La più utile solidarietà ai militanti prigionieri rivoluzionari è sviluppare la lotta rivoluzionaria. Documento del Collettivo comunisti prigionieri L’Aurora

Premessa

La questione della solidarietà di classe emerge ogni volta che la repressione mette in campo i suoi strumenti per arrestare la lotta di classe nelle sue diverse espressioni.

Le risposte che vengono date non sono sempre adeguate a questi attacchi, perché questi avvengono in forme diverse e con livelli di intensità determinati dalle fasi storiche, dai rapporti di forza tra le classi e dai soggetti in campo.

Contro i movimenti e le lotte per i bisogni immediati la repressione agisce per fermare i processi di radicamento ed estensione. Contro le organizzazioni rivoluzionarie che si danno percorsi e strutture funzionali alla lotta per il potere agisce per annullare ogni capacità di azione anche in forma preventiva.

Rispetto alle lotte per i bisogni immediati, dove la repressione si manifesta con i licenziamenti per rappresaglia, con le cariche poliziesche, con denunce e arresti per i reati di “piazza”, la solidarietà è la più genuina e naturale risposta per denunciare l’inconciliabilità tra bisogni proletari e potere borghese e per cercare di imporre il ritorno alla lotta dei compagni colpiti da arresti o licenziamenti.

Diversa è la situazione quando la repressione agisce contro la parte più cosciente ed organizzata del proletariato, oggi alla ricerca di una strada per far confluire le enormi energie della classe proprio verso quell’orizzonte politico che da sola non riesce a darsi: quello della rivoluzione proletaria contro il sistema di sfruttamento e di oppressione del capitalismo e dell’edificazione di una società socialista.

E nella ricerca di questa strada assume oggi il posto principale la costituzione del Partito rivoluzionario costruito in funzione della presa del potere politico da parte della classe operaia e del proletariato. Costruito quindi fin dai suoi primi passi nell’unità del politico-militare.

Lasciamo quindi da parte tutte quelle interazioni solidali che si sviluppano all’interno delle lotte che la classe oppone al procedere della crisi quando queste si trovano ad affrontare la repressione. Non perché non le consideriamo importanti, anzi. Piuttosto perché su di esse c’è ben poco da dire essendo la rappresentazione più naturale e spontanea della volontà di presentare la più forte unità proletaria a fronte dell’offensiva borghese alle condizioni di vita e di lavoro delle masse.

Quello che ci interessa invece trattare è la solidarietà che parti del cosiddetto movimento di classe offrono alle istanze rivoluzionarie colpite dalla repressione e quindi ai Militanti Prigionieri Rivoluzionari (MPR). In questo campo, spesso, l’opportunità e la modalità con cui si sviluppa il movimento di solidarietà sollevano critiche, dubbi, precisazioni, dibattiti, ecc. tutte cose che trovano la loro ragion d’essere alla luce della contraddizione fra la lotta della classe sui propri bisogni immediati (è questo il contesto in cui va collocato il movimento di solidarietà, con la particolarità che esso rappresenta settori di massa che cercano/sostengono l’istanza rivoluzionaria) e la lotta rivoluzionaria per la presa del potere politico.

E come in ogni contraddizione anche in questa si presenta un rapporto di unità e lotta. Unità, per quanto riguarda il reciproco riconoscimento (“siamo tutti dalla stessa parte”; “lottiamo ognuno per ciò che gli compete, lo stesso nemico”; ecc.) e lotta, dovuta a diversi livelli di coscienza per ciò che riguarda le necessità della lotta rivoluzionaria.

È questo un dibattito che a più riprese e gradi ci ha trovati coinvolti dal giorno degli arresti nel febbraio 2007, in quanto referenti di un movimento di solidarietà sviluppatosi in opposizione alle manovre repressive del nemico di classe che per estensione e militanza trova ben pochi riscontri negli ultimi 20 anni.

