Rivendicazione del ferimento di Antonio Da Empoli e ricordo di Wilma Monaco

Venerdì 21 Febbraio, un nucleo armato della nostra organizzazione ha attaccato ed invalidato Antonio Da Empoli, responsabile e dirigente dell’ufficio “affari economici” di Palazzo Chigi. Antonio da Empoli, nella sua veste di coordinatore dello staff di esperti economici di Craxi, ha svolto un ruolo essenziale nella formulazione della legge finanziaria, legge che costituisce uno dei più importanti strumenti della politica economica del governo borghese.

Il nostro nucleo armato aveva consegne precise: invalidare, e non già uccidere, Antonio Da Empoli (ciò è stato fatto); lasciare in vita il lurido sbirro che lo scortava (ciò è confermato dall’aver colpito alle gomme e non l’autista). Nel corso dell’operazione, a causa della reazione dell’agente dei servizi speciali, è rimasta uccisa Wilma Monaco “Roberta”, dirigente della nostra organizzazione, comunista impegnata da anni nella lotta armata del movimento di classe italiano.

L’Unione dei Comunisti Combattenti rende innanzitutto onore e rispetto alla sua militante caduta combattendo per il comunismo ed invita tutto il proletariato rivoluzionario a meditare sul significato del sacrificio di “Roberta”.

Ciò detto, si procede con ordine.

Urla, strepiti e schiamazzi.

Le classi subalterne in Italia sono avvezze da tempo agli spettacoli indecorosi: il ceto politico dei partiti borghesi inscena infatti ogni giorno una nuova pagliacciata. Soltanto negli ultimi mesi, litigate o parapiglia si sono susseguite un po’ ovunque: dalla politica estera alla paternità della bandiera, dall’ora di religione alle scelte economiche, dal Consiglio superiore della Magistratura alla Rai TV , non c’è evidentemente requie per questi uomini abituati alla zuffa, allo sgambetto reciproco, alla lotta intestina. Craxi ferisce De Mita e questi a sua volta lo pugnala alle spalle; Spadolini sgomita ingombrante per sottolineare la sua pingue presenza e di tanto in tanto si leva persino qualche pudico latrato in casa liberale e socialdemocratica.

Esiste un governo in Italia? Al cospetto di tanta sovrana irresponsabilità, di fronte alla generalizzata incompetenza degli uomini politici che occupano posizioni di potere, vien fatto talvolta di domandarselo. Ed è vero, comunque, che la politica borghese nel nostro paese si riduce il più delle volte a scorribande di palazzo, è cosa nota che le classi lavoratrici non si raccapezzano punto in questa bolgia infernale, in questo eterno carosello, e ne rimangono sovente disgustate.

La sensazione prevalente è di essere alle prese con un gran baccano inutile, con un tramestio irritante ed irriducibile ad un qualsiasi ordine: urla, strepiti e schiamazzi, per l’appunto…

I fatti.

Non si può negare che, alla fin fine, sia veramente difficile orientarsi nel panorama dei partiti italiani: mutano così spesso posizione, litigano e fanno pace con tanta velocità, sono talmente privi di qualsiasi dirittura, da lasciar sconcertato anche il più consumato osservatore politico, il più sperimentato addetto ai lavori. Per il proletariato converrà allora attenersi ai fatti, ai fatti nudi e crudi, a fatti testardi che sempre dicon di più di ogni proclama, di qualsiasi dichiarazione d’intenti venduta per buona dall’oratore di turno. Ed i fatti, invero parlano chiaro: parlan talmente chiaro da dissipare in un baleno l’immagine di prevalente frastuono così propria del sistema politico borghese italiano. Inetti e cialtroni, sì: ma al potere. Ignoranti e ruffiani senz’altro: ma con le idee chiare sul da farsi.

Un governo esiste: due anni e mezzo di governo Craxi, due anni e mezzo di “stabilità” garantita dallo “strong man”, hanno regalato alla classe operaia tre leggi finanziarie una peggio dell’altra, un “decreto truffa” (quello del febbraio 1984) decurtante d’autorità il salario operaio, varie svalutazioni decise “ad hoc” per favorire i grandi gruppi industriali e penalizzare il potere d’acquisto dei lavoratori, una politica industriale che, quantunque priva di ogni coerenza, ha certo privilegiato il taglio dell’occupazione e la chiusura degli stabilimenti (il nostro Da Empoli ne sa qualcosa), missili americani sul nostro territorio, acquiescenza sistematica nei confronti delle scelte guerrafondaie di Reagan e rafforzamento del ruolo reazionario dell’Italia nel Mediterraneo. Ma non basta: “dulcis in fundo”, Craxi e soci stanno preparando l’adesione in sordina alle “Guerre stellari” degli Stranamore americani. Non è necessario essere profeti per prevedere che, dopo Sigonella, coi “ragazzi” del Pentagono ci saranno ben pochi screzi: il nostro Foster Dulles in sedicesimo, l’asino Spadolini, veglia all’erta sulla solida collocazione “atlantica” del Bel Paese.

