Per l’unità dei rivoluzionari nella lotta contro l’imperialismo. Allegato agli atti del processo Moro-ter, Seconda Corte d’Assise di Roma

L’internazionalismo è da sempre l’elemento fondante della concezione rivoluzionaria della lotta di classe e della costruzione del comunismo. Nelle lotte antimperialiste che si sono radicate nei diversi poli dello scontro mondiale vive uno stesso filo conduttore, che si sviluppa trovando ogni volta elementi di originalità, di continuità e di rottura nelle trasformazioni qualitative storicamente avvenute nel capitalismo.

Oggi che i rapporti di forza tra proletariato e borghesia si giocano in un quadro prevalentemente internazionale, «l’internazionalismo è una necessità elementare», come hanno scritto alcuni compagni latino-americani al «movimento anti-FMI».

La mobilitazione contro il congresso del Fondo Monetario Internazionale/Banca Mondiale di settembre a Berlino Ovest è un punto di arrivo e di partenza in questa direzione, e dimostra che la fase apertasi venti anni fa con la nascita del movimento internazionalista contro la guerra del Vietnam non ha esaurito la sua spinta propulsiva. Trova invece nuovo sviluppo nel dibattito che si è consolidato negli ultimi anni in Europa Occidentale e nel mondo.

Questa nuova realtà che si è venuta a determinare nello scontro di classe e che trova i suoi elementi di forza nelle esperienze delle guerriglie e dei fronti rivoluzionari, è una significativa tappa nella costruzione di una strategia rivoluzionaria internazionale contro il sistema imperialista nel suo insieme a livello continentale europeo, mediterraneo e mondiale.

In questa direzione si colloca la scelta politica ed operativa delle organizzazioni Rote Armee Fraktion e Brigate Rosse-PCC nel quadro di una strategia comune contro l’imperialismo all’interno della scadenza contro il Fondo Monetario Internazionale/Banca Mondiale.

Questa è l’indicazione politica che emerge con chiarezza dall’attacco al Sottosegretario alle Finanze tedesco Hans Tietmeyer. Con questa scelta le due organizzazioni guerrigliere intendono concretizzare il «salto necessario ad una politica di fronte» in Europa Occidentale, in dialettica con le parti più avanzate del movimento rivoluzionario che si sono attivate in questa mobilitazione.