Un dibattito che, sviluppatosi sia tra di noi che tra noi e questo movimento, ci ha permesso di rilevare pregi e difetti di questa esperienza.

Ci ha anche dato modo di confrontarci con l’esperienza e i contenuti di altre componenti politiche di MPR.

L’intento di questo scritto è anche di fare il punto del dibattito e presentare a tutti coloro che intendono impegnarsi nel campo della solidarietà (e in seconda battuta a tutti quelli che, volenti o nolenti, ne sono i referenti: i MPR) la nostra sintesi. Questo perché ci siamo trovati spesso a dare risposte parziali a questo o a quel tema che viene sollevato dal movimento solidale senza mai riuscire a dare la visione generale e completa di ciò che pensiamo.

Ci sembra quindi giunto il momento di farlo.

 

Quale solidarietà vogliamo?

Vogliamo partire da un concetto che pur sembrando semplice e banale ci pare che non sempre venga tenuto nel la giusta considerazione come guida del movimento di solidarietà.

E cioè il fatto che la migliore (non l’unica) solidarietà che si possa fare ai MPR è quella di proseguire nella lotta rivoluzionaria.

Questo è un enunciato che ha validità universale, per noi, come per ogni organizzazione rivoluzionaria che tenga fede al proposito di rovesciamento dell’ordine imperialista esistente tramite la conquista del potere. Con ciò in realtà si supera il concetto stretto di “solidarietà” per abbracciare quello proprio della militanza rivoluzionaria.

Se questo concetto non è ben fermo si rischia di concepire il lavoro della solidarietà come fine a se stesso e non come una “parte di un tutto”. Si rischia di perdere l’orizzonte politico solamente con il quale il lavoro di solidarietà riveste la sua utilità principale di tener viva tra il proletariato e la classe operaia la strada della rivoluzione e della loro emancipazione. Se si vuole rendere produttiva l’esistenza dei MPR l’unico modo è quello di far conoscere la loro esperienza di lotta per il potere che si tratta “solamente” di riprendere alla luce degli insegnamenti delle esperienze fatte e nel le condizioni attuali in cui, tra l’altro, lo scontro va acuendosi. Possibilmente correggendone errori e difetti.

Tutto ciò senza nulla togliere al fatto che oggi la solidarietà, nel suo significato più ampio, ha acquisito grande importanza. Infatti essa è invocata e praticata su diversi fronti di lotta, in diverse situazioni sociali, proprio come primo livello di risposta alla realtà di disgregazione e di divisione concorrenziale, alimentata sistematicamente dalla borghesia. Si pensi alle aggregazioni territoriali che si sono date sia attorno a questioni sociali-ambientali, sia attorno a lotte operaie che, per le loro dimensioni ridotte e/o marginalizzate (in particolare le lotte dei proletari immigrati) hanno acquisito forza e collegamenti di classe proprio grazie alle reti d i solidarietà. Quindi sviluppare la solidarietà come tessuto di riaggregazione, come primo terreno su cui la classe può riconoscersi e sviluppare le proprie forze, come terreno di esperienze comuni e di comunicazione fra vari settori ecc., non può che essere positivo, creando base e consistenza di massa per lo stesso successivo passaggio, cioè la sua finalizzazione.

 

