Rivendicazione dell’iniziativa contro Licio Giorgieri

No all’adesione italiana alle guerre stellari. Fuori l’Italia dalla Nato!! No alla politica gendarme dell’Italia nel Mediterraneo. Costruiamo l’unità dal basso di tutte le forze contrarie al neo-autoritarismo dei governi borghesi.

Onore alla compagna Wilma Monaco ‘Roberta’.

Venerdì 20-3-1987 un nucleo armato della nostra organizzazione ha colpito il generale Giorgieri Licio, Direttore Generale delle Costruzioni delle Armi e degli Armamenti Aerospaziali.

Il Generale è stato colpito esclusivamente per le responsabilità da lui esercitate in seguito all’adesione italiana al progetto delle ‘guerre stellari’. Il progetto delle ‘guerre stellari’ per la massa di risorse finanziarie che mobilita e per la particolare collaborazione che richiede tra alta burocrazia statale, vertici militari e vertici della grande industria rafforza quell’intreccio di interessi, complicità e connivenze espresso dal complesso miltare-industriale. Il fenomeno investe l’insieme dei paesi partecipanti al progetto, quindi anche il nostro paese, e ciò spiega la creazione di organismi con la partecipazione di alti burocrati, generali ed industriali, la rinforzata presenza di militari nei Consigli di Amministrazione delle imprese con interessi nel settore bellico, e lo sviluppo di tutti quei fenomeni economici, politici ed istituzionali tipici dei paesi capitalisti in una fase caratterizzata da una loro accresciuta aggressività sul piano internazionale.

La nostra organizzazione intende sottolineare che le finalità di questa iniziativa militare sono eminentemente politiche. Colpendo il Generale Giorgieri non abbiamo voluto condurre una generica guerra agli apparati dello Stato, ma attraverso questa iniziativa militare abbiamo voluto esprimere la nostra opposizione risoluta all’adesione italiana al progetto delle guerre stellari ed in generale al corso reazionario della politica estera italiana, innanzitutto nel Mediterraneo. Le ambizioni della grande borghesia italiana hanno trovato espressione nelle scelte dei successivi governi del Pentapartito, ed in particolare nel decaduto governo Craxi, anche sul piano della politica estera e della difesa, conducendo a quel protagonismo che caratterizza l’iniziativa del nostro paese nel Mediterraneo ed in Medio Oriente. Le velleità autonomistiche che hanno alimentato alcune delle prese di posizione dei successivi governi del Pentapartito riguardo alle questioni di carattere internazionale non sfociano assolutamente nella messa in discussione della collocazione internazionale del nostro paese, ma in una politica che vuol fare in misura maggiore gli interessi della borghesia italiana nel quadro delle alleanze occidentali, in primo luogo per quanto riguarda il Mediterraneo. L’installazione degli euromissili e l’adesione allo Sdi mostrano che la partecipazione italiana alla Nato ancora il nostro paese al campo della reazione mondiale guidato dagli Usa, nemico della pace, della distensione e della volontà d’indipendenza dei paesi liberi. Con l’insieme della nostra iniziativa politico-militare perseguiamo fondamentalmente due obbiettivi:

  1. Pesare sugli equilibri tra i vari partiti politici borghesi che presiedono alla formazione dei governi, ai loro programmi e metodi d’azione. Combattere il tentativo dei partiti borghesi di trovare un equilibrio al loro interno che gli permetta di approfondire la svolta reazionaria.
  2. Rappresentare su scala nazionale il soggetto politico rivoluzionario che dà ‘voce politica’ e riferimento all’insieme delle forze sociali, a cominciare dalla classe operaia, duramente colpiti dalla svolta reazionaria voluta dalla grande borghesia e realizzata dai governi del Pentapartito.

Il neo-globalismo reazionario della presidenza Reagan e la militarizzazione dello spazio.