  1. Nella scadenza contro il FMI/BM si sono evidenziati alcuni dati politici importanti.
    Questa mobilitazione ha messo al centro i progetti politici principali dell’imperialismo – e in particolare le cosiddette «politiche di sviluppo» – e le istituzioni e determinazioni sovranazionali che elaborano ed attuano le decisioni strategiche, economiche, finanziarie, monetarie, sociali… necessarie per tentare di governare le contraddizioni crescenti indotte dalla crisi capitalistica.
    Ciò significa affrontare il carattere distintivo dell’imperialismo di questa epoca: il suo consolidarsi come sistema sovranazionale a livello mondiale, un sistema unitario che percorre tutta la formazione sociale metropolitana dal centro alla periferia, riproducendo in ogni area del mondo la tendenza storica intrinseca del capitalismo, lo sviluppo e il sottosviluppo in una unità inscindibile.
    Un sistema che ormai da vent’anni è alla ricerca di una riorganizzazione e stabilizzazione a seguito dell’approfondirsi della crisi mondiale del capitale e della crisi dello stesso sistema di egemonia USA. Questo processo di riorganizzazione e riassetto d’altra parte non trova, e non può trovare, soluzione stabile neppure attraverso il consolidato meccanismo degli organismi sovranazionali e dei vertici periodici tra i «7 Grandi». E tantomeno nella stagione di accordi strategici e di intesa sui «conflitti regionali» tra USA e URSS.
    Anche le politiche del FMI/BM sono un prodotto storico specifico del movimento della crisi capitalistica e sono un chiaro aspetto della contemporaneità e inscindibilità di crisi e sviluppo nel capitalismo.
    «La grande importanza di tutte le crisi sta nel fatto che esse rendono palese ciò che è nascosto, respingono il convenzionale, il superficiale, il secondario, spazzano via i rifiuti della politica e svelano le molle reali della lotta di classe effettivamente in atto » (Lenin).
    Al congresso di Berlino Ovest i ministri ed i governatori dei sette paesi più industrializzati si sono complimentati con se stessi per la situazione delle loro economie, che crescono addirittura ad un ritmo più alto di quello previsto (il 4%), anche grazie al coordinamento delle politiche economiche stabilito dal vertice di Toronto.
    Come ha detto il rappresentante del Tesoro USA: «mi sembra giusto che dal nostro dibattito emerga che sia desiderabile mantenere lo status quo. Dovremo rafforzare le politiche di coordinamento e non perdere di vista eventuali miglioramenti dei meccanismi, ma la strada sulla quale ci troviamo è solida e ci ha dato soddisfazioni».
    Ma di fronte a questo ottimismo capitalista sta lo status quo dell’indebitamento e dell’immiserimento dei paesi delle aree dominate.
    I paesi del «Terzo Mondo» sono sempre più poveri e per loro il FMI/BM è una vera e propria macchina di sfruttamento e morte. E’ uno strumento di dominazione diretta perché organizza le basi del sistema economico di quei paesi: attraverso di esso il capitalismo estorce ricchezza per il suo sviluppo.
    Nella situazione che si è venuta a determinare a livello mondiale, in questo stadio dell’imperialismo, il FMI/BM più che centralizzare il ritmo dei flussi finanziari verso i paesi in via di sviluppo diviene sempre più «poliziotto del sistema finanziario» a livello mondiale. In questa direzione si moltiplicano e articolano i diversi gradi di ingerenza del FMI/BM nell’economia di ogni paese.
    Un indebitamento di 1200 miliardi di dollari per i paesi del «Terzo Mondo» è sicuramente una contraddizione per l’economia mondiale, ma è soprattutto una questione di sopravvivenza per i popoli di quei paesi.
    Già all’inizio degli anni ’70 l’impossibilità di pagare i debiti si traduce nella necessità di contrarne ulteriori per pagare almeno gli interessi: il 75% dei nuovi prestiti erano concessi per pagare gli interessi di quelli precedenti!
    A Berlino nessuna soluzione di revisione delle politiche di prestito è stata adottata, e tantomeno una riduzione generale dell’ammontare del debito, mentre si è riconfermata la linea egemone americana del «Piano Baker», cioè di un approccio caso per caso, paese per paese, in base agli interessi degli stati imperialisti occidentali più forti ed alla spietata politica delle multinazionali.
    Le politiche del FMI/BM, ben lungi dall’invertire il flusso di capitali dal Sud verso il Nord – flusso che è anche alla base della ristrutturazione e dello sviluppo del sistema produttivo nel centro imperialista – non fanno che favorire il processo di accumulazione e concentrazione capitalistica.
    Nei fatti il trasferimento netto di capitali da questi paesi verso il Nord, tra l’84 ed oggi, si aggira sugli 87 miliardi di dollari.
    La «crisi del debito» ha fatto capire a tutto il mondo il meccanismo di dominazione e dipendenza attraverso cui viene strangolata la maggioranza della popolazione mondiale. Le politiche del FMI/BM hanno agito nell’esclusivo interesse dei paesi industrializzati, intensificando la dinamica di sviluppo ineguale alla base del peggioramento delle condizioni di vita nelle aree dominate.
