle, sostenerle nel loro percorso affinché diventino autentici momenti di autonomia di classe.

Percorso non dato, non immediato, ma che richiede maturazione, esperienza, battaglia politica interna alle stesse istanze di lotta per isolare ed espellere via via le posizioni conciliatorie, collaborazioniste, le varie posizioni che portano al suicidio “riformista”. Percorso difficile ma possibile e che può prendere rapidamente consistenza, massificandosi. Abbiamo visto con quale potenza in altri cicli di lotta.

Ma, come dicevamo prima, questo percorso non è esente dalla dialettica con l’espressione politico-militare di classe, con l’organizzazione che agisce da Partito, che tende a costituirsi in Partito. Questa dialettica è essenziale per tanti motivi, e per uno su tutti: senza la prospettiva dello scontro per il potere, qualsiasi istanza di trasformazione sociale (per quanto forte e massificata essa sia), qualsiasi ciclo di lotta va a sbattere contro questo muro, il potere! Il grande ciclo degli anni ’70 ha dimostrato in modo inequivocabile che vi erano due vie: o l’inganno parlamentare dei revisionisti o il processo rivoluzionario guidato dalle B.R.

Nonostante gli errori e le immaturità di questo nuovo processo rivoluzionario, esso resta fondamentalmente valido, ancor più se si pensa che ha ridato concretezza alla Rivoluzione nel cuore di un paese imperialista, nel cuore del capitalismo internazionale, là dove é decisivo vincere.

Senza costruire in questo senso, nel senso dell’organizzazione politico-militare di lotta per il potere, non solo non si può pensare di costruire le condizioni per vincere, ma nemmeno di difendersi, di rinforzare le nostre lotte immediate, perché da tempo la borghesia é riuscita a tagliarci l’erba sotto i piedi, a disgregare il tessuto di classe, il tipo di ciclo produttivo che sosteneva la nostra organizzazione di massa. La borghesia è riuscita a “sfasare” il livello di scontro, a usare contro le lotte la mondializzazione, il potere che ha di muoversi su tanti paesi e possibilità di sfruttamento. In questo contesto, la lotta economica, immediata trova difficoltà a mordere, ad incidere, è preda del reticolo politico-istituzionale predisposto al suo recupero e/o repressione.

Proprio per supplire a queste carenze, per poter fare noi, come Classe, il salto al livello necessario per lottare, affrontare la borghesia imperialista e sopratutto rispetto ai tempi a venire di tendenza alla guerra, è necessaria, decisiva la costituzione in Partito sulla base dell’unità politico – militare. Ciò che significa tradurre in pratica, nella pratica di una strategia e di una linea politica la tendenza di lotta per il potere che si vuole affermare. È il fatto di essere conseguenti con quella che è la natura della lotta di classe, con quelle che sono le finalità, gli obiettivi ultimi di Classe, che impone la relazione tra la natura del Partito e la strategia. La scelta della clandestinità e dell’utilizzo delle armi nella lotta politica sono la necessaria concretizzazione di tutto ciò.

Solo in questo modo si può essere credibili agli occhi della Classe, sviluppare un processo di accumulo di forze, nella misura in cui si offrono gli strumenti per incidere politicamente nel vivo dello scontro di classe (è il grande insegnamento della storia delle B.R. rispetto ai partitini m-l tanto pretenziosi quanto platonici).

È in conseguenza della strategia rivoluzionaria per la presa del potere che il Partito è costretto dallo sviluppo storico della contraddizione tra Rivoluzione e Controrivoluzione a operare la scelta della clandestinità.

Coloro che oggi, nella crisi generale dell’epoca imperialista del capitalismo, considerano di lavorare alla costruzione del Partito ma non si pongono il problema della sua natura clandestina, nelle intenzioni e nei fatti non si pongono nelle condizioni di percorrere la via rivoluzionaria. Non pongono al centro del lavoro di costruzione la strategia da adottare e sviluppare per la presa del potere. Non considerano di costruire il Partito sulla base di questa strategia. Il più delle volte sono afflitti da opportunismo e scivolano nel revisionismo.

Coloro che si pongono il problema della natura clandestina ma non la concepiscono come condizione per lo sviluppo della strategia rivoluzionaria (oggi basata sull’unità del politico – militare) distaccano la forma dal contenuto, lo sviluppo dall’organizzazione dal processo concreto del perseguimento del suo obiettivo strategico. Sono afflitti anch’essi da un misto di opportunismo e dogmatismo e scivolano nel revisionismo.

Il revisionismo è il riflesso dell’imperialismo nel movimento operaio e proletario. È la sua capacità di influenzarlo per deviarlo dal suo compito storico di sviluppare la Rivoluzione Proletaria mondiale, come processo che pone fine al dominio della borghesia, instaura la dittatura del proletariato per distruggere e superare il modo di produzione capitalistico, basato sul profitto dei capitalisti e lo sfruttamento dei lavoratori.

La strategia rivoluzionaria del movimento comunista internazionale e dei suoi partiti è quella strategia che si sviluppa nella lotta contro il revisionismo e ristabilisce il corso della storia di Classe (che è rivoluzionaria o non esiste). Questa è la sua forza e per questo ha già vinto e può vincere ancora, fino alla vittoria finale contro la borghesia imperialista contro il capitalismo!

 

CONTRO LA CRISI CAPITALISTA E LA GUERRA IMPERIALISTA

SVILUPPARE L’AUTONOMIA DI CLASSE

COSTITUIRE IL PARTITO COMUNISTA POLITICO – MILITARE

RILANCIARE IL PROCESSO RIVOLUZIONARIO NELL’UNITA’ DEL POLITICO – MILITARE STRATEGIA VERSO LA GUERRA POPOLARE PER LA PRESA DEL POTERE

INSTAURAZIONE DEL SOCIALISMO, SVILUPPO DELLA GUERRA ANTIIMPERIALISTA

DEI POPOLI OPPRESSI E DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE

 

(Nota: la proposta di una nuova categoria, così carica di implicazioni – il PCP-M è solo una proposta da sottoporre al dibattito. La scelta dei termini programmatici fondamentali non può essere azzardata o “emotiva”.

