Riti di conservazione borghese. Milano: Processo di Appello Prima Linea – Documento di Giuseppe Bonicelli

Come sappiamo è la sfera politica che fagocita la sfera giuridica… pertanto è ovvio che qualsiasi processo borghese, benché a diversi gradi, è processo politico: sia esso interborghese, nella modificazione dei rapporti di potere (giudicando scandali, frodi, ecc.); sia esso processo all’antagonismo proletario e rivoluzionario. Mentre per i processi giuridici fatti a frazioni sociali borghesi il potere giuridico usa una «mano morbida», contro l’antagonismo proletario e comunista la «mano» è sempre pesantissima, cercando di seppellire con ergastoli e anni di galera tale antagonismo, con lo scopo di terrorizzare le lotte del proletariato metropolitano.

Dette queste cose scontate, si è rilevato che l’apparato politico-giuridico-militare borghese si è dovuto adeguare allo sviluppo veloce ed in accelerazione delle trasformazioni economiche imperialiste, sicché sono state fatte nuove leggi ma nel contempo contraddette costantemente da altre leggi, con un atteggiamento a dir poco schizofrenico da parte dello stato, rincorrendo le cosiddette emergenze sociali; date le contraddizioni laceranti e irreversibili di classe… Tuttavia le nuove forme giuridiche rafforzano la ferocia antiproletaria, essenza questa della sopravvivenza della logica sociale del plusvalore.

I processi borghesi all’antagonismo proletario hanno dunque lo scopo politico principale di distorcere i contenuti-significati della rivoluzione proletaria mediante la spettacolarizzazione del rito processuale; in secondo luogo di giudicare soprattutto i comportamenti attuali dei cosiddetti imputati e strumentalmente quelli trascorsi. L’esempio è di questi anni, in cui pene pesantissime sono state mutate in pene lievi, e viceversa, a seconda della prassi del cosiddetto imputato.

Questa sede è la riprova… Il sottoscritto è considerato l’imputato principale in base alla sentenza di I° grado, dacché egli non si è compatibilizzato e arreso alla logica politica di merce-scambio borghese, a prescindere se le dichiarazioni dell’infame Viscardi e soci sono tra loro contraddette completamente; ma così volevano Spataro e soci affinché non uscissi in scadenza termini, forse sperando di ricattarmi come sono riusciti a fare con molti individui, ora infami, dissociati, arresi.

La borghesia imperialista ha la presunzione di giudicare la rivoluzione proletaria.

Questa presunzione deriva dal fatto che essa ha potuto giudicare centinaia di ex compagni, ora traditori. È sì vero che molti di costoro si sono persi proprio in questi processi, accettando il ruolo di imputato, risocializzandosi al sistema e diventando infami, legittimando così la borghesia nell’affermare che gli scopi della rivoluzione proletaria possono essere scomunicati da coloro che li hanno praticati e pertanto giudicabili… tuttavia, con buona pace di tutti i servi, vecchi e nuovi, dello stato, la rivoluzione proletaria comunista non è giudicabile!!

Infatti sono proprio le contraddizioni insite nel modo di produzione sociale imperialista che producono antagonismo e guerriglie comuniste nel globo, a prescindere dai nostri limiti di chiarezza…

La borghesia imperialista può assorbire finché vuole tutti gli ex-rivoluzionari, arresi, infami, dissociati, dilazionando il processo di disgregazione sociale teso alla sua distruzione in quanto formazione sociale determinata storicamente; ma mai potrà distruggere l’antagonismo radicale delle sue contraddizioni sociali e mai, dunque, potrà chiudere il conto con la rivoluzione proletaria comunista; anzi è vero il contrario…

Questi processi giuridici hanno pertanto notevole importanza per lo stato, nonostante la stupida ripetitività, perché tendono a distruggere la comunicazione dei contenuti, memoria-esperienza-sapere rivoluzionario comunista nei vari stadi di sviluppo storico della lotta di classe, contribuendo a dilazionare appunto la riproduzione borghese.

La borghesia imperialista italiana ha operato una ulteriore integrazione dei suoi apparati repressivi antiproletari e conseguentemente anche il corpo prigioniero ha avuto la sua reazione…

Il comportamento-prassi processuale è connesso alle misure di detenzione successive e, viceversa, il comportamento-prassi nel carcere è connesso alle pene da infliggere al processo.