    Queste due istituzioni sovranazionali si rivelano sempre più come due organismi di sfruttamento al servizio degli USA e del «Gruppo dei 7».
    E’ assodato che oltre il 60% dei debiti che oggi i paesi sottosviluppati dovrebbero pagare non è stato utilizzato a favore della crescita economica di quei paesi, ma ha costituito una ricca fonte di profitti per i paesi industrializzati. A ciò si aggiungono gli effetti tragici delle strategie di «austerità e risanamento» imposte ai paesi più indebitati. Il FMI/BM ha stabilito in quelle aree una politica diretta ad aumentare le risorse destinate al pagamento dei debiti attraverso la riduzione dei consumi interni e l’aumento delle esportazioni delle materie prime e delle produzioni agricole, a scapito di quella parte della popolazione che è esterna al mercato. Ormai definitivamente un surplus per l’economia mondiale!
    Un esempio di questo pesante meccanismo di annientamento è fornito dalle valutazioni fatte dagli esperti di 23 paesi riuniti a Cartagena (Colombia) agli inizi di settembre. In America Latina dall’80 all’85 – cioè in soli cinque anni – il numero dei «poveri» è aumentato del 25%.
    Pagare 410 miliardi di dollari con i relativi altissimi interessi ha significato un calo del 14% nel reddito di ogni abitante tra l’80 e l’86, la caduta reale dei salari, l’aumento della disoccupazione e la riduzione della spesa pubblica. Oltre 60 milioni di persone vivono in condizioni di «miseria assoluta».
    Questa politica di sfruttamento nei confronti dei popoli delle aree dominate trova esplicite conferme nei piani di «aiuti allo sviluppo» adottati dai paesi europei nei confronti del Medio Oriente e del Nord Africa (rispetto ai quali si favoleggia di un nuovo «Piano Marshall» moltiplicatore di profitti), nel Centro e Sud America, e nella costruzione del sistema produttivo decentrato nel Sud-Est Asiatico, dove le fabbriche delle multinazionali possono spingere al massimo lo sfruttamento della manodopera.
    Ma il ruolo del FMI/BM si estende a tutto il mondo capitalistico, anche nel centro: esso è funzionale a determinare l’egemonia dei capitali più forti su quelli più deboli, esercitando un controllo generale sullo «stato di salute» delle economie di ogni paese.
    Nella stessa Europa Occidentale, ad esempio, se in precedenza, secondo stime CEE, i «poveri» erano 24 milioni, ora sono ben 62 milioni; alle aree del grande sviluppo nelle produzioni ad alta tecnologia si contrappongono le «regioni industriali in declino» e quelle del sottosviluppo cronico.
    È chiaro comunque che questo pesante meccanismo agisce in modo completamente diverso nei paesi dominanti.
    Il problema del debito nel centro imperialista – gli Stati Uniti ad esempio sono il paese più indebitato del mondo – assume un’importanza relativa, per il fatto stesso che il FMI/BM è un organismo al servizio soprattutto dei loro interessi.
    In questo congresso del FMI/BM, che è stata una delle assise più importanti della borghesia imperialista dopo la seconda guerra mondiale, quello che balza agli occhi, a più di quarant’anni dalla ridefinizione e spartizione del mondo in sfere d’influenza, è che il sistema imperialista mette a disposizione della maggior parte dell’umanità sempre meno risorse.
    La politica imperialista tende a riprodurre inesorabilmente il processo di sviluppo e sottosviluppo in ogni area del mondo, dal centro alla periferia, ed il consolidamento del sistema mondiale imperialista non fa che aggravare questa tendenza.
    In questo senso la legge dell’accumulazione capitalistica di Marx trova la sua puntuale verifica all’interno dello sviluppo del capitalismo, anche nel suo attuale sviluppo metropolitano.
    «Questa legge determina un’ accumulazione di miseria proporzionata all’accumulazione di capitale. L’accumulazione di ricchezza ad uno dei poli è dunque al tempo stesso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione morale al polo opposto, ossia dalla parte della classe che produce il proprio prodotto come capitale » (Marx).
  1. Se da un lato la mobilitazione anti-FMI/BM focalizza il rapporto centro-periferia ed il ruolo che in esso ricoprono i vari organismi sovranazionali dell’imperialismo, trova dall’altro un suo punto di forza nell’individuazione e comprensione del ruolo specifico dell’Europa Occidentale nel sistema imperialista.
    Questa mobilitazione è concepita come iniziativa di lotta e comunicazione a dimensione continentale europea e mondiale contro le strategie ed i progetti sovranazionali attraverso cui l’imperialismo organizza ed impone lo sfruttamento del proletariato nel centro e nella periferia.
    All’interno della scadenza, l’attacco alla formazione del «blocco europeo-occidentale» è diventato un elemento centrale. Questo processo capitalistico è lo sviluppo di «una controtendenza che mira al rilancio dell’accumulazione, che tende a realizzare una riduzione dei costi su scala europea» (dichiarazione dei prigionieri della guerriglia al processo di Stammheim, 1988).