Evidentemente l’idea è interessante e frutto di riflessioni: rispetto al classico PCC caratterizza meglio l’unità degli elementi, è più parlante e costituirebbe un’innovazione. Può darsi si potrebbe anche solo sperimentare in alcune prime uscite. Comunque tutto da discutere).

 

Gennaio 2002

(Primo documento unitario del progetto Partito comunista politico-militare)

 

Circolare campagna propaganda

Alzare la bandiera della ricostruzione del partito tra gli operai e i proletari

Dopo una campagna organizzazione che ha ottenuto risultati parziali (vedi bilancio) diamo avvio ad una nuova campagna propaganda in una situazione in cui per quanto riguarda l’aspetto interno, la nostra soggettività, abbiamo fatto la prima fusione organizzativa tra forze soggettive con storia e provenienza diverse. Abbiamo inoltre raggiunto una comprensione maggiore dei problemi logistici e organizzativi che dobbiamo affrontare sia a livello centrale che a livello locale. E abbiamo verificato la costruzione di una soglia logistica minima anche nelle situazioni in cui non esistiamo ancora compiutamente con ambiti collettivi d’organizzazione. La gran parte di questo lavoro è ancora allo stadio di comprensione e impostazione preliminare e pertanto dovrà essere proseguito e sviluppato nei prossimi mesi nel lavoro ordinario.

Diamo avvio a questa campagna in una situazione generale caratterizzata dall’incessante sviluppo della guerra imperialista condotta dagli USA nella forma dell’occupazione militare permanente dell’IRAQ. Una guerra che vede coinvolta direttamente anche la borghesia imperialista italiana rappresentata politicamente dalla banda Berlusconi asservita completamente agli interessi americani. Questo coinvolgimento ha già portato l’esercito italiano a collaborare all’oppressione militare del popolo iracheno e di conseguenza ad essere bersaglio degli attacchi della resistenza all’occupazione come nel caso di Nassyria. La guerra in IRAQ è solo l’episodio principale della terza guerra mondiale strisciante che il principale gruppo imperialista sta conducendo per dettare le proprie condizioni nel processo di rispartizione del mondo. Una questione di vita o di morte per i diversi gruppi imperialisti in questa fase della crisi generale del capitalismo. Una rispartizione resa necessaria dal definitivo superamento dell’assetto bipolare sancito dalla seconda guerra mondiale a causa del crollo dei regimi revisionisti nei paesi socialisti, dalla costituzione del polo imperialista europeo sull’asse franco-tedesco, dall’emergere della potenza cinese e dalla ricostruzione un imperialismo russo. Una rispartizione che ha come centro il controllo mondiale del settore energetico e quindi delle possibilità di ipotecare lo sviluppo e di imporre dividendi imperialisti alle economie delle diverse formazioni sociali sia delle nazioni oppresse che delle potenze imperialiste. Il possesso della risorsa strategica petrolifera è l’arma principale di questa guerra. Il petrolio infatti non è semplicemente la materia prima del contendere per la soddisfazione di una esigenza di approvvigionamento o di un’autonomia strategica in campo energetico, cosa che potrebbe essere soddisfatta con il ricorso ad altre fonti, ma è principalmente il coltello che afferrato per il manico può essere puntato alla gola di tutti quelli le cui economie ne hanno assoluto bisogno. E cioè con buona pace dei teorici del superimperialismo e della sua variante ipertecnologica, della maggior parte delle economie del mondo per i prossimi 50 anni. Una rispartizione resa impellente dall’approfondirsi in un processo a spirale della crisi generale del capitalismo. I diversi gruppi imperialisti si scontrano con la consapevolezza che la carestia di profitti, che ad ogni tornante della spirale diventa più acuta, possono affrontarla solo con la logica della “morte tua, vita mea”. In questo contesto il gruppo imperialista dominante USA ha elaborato la strategia della guerra preventiva, che non è guerra preventiva al terrorismo, ma guerra preventiva alle condizioni di sviluppo di altri gruppi imperialisti che possono mettere in discussione il suo primato. È uno scontro che si sviluppa lungo la linea di penetrazione imperialista che va dal medioriente all’Asia Centrale investendo territori che racchiudono la stragrande maggioranza di riserve di petrolio attualmente censite. Questa guerra oltre a registrare l’acutizzarsi delle contraddizioni interimperialiste, registra anche necessariamente l’acutizzarsi della contraddizione imperialismo-nazioni oppresse e si rovescia nello sviluppo di un sistema di guerre popolari di liberazione di lungo periodo dall’Intifada palestinese alla resistenza irachena a quella afgana. Questa guerra crea una situazione nuova anche nei paesi imperialisti come il nostro dove rende imprescindibile la necessità di schierarsi o a fianco degli imperialisti USA o a fianco della resistenza armata contro l’occupazione. Un’alternativa che toglie spazio alle mistificazioni e ambiguità revisioniste, riformiste o pacifiste della sinistra borghese. Si genera una spinta verso la saldatura del movimento contro la guerra con il movimento della classe operaia in difesa delle conquiste e contro le cosiddette riforme (mercato del lavoro, pensioni) e per migliori condizioni di vita e di lavoro. Questo in una situazione caratterizzata dall’inasprirsi del conflitto di classe come mostra il caso della lotta dei lavoratori dei trasporti pubblici. Il loro è nei fatti un grande esempio di autonomia di classe sul piano rivendicativo dopo un ventennio. Una lotta che ha il grande merito di portare un grande contributo alla ricostruzione di un rapporto di forza favorevole alla classe estendendo la mobilitazione successivamente e contro lo stesso accordo sottoscritto dai sindacati di regime. Una lotta che, a prescindere dall’esito, ha già posto alcune questioni fondamentali come quella della riapertura della questione salario contro lo scellerato patto corporativo per la diminuzione del costo del lavoro, o quella delle forme di lotta mettendo in campo forme che siamo paradossalmente indotti a definire radicali come lo sciopero senza preavviso o lo sciopero in presenza della precettazione. Questa lotta è la dimostrazione più chiara che la fascistizzazione dei rapporti sociali, la cooptazione corporativa delle organizzazioni sindacali, la limitazione e negazione coercitiva del diritto di sciopero non possono fermare lo sviluppo della lotta di classe che trova alimento nell’acutizzarsi delle contraddizioni determinate dalla crisi generale del capitalismo e dalle misure che il governo borghese è costretto a prendere per farvi fronte. È la stessa crisi che determina uno stato di stagnazione generalizzato. Una situazione in cui la spirale della crisi è un susseguirsi di fasi di recessione intercalate da piccole riprese dovute principalmente all’economia di guerra. Una situazione in cui ad ogni tornante della spirale non solo si approfondisce lo sfruttamento della classe operaia e delle masse popolari, non solo si soffoca maggiormente la fascia delle piccole attività economiche del settore concorrenziale ma si verifica anche il crollo di grandi imprese monopolistiche come mostrano i casi più eclatanti della Enron, della Wordcom o quello che riguarda più da vicino della Parmalat. Non si tratta di speculazioni sbagliate o di ruberie particolarmente fameliche, sono semplicemente effetti della crisi di valorizzazione e dei maldestri tentativi di aggirarla con artifizi finanziari. Tutto questo compone a livello mondiale un quadro generale in cui si apre potenzialmente un grande spazio rivoluzionario.