La solidarietà che non ci interessa

Al di fuori o se si trascura di tenere ben ferma l’impostazione appena affermata, ci si trova ad affrontare alcune deviazioni. Ne accenniamo qui alcune con cui ci siamo confrontati direttamente: la tendenza al vittimismo o all’innocentismo, il lamentarsi fine a se stesso di essere vittime delle montature della controrivoluzione e del fatto che la borghesia non rispetta le sue stesse leggi. Questo atteggiamento, pur comprensibile, non considera che lo scontro di classe non si può misurare sulla base del quadro giuridico, qualsiasi esso sia. Bisogna andare al la sostanza e considerare la repressione elemento imprescindibile dello scontro. Vittimismo e innocentismo non solo sono inutili , ma anche dannosi perché impediscono al proletariato di dotarsi della giusta concezione dello scontro e perché ci si va a confrontare con i codici borghesi legittimando e avvalorando la loro esistenza; considerare gli attacchi repressivi alle organizzazioni rivoluzionarie al pari della repressione verso il movimento di classe generico. Non distinguere e fare un tutt’uno come si rivela negli slogan: “siamo tutti terroristi” , “siamo tutti sotto attacco repressivo”, “abbiamo preso 150 anni di condanne” ecc.

Cosa che, se da un lato mostra la tendenza positiva ad unirsi alle istanze rivoluzionarie colpite dalla repressione, dall’altra svalorizza la loro precisa collocazione nello scontro come reparto d’attacco. Se l’intento è, come crediamo, impedire il loro isolamento, questo si può ben fare pur distinguendo le varie componenti.

Tra l’altro ci sembra che ponendo tutto sullo stesso piano si corre viceversa il rischio di esporre inutilmente il movimento solidale alla repressione, collocandolo/assimilandolo ad un livello che non gli è proprio; anche lo slogan “non siamo tutti, mancano i prigionieri” fa parte di questo appiattimento. Nel merito di questo specifico ci sentiamo di fare due considerazioni: la prima è che i prigionieri non mancano affatto, anzi continuano, nell’ambito del carcere imperialista, la lotta rivoluzionaria nella forma della resistenza al carcere stesso e nel rifiuto al capitolazionismo e al liquidazionismo. Secondo, i prigionieri appartenenti ad organizzazioni rivoluzionarie, proprio perché tali, nemmeno prima della loro cattura potevano essere assimilabili principalmente al cosiddetto generico “movimento” di classe essendo in primo luogo membri o promotori d i organizzazioni politiche rivoluzionarie complessive d’attacco.

Insomma, anche qui non va bene appiattire, si toglie parte dell’identità politica e si reca danno a quei MPR che ancora dal carcere tengono fede al progetto rivoluzionario; idem dicasi per tutte quelle volte che si nominano i MPR senza fare riferimento alla loro organizzazione politica di appartenenza o che vengono posti alla stregua della comune popolazione detenuta. E, teniamo a precisare, diciamo questo non perché i MPR vadano considerati una elite, vadano trattati meglio o messi sull’altare, anzi. Ma perché nello scontro di classe hanno rivestito e rivestono un ruolo specifico che non va mai nascosto o dimenticato; agitare i MPR come supplenza della rivoluzione o ridurli a feticcio di essa. Il che porta facilmente a metterli in maniera acritica su un altare. Bisogna invece considerare i MPR come parte attiva dello scontro di classe e tra di essi ci sono storie, linee politiche, modi di essere e di agire diversi e che vanno considerati, non sottaciuti. Ci si deve sempre porre la domanda se quello che fanno o dicono aiuti o meno la ripresa del processo rivoluzionario. E ciò, beninteso, vale per tutti, noi compresi. Non c’è la voce del prigioniero prima di tutto, in virtù della repressione che sta subendo. Prima di tutto vengono le esigenze della rivoluzione; in ultimo, sollecitare un protagonismo dei MPR onde avere materia e sostanza per alimentare il movimento solidale. Beh, qui non abbiamo molto da dire. Ci sembra evidente che il movimento di solidarietà si scontri qui con i suoi limiti ed in principal modo quello già accennato di considerarsi fine a se stesso. Ma su questo torniamo tra poco.

Detto tutto questo ci teniamo a precisare che la responsabilità principale di queste “deviazioni” (se così si possono definire) non è da imputarsi al movimento di solidarietà stesso, ma all’arretratezza e alla debolezza del processo rivoluzionario nel nostro paese, alla mancanza dell’organizzazione rivoluzionaria che sappia valorizzare e incalzare tutte le tendenze positive espresse dal movimento di classe nell’alveo della lotta rivoluzionaria.