    L’integrazione capitalistica in Europa Occidentale si fonda sui processi di concentrazione/centralizzazione dei capitali, sulla ristrutturazione e ridefinizione del sistema produttivo attorno ai grandi progetti dell’alta tecnologia (ESPRIT, EUREKA, ecc.) e sull’integrazione e coordinamento degli apparati militari. Essa è diretta a costruire la base economica e sociale per assicurare ai capitali multinazionali le condizioni ed il mercato necessari per continuare a svilupparsi e per essere competitivi a livello mondiale.
    Il complesso delle iniziative di integrazione economica, finanziaria e monetaria attorno alla scadenza del «Mercato Unico» del 1992 danno corpo concretamente a questo progetto.
    A questo proposito è bene tenere presente che il «blocco europeo-occidentale» non è una realtà già data, ma un processo in costruzione in cui la forte spinta del capitale internazionale, che si muove ormai in una dimensione europea e mondiale, deve fare i conti sia con la conflittualità delle strategie di produzione e di mercato dei diversi capitali, sia con gli interessi particolari e le politiche divergenti dei vari governi e stati europei.
    Questa dinamica, comunque, già oggi porta a dei significativi mutamenti nella collocazione degli stati europei all’interno del mercato capitalistico e del sistema di dominio imperialista.
    In questo contesto il perdurare della crisi di egemonia USA, a causa della impossibilità per questo paese di sostenere da solo i costi crescenti della crisi capitalistica internazionale – data la sua attuale complessità e profondità – fa assumere un ruolo specifico ed un peso politico complessivo più rilevante all’Europa Occidentale e al Giappone.
    Gli stati europei più forti (RFT, Francia, Gran Bretagna, Italia) non hanno più soltanto il compito di affiancare le strategie dell’amministrazione americana a livello mondiale; oggi impegnano direttamente la loro forza economica, politica e militare come parte integrante del sistema di potere dell’imperialismo occidentale.
    Questa ridefinizione dell’assetto capitalistico in Europa Occidentale, si traduce immediatamente in un aumento dello sfruttamento e della disoccupazione, in un peggioramento generale delle condizioni di vita del proletariato, in sostanza in una intensificazione dell’alienazione nella metropoli.
    È un processo che si materializza anche verso l’esterno, proiettandosi in modo consistente nelle diverse aree del mondo, sia come ruolo della CEE nelle principali regioni di crisi, sia come intervento mirato dei singoli stati europei.
    Il peso crescente dell’intervento degli stati e dei capitali multinazionali italiano e francese in Medio Oriente e in Nord Africa, di quello inglese in tutta l’Africa, di quello tedesco in Africa Australe, America Latina, Sud-Est Asiatico, è la prova più evidente di questa dinamica.
    Ancora più evidente in questo senso è il ruolo della «Convenzione di Lomè», tra la CEE e 66 paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, in cui i piani di «aiuto allo sviluppo» finanziati direttamente dal Fondo Europeo di Sviluppo (FES) e dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI) consentiranno sempre più alla Comunità di «intervenire nei processi di riaggiustamento strutturale delle economie dei paesi beneficiari». Queste politiche si muovono nella stessa direzione di quelle del FMI/BM, ricercando costantemente un maggior coordinamento tra di esse.
    In definitiva possiamo dire che i programmi economici «concordati» tra il paese che accede al credito, gli organismi sovranazionali finanziari e monetari (FMI/BM, FES, BEI, ecc.) ed il grande capitale finanziario privato, sono semplicemente la pianificazione delle possibili linee di penetrazione del capitale imperialista nelle aree dominate.
    Ma questo meccanismo si riproduce anche nei confronti di alcuni paesi dell’Europa, in base al principio della divisione di quote all’interno del FMI/BM in rapporto al potere di ognuno dei sette paesi più industrializzati.
    L’Italia nell’ultima riunione ha aumentato il suo potere nel comitato esecutivo del FMI/BM, assumendo il compito di rappresentare, oltre agli interessi di Grecia, Portogallo e Malta, anche quelli della Polonia (uno dei paesi in cui è più forte la penetrazione del capitale FIAT!).
    E, proprio per rendere più efficiente questa strategia di profitto, al Congresso di Berlino Ovest sono andati in massa i grandi banchieri, i dirigenti delle grandi multinazionali, i supertecnocrati degli stati e degli organismi sovranazionali.
    I porci imperialisti seduti attorno al grande banchetto del FMI/BM erano ben 14.000!