Una situazione rivoluzionaria in sviluppo che se la rinascita del movimento comunista riesce ad affermarsi e a interpretarla, apre la possibilità di una nuova ondata della rivoluzione proletaria mondiale paragonabile a quella che ha contraddistinto la prima parte del ’900. La guerra imperialista e il suo possibile sviluppo orientato dalle contraddizioni interimperialiste in particolare determina una fase rivoluzionaria negli stessi paesi imperialisti. Ricrea anche qui le condizioni per la rottura rivoluzionaria come storicamente è già avvenuto nei casi della guerra franco-tedesca con la Comune di Parigi e delle due guerre mondiali con la Rivoluzione d’Ottobre, la Resistenza al nazifascismo e l’estensione del campo Socialista. Il fatto che in paesi imperialisti come il nostro la fase rivoluzionaria partorisca un effettivo processo rivoluzionario è una conseguenza della drammatica acutizzazione delle contraddizioni che si genera nell’ambito di una guerra interimperialista e della volontà della classe operaia di porsi alla testa del movimento delle masse popolari nella ricerca di una via rivoluzionaria di uscita dal baratro di distruzione e morte cui le costringe l’imperialismo. Questa via può essere solo quella della rivoluzione socialista. È una via che la classe può percorrere solo costruendo il suo strumento per la presa del potere, il suo partito comunista. Tutte le condizioni oggettive lavorano in questo senso ma il partito ci sarà solo se la classe vorrà costruirlo. Su questa volontà si gioca il nostro lavoro nel prossimo periodo. Da qui la centralità della propaganda della necessità della ricostruzione del partito. Questa nuova campagna propaganda la promuoviamo proprio per alzare la bandiera della ricostruzione del partito comunista tra le masse popolari e in particolare tra gli operai e i proletari con la consapevolezza che solo se la parte più avanzata della nostra classe si investirà in questo processo sarà possibile raggiungere questo obiettivo.

L’obiettivo principale della campagna è quindi “formarci e formare compagni in grado di propagandare tra gli operai e i proletari la necessità della costruzione del partito comunista della classe operaia”.

La costruzione del partito è un processo che passa attraverso la sconfitta del revisionismo come riflesso dell’imperialismo all’interno del movimento politico della classe operaia. Questa sconfitta ha delle condizioni oggettive e delle condizioni soggettive. Per quanto riguarda quelle oggettive la crisi e la guerra stanno facendo il loro lavoro. Per quanto riguarda quelle soggettive in questa fase hanno a che fare con un quadro capace di trovare le forme e i contenuti per propagandare la necessità della ricostruzione del partito della rivoluzione proletaria in tutti gli ambiti in cui trova espressione la classe operaia e il proletariato e in primo luogo i momenti di mobilitazione, i movimenti e le situazioni di lotta. È chiaro che solo scontrandoci con il revisionismo potremo liberare ambiti dove si può realizzare la raccolta delle forze operaie rivoluzionarie per la costruzione del partito. Solo combattendo i suoi luoghi comuni come la concezione del superimperialismo che fanno da pendant all’opportunismo pacifista; solo combattendo la concezione del “sono onnipotenti e senza contraddizioni e si può solo chiedere loro di essere più buoni” possiamo affermare la linea giusta dell’appoggiare la resistenza nel suo processo di trasformazione in guerra popolare prolungata contro l’imperialismo in ogni parte del mondo e in primo luogo nel nostro paese. Solo isolando ed espellendo dai ranghi della nostra classe gli agenti della resa agli interessi del capitale riusciremo a bonificare il terreno per la crescita di una nuova determinazione politica rivoluzionaria della classe. Un’attenzione particolare va riservata alla lotta all’opportunismo dentro le situazioni operaie. Alla cultura della delega coltivata per decenni dai revisionisti per la quale gli operai non si investono in prima persona nella politica di difesa dei loro interessi ma hanno bisogno di esperti che lo facciano al posto loro. Possiamo fare questo unendoci agli operai che sono determinati a difendere radicalmente i loro interessi, essi sono la sinistra che può conquistare il centro e isolare la destra. La loro esperienza concreta e la propaganda per il partito li porterà a diventare comunisti perché solo così potranno sviluppare strategicamente la loro giusta e corretta tensione.