E qui ci sentiamo di intervenire, in continuità al nostro contributo politico-organizzativo finalizzato alla risoluzione di questa mancanza. Non tanto con l’intento di darvi concretezza (cosa impossibile, visto dove ci troviamo), piuttosto cercando di arginare e contenere quello che a noi sembra rallentare e inibire la ripresa del processo rivoluzionario, cercando di contribuire ad elevare la coscienza e ad approfondire le questioni poste da tutti quelli che, esprimendo vicinanza e appoggio, intendono così schierarsi nello scontro di classe.

 

È dunque inutile la solidarietà ai militanti prigionieri rivoluzionari?

Alle nostre obiezioni potrebbe sollevarsi questa domanda.

Ebbene la nostra risposta è che ogni espressione positiva proveniente dalla classe e dal movimento di classe che si collochi o cerchi di collocarsi nel campo rivoluzionario non è mai né negativa né inutile. Anzi, può rappresentare un valido strumento di educazione delle masse nel diffondere le idee comuniste, nel collegare le lotte economiche e sociali alla lotta politica ecc. ma, appunto, deve collocarsi precisamente, trovare il suo ruolo e non fare confusione tra piani e livelli, questa sì, dannosa .

Per quanto riguarda la nostra stretta esperienza abbiamo visto quanto utile sia stato tutto il movimento di solidarietà che si è sviluppato fin dai giorni dei nostri arresti. Un movimento che è nato e cresciuto nel mentre prendeva le mosse la crisi economica provocata dall’insolvenza dei mutui subprime e che, in altre forme, prosegue tuttora in un crescendo di tensioni e contrasti tra i vari blocchi imperialisti. Senza dilungarsi troppo sui caratteri di questa crisi, si può tranquillamente affermare che essa sta determinando un vero e proprio salto di qualità nell’attacco alle condizioni di vita e d i lavoro delle masse popolari comune a tutta l’area dei “soliti” centri imperialisti (intendiamo cioè esclusi gli imperialismi emergenti dove assistiamo a diverse dinamiche, i cosiddetti BRIC, per capirci).

Questo perché l’unica soluzione di uscita definitiva dalla crisi per via capitalistica è far riportare il ciclo di accumulazione alla cui base si trova la necessità di estrarre dalla classe operaia quote crescenti di plusvalore in grado di valorizzare le enormi quantità di capitali già accumulati. Il che si traduce nel tornare a far profitti intensificando lo sfruttamento del lavoro vivo.

Anche nel nostro paese questo è l’imperante obiettivo che i principali gruppi imperialisti (FIAT in testa) stanno perseguendo con lo smantellamento pressoché totale di tutte le regole e i limiti allo sfruttamento che il movimento operaio aveva imposto con la lotta nel la sua storia (abbattimento del limite delle 8 ore, attacco ai CCNL, alla legge 300, alla      626, il Collegato lavoro, drastico dimezzamento della pensione, pesante ridimensionamento dell’assistenza ecc.). La tabula rasa di diritti e tutele è la condizione necessaria per continuare a far profitti. E non si danno più i margini materiali su cui hanno potuto crescere le ipotesi riformiste. O è così, o si molla tutto e si va da un’altra parte dove i profitti sono maggiormente garantiti. Questo è il ricatto che la FIAT sta imponendo nei suoi stabilimenti in Italia con la totale complicità di CISL-UIL-UGL e FISMIC e con l’incapacità della FIOM di dare risposte vincenti, poiché impantanata nella sua storica palude riformista e legalitarista.