    È contro questi uomini, questi progetti e apparati che tendono a potenziare la cosiddetta «politica di sviluppo» del capitalismo sulla pelle del proletariato del centro e della periferia, che si è indirizzata la mobilitazione in questa scadenza, stabilendo una connessione strategica tra le lotte nel «centro europeo-occidentale» e quelle nel «Tricontinente» (Asia, Africa, America Latina).
  1. Dal punto di vista della classe, la mobilitazione sviluppatasi attorno alla scadenza del Congresso di Berlino Ovest è parte di quell’ampia dimensione di dibattito che si è aperta da tempo nel movimento rivoluzionario a livello internazionale. Dal Convegno di Francoforte dell’86, alle «Giornate Antimperialiste» di Barcellona dell’87, in cui si ponevano in primo piano «i processi concreti di coordinamento della lotta comune contro l’imperialismo».
    Ciò che viene posto al centro è il proletariato internazionale come soggetto mondiale della rivoluzione e il suo processo di costituzione in classe nella lotta contro l’imperialismo nel suo insieme. Questa importante dinamica di lotta è un’espressione dello scontro prodotto dallo sviluppo storico del capitalismo, che ha creato ormai un’unica formazione sociale estesa a tutto il mondo, dove il processo di proletarizzazione, che riveste caratteri specifici nelle diverse aree, costituisce la base oggettiva che mette «in relazione» le diverse frazioni del proletariato mondiale, dall’Europa Occidentale alle Filippine, alla Corea del Sud, dal Perù al Salvador, dai Territori Occupati della Palestina al Libano, fino all’Africa Australe.
    Si può dire che c’è un salto storico che ha internazionalizzato in maniera irreversibile il concetto di classe: alla fine degli anni ’70 il processo rivoluzionario mondiale come processo unitario è diventato attuale.
    È nella lotta contro l’imperialismo che il proletariato internazionale si ricompone a livello mondiale e si costituisce in classe rivoluzionaria che combatte per il proprio interesse.
    «La dominazione del capitale ha creato a questa massa (di lavoratori) una situazione comune, interessi comuni. Così questa massa è già una classe nei confronti del capitale ma non ancora per se stessa. Nella lotta (…) questa massa si riunisce, si costituisce in classe per se stessa. Gli interessi che essa difende diventano interessi di classe». (Marx).
    La progressiva omogeneizzazione delle contraddizioni di classe nella formazione sociale capitalistica metropolitana è la base da cui scaturisce la simultaneità delle lotte nei diversi poli rivoluzionari e che fonda il carattere antimperialista dei movimenti e delle guerriglie in Europa Occidentale come in Medio Oriente, in America Latina come nel Sud-Est Asiatico.
    Anche nella mobilitazione contro il FMI/BM emerge questa qualità nuova del processo rivoluzionario: il carattere internazionale del soggetto e della lotta, e la dialettica ampia fra le lotte proletarie e rivoluzionarie nelle diverse aree del mondo. La mobilitazione ha agito da catalizzatore del movimento di classe, sia nel lungo dibattito preparatorio, sia durante la scadenza.
    Sul piano continentale europeo, perché pur trovando nella iniziativa del movimento tedesco il suo punto di forza, ha stabilito un processo comunicativo ampio tra i proletari di tutti i paesi dell’area.
    Sul piano mondiale, perché è diventata un punto di riferimento della iniziativa dei proletari e dei rivoluzionari in diversi paesi delle aree dominate, attivando un primo ed importante momento di interazione rivoluzionaria.
    In America Latina si è avuta una significativa mobilitazione attorno alla scadenza contro il FMI/BM, con iniziative in vari paesi. Alcuni compagni dei sindacati boliviani «dei contadini e delle donne lavoratrici» si sono rapportati direttamente al «movimento anti-FMI/BM» scrivendo: «la lotta internazionalista vive nella lotta antimperialista: nessuno ha l’illusione che le riforme possano cambiare la politica assassina del FMI/BM, nessuno pensa seriamente che la lotta per la liberazione sia possibile in un contesto nazionale, nessuno pensa seriamente che la lotta di liberazione in un quadro nazionale possa minacciare il perdurare della politica imperialista perché questa politica è a dimensione mondiale».
    A vent’anni dalla morte di Che Guevara si assiste ad un sicuro risveglio del dibattito e della iniziativa rivoluzionaria in tutte le aree di scontro del mondo, risveglio che pone al centro proprio i contenuti di rottura dell’internazionalismo proletario: una sola lotta delle diverse frazioni del proletariato internazionale contro l’imperialismo.
    «Non ci sono frontiere in questa lotta mortale, non possiamo rimanere indifferenti di fronte a ciò che avviene in qualsiasi parte del mondo; la vittoria di un paese qualunque sull’imperialismo è una nostra vittoria, così come la sconfitta di una qualunque nazione è una sconfitta per tutti. La pratica dell’internazionalismo non è soltanto un dovere dei popoli che lottano per assicurarsi un futuro migliore ma anche una necessità imprescindibile» (Che Guevara, Secondo Seminario Economico di Solidarietà Afro-Asiatica, Algeri 1965).