  1. Lo Sdi è un colossale programma di riarmo che implica un drenaggio di risorse sconosciuto dai tempi del kennediano progetto Apollo. Voluto dall’amministrazione Reagan, lo Sdi ne riassume aspetti essenziali dell’impostazione ideologica e politica, nonché in materia di relazioni internazionali. Lo scandalo dell’Irangate ha messo dinanzi agli occhi dell’opinione pubblica mondiale quel sottobosco melmoso di associazioni private o semi-pubbliche a cui aderiscono miliardari, marcanti d’armi, mercenari e veterani del Vietnam che costituiscono i circoli più aggressivi della Nuova Destra americana, i quali hanno esercitato un’influenza decisiva sulle scelte di fondo dell’amministrazione Reagan. Del resto, in gran parte il personale politico del gruppo dirigente reaganiano proviene da quegli ambienti ultrareazionari, da cui il Presidente ha mutuato l’anticomunismo viscerale e la retorica sciovinista. Dal giorno del suo insediamento alla Casa Bianca, Reagan ha espresso in modo chiaro l’obbiettivo primo della sua politica estera e di difesa: ristabilire il primato politico e militare dell’imperialismo americano nel mondo. E’ stata così impressa una brusca svolta in senso reazionario e militarista alla politica estera americana, giustificando le tendenze yankee in ogni angolo del mondo con la pretesa di difendere gli interessi vitali americani nei punti strategici del globo. Le relazioni internazionali sono state congelate in una nuova guerra fredda, caratterizzata dall’aggressività imperialista e dalla sua insofferenza ad ogni vincolo e ostacolo. E’ stata rilanciata la diplomazia delle cannoniere con il bombardamento di Libia e Libano, il minaggio dei porti del Nicaragua, l’occupazione militare con conseguente abbattimento del regime rivoluzionario di Grenada. Si è rafforzata l’opera di destabilizzazione aperta ed occulta di governi legittimi e democratici di paesi liberi, ricorrendo a forme di ricatto e sabotaggio economico ed al sostegno ad organizzazioni mercenarie come l’Unita in Angola o i Contras in Nicaragua. Si è accresciuto in misura notevole il sostegno ai regimi più reazionari della terra come: Sud Africa, Israele e Turchia. Un disegno globale quindi, teso a ricostruire il predominio americano attraverso il ridimensionamento dei Paesi dell’Est e la mortificazione della volontà d’indipendenza politica ed economica dei paesi liberi o in lotta per la loro liberazione. Anche agli alleati europei si è cercato di imporre un ritorno ad una situazione di (…) quale quella patita nel ventennio successivo al Piano Marshall. E’ evidente che una parte della retorica violentemente reazionaria e bellicista di Reagan si è lievemente stemperata. E’ che le conseguenze dello scandalo dell’Irangate lo obbligano ad atteggiamento più cauto. Ma l’obbiettivo di riaffermare in modo netto la supremazia yankee e di impiegare ogni mezzo a tal fine rimangono inalterati.
  2. Lo Sdi costituisce una parte essenziale delle scelte reazionarie e belliciste realizzate dall’Amministrazione Reagan. Di esso sono sostenitori i settori più oltranzisti della Nuova Destra americana, quelli animati dall’isteria anticomunista e da un radicalismo ideologico che fa della riconquista del primato militare americano sull’Unione Sovietica un obbiettivo irrinunciabile.

Malgrado la retorica pacifista con cui il Presidente Reagan propose nel suo discorso iniziale lo Sdi, l’obbiettivo reale che l’imperialismo persegue attraverso la militarizzazione dello spazio è così riassumibile: rompere l’equilibrio strategico nucleare con l’Unione Sovietica, riconquistare il diritto del ‘primo colpo’ senza il pericolo di vedere il territorio americano sottoposto ad una rappresaglia devastante. Ecco la sostanza del fantascientifico progetto reaganiano: rendere la guerra termonucleare possibile, mettendo gli Usa in condizioni di scatenarla e vincerla ad un costo in termini economici ed umani accettabile. La realizzazione dell’ombrello spaziale, quindi, creerebbe una situazione di squilibrio sul piano internazionale gravida di pericoli per la pace, in cui le tentazioni belliciste dell’imperialismo americano troverebbero un terreno favorevole. Lo Sdi è una minaccia per la pace, è lo strumento centrale attraverso il quale l’imperialismo vuole riconquistare il primato politico-militare ristabilendo la sua supremazia sul mondo. Nell’attuale situazione, il progetto americano di guerre stellari rilancia la corsa agli armamenti, estendendola allo spazio. Ciò implica una straordinaria mobilitazione di risorse fisiche ed umane nel settore bellico, ed evidente appare il tentativo yankee di obbligare l’Unione Sovietica ad una folle ed inutile rincorsa nello spazio, sfiancandone l’economia, soggetta in questa fase ad un delicato processo di modernizzazione ed incapace di far fronte in modo adeguato alla sfida americana. Il rilancio della corsa agli armamenti è, in sé, un ulteriore fattore di instabilità per la pace mondiale.