Va anche tenuto presente che la crisi ha già seminato centinaia di migliaia di licenziamenti, un grosso rimpolpamento dell’esercito industriale di riserva a cui molto difficilmente farà seguito un riassorbimento, in una ipotetica conclusione della crisi che ancora nemmeno si intravede. Tanto che qualche testa d’uovo imperialista ha coniato la definizione “new normal” intendendo con questo dire, senza peli sulla lingua, che da questo arretramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, persino nei paesi più avanzati, non ci sarà ritorno.

Un altro fattore che indica la gravità e la profondità della crisi in atto è che nemmeno l’enorme bacino dell’esercito industriale di riserva costituito dalla forza lavoro immigrata è sufficiente a garantire una sufficiente estrazione di plusvalore agendo sulla concorrenza salariale operaia. E l’auspicato scontro proletariato locale – proletariato immigrato, salvo qualche caso, non si sviluppa nonostante le forti spinte reazionarie dei partiti politici della grande e piccola-media borghesia che puntano da tempo alla mobilitazione reazionaria di massa. Ricorrono invece pesantemente all’utilizzo dei CIE e dei CTP, veri e propri lager disseminati in tutto il territorio nazionale in cui le inumane condizioni detentive servono a schiacciare la testa alle popolazioni immigrate.

Contrariamente ai disegni della borghesia si assiste piuttosto a forme di lotta del proletariato immigrato che raccolgono il sostegno di parti di proletariato italiano (vedi Milano e Brescia) quando addirittura non lottano insieme (cooperative lombarde e fabbriche varie).

Insomma alla borghesia imperialista serve ben altro. Deve scontrarsi frontalmente con la classe operaia centrale. Quella che ha il posto che si pensa fisso, che tramite le lotte si era guadagnata un certo tenore di vita. Quella di Pomigliano e di Mirafiori, per intenderci. Cioè con la parte più organizzata che porta ancora sulle spalle quel che è rimasto della memoria storica del movimento operaio.

Alcuni passi li abbiamo già visti (Pomigliano, formazione di NEWCO per aggirare il CCNL, adesso Mirafiori), il prossimo sembra essere quello di creare un CCNL per il solo settore auto, un distaccamento Federauto di Federmeccanica. Se così fosse, l’intento è evidente: isolare gli operai dell’auto e dell’indotto dagli altri per poi colpirli meglio. Infatti storicamente a questo è servito dividere la classe operaia in decine di categorie, ognuna con il suo CCNL.

D’altronde emblematica è la dichiarazione della Presidente di Confindustria Marcegaglia: “bisogna capire fino a che punto ci si può spingere […] abbiamo iniziato dal 1999 a cambiare le relazioni industriali, ma certo non è possibile cambiare in un giorno 100 anni di storia”.

Vediamo inoltre che, in questo contesto, la gravità della crisi impone alla borghesia di dispiegare un attacco generalizzato che oltre alla classe operaia coinvolge l’intero proletariato e la gran parte delle masse popolari. Senza fare l’intero e sempre più lungo elenco, basta pensare al taglio della spesa pubblica che si traduce in peggioramento delle condizioni del pubblico impiego, in riduzione dell’assistenza sanitaria, in declassamento dell’istruzione. Naturalmente senza toccare le spese militari per la guerra verso le quali invece va dirottata parte delle risorse precedentemente destinate alla spesa sociale.

In particolare il settore scolastico subisce uno specifico attacco con tagli che ne affossano definitivamente ogni residuo ruolo di promozione sociale per le classi subalterne. La scuola di massa deve essere trasformata in un contenitore di potenziali futuri disoccupati – sottoccupati in cui il codice selettivo-meritocratico è esasperato al fine di ottenere coercitivamente la disciplinata rassegnazione. Naturalmente potenziando invece la scuola d’elite per la formazione della classe dirigente come si vede con l’incremento del finanziamento alle scuole private.

In questo contesto scolastico-giovanile si è già espressa una forte risposta di massa che ha evidenziato una radicale opposizione delle fasce più proletarie degli studenti che, sul piano dei contenuti più avanzati (“ci rubano il futuro”, “la vostra crisi non la paghiamo”) è stato capace di cogliere correttamente la portata dello scontro e che ora si sta misurando con le manovre repressive dello stato volte ad annullarla.