 

  1. La mobilitazione contro il FMI/BM non nasce dal nulla. Essa è il risultato di un lungo percorso di dibattito sviluppatosi nel movimento rivoluzionario in Europa Occidentale, a partire dai contenuti internazionalisti e antimperialisti affermati dalla guerriglia nelle due offensive dell’84 e dell’86.
    In questo contesto, negli ultimi due anni, sono stati posti al centro i nodi fondamentali dello scontro fra borghesia imperialista e proletariato internazionale e della organizzazione rivoluzionaria nella metropoli, e la necessità del superamento della parzialità delle lotte settoriali.
    Attorno a questo percorso si è determinato il convergere di esperienze di lotta anche molto diverse e si sono create le condizioni per la presa di coscienza della dimensione internazionale della crisi e dello scontro, e per un più maturo sviluppo del rapporto tra guerriglia e movimento rivoluzionario all’interno del Fronte Rivoluzionario Antimperialista.
    Il consolidamento di questo processo di autorganizzazione proletaria, pur essendo ancora disomogeneo e contraddittorio, ha una portata politica indiscutibile che va al di là del contingente; esso rilancia i contenuti strategici che erano alla base del grande movimento antimperialista nato alla fine degli anni ’60, collocandoli all’interno dello scontro attuale.
    Il dato più importante che emerge da questa ricca dimensione di confronto, lotta e organizzazione affermatasi intorno alla scadenza è la coscienza che le frazioni più avanzate di questo movimento hanno maturato di lottare contro il nemico comune assieme al proletariato di tutto il mondo direttamente contro la politica del capitale e lo stesso meccanismo intrinseco del modo di produzione capitalistico.
    Questo ampio e forte movimento di lotta si colloca con chiarezza sul terreno della critica rivoluzionaria dell’imperialismo di questa epoca, mettendo in discussione la sostanza del rapporto sociale capitalistico e muovendosi in direzione della costruzione del potere proletario.
    L’enorme rilevanza della contraddizione al centro della scadenza e l’altezza dello scontro che vi si è aperto, hanno fatto in modo che si mobilitasse un vastissimo arco di soggetti e di esperienze. La manifestazione degli 80.000 a Berlino Ovest dimostra l’ampiezza dello scontro su questi aspetti peculiari della formazione economico-sociale capitalistica.
    Gli stessi riformisti, vecchi e nuovi, ne hanno dovuto prendere atto, tentando di inserire e propagandare i contenuti dell’impossibile «riconversione democratica» di una politica che non può essere riformata, con l’unico risultato di svelare ancora di più la loro impotenza e subalternità all’imperialismo.
    I contenuti di rottura e di potere consolidati in questi ultimi anni di pratiche di lotta della «resistenza rivoluzionaria» si sono tradotti in questa occasione in precise iniziative volte a sviluppare l’unità strategica con la guerriglia nel Fronte.
    Questo è il senso delle iniziative programmate e sviluppate contro il FMI/BM, con gli attacchi incendiari contro le banche, contro le multinazionali Siemens, Schering, Adler, con l’irruzione nei locali della «Conferenza di Amburgo» e la bastonatura del direttore esecutivo tedesco del FMI, con l’«assedio» del DIE (Istituto Tedesco per la politica di sviluppo)… Come molte altre iniziative.