 

Il complesso militare industriale alla base della politica aggressiva americana.
All’accrescimento delle spese militari sono interessate forze decisive dell’imperialismo americano, in particolare quel ristretto numero di grandi compagnie multinazionali che si spartiscono la maggior parte dei finanziamenti che attualmente il budget statale americano destina alla Difesa. Occorre tener presente che il mercato delle armi presenta un grado di stabilità della domanda e possibilità di profitto più elevate rispetto al settore civile, ed in tempo di crisi ed accentuata concorrenza sui mercati è di fondamentale importanza per i monopoli premere sull’apparato statale affinché accresca le dimensioni dei finanziamenti alla Difesa. I monopoli con interessi nel settore bellico sono di conseguenza, accesi sostenitori di una politica estera aggressiva, presupposto essenziale per un modello di sviluppo economico centrato in gran parte su un enorme settore bellico. Ai vertici delle multinazionali si affianca il Pentagono ed importanti settori della burocrazia statale americana, completando il quadro del cosiddetto militare-industriale alla base della svolta reazionaria che ha contraddistinto la politica americana dall’ascesa di Reagan ad oggi. Riguardo al Pentagono occorre rilevare che sebbene esso sia un partigiano tradizionale e naturale di una politica estera aggressiva, lo Sdi rappresenta per i militari americani qualcosa di più. Per la massa di risorse che esso mobilita, per il ruolo che attribuisce ad organismi scientificamente militari, per il tipo di controllo che assicura loro sul mondo accademico e la comunità scientifica, dato il peso che la ricerca tecnico-scientifica ha nella progettazione ed esecuzione dell’ombrello nucleare, con lo Sdi in Pentagono riacquista un peso nella società e nell’apparato statale americano perso e mai più riacquistato dopo la lezione del Vietnam.

E’ da sottolineare che la crescente influenza del complesso militare-industriale sulla formazione e la gestione del corso politico generale dei paesi occidentali e degli Usa in particolare, costituisce una delle cause principali della crescente tensione internazionale e della diretta minaccia alla pace nel mondo. E’ proprio a questo intreccio di interessi economici e di potere raccolti nel complesso militare-industriale che l’Amministrazione Reagan ha dato piena rappresentanza politica. La relativa perdita d’iniziativa politica seguita allo scandalo dell’Irangate non ha scalfito la determinazione spavalda con cui gli uomini di Reagan difendono lo Sdi. Nelle principali capitali europee arrivano inviati del Presidente americano con il compito di vincere eventuali resistenze o tentennamenti da parte degli alleati nel seguire gli Usa nella militarizzazione dello spazio. Il ‘principe nero’ Richard Pearle, il criminale della guerra del Vietnam Vernon Walters, il generale Abrahamson, responsabile di tutto il progetto Sdi, sono gli emissari più celebri, e danno un’idea di quali siano i settori della classe dirigente americana che hanno scommesso sullo Sdi. L’Amministrazione Reagan ha poi deciso di accelerare i tempi della ricerca, al fine di trasformare l’ombrello nucleare in un dato di fatto che alleati ed avversari devono accettare. Proprio questa irrinunciabilità dello Sdi da parte americana ha costituito per lungo tempo un ostacolo enorme alla realizzazione di accordi improntati a realismo e moderazione in tema di controllo degli armamenti. Inoltre in nome dello Sdi vogliono dare un’interpretazione estensiva del trattato ABM con un’autentica violazione dei principi del Diritto Internazionale, creando un clima di generale sfiducia e sospetto che renderebbe impossibile ogni politica di distensione internazionale. Insomma, lo Sdi è una minaccia immediata per la pace e la distensione. Qualsiasi accordo parziale sugli euromissili e le armi convenzionali avrebbe un effetto estremamente ridotto, anche se positivo, fino a quando gli americani concentreranno risorse per la costruzione di un ombrello nucleare che altera in modo profondo l’equilibrio strategico alla base di sistema di relazioni internazionali del dopo guerra.
La lotta per la pace e la distensione, la lotta ai rinnovati progetti di supremazia imperialista hanno punto irrinunciabile nella lotta allo Sdi. No al progetto americano di militarizzazione dello spazio.
Il neo-autoritarismo dei governi borghesi, i monopoli e la crisi della democrazia italiana.