Per risibile ed incompetente che sia, la classe politica italiana ha dunque sposato in blocco un indirizzo di governo assai preciso, un orientamento segnatamente reazionario, sia in materia di politica economica che nel campo della politica estera. Sicché, quel che si evidenzia nettamente è proprio il profilarsi di una sorda opera di restaurazione autoritaria e conservatrice che fatalmente porrà in questione molte delle conquiste consolidate del movimento operaio, coinvolgerà vieppiù l’Italia in una politica estera aggressiva ed imperialista, restringerà sostanzialmente i già non copiosi spazi di opposizione sociale.

Il perché.

Il perché è a suo modo semplice. Il capitalismo è in crisi ed alla ricerca di una nuova “identità”: ormai da tempo, si sono irrimediabilmente lacerate le condizioni entro le quali l’accumulazione aveva celebrato i suoi fasti maggiori nel secondo dopoguerra; “riprese” e “ripresine”, per ammissione massima, non hanno menomamente intaccato la sostanziale omogeneità di un pericolo storico profondamente caratterizzato dalla recessione, dalle difficoltà di mercato e dal sovraccumulo di capitale.

Oggi si cerca una soluzione. Ma la soluzione del capitalismo è basata sull’aggressività, sull’accentuazione della competizione fra monopoli, sulla messa a punto di un enorme salto di composizione organica, di una generale riconfigurazione dell’assetto produttivo, il cui costo è rappresentato da migliaia e migliaia di licenziamenti.

Oggi si negoziano gli equilibri mondiali. Ma la contrattazione dei paesi imperialisti avviene sulla base dello sciovinismo, della politica di potenza, di un’aggressione continuata e sistematica a danno delle giovani nazioni impegnate in vie di sviluppo non capitalistiche. Gli USA di Reagan marciano alla testa, ma non si creda che nazioni quali Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia giochino il ruolo di semplice comparsa: dal Libano al Ciad, dalle Falkland al Corno d’Africa, la natura imperialistica della politica estera europea è ben evidente anche al più sprovveduto osservatore.

Tale è la realtà della crisi del capitalismo: i grandi gruppi finanziari e monopolistici, bisognosi di commesse e di mercati, divengono i migliori alleati delle caste militari; le classi politiche si fanno progressivamente sensibili al richiamo dell’autorità, accarezzano disegni conservatori. In generale, si diffonde un sintomatico clima di restaurazione, nel quale valori precedentemente squalificati irrompono con rinnovata protervia nel linguaggio corrente e nelle scelte quotidiane dei ceti dominanti. La società borghese è sempre la stessa: la logica del profitto fa premio sul restante. E nella crisi, in Italia e nel mondo, per far profitto si ha bisogno di governi aggressivi, di spedizioni “punitive” contro paesi e popoli che non si piegano alla logica dell’imperialismo, di bilanci militari più alti ed addirittura delle “guerre stellari”.

Qualcuno ci vorrà convincere che è l’era del post-industriale? L’epoca dell’obsolescenza delle classi? Suvvia, non siamo così ingenui. Dal Nicaragua al Salvador, dalle Filippine al Sud Africa, dalla Palestina occupata al Sud Libano, la lotta di classe arde impetuosa nel mondo; e nel nostro paese nemmeno due anni fa tutta la classe operaia è scesa in lotta per sconfiggere l’autoritarismo governativo e padronale. Davvero la società borghese, l’imperialismo sono sempre gli stessi: il capitalismo, così come produce merci, produce la lotta di classe; l’imperialismo, così come esporta capitali ed oppressione, risveglia la coscienza dei popoli.

Cosa fare.