 

  1. Con l’attacco a Tietmeyer la guerriglia riconferma il terreno strategico di scontro aperto negli anni passati, ponendosi come punto di riferimento nei confronti del movimento di classe per il rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria nel suo complesso.
    La lotta del Fronte Rivoluzionario nel centro imperialista viene oggi concepita in «unità strategica» con le lotte nel «Tricontinente del Sud», per questo viene attaccato uno dei principali operatori del management della crisi «sul piano nazionale, europeo ed internazionale», un delegato al FMI/BM, agli incontri del «Gruppo dei 5» e del «Gruppo dei 7»… perché dentro questi meccanismi viene decisa, sviluppata ed accelerata la politica di annientamento «delle masse e dei popoli del Terzo Mondo».
    «La lotta contro i concreti progetti della strategia imperialista deve essere condotta con lo scopo di collocarsi al loro limite… di bloccarne ed impedirne il funzionamento per rompere realmente la strategia dell’imperialismo e per incentivare il processo di erosione del sistema » (RAF, 1988).
    In questa iniziativa la guerriglia ha saputo tener conto sia dell’insieme delle condizioni internazionali, europee e nazionali che si vanno determinando nello scontro, sia della necessità di aprirsi alla dialettica con i diversi soggetti e le lotte che hanno preso corpo intorno alla scadenza anti-FMI/BM, per dare il respiro strategico adeguato ad un’offensiva più matura e consolidata delle forze rivoluzionarie che si «incontrano» nel Fronte.
    Il dato politico che emerge è una pratica che pone in primo piano il processo rivoluzionario nella metropoli come parte del processo di liberazione ed emancipazione del proletariato mondiale, come guerra di lunga durata tesa all’indebolimento del sistema imperialista. Un processo rivoluzionario di dimensioni mondiali che costruisce le condizioni per specifiche rotture in specifici punti/aree di crisi nel mondo.
    Non si tratta di seguire una errata concezione di rivoluzione mondiale come esplosione simultanea ed unica in tutto il mondo, quanto di porre al centro gli scopi universali del processo di emancipazione proletaria ed i passaggi concreti che muovono nella sua direzione all’interno dello scontro tra borghesia imperialista e proletariato internazionale nelle diverse aree.
    Lo scontro tra imperialismo e rivoluzione in Europa Occidentale ha assunto negli ultimi anni una dimensione più ampia e feroce per l’accelerazione del processo di integrazione dei capitali e delle politiche degli stati europei da una parte, e per il radicarsi dell’iniziativa rivoluzionaria nell’intero continente dall’altra.
    La borghesia imperialista, nel processo di ristrutturazione e «sviluppo» capitalistico che ha preso corpo dalla metà degli anni ’70 in poi – e che è entrato nel vivo nei primi anni ’80 – si è rimangiata gran parte delle conquiste operaie e sociali, e soprattutto ha teso a distruggere ogni aspetto dell’autonomia e auto-organizzazione proletaria: dalla FIAT nell’80 alla Renault, alla Wolkswagen, dai massicci tagli occupazionali della siderurgia a quelli nell’area dei servizi che hanno attraversato tutta l’Europa, dai poli industriali nella Ruhr, in Lorena e in Inghilterra, a quelli italiani.
    Ma soprattutto la borghesia ha attaccato i contenuti di rottura della pratica rivoluzionaria che si è affermata nel centro imperialista, cercando di far franare le organizzazioni guerrigliere e l’esperienza rivoluzionaria più in generale, che in Europa si è posta nella direzione della distruzione dell’imperialismo e della costruzione dell’organizzazione rivoluzionaria del proletariato, mettendo al centro i rapporti di potere tra le classi.
    In realtà negli anni ’80 lo scontro rivoluzionario nei singoli stati europei si è ridefinito nei suoi caratteri fondamentali, collocandosi sul terreno dei rapporti di forza tra borghesia e proletariato a livello continentale. Si è aperto un nuovo terreno di sviluppo del processo rivoluzionario nella metropoli, una prospettiva unitaria che trova nell’antimperialismo il suo elemento principale e che nel corso degli ultimi anni si è caratterizzata con una pratica di attacco ai progetti e alle determinazioni sovranazionali dell’imperialismo e ai processi di rifondazione dei singoli stati.
    La guerriglia, come asse centrale del Fronte, ha teso prima ad affermare questa prospettiva nel movimento di lotta e nella classe, per sviluppare poi un processo di unità dei rivoluzionari e di cosciente unificazione delle lotte, radicandola definitivamente nel centro imperialista.
    In questa direzione, la campagna dell’85-86 delle organizzazioni Action Directe e Rote Armee Fraktion ha costituito un indubbio passo avanti della soggettività rivoluzionaria in Europa nel quadro dell’attacco ai progetti centrali dell’imperialismo.
    Il filo conduttore che lega le azioni Audran-Zimmermann, Brana, Beckurts, Braunmühl e Besse è estremamente chiaro: «Colpire sulla linea di demarcazione e di scontro Proletariato Internazionale/Borghesia Imperialista (…). Organizzare il Fronte Rivoluzionario in Europa Occidentale (portando) le lotte nella metropoli ad un livello politico militare con un orientamento strategico che metta in discussione il sistema imperialista nel suo insieme e cominci il processo di ricostruzione della classe come processo internazionalista.» (Action Directe, 1986).
    È questa progettualità che la borghesia vuole sconfiggere, è questa capacità delle forze rivoluzionarie di situare lo scontro nei singoli paesi europei a livello dei rapporti di forza sul piano continentale a dover essere distrutta!
    Ma la rottura rivoluzionaria operata dalla guerriglia nella metropoli è un punto di non ritorno, è un processo ormai aperto ed affermato, nonostante gli attacchi che la controrivoluzione riesce puntualmente a sferrare. Essa trova ogni volta la capacità di rilanciarsi nei contenuti stessi dello scontro tra borghesia e proletariato che si è andato delineando in questa area, e lo dimostra la capacità stessa delle organizzazioni guerrigliere di superare le diverse fasi critiche succedutesi in questi anni.
    Questa è la chiave di lettura che può consentire ai comunisti di vedere più in là delle periodiche «batoste» che le forze rivoluzionarie subiscono in Europa Occidentale.
    Oggi l’unità dei rivoluzionari e l’unificazione delle lotte in una strategia comune contro l’imperialismo sul territorio europeo ricevono una nuova spinta con la scelta politica ed operativa della RAF e delle BR-PCC. Questa è una indicazione estremamente importante e pone le condizioni per un avanzamento rispetto alla stessa fase chiusasi nell’86.
    La scelta strategica operata da queste due organizzazioni storiche ha un grosso peso politico, perché mette in primo piano i processi unitari che possono «sviluppare la forza politica e pratica» per consolidare la prospettiva del Fronte.
    «Il salto ad una politica di Fronte è necessario (…). Le differenze storiche di percorso e di impianto politico di ogni organizzazione non devono essere di impedimento alla necessità di lavorare ad unificare le molteplici lotte e l’attività antimperialista in un attacco cosciente e mirato » (Raf/BR-PCC, 1988).
    È il segno di una tendenza che si è fatta sempre più forte e concreta, e che oggi mette in primo piano la connessione con le lotte rivoluzionarie nell’intera area europea, mediterranea e mediorientale. Un processo unitario aperto che costruisce i passaggi concreti per una solida unità e cooperazione con le altre forze rivoluzionarie che combattono l’imperialismo in questa area geopolitica: dalla Grecia all’Irlanda, dal Portogallo alla Spagna fino al Medio Oriente e al Nord Africa. In primo luogo con le organizzazioni rivoluzionarie e la lotta del popolo palestinese e libanese.