Dobbiamo anche combattere l’opportunismo dentro le situazioni di movimento. Esso è il riflesso dell’influenza che esercita il revisionismo tra coloro che vorrebbero cambiare la società. Questa influenza si manifesta nella forma del pacifismo, della non violenza, ma anche del movimentismo, dell’eclettismo, del rifiuto di porsi la questione della presa del potere. Possiamo fare questo unendoci con chi è risolutamente determinato a contrapporsi allo sviluppo della guerra imperialista, non distingue opportunisticamente tra intifada palestinese e resistenza irachena ma coglie l’importanza strategica di unirsi alle guerre popolari di liberazione sviluppando il vero internazionalismo proletario che è in primo luogo sviluppare il movimento rivoluzionario nel nostro paese. Dobbiamo dare battaglia anche al soggettivismo che considera determinante solo l’azione dell’avanguardia, sia nella forma di iniziativa d’attacco che in quella di azione diretta per ribadire invece la concezione che la rivoluzione come la lotta di classe la fanno le masse mentre il partito, l’organizzazione dei comunisti, la dirige. Come d’altra parte dobbiamo dare battaglia alle posizioni oggettiviste che in realtà sono il peggiore opportunismo. L’opportunismo di chi aspetta che il processo di accumulazione delle forze rivoluzionarie si determini da solo oppure si dia solo ed essenzialmente sul piano dell’adesione ideologica. Dobbiamo ribadire invece che l’esperienza storica del movimento comunista internazionale ci porta a concludere che, anche nei paesi imperialisti, il processo rivoluzionario può nascere e svilupparsi solo se l’azione di partito ne traccia il solco sviluppando la sua linea di attacco sulla base della strategia della guerra popolare di lunga durata. I contenuti della campagna propaganda “Alzare la bandiera della ricostruzione del partito comunista tra gli operai e i proletari” sono:

Per le strutture centrali

  • la ripresa delle produzione del foglio (red)
  • sistemazione logistica del lavoro redazionale (red)
  • l’organizzazione della sua distribuzione e spedizione (red)
  • bilancio, rinnovo e rilancio com.prop. (com.prop.)
  • impostazione seminario per propagandisti (com.prop.)
  • impostazione ed esecuzione di una iniziativa di PA (red+com.pol.)
  • sviluppo di una linea di propaganda tra gli operai e nel movimento rivoluzionario per la costruzione di organismi di partito. (resp.camp)

Per le strutture locali e situazioni in sviluppo

  • discussione degli articoli del foglio
  • sistemazione logistica per diffusione locale
  • diffusione locale
  • produzione di corrispondenze operaie
  • inchiesta sulla possibilità di costruzione di organismi di fabbrica
  • altre forme di propaganda che mettano al centro la necessità del partito (scritte, affissioni, altro)

I nostri organismi locali sono invitati a riflettere sui termini generali della campagna, stendere un piano che definisca gli obiettivi e i contenuti locali e nominare un responsabile incaricato di dirigerne l’esecuzione.

I compagni delle situazioni in sviluppo sono invitati alla stessa riflessione generale e a dare avvio a soglie iniziali di propaganda di partito nelle loro zone. Il termine della campagna, salvo modifiche nel corso del lavoro, è fissato per il periodo estivo quando svolgeremo il lavoro di bilancio.

 

Note per le situazioni locali

1) Con l’uscita del prossimo numero rimettiamo in campo gli insegnamenti e il lavoro svolto nella scorsa campagna propaganda. È l’occasione quindi per rivedere le liste dei lettori e rifare il punto. Inoltre possiamo mettere in campo le iniziative di diffusione di massa preparate ma non svolte (andranno ripreparati i piani).

2) I punti che riguardano il lavoro sugli operai sono particolarmente importanti perché ci permettono di trarre importanti insegnamenti su come sviluppare la propaganda per il partito tra la classe e tradurla in organizzazione. Allo scopo i compagni possono trarre elementi e svilupparli dal breve allegato 1.

 

Allegato 1

Per svolgere il lavoro di inchiesta tra la classe operaia diamo alcune semplici indicazioni sulle forme percorribili.

  • innanzitutto individuare i referenti. Essi andranno trovati tra gli operai più combattivi, tra quelli che si sono distinti come avanguardie nella lotta, che si pongono realmente il problema della difesa degli interessi di classe e che in nome di questi non delegano a nessuno, tanto meno ai sindacati, la direzione della lotta. Questo tipo di operai scaturiscono spontaneamente dalla lotta economica ed hanno la caratteristica positiva di incarnare profondamente la pratica della lotta operaia. Da loro potremo raccogliere preziosi elementi per lo sviluppo della linea di massa, per la lotta concreta al revisionismo e possiamo capire meglio come tradurre in linee specifiche la nostra linea generale.

Altri andranno trovati tra coloro che già si definiscono comunisti. Se non nel caso di operai appartenenti a gruppi di orientamento ML rispetto ai quali va condotta una inchiesta sulla loro organizzazione prima di aprire il confronto con loro, in maggioranza la loro identità deriva dal movimento comunista che è degenerato nel riformismo e nel revisionismo. Di loro dobbiamo recuperarne l’identità comunista e ricollocarla sul piano rivoluzionario spiegando loro cosa sono e come si organizzano i comunisti. Dobbiamo allo stesso tempo avere la capacità di combattere le idee sbagliate che i riformisti e i revisionisti hanno inculcato nelle loro teste.