Innanzitutto cosa non fare. Non fidarsi del PCI, diffidare di questo partito che non soltanto è incapace di difendere gli interessi immediati e primari dei lavoratori, ma, molto di più, per sua esplicita ammissione non ha intenzione alcuna di modificare realmente la società odierna. Cosa ha fatto il PCI di Natta per bloccare la legge finanziaria? Ha premuto i bottoni di Montecitorio ed ha assicurato l’opposizione “costruttiva”. Cosa propone Botteghe Oscure per la situazione italiana? Il governo “di programma” da costituirsi coi gaglioffi della DC, cogli “amerikani” del PRI e con la banda di grassatori che abita in via del Corso. Il PCI è l’ala sinistra della borghesia, la carta di riserva per tener sotto controllo gli operai: sono ormai quarant’anni che questo partito scalda i banchi del parlamento e più passa il tempo, più è evidente agli occhi delle masse che nulla è mutabile rimanendo in quelle fetide stanze. Mobilitarsi allora. Mobilitarsi in ogni posto di lavoro, in ogni fabbrica e in ogni quartiere, contro il governo della borghesia, contro i suoi decreti e le sue leggi, contro la sua politica conservatrice ed antiautoritaria sia in campo economico che internazionale. Tra le classi dominanti, negli ambienti che contano del grande capitale, nei circoli dirigenti dei partiti politici, spira un vento di reazione, è diffusa una volontà di rivincita. I disegni di riforma istituzionale sono parte organica di questa tendenza, proprio in quanto sono rivolti a rafforzare l’autorità, il potere e la libertà di opinione dell’esecutivo sul parlamento. L’approvazione di questa legge finanziaria non è poi che l’ultimo atto, in ordine di tempo, di una lunga sequela di frodi perpetrate da un governo e un patronato ognor più determinati a umiliare gli interessi e le aspirazioni del proletariato.

E’ necessario mobilitarsi, in ogni luogo contro questa tendenza, è necessario opporsi con decisione a questa vera e propria ridefinizione reazionaria della società italiana. Con scioperi, manifestazioni, propaganda ed agitazione di massa bisogna unificare l’intero movimento proletario e mettere con le spalle al muro la burocrazia sindacale e i pompieri di Natta; con tutte le forme di lotta possibili bisogna contrastare le mene della borghesia, far fallire le sue autoritarie ambizioni e colare a picco il suo reazionario governo.

La lotta armata

Ma questa lotta richiede una direzione, il movimento di massa ha bisogno di una guida energica. Tutto il corso politico ed economico degli ultimi anni attesta con straordinaria coerenza quale sia il carattere della svolta che avviene odiernamente in Italia: le classi dominanti slittano man mano su posizioni vieppiù reazionarie. Grandi movimenti di massa sono sorti spontaneamente per contrastare questa tendenza, dimostrando a più riprese il potenziale di lotta insito nel proletariato italiano; ma essi hanno bisogno di una direzione, di una guida capace di orientare la mobilitazione verso obbiettivi generali.

Questa guida è la lotta armata, la lotta armata dei veri comunisti che si oppongono strenuamente al governo della borghesia. In prima fila nella lotta contro la politica economica ed estera del governo; in prima fila nella difesa degli interessi vitali dei lavoratori, nel sostegno d’avanguardia al movimento di massa, i comunisti combattenti non si fermano con ciò alle esigenze immediate del proletariato: con la loro energica e coerente azione, essi indicano la strada per la soluzione reale dei problemi e combattono con i giusti mezzi per coglierla effettivamente. La lotta armata comunista non si limita a “parlare” di come le non cose non vanno; essa attacca lo stato ed i padroni per indebolirne la compagine, incide nell’andamento politico dei rapporti tra le classi, dimostra concretamente alle più vaste masse proletarie che esiste un’alternativa di fondo al marciume parlamentare, allo sfruttamento quotidiano, alla politica aggressiva nei confronti dei popoli oppressi nel mondo e delle giovani nazioni realmente indipendenti dall’imperialismo.

Tale alternativa è il socialismo, la dittatura del proletariato. Per quanto impegno il PCI possa profondere al fine di distogliere le masse da questa imperitura aspirazione, il corso stesso delle cose opera in modo che la classe operaia prenda coscienza del suo ruolo storico. La borghesia imperialista, con tutta la sua arroganza, non ha altro da promettere a milioni di uomini che anarchia nella produzione, insicurezza, sottosviluppo, guerra e morte; il proletariato, guidato dal suo partito combattente, porrà fine a questo indecente scempio di energia umana.

Compagni, proletari:

ormai da molti anni nel nostro paese si svolge una lotta armata contro la borghesia ed i suoi prezzolati governi. Essa è un lotta per il socialismo, una lotta per la conquista del potere politico da parte del proletariato. Numerose esperienze sono state compiute, significativi insegnamenti si sono evidenziati. Oggi bisogna rilanciare questa lotta e bisogna farlo in una prospettiva giusta: bisogna consolidare il suo ruolo dirigente sul movimento di massa e lavorare nondimeno all’estensione dei ranghi disciplinanti e clandestini dei comunisti combattenti in ogni realtà produttiva e sociale.