 

  1. Nel contesto specifico dello scontro rivoluzionario in Italia, il percorso realizzato in questi anni dalle BR-PCC costituisce un importante contributo al superamento della logica difensivistica e del risorgente revisionismo, che hanno intralciato la pratica della guerriglia e dell’intera esperienza rivoluzionaria italiana dopo la sconfitta dell’82. Questo percorso ha saputo riportare l’iniziativa rivoluzionaria sul terreno strategico dell’attacco ai progetti e alle determinazioni centrali della borghesia imperialista.
    L’azione contro Ruffilli ha posto al centro la contraddizione fondamentale della rifondazione dello stato in un momento cruciale della ridefinizione e integrazione delle politiche imperialiste a livello europeo.
    Oggi, ponendo al centro il processo unitario della guerriglia in Europa e nel Mediterraneo all’interno del Fronte, e collocando l’attacco sul terreno della dimensione sovranazionale delle politiche e dei progetti dell’imperialismo, questa organizzazione fa vivere un livello di progettualità più alto e complessivo.
    L’attacco della controrivoluzione nei confronti delle forze rivoluzionarie in questi ultimi mesi in Italia, mostra come il rilancio dell’iniziativa guerrigliera e rivoluzionaria in generale in questo paese si muova su un terreno particolarmente difficile e contraddittorio, data la durezza dello scontro con cui si deve misurare, anche a fronte della politica di distruzione della soggettività rivoluzionaria portata avanti dallo stato dai primi anni ’80 in poi (dalle operazioni mirate dei carabinieri al «progetto pentiti», alla «soluzione politica»…).
    Esiste oggi in tutta evidenza un problema di riqualificazione della avanguardia, di ricostituzione delle forze rivoluzionarie e degli strumenti politico-organizzativi, e ciò non può trovare certo risoluzione dentro una concezione lineare del processo rivoluzionario.
    In questo senso, uscire dalla difensiva non può significare partire da sé e tantomeno dai livelli imposti dalla controrivoluzione. È necessario invece porre al centro la complessità dello scontro di classe così come si è venuto a determinare riadeguando in esso l’agire della avanguardia.
    Anche oggi si tratta di rilanciare e consolidare la rottura rivoluzionaria aperta dalla nascita della guerriglia metropolitana nel ’70, ponendo ancora una volta al centro i problemi fondamentali dell’«organizzazione», della «teoria» e della «progettualità rivoluzionaria nella metropoli» con un orientamento strategico capace di sviluppare il processo complessivo di costruzione dell’organizzazione rivoluzionaria del proletariato nelle condizioni che si vengono a creare ogni volta nello scontro.
    Di qui si può partire per «sviluppare la lotta rivoluzionaria nella metropoli europea. Perché di questo si tratta. Non tanto di vincere subito e di conquistare tutto, ma di crescere in una lotta di lunga durata » (Collettivo Politico Metropolitano, 1970).
    La riqualificazione della soggettività rivoluzionaria si trova di fronte al compito di tracciare una precisa linea strategica capace di radicare il processo rivoluzionario per linee interne alla classe, sviluppando una concreta dialettica con il movimento rivoluzionario.
    «La direzione dello scontro non può limitarsi ad accumulare semplicemente le forze che si dispongono spontaneamente sul terreno rivoluzionario, ma comporta una formazione delle stesse in termini qualitativi arricchendole del patrimonio dell’esperienza rivoluzionaria; una direzione che comporta principalmente il saperle disporre all’interno degli obiettivi politici e programmatici perseguiti: una direzione che deve tenere conto di tutti i fattori interni ed internazionali che caratterizzano lo scontro rivoluzionario » (BR-PCC, 1988).
    Il problema è quello di far vivere la pratica della guerriglia nella dialettica possibile e necessaria con il movimento rivoluzionario, attorno ad una strategia incentrata sui terreni principali in cui oggi si determinano i rapporti di potere tra le classi, e capace in questo di essere forza propulsiva ed espansiva dello scontro di classe.
    In questo senso il carattere della avanguardia rivoluzionaria è sempre distinto e peculiare rispetto a quello del movimento, per i compiti politici che si pone e per lo scontro mortale che vive con lo stato e l’imperialismo.
    Il percorso che ha cominciato a prendere corpo in Europa e in Italia, con l’affermarsi di una strategia comune delle forze guerrigliere contro l’imperialismo, apre una valida prospettiva rivoluzionaria e costituisce un grosso contributo al rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria anche in questo paese.
    È questo il dato politico indiscutibile che si è affermato nella pratica e che la controrivoluzione non può cancellare!
    Questo percorso di lotta e organizzazione rivoluzionaria va sostenuto e sviluppato da tutti i comunisti e i rivoluzionari all’interno di un confronto aperto e responsabile in cui vanno messi al centro gli aspetti unitari della lotta antimperialista e internazionalista.
    Un confronto che arricchisca e contribuisca a riqualificare la progettualità rivoluzionaria alimentandosi delle diverse esperienze, dei differenti percorsi e del dibattito che compongono l’intero movimento rivoluzionario europeo.
    Come comunisti prigionieri non possiamo che collocarci all’interno di questa potente dinamica unitaria che si è sviluppata attraverso le iniziative della guerriglia, lavorando con determinazione a costruire in questa direzione un processo unitario di lotta anche tra i prigionieri della guerriglia in Europa Occidentale.

Questo è il senso che diamo alla nostra identità di comunisti in carcere ed è anche il modo di costruire la nostra internità reale allo scontro in atto.

Costruire l’unità dei rivoluzionari nel Fronte Rivoluzionario Antimperialista in Europa occidentale e nell’area mediterranea!

Sviluppare la più ampia dialettica con tutti i proletari e i rivoluzionari che nel mondo combattono l’imperialismo.

Solidarietà alla lotta del popolo palestinese!

 

Susanna Berardi, Vittorio Bolognese, Lorenzo Calzone, Luciano Farina, Natalia Ligas, Giovanni Senzani

 

Roma, 12 ottobre 1988

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