  • Possiamo individuare tre forme di incontro per svolgere questa inchiesta:

– incontri di basso livello con singoli o gruppi di operai per spiegare cosa pensiamo e per capire se è possibile un lavoro in comune (manteniamo uno stile verbale senza cose scritte). I temi riguarderanno principalmente la lotta sindacale e l’organizzazione sindacale in fabbrica e secondariamente la problematica dello sbocco delle lotte.

– incontri di medio livello con singoli per consegnare il giornale e trarne le impressioni e/o l’adesione ideologica (va valutata la forma per non esporsi troppo). I temi riguarderanno principalmente lo sbocco politico delle lotte, quale prospettiva vincente per la classe operaia e secondariamente le forme organizzative:

– incontri avanzati con singoli per curarne la formazione in vista dell’adesione organizzativa ricorrendo al seminario sul partito. I temi riguarderanno principalmente le forme organizzative, il tipo di partito e la sua strategia.

Queste semplici indicazioni servono per dare uno schema al lavoro pertanto non vanno eseguite alla lettera ma vanno arricchite dalla creatività e dallo slancio dei compagni che svolgono il lavoro. Nel bilancio finale della campagna dedicheremo uno spazio specifico a questo lavoro nei termini di:

1) quanto ci siamo formati come propagandisti tra la classe operaia;

2) con quanti operai abbiamo svolto questo lavoro e che risultati ne abbiamo tratto;

 

Allegato 2

Abbiamo deciso di promuovere questa campagna propaganda per alzare la bandiera della ricostruzione del partito tra la classe operaia e le masse popolari.

Non per questo ci dimentichiamo di valorizzare un importante passo fatto nella scorsa campagna che consiste nella riuscita del primo tentativo di fusione di forze rivoluzionarie presenti nel nostro paese. Questo importante passo avanti nel processo di ricostruzione del partito va necessariamente valorizzato e propagandato tra tutti i compagni dell’organizzazione, tra i candidati e tra gli stretti e fidati collaboratori. Valutiamo per il momento di non propagandare all’esterno (e cioè tra le forze soggettive) questo passo. Da una parte questo passaggio necessita di un periodo di verifica e consolidamento nel lavoro dei prossimi mesi, dall’altra occorre sviluppare il lavoro di inchiesta sulle forze soggettive seriamente intenzionate a sviluppare il lavoro di ricostruzione del partito così come lo abbiamo impostato. Quest’ultimo sarà uno degli impegni del lavoro ordinario che il comitato politico e la redazione del giornale esamineranno. Pertanto invitiamo gli organismi locali e i compagni dell’organizzazione a centralizzare suggerimenti e proposte in merito.

Organizzazione per il Partito comunista politico-militare.

Organizzazione per il Partito Comunista politico militare

gennaio 2004

La lotta di Melfi – Bozza di volantino

La lotta di Melfi ha riportato in superficie la condizione da “dannati del sottosuolo sociale” di buona parte della classe operaia. Melfi è il simbolo delle nuove fabbriche, frutto della frantumazione e dislocazione delle storiche concentrazioni industriali (la sua apertura coincise con la chiusura della Lancia di Chivasso), della nuova disposizione del ciclo produttivo su un territorio “totale” (dalle regioni meno industrializzate d’Italia ai continenti della nuova mondializzazione), simbolo della riduzione della grande fabbrica a segmento di montaggio finale con corrispettivo decentramento di crescenti parti della produzione componentistica. La stessa componentistica ha seguito questo movimento di frantumazione-dislocazione, con un’accelerata cadenza di rinnovamento e mobilità degli stabilimenti.

L’apertura delle nuove fabbriche ha sempre significato livelli intensificati di sfruttamento. Un’organizzazione del lavoro imperniata su macchinari e robotizzazione che incorporano cadenze altissime (ricordiamo che mentre nel gruppo FIAT la media del parametro-base della produttività si situava intorno alle 30 vetture all’anno per dipendente, Melfi apriva a partire da 60 e oggi ne è a 95!), la predisposizione di un terreno di sfruttamento ideale con la cogestione sindacale delle nuove “gabbie salariali” e di condizioni di lavoro e flessibilità pesanti, l’utilizzazione degli strumenti messi a disposizione dalle leggi anti-operaie degli anni ’90 (fino alla famigerata ultima legge del “compianto” Biagi) o dei classici strumenti del clientelismo; l’insieme di questi strumenti hanno caratterizzato l’apertura di fabbriche alla “giapponese”. È il loro sogno: fabbriche a ritmi infernali, lavoratori silenziosi e gettabili, partecipi all’ideologia d’impresa e alla guerra di concorrenza.

Così l’esplosione imprevista di questo bagno penale dello sfruttamento capitalistico – Melfi -, la trasformazione repentina di tanti operai “silenziosi e sottomessi” in lottatori determinati e uniti ha mandato in frantumi tante chiacchiere borghesi, tante falsità mediatiche, tante strategie di pacificazione concentrata.

Questa lotta ha fatto venire in superficie la drammatica realtà del sottosuolo sociale, della persistenza del rapporto di sfruttamento (particolarmente della classe operaia) come del pilastro su cui regge tutto l’edificio capitalistico. Cioè se è vero che la struttura economico/sociale si è complessificata, ricollocandosi differentemente sul territorio internazionale e se è certo che qui, nei paesi del centro imperialista, sono cresciuti settori terziari, anch’essi sfruttati ma meno brutalmente, ciò non toglie che le nuove e vecchie concentrazioni industriali restano il perno del sistema di sfruttamento su cui si rovescia tutta la brutalità del rapporto di oppressione capitalistica.