Il protocollo d’intesa firmato a Washington il 26-9-1986 consente alle industrie italiane di partecipare alla fase di progettazione dello Sdi. In sostanza il governo, allora presieduto da Bettino Craxi, ha deciso l’adesione dell’Italia al progetto delle ‘guerre stellari’, assumendosi così una responsabilità politica gravissima. La decisione di aderire allo Sdi è stata presa senza che si svolgesse alcun dibattito parlamentare e gli esponenti del vecchio governo si sono sforzati di minimizzare la portata dell’accordo facendo calare il silenzio sulla questione. Insomma una decisione fondamentale riguardo al futuro del nostro paese è stata presa in modo rapido in circoli ristretti del potere, tenendone all’oscuro le grandi masse.

Da tutto il procedimento che ha condotto alla decisione di aderire allo Sdi emerge con forza quella filosofia di fondo che ha animato il metodo d’azione del passato governo Craxi: il neo-autoritarismo. Questo è un atteggiamento di insofferenza verso istituti e prassi consolidate della stessa democrazia borghese italiana che è sfociato un un’accelerazione ‘di fatto’ dei meccanismi decisionali. Nella struttura istituzionale il governo ha visto il suo peso specifico accrescersi in misura notevole, mentre il Parlamento è stato nettamente ridimensionato, ridotto a luogo di ratificazione di decisioni prese altrove o, addirittura, in luogo esibizione del presidente del Consiglio. La svolta reazionaria portata avanti dal Pentapartito ha pesantemente trasformato il sistema democratico borghese dandogli un volto autoritario, e preparando il terreno politico e culturale a modificazioni della struttura istituzionale in grado di approfondire la svolta reazionaria stessa, concedendo maggiore libertà di movimento alla classe dominante. Lo stesso meccanismo che ha condotto alla crisi del governo Craxi e che presiede alle consultazioni sulla formazione di un eventuale nuovo governo prova ulteriormente che i partiti al potere hanno un atteggiamento di insofferenza verso i procedimenti democratici tradizionali ed assumono modi di azione impregnati di autoritarismo. L’eredità principale del Pentapartito, che sarà senz’altro raccolta dal nuovo governo, è proprio questo incremento sostanziale del ‘tasso di autoritarismo’ che porta ristrette oligarchie a prendere decisioni fondamentali riguardo alla vita del nostro paese.

Non saremo certo noi a piangere sulla nuova piega che assume la democrazia borghese, ma le tentazioni autoritarie ormai evidenti nei gruppi dirigenti borghesi saranno da noi costantemente denunciate e combattute in modo durissimo. Conosciamo, inoltre quella retorica sull’occupazione dello Stato e della società civile da parte dei partiti che è la diagnosi sulla crisi della democrazia borghese che mette tutti d’accordo, dagli ultrareazionari ai riformisti. Noi, da marxisti-leninisti inguaribili, riteniamo che scelte politico istituzionali autoritarie siano il frutto della dura lotta combattutasi nei primi anni ’80, che ha visto il ridimensionamento delle forze del proletariato. E’ stata la grande borghesia a guidare il ‘fronte della reazione’, ristabilendo l’ordine nelle fabbriche, eliminando la resistenza operaia ed il potere sindacale che si basava su essa. I vertici dei grandi monopoli sono poi passati a premere sulla classe politica, spingendola a modernizzarsi e ad assumere atteggiamenti e scelte ‘all’altezza dei tempi’. L’insorgere degli uomini forti come Craxi, De Mita e Spadolini, l’emergere di un certo ‘cesarismo’ nell’ambito dei principali partiti borghesi, il ricorso a metodi di governo autoritari, l’insolito protagonismo in politica estera, sono altrettanti segnali di un autentico fiancheggiamento che la classe politica, pur con tutte le sue particolarità, ha realizzato nei confronti della grande borghesia finanziaria, prendendo decisioni che hanno contribuito a creare un quadro economico e sociale estremamente favorevole agli interessi dei grandi monopoli. Il neo-autoritarismo vuol dire anche e soprattutto una enorme capacità da parte dei monopoli di incidere sul corso politico generale del nostro paese. Gli indirizzi fondamentali di politica economica e sociale e di politica estera sono stati ritagliati sulla centralità degli interessi del monopolio, a danno delle aspirazioni e delle richieste della stragrande maggioranza della popolazione.
Industriali e militari paladini dell’adesione italiana allo Sdi