E questo con grandi livelli di mobilitazione (centinaia di migliaia) e con un significativo sviluppo internazionale (Francia, Grecia, Inghilterra, Italia).

In sintesi ci troviamo di fronte ad una situazione “Nuova”, ad un cambio di passo nella dinamica dell’attacco della borghesia imperialista e delle conseguenti lotte di difesa. Una situazione in cui il proletariato e la classe operaia avranno bisogno delle loro migliori forze ed energie. Una situazione in cui chiunque intenda inoltrarsi nel campo della lotta rivoluzionaria può trovare terreno fertile per svilupparsi sapendosi dialettizzare correttamente.

Tornando quindi al nostro discorso, crediamo che anche il movimento di solidarietà nato attorno a noi debba registrare questo cambio di passo, cosa che probabilmente ha cominciato a valutare, anche in relazione all’esaurirsi della fase più intensa di scontro datasi con la nostra stagione processuale.

Bisogna andare oltre e ricentrare la propria attività verso la classe in lotta, dialettizzandosi fortemente con essa, avendo dalla propria parte tutto il portato di esperienze di lotta alla repressione e di appoggio a chi ha cercato di concretizzare un percorso rivoluzionario, proprio come soluzione da parte proletaria, della crisi del capitalismo.

 

Alcune precisazioni

Con questo non intendiamo che si supplisca alla mancanza dell’organizzazione rivoluzionaria o al necessario investimento militante sulla prospettiva rivoluzionaria. Lo sviluppo della rivoluzione e delle sue organizzazioni è e rimane nelle responsabilità proprie di chi se ne assume soggettivamente il compito. E non ci sono scappatoie.

A questo compito non possiamo supplire né noi in quanto MPR, né tanto meno chi promuove solidarietà nei nostri confronti né qualsiasi movimento che si collochi sul solo terreno del la difesa degli interessi di classe.

Detto questo, ciò non toglie che si possano sviluppare piani di lavoro parziali che portano acqua al mulino della rivoluzione. Certo, in mancanza del mulino, questi piani parziali possono disperdersi i mille rivoli ed essere più facilmente neutralizzati dal nemico di classe. Ma questa non è affatto una legge.

Tenendo ben presente il piano generale, pur non contribuendovi concretamente, si possono ben svolgere attività parziali.

E a conferma di questo si è visto il peso avuto dal movimento di solidarietà nel contrastare i piani della controrivoluzione che in ogni modo ha cercato di estirpare dalla classe la nostra esperienza, denigrandola e infangandola con le ipotesi più assurde (infiltrazione nella classe operaia, terroristi, gente fuori dal mondo, collusi con la mafia ecc.). E continua a rivelarsi estremamente utile nel rivendicare l’internità al movimento di classe dei MPR e nel tessere una corretta dialettica fra le diverse entità del movimento di classe, contribuendo a contenere l’operazione strategica dello Stato di separazione e isolamento delle istanze rivoluzionarie della classe.

Affermiamo questo in contrapposizione all’idea, presente nelle esperienze rivoluzionarie del nostro paese e anche quindi tra i MPR, che in assenza del piano principale, dell’organizzazione d’attacco, del partito, tutto il resto sia inutile; che prima di fare qualsiasi cosa è indispensabile che tutto sia a posto in un ordine prestabilito da realizzare secondo manuale.