Questa lotta ha messo in evidenza non solo le chiacchiere borghesi sulla fine della classe operaia ma pure i limiti di ogni sistema di oppressione. Dov’è finito il bel giocattolo della produzione “a flusso teso”, “just in time”?! Ma come, gli scioperi non dovevano essere superati da questo bel sistema tecnologico, così preciso e così “pulito”?!

La lotta di Melfi ha rotto questo bel giocattolo. La fermata decisa di uno stabilimento ha scompaginato quasi tutto il ciclo produttivo del gruppo FIAT. Così come lo sciopero dei ferrotranvieri ha scompaginato il decorso del ciclo economico della metropoli.

Ecco la grande potenzialità della classe operaia!

Proprio per questo, ogni volta che si determina un tale momento di unità e determinazione operaia, assistiamo allo schieramento delle diverse forze politiche e istituzionali, allo svelarsi della loro vera natura di funzionari del capitale. In particolare si è ben visto da che parte stanno le direzioni sindacali. Si è ben visto come la loro più grande preoccupazione fosse la ripresa del lavoro, il ristabilimento dell’ordine dello sfruttamento, con quale compartecipazione alle ansie padronali abbiano vissuto lo scontro.

Storia arciconosciuta, le direzioni sindacali sono parte integrante della catena di dominio dello Stato borghese, loro funzione principale essendo quella di ingabbiare, recuperare, devitalizzare le spinte operai alla lotta e all’autonomia di classe. Ma non è storia conosciuta da tutti ed è con l’esperienza vissuta nelle lotte che nuovi strati proletari vi accedono.

Percorso di conoscenza e di coscienza che si pone ancor più all’interno dell’attuale tessuto di classe attraversato profondamente dai tanti processi di ristrutturazione che hanno portato alla riduzione e/o rilocalizzazione dei grandi stabilimenti, all’emergere di un fitto tessuto di piccola impresa, alla diffusione di precarietà e fragilità normativa.

Abbiamo il problema di come organizzare le diverse realtà del lavoro precario di trovare percorsi di ricomposizione che permettano di nuovo di stravolgere il territorio dello sfruttamento in luoghi di lotta, vita, organizzazione. Andando a toccare l’insieme delle condizioni di vita e di lavoro sempre più compresse dal ritmo globale di una macchina capitalistica tirannica.

Per esempio, quante malattie professionali, quanti cancri causati da questi livelli di sfruttamento selvaggio? Quante esistenze rovinate, quante vite distrutte? Quanti incidenti e morti sono causati direttamente dal taglio ai costi di manutenzione e sicurezza? Quanti dall’eccessiva mobilità e pressione sui ritmi, con conseguente esposizione a rischi non conosciuti? A cosa si riduce la vita proletaria con il prolungamento degli anni lavorativi e la demolizione delle strutture sociali?

Le lotte come quelle di Melfi e dei ferrotranvieri toccano alcune di queste questioni e arrivano a sconvolgere un vasto ciclo produttivo, l’area metropolitana, a dare voce a una rabbia diffusa e sotterranea. Senza essere ancora forme di avanguardia di massa, possono aiutare altri strati proletari a emergere, lottare, unirsi, trovare i modi e le possibilità per ribellarsi. E questo soprattutto nel tessuto del precariato e della fabbrica diffusa. Ma è evidente che ciò non basta.

Non basta perché Stato e Capitale hanno portato lo scontro ad un livello più alto, dove i margini di mediazione sono strettissimi e dove le armi classiche di pressione e ricatto sconfinano in tendenza alla militarizzazione dei rapporti sociali. Non si può non tenere in conto tutta l’involuzione sociale-istituzionale del dopo-11 settembre… stravolgimento dello “stato di diritto”, sospensione di garanzie storiche giuridiche (arresto arbitrario, senza mandato – segregazione in carceri speciali – tribunali militari, ecc…), leggi speciali che estendono la connotazione terrorista a fasce intere di “delitti sociali”, mirando esplicitamente a criminalizzare i movimenti di classe…

Questi aspetti costitutivi del nuovo contesto sociale innervano profondamente la realtà del mondo del lavoro, del proletariato. Repressione delle manifestazioni di autonomia di classe e organizzazione neo-corporativa sono il tentativo borghese di impedire la tendenza rivoluzionaria, deviando nello stesso tempo la crescente rivoluta di massa verso il sostegno alle imprese imperialiste nel mondo. La repressione acquista sempre più i caratteri di un’autentica “guerra del fronte interno”, versante interno dello stato di guerra “indefinita”, decretata all’esterno.

Ecco un fatto secondo noi determinante: ogni dinamica di lotta e organizzazione di classe deve saper affrontare questa connessione “guerra interna guerra esterna dell’imperialismo”, della guerra come forma attuale della società capitalista, della guerra come prolungamento dello sfruttamento, come “continuazione dello sfruttamento con altri mezzi”.

Il tutto fondato alla radice del sistema stesso, nella storica e ineluttabile crisi generale da sovraproduzione di capitale, alla quale non esiste altra soluzione che la guerra inter-imperialista come distruzione in grande scala, regolamento di conti tra concorrenti e, in seguito, rilancio di un nuovo ciclo sulla base di una nuova spartizione del mondo.

Loro vorrebbero intrupparci nello spirito di concorrenza e conquista dei mercati (mobilitazione reazionarie attraverso i movimenti identitari, razzisti, sciovinisti), fino alla guerra come sua logica conseguenza.

A questo noi abbiamo una sola risposta: PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITI!!