 

Così è sempre stato nella sostanza borghese, ma ora questa integrazione viene rafforzata e formalizzata con l’aiuto della legge infame denominata Gozzini: sulla sorveglianza individualizzata-differenziata, connessa ai molteplici comportamenti, compresi appunto quelli processuali, dentro la generale norma borghese che attraversa l’intera società: ricatto, paura, annientamento; rivolta essa all’antagonismo proletario e rivoluzionario e che nel carcere vive specificamente nella, anch’essa generale, «forbice» premio-punizione di cui abbiamo sovente parlato.

Non si scopre certo oggi il tentativo di distruggere l’identità rivoluzionaria comunista e proletaria nelle galere imperialiste, con metodi di tortura più sottili e nuovi, dati dallo sviluppo delle scienze oppressive della classe borghese, ovviamente integrati a quelli tradizionali… Il problema sta quindi nel capire ed affrontare adeguatamente i processi di frammentazione-divisione, ecc. che il ministero di Grazia e Giustizia opera costantemente, facilitato dalla ristrutturazione fatta in questi anni e dalla debolezza del proletariato prigioniero in questa fase: costruendo molti braccetti di isolamento e/o costruendo composizioni di prigionieri entro cui l’antagonismo proletario e rivoluzionario sia reso minoritario e tenda ad essere soffocato ed annientato dall’opportunismo e dal riformismo, predominanti in queste composizioni e in questa fase…

Il problema dei proletari-compagni in galera è complesso da affrontare e non sono certo due righe che lo rendono più chiaro; ma sappiamo che esso, per essere risolto, non può essere scisso dalla lotta di classe e dalla guerriglia comunista nelle metropoli, e l’internità di noi compagni e proletari a questi movimenti di classe internazionali e non, non dev’essere pedissequa, bensì attiva, consci delle difficoltà a contribuire nel ricostruire contenuti e tessuto organizzativo proletario comunista in questa fase in cui la borghesia italiana è all’attacco.

La nostra lotta non ha nulla in comune con le nuove (?) tesi amnistiali che taluni individui portano avanti in questo periodo in galera e fuori e che da anni incancreniscono il corpo prigioniero comunista. A tal proposito ritengo giusto spendere due righe sulla cosiddetta liberazione di tutti i prigionieri politici mediante una soluzione politica amnistiale…

I sostenitori di tale tesi affermano che solo la libertà, senza condizioni e differenziazioni da parte borghese, di tutti i prigionieri politici, può veramente concludere un ciclo di lotta, «giungere alla liberazione degli anni ’70 liberando i prigionieri senza richiedere loro abiure o giuramenti, e senza discriminare tra loro i “buoni“ dai “cattivi“; riaprire agli esuli le frontiere; disinnescare le infinite trappole legislative che in molti modi minacciano decine di migliaia di compagni…» (il manifesto del 5/4/87).

Costoro vogliono la liberazione dei «compagni», senza condizioni e differenziazioni giuridiche, non tenendo conto, consapevolmente, che le loro richieste sono anch’esse produttrici di differenziazione dato che chiedono soltanto la liberazione dei «compagni» e non di tutto il proletariato prigioniero.. È questa la famosa memoria che vorrebbero conservare e non dare in pasto alla borghesia?!

Dimenticano forse che la società kapitalistica si basa sulla differenziazione, divisione del lavoro-sapere-potere, ossia in classi, per perpetuarsi?

Se l’amnistia politica ai prigionieri è stata data dai regimi democratici borghesi, è stata data quasi sempre nei cambiamenti di regime: una dittatura borghese sostituita da una democrazia borghese… Per giunta quest’ultima, quando non è subentrata ad una dittatura è sempre stata attenta a che i liberati fossero in maggioranza conciliabili ad essa, nelle rare occasioni di amnistie politiche concesse. Pertanto le amnistie tendono sempre più ad essere discriminanti e sempre meno generalizzabili…

Costoro dicono che bisogna «…prendere atto della irripetibilità della esperienza compiuta…», chiaramente in riferimento alla lotta armata e alla lotta di classe degli anni ’70; anche qui dimenticando volutamente che la dialettica materialista analizza i molteplici aspetti della realtà sociale senza appiattimenti; sicché se è vero che eravamo inadeguati per molti aspetti e contenuti in senso rivoluzionario comunista, è altrettanto certo che per distruggere questa formazione sociale non è sufficiente una rivoluzione culturale, contrapponendola subdolamente a quella armata… bensì una connessione necessaria tra critica delle armi e armi della critica; sempre in senso comunista.