Ogni elemento avanzato, ogni avanguardia proletaria lottando quotidianamente nelle masse, difendendo coerentemente i loro interessi immediati nonché generali, guidando la mobilitazione in quelle forme avanzate di lotta praticabili dall’intero movimento, non deve con ciò scordare i suoi doveri di comunista: bisogna lottare per il potere politico, per la dittatura del proletariato! Bisogna organizzare innanzitutto la lotta armata, indebolire la compagine del nemico! In ogni fabbrica, in ogni quartiere in ogni posto di lavoro e realtà proletaria, compito dei comunisti è innanzitutto quello di organizzarsi per la lotta d’avanguardia e non già di attestarsi sul livello della massa. La nostra organizzazione chiama risolutamente a raccolta sotto le sue fila organizzate ed illuminate da un punto di vista realmente marxista, tutte le avanguardie proletarie ed operaie, tutti gli elementi avanzati, tutti i rivoluzionari che, nelle attuali condizioni, si pongono il problema di una coerente lotta per il socialismo. Rilanciare la lotta armata imponendone l’indirizzo marxista: ecco il compito attuale per i veri comunisti!

La morte della compagna Wilma Monaco – “Roberta”

Wilma Monaco – “Roberta”, dirigente della nostra organizzazione, proveniva dai grandi quartieri popolari che il proletariato romano ben conosce: Testaccio e Primavalle sono i luoghi che hanno conosciuto la sua infanzia ed accompagnato la sua maturità. Giovanissima, era già in prima fila nelle lotte popolari e proletarie: nelle lotte per la casa, contro la disoccupazione, nella lotta per una migliore condizione di vita da quella che il capitalismo può riservare alle classi subalterne alberganti la metropoli. Queste esperienze rimasero sempre una costante della militanza di Wilma: era vivissimo in lei il problema della classe operaia, della necessità di sapere interpretare le reali aspirazioni di milioni di lavoratori.

Ma Wilma non fu soltanto un’avanguardia di massa: ella fu innanzitutto una comunista combattente. Sin dal 1977, soltanto diciannovenne, s’impegnò nella lotta armata: dal 1979 si legò alle BR operando sotto la loro direzione. Come quella di molti altri militanti, la sua storia personale coincide da allora con quella del movimento rivoluzionario italiano, delle BR.

Di questo movimento, dell’esperienza delle BR, Wilma comprese sempre la fondamentale importanza: giammai, anche nei momenti più cupi, ella mise in forse la scelta della lotta armata; giammai predicò conciliazione con quanti abbandonavano la lotta. Ma nello stesso tempo, Wilma fu una coerente marxista: ella comprese a fondo il rilievo che il socialismo scientifico riveste nella lotta di classe, s’impegnò totalmente nel rilancio della lotta armata in una giusta prospettiva generale. Alla fondazione dell’Unione dei Comunisti Combattenti Wilma portò un contributo essenziale: un contributo fatto di ragionevolezza e determinazione; d’umanità e d’intransigenza; dei nostri ranghi divenne presto una dirigente.

Oggi, nel momento in cui l’informazione borghese specula sfrontatamente sul suo sacrificio, nel momento in cui si tenta di negare addirittura che sono pallottole di stato ad averla uccisa, tutto il movimento rivoluzionario deve meditare a fondo il significato della morte di questa comunista: col suo estremo contributo, Wilma ha indicato una strada, la strada di una lotta armata coerente e marxista. Questa indicazione va raccolta ovunque: che il suo sacrificio serva da esempio per le nuove generazioni rivoluzionarie, che la sua integrità di rivoluzionaria e di combattente possa illuminare quanti si risvegliano oggi alla coscienza di classe!

Compagni proletari:

chi muore lottando per la libertà non muore mai invano, perché verso la libertà si dirige ineluttabilmente la storia. Ma un comunista che muore nell’adempimento del proprio dovere è certo di sacrificarsi ancor meno vanamente, perché il suo partito continuerà la lotta illuminato dagli stessi principi, con la stessa determinazione, con la medesima sistematicità che egli aveva fatto propri.

Gioiscano pure le classi dominanti di questa morte, essa non fa che rinforzare la nostra volontà di lotta e le nostre convinzioni: il ricordo e l’esempio di Wilma Monaco – “Roberta” vivranno imperituri negli anni a venire, si tributi ad ella l’onore ed il rispetto di tutto il proletariato rivoluzionario italiano!

NO ALLA LEGGE FINANZIARIA!

VIA IL GOVERNO CRAXI!

ONORE ALLA COMPAGNA WILMA MONACO – “ROBERTA”

CADUTA COMBATTENDO PER IL COMUNISMO

AVANTI CON LA LOTTA ARMATA PER IL SOCIALISMO!

Febbraio 1986

Unione dei Comunisti Combattenti

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