Dall’alto di un armamento che non ha eguali nella storia, gli imperialisti predicano “pacifismo e buoni sentimenti” per impedire agli oppressi del mondo l’unico sbocco necessario:

ARMARSI IDEOLOGICAMENTE, POLITICAMENTE, MILITARMENTE, PER LA RIVOLUZIONE!

UNIRSI ALLA RESISTENZA – SVILUPPARE L’AUTONOMIA DI CLASSE!

GUERRA ALL’IMPERIALISMO!

COSTITUIRE IL PARTITO!

 

Per il Partito Comunista Politico-Militare

 

Autunno 2004

Bozza di Circolare campagna organizzazione (maggio-dicembre)

Per il partito comunista politico militare

Diamo avvio alla nostra terza campagna sull’organizzazione quando la crisi generale del capitalismo ha fatto compiere un grande salto alla tendenza alla guerra con la guerra imperialista e l’occupazione militare angloamericana dell’Iraq.

Tutti gli eventi che sono accaduti nell’ultimo periodo ci hanno mostrato un continuo acutizzarsi delle contraddizioni da quella di classe che vede la classe operaia impegnata a fondo nella lotta in difesa delle conquiste, del posto di lavoro e delle condizioni di vita, a quella tra imperialismo e nazioni oppresse che vede il confronto tra guerre imperialiste di conquista e guerre popolari di liberazione, a quelle interimperialiste che mostrano il campo imperialista diviso e contrapposto nella contesa della ripartizione del mondo.

Questo influisce significativamente sulle condizioni oggettive del processo rivoluzionario anche nel nostro paese.

Il governo Berlusconi è direttamente coinvolto e invia truppe in Iraq come ha già fatto in Afghanistan. Truppe inviate con il mandato di garantire l’ordine pubblico che vuol dire che partecipano alla guerra di aggressione imperialista con il compito di stabilizzare l’occupazione militare. In pratica si contrapporranno alla resistenza delle masse popolari irachene contro l’invasione.

Le truppe italiane inviate sono corpi di élite dei carabinieri, dei paracadutisti e dei bersaglieri, le migliori forze di intervento rapido dell’esercito italiano. Partono con il voto favorevole non solo della maggioranza governativa ma anche di buona parte dell’opposizione compresi riformisti e revisionisti (Margherita, Ulivo e DS). Il movimento contro la guerra si è sviluppato in maniera ampia con decine di manifestazioni e che ha espresso anche forme di azione radicale dovrà assumere il contenuto dell’opposizione all’occupazione militare dell’Iraq e schierarsi a fianco della guerra popolare prolungata di liberazione della dominazione imperialista che fin d’ora si va sviluppando in Iraq. In questo processo di trasformazione il movimento dovrà fare i conti con la direzione revisionista che, con il suo falso pacifismo, nasconde il carattere imperialista della guerra e le vere ragioni del suo sviluppo legato alla crisi generale del capitalismo. Le condizioni materiali di sviluppo della guerra con le sue nuove tappe (Siria o Iran) mostreranno sempre più chiaramente il disegno imperialista e di conseguenza indeboliranno sempre di più la posizione revisionista aprendo nuovi spazi per la posizione rivoluzionaria; la posizione che sostiene che la guerra si può fermare solo con la mobilitazione rivoluzionaria principalmente contro il proprio imperialismo, il servile imperialismo italiano che mendica qualche briciola dei superprofitti che si realizzeranno con l’occupazione.

Noi sappiamo che, per utilizzare quegli spazi che si vanno aprendo, e percorrere la via rivoluzionaria che le condizioni determinate dalla crisi e dalla guerra imperialista rendono possibile anche in paesi imperialisti come il nostro, dobbiamo costruire l’organizzazione in grado di promuovere l’organizzazione delle forze.

Dallo sviluppo delle condizioni oggettive che concorrono a determinare la situazione come situazione rivoluzionaria anche per il nostro paese emerge una spinta alla determinazione soggettiva da parte dei settori di avanguardia della classe operaia e delle masse popolari. Dobbiamo raccogliere questa spinta per un nuovo impulso a fare risoluti passi in avanti nel lavoro di costruzione del partito comunista nel nostro paese.

Le nostre stesse condizioni soggettive sono influenzate positivamente da questa spinta e registrano una fase di crescita. Una piccola crescita che ci permette di articolare meglio il nostro lavoro e ci pone di fronte nuovi problemi a cui dare una soluzione. Una piccola ma importante crescita sia sul piano quantitativo, con l’adesione di nuovi compagni e la presenza in nuove situazioni, sia dal punto di vista qualitativo con l’espressione di un livello operativo più elevato concretizzatosi in una iniziativa di propaganda armata. Una crescita che ha come riflesso una maggiore esposizione rispetto alle attenzioni degli apparati informativi della controrivoluzione preventiva. Attenzioni che da tempo già subiamo anche indipendentemente dallo sviluppo della nostra azione politica.

Abbiamo definito che siamo nella fase in cui la raccolta delle forze soggettive che si pongono l’obiettivo della ricostruzione del partito e che sono omogenee sulla strategia, sulla natura e sul carattere del partito da costruire si realizza con processi di fusione organizzativa. Oggi siamo nelle condizioni di poter avviare la prima esperienza in merito e dobbiamo risolvere il problema di costituire una direzione comune ed elaborare e sviluppare una linea organizzativa comune tra due forze soggettive che, dopo aver condotto un approfondito confronto politico, hanno deciso politicamente di fondersi.

Ad ogni linea politica deve corrispondere una linea organizzativa in grado di svilupparla ed ad ogni obiettivo politico un impianto organizzativo in grado di perseguirlo. Al di fuori di questa concezione vi è l’anarchismo o il dogmatismo, l’anarchismo di chi non si pone il problema o il dogmatismo di chi considera l’organizzazione una cosa che si materializza all’occorrenza.