L’adesione allo Sdi era per la grande borghesia assolutamente irrinunciabile, non tanto per l’entità dei contratti attualmente stipulati, quanto per il timore di rimanere fuori dal grande giro delle commesse militari, la cui importanza in tempo di crisi diventa enorme. La massa di risorse destinate allo Sdi non farebbe che accrescere le dimensioni del settore bellico e proprio ora che l’aggressività finanziaria e la competitività industriale della grande borghesia italiana è lodata sulle riviste di tutto il mondo sarebbe stato un suicidio precludersi un mercato così vasto quale quello che la militarizzazione dello spazio apre. Di qui la necessità assoluta per la grande borghesia di superare qualsiasi tentazione attendista riguardo all’adesione italiana, premendo sulla classe politica perché decidesse in tutta fretta l’adesione italiana alla fase di progettazione. Il ‘protocollo d’intesa’ ha soddisfatto i monopoli, ed ha contemporaneamente dimostrato qual è il grado d’influenza di queste ristrette oligarchie al momento delle decisioni che contano. Il fronte dei favorevoli allo Sdi (…) settori di piccola e media imprenditoria impegnati nella produzione di beni tecnologicamente avanzati e suscettibili di impieghi militari. Quindi è possibile affermare che la parte decisiva del padronato ha spinto perché l’Italia aderisse allo Sdi.

A questo settore sociale si affiancano i vertici delle Forze Armate italiane, che dimostrano di avere un atteggiamento nettamente diverso rispetto ai propri predecessori. Finito il tempo del servilismo e delle umiliazioni di fronte alla classe politica, per contare di più nel mondo e, in primis nel Mediterraneo, l’Italia ha bisogno di un esercito solido ed efficiente. Generali e colonnelli educati alla scuola dell’ufficiale manager lo sanno e chiedono di più. Non solo più soldi per sé e per la modernizzazione dell’esercito, ma più considerazione che gli permetta di esprimere e far pesare il proprio punto di vista sulle questioni che li riguardano direttamente o indirettamente. L’attivismo italiano in politica estera ne ha accresciuto il peso specifico, e così dalle questioni strettamente attinenti l’esercito, i vertici militari estendono i loro consigli alle questioni di politica estera, rinforzando le tendenze scioviniste e reazionarie. Dietro alla decisione di aderire allo Sdi ci sono gli interessi di quelle oligarchie che sono state alla base della svolta reazionaria realizzata dal Pentapartito.
La politica estera italiana tra atlantismo e nuova vocazione imperialista nel mediterraneo

  1. L’intreccio di interessi delle ristrette oligarchie ha trovato piena rappresentanza nella classe politica borghese del nostro paese e nelle scelte di politica estera attuate dai governi che si sono succeduti in carica a partire dalla fine degli anni 70. L’attività italiana sullo scenario internazionale è stata caratterizzata da un crescente protagonismo, che ha esaltato il ruolo del nostro paese quale potenza regionale nel mediterraneo e che contrasta in modo stridente con l’abulia che ha contraddistinto la politica estera italiana nel trentennio precedente. Sulle forme di questo nuovo ruolo italiano esiste