Costoro dovrebbero insegnarci che la dialettica materialista è contemporaneamente conservazione-evoluzione-rivoluzione (a prescindere dalla loro dominanza…), intendendo per conservazione quelle leggi generali che si conservano, ad esempio, nella riproduzione della vita, al di là del modo di produzione sociale determinato storicamente. E, nel movimento rivoluzionario comunista, ad esempio, sappiamo che la violenza e la guerra di classe sono leggi generali necessarie e ben conservate che, pur cambiando modi e forme qualitative, dato il processo di sviluppo-crisi storica del capitale, esse esistono finché esisterà l’ultima società divisa in classi: quella borghese.

A questo punto chiediamo, noi poveri proletari-comunisti di basso rango e sapere, che costoro ci illuminino: qual è il percorso che ci porta alla liberazione di tutti i «compagni» prigionieri senza intaccare la nostra identità rivoluzionaria, e quali sono i soggetti sociali che ci aiuteranno a raggiungere tale scopo?

Se l’amnistia si raggiunge coi movimenti antagonisti, non capiamo perché ci si dovrebbe accontentare di essa se i rapporti di forza sono favorevoli alla rivoluzione proletaria per affossare la borghesia e liberare tutto il proletariato… Ma non erano taluni di questi individui che affermavano correttamente che, tra borghesia imperialista e proletariato metropolitano non vi può essere mediazione alcuna di interessi, ma soltanto guerra sociale totale fino all’estinzione delle classi? Costoro inoltre dovrebbero spiegarci qual è la cosiddetta «sinistra di classe». In più, se ci riferiamo alla classe proletaria rivoluzionaria in Italia in questa fase, siamo in grado di dettare ben poche condizioni allo stato, dovendo ricostruire su basi nuove e internazionaliste un tessuto rivoluzionario e antagonista disgregatosi sotto i colpi della ristrutturazione borghese di questi ultimi anni, e pare dunque ridicolo, nonché stupido e arrogante, coi rapporti di forza attuali, pretendere che il sistema borghese metta fuori i prigionieri «compagni» con una amnistia generale. A meno che (?) questi cosiddetti «compagni» vogliano arrendersi e risocializzarsi alla borghesia (non ci vuole grande perspicacia nel capire che queste tesi portano a questo fine), chiedano ad essa la possibilità di mantenersi «dignitosi» formalmente (sic!) nei confronti del proletariato metropolitano, nel sedimentare in esso teoria-prassi di pacificazione e disfattismo…

Si svela così, senza ambiguità, il concetto di «sinistra di classe» cioè che comprenda un arco istituzionale borghese; il che, banalizzando, significa che costoro non credono certo nei rapporti di forza proletari e rivoluzionari armati, bensì in rapporti di forza interclassisti, sperando di buggerare la buona fede di molti proletari, sostenendo che la guerra è finita, aiutati in questo lavoro infame dai messaggi stereotipati dei mass-media.

Da quanto scritto sinora è conseguente il mio rifiuto a qualsiasi ruolo di imputato, a qualsiasi accettazione di un rapporto-dialogo con questa corte che rappresenta lo stato borghese; non riconosco nessun avvocato difensore d’ufficio poiché la rivoluzione proletaria non si processa.

A infami, dissociati, traditori, diciamo che la guerra di classe per il comunismo nel globo non è finita, e per buona pace loro non può finire, e lavoreremo affinché essa li raggiunga al più presto! Essa non è riducibile ad una battaglia perduta, essa irride e si fa beffe delle molteplici battaglie perdute nella storia, alimentandosi di nuovo sapere rivoluzionario mediante nuove guerre e battaglie, siano esse tatticamente perdenti o vincenti; terrorizzando i sogni borghesi sempre più spettrali, dato l’avvicinarsi progressivo del salto epocale al comunismo, che si staglia sempre più chiaramente all’orizzonte…

Nolenti o volenti, la transizione comunista è l’unica prospettiva necessaria in quest’epoca a kapitalismo incancrenito, per un reale salto nella storia umana di emancipazione senza classi; viceversa è solo barbarie e autodistruzione che la logica feticcia del plusvalore corrobora progressivamente e inarrestabilmente…

 

Bonicelli Giuseppe

 

Milano, 4 maggio 1987

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