Per questo vogliamo promuovere una campagna unitamente con la forza soggettiva amica sul tema dell’integrazione organizzativa. E proponiamo come obiettivo principale:

–          Promuovere la fusione costruendo una direzione unica del lavoro di costruzione del partito.

Nell’ambito di questa campagna vogliamo verificare la possibilità di costituire un gruppo dirigente che si assuma la responsabilità di condurre in porto il processo di fusione organizzativa dirigendo la campagna e pianificando la riorganizzazione delle forze come un’unica organizzazione che si pone nelle condizioni di poter perseguire ad un livello più avanzato l’obiettivo della ricostruzione del partito comunista.

Per quanto riguarda la nostra esperienza abbiamo una piccola organizzazione che si articola in strutture centrali di direzione e strutture locali di radicamento. Abbiamo definito che il lavoro di costruzione del partito va distinto dall’atto costitutivo e si concretizza oggi principalmente nella costruzione di organismi di partito nella forma di nuclei e che lo sviluppo di questo lavoro è necessario per creare le condizioni della costituzione formale del partito.

In merito al lavoro per nuclei abbiamo già alcune piccole esperienze da cui possiamo trarre insegnamenti per proseguire individuando e facendo tesoro degli errori e generalizzando i successi, portando avanti la parola d’ordine 10,100,1000 nuclei per la ricostruzione del partito.

Considerando la natura del partito che intendiamo costruire, che è necessariamente riflessa (nella forma della semi) negli organismi di partito che fin da ora stiamo costituendo, il limite principale che abbiamo riscontrato nelle esperienze organizzative da noi fin qui condotte è stata l’immaturità del nostro impianto logistico. È un limite che non ci permette di andare oltre ai livelli espressi complessivamente nel nostro lavoro sia sul piano della propaganda che sul piano operativo, sia sul piano della propaganda degli scritti (foglio) che su quello della propaganda tramite azioni. Per questo dobbiamo mettere al centro del lavoro di costruzione del nostro quadro, che è un quadro pm, la capacità di sviluppare lavoro logistico come dato essenziale per la natura del percorso che vogliamo realizzare. Sviluppare il settore logistico diventa quindi un compito essenziale per questa campagna. Senza una crescita su questo terreno il nostro percorso ne risulterà rallentato o si esporrà più del dovuto alla possibilità di essere represso.

Nello sviluppo del nostro lavoro abbiamo verificato che non sempre, nelle situazioni in cui abbiamo una presenza possiamo costituire nell’immediato un nucleo. Questo dato deve essere registrato e ci deve portare a considerare che allo stato attuale e probabilmente anche in futuro la nostra organizzazione sarà composta anche da militanti che non hanno una collocazione all’interno di nuclei perché nelle loro situazioni questo livello di organizzazione non è ancora realizzabile.

Dalle esperienze che abbiamo fin’ora condotto possiamo trarre l’insegnamento che dobbiamo raccogliere e dirigere il lavoro di questi compagni sul piano centrale promuovendo la loro collaborazione con le strutture centrali dell’organizzazione ponendoci così in grado di dirigere il loro lavoro sul piano locale con l’obiettivo principale di costruire il nucleo.

Pertanto consideriamo che questa campagna debba essere condotta su tutti e tre i livelli. Quello delle strutture centrali, quello delle strutture locali e quello dei singoli militanti che in quanto tali sono coordinati con il lavoro dell’organizzazione.

In merito ai contenuti da sviluppare per perseguire l’obiettivo principale e gli obiettivi locali che i diversi ambiti possono darsi proponiamo che per quanto riguarda le strutture centrali siano:

1) Discussione dello sviluppo congiunto della campagna. Relazione di valutazione generale delle rispettive esperienze organizzative, dibattito sulla bozza di circolare di produrre poi in forma definitiva, nomina del responsabile generale della campagna.

2) Elaborazione e sviluppo comune di una linea organizzativa. Definizione degli ambiti in cui si articola l’organizzazione. Definizione delle funzioni dei diversi ambiti. Divisione dei compiti all’interno degli ambiti, ecc…

3) Elaborazione dei piani di lavoro centrali per lo sviluppo del settore logistico. Logistica centrale per riunioni e lavoro redazionale del foglio. Operazioni di finanziamento.

4) Valutazione delle singole situazioni locali e delle loro possibilità di sviluppo organizzativo. Spostamento di quadri e accorpamenti.

5) Continuità nel lavoro di produzione e distribuzione del foglio di propaganda comune.

Per quanto riguarda le strutture locali siano:

1) Valutazione e riorganizzazione del proprio lavoro organizzativo. Revisione della divisione dei compiti.

2) Attuazione di seminari sul partito per la formazione e la cooptazione di quadri.

3) Elaborazione di piani di lavoro locali per lo sviluppo del settore logistico locale e contributo a quello centrale. Reperimento informazioni e piccole operazioni di finanziamento.

4) Diffusione del foglio comune di propaganda.

Per quanto riguarda i singoli militanti siano:

1) L’inchiesta sulle forze soggettive della zona.

2) Il reperimento di informazioni su disponibilità di tipo logistico e finanziamento.

3) Diffusione del foglio comune di propaganda.

 

N.B. La circolare nella sua forma definitiva è il testo di orientamento e il piano generale della campagna. Ogni organismo locale e i compagni singoli delle altre situazioni sono invitati a nominare un proprio responsabile della campagna, a formulare un proprio obiettivo principale e i contenuti attraverso i quali intende perseguirlo e comunicarlo al responsabile generale. Il piano va concepito come uno strumento per l’orientamento del lavoro. È particolarmente utile anche in sede di bilancio per valutare il lavoro svolto in rapporto a quanto pianificato.

 

Maggio 2003