La realtà non si compone di meccanismi ma di contraddizioni che bisogna saper trattare alla luce degli aspetti principali . Ed è indispensabile nell’analisi di queste contraddizioni (la dialettica) discernere le contraddizioni tra noi e il nemico “da quelle in seno al popolo” per dirla con Mao. In queste ultime, in particolare, rientrano quelle tra partito e masse di cui stiamo trattando. Non fare queste distinzioni, sostituire al materialismo dialettico il formalismo meccanicista come metodo di analisi, porta alle assurde affermazioni per cui, a prescindere dall’analisi concreta degli avvenimenti, i movimenti di solidarietà, di resistenza, di lotta in assenza dell’organizzazione rivoluzionaria sono sempre oggetto di manipolazione della controrivoluzione e di conseguenza oggettivamente controrivoluzionari o forieri di opportunismo. Incredibile come, con estrema facilità, si possa confondere l’analisi dei limiti e delle arretratezze evidentemente presenti nel tessuto della classe con l’analisi delle contraddizioni tra la classe e il suo nemico. Così sì, non si fa altro che abbandonare la classe alla sua sorte, lasciandola disarmata di fronte al potere e alle sue strumentazioni di recupero e repressione.

Certo è del tutto corretto cercare di concentrare le energie disponibili sul piano principale dell’attacco, ma è altrettanto errato concepire questo in contrapposizione ai molteplici aspetti parziali, secondari presenti nel movimento di classe, cui appartiene anche il movimento di solidarietà ai MPR.

D’altronde se quest’ultimo esiste (e non solo da noi ma in ogni parte del mondo dove la presenza di processi rivoluzionari produce prigionieri politici) è proprio in virtù dell’esistenza (passata o presente che sia) dell’istanza rivoluzionaria combattente.

Non concepire questa dialettica e il suo sviluppo positivo significa confinare forze proletarie nel buio del fare per fare e del movimentismo inconcludente.

Con quest’ultima precisazione non intendiamo entrare in polemica con altri che la pensano diversamente da noi. Le posizioni sono ben note e riteniamo fuorviante in questa fase aprire un simile dibattito. Il nostro intento è piuttosto porre l’attenzione, come già detto, sul fatto che tra i MPR esistono queste diverse posizioni, discendenti da progetti politici e percorsi organizzativi diversi, proprio perché i MPR ne sono l’espressone concreta, bisogna considerare queste diversità e non appiattirli alla mera dimensione della prigionia politica.

 

 

Conclusioni

Perseguendo l’obiettivo di migliorare la reciproca comprensione delle posizioni del movimento solidale e dei MPR, ci auguriamo che questo scritto fornisca, da parte nostra, tutte le chiarificazioni necessarie. Riassumendo:

– ciò che a noi interessa è in primo luogo la ripresa del movimento rivoluzionario, particolarmente impellente in questa fase di acuta crisi del modo di produzione capitalista in cui la disponibilità alla lotta del proletariato e della classe operaia andrà via via accrescendosi per forza di cose; in questa luce valutiamo tutto il resto e quindi chiediamo di essere considerati in primo luogo come militanti del movimento rivoluzionario del nostro paese e solo in seconda battuta come referenti della solidarietà;

– tra le due cose (essere militanti rivoluzionari e referenti della solidarietà) non esiste opposizione, bensì un rapporto di unità diretto al principale obiettivo della rivoluzione; rifiutiamo invece la solidarietà fine a se stessa, l’appiattimento, l’essere messi sugli altari in quanto prigionieri;

– infine affermiamo e rivendichiamo il ruolo positivo che il movimento di solidarietà ha svolto e svolge non solo nei nostri confronti ma anche nella storia passata e presente del movimento comunista internazionale. Il fatto che quest’ultimo nel nostro paese sia ad un livello arretrato, non autorizza l’avanguardia comunista, quando anche prigioniera, a denigrare le espressioni più genuine e sincere di quella parte del proletariato che simpatizza per la rivoluzione.

Detto questo fateci sapere cosa ne pensate e, sempre disponibili ad ulteriori chiarimenti, vi auguriamo buon lavoro.

 

COLLETTIVO COMUNISTI PRIGIONIERI “L’ AURORA”

 

Gennaio 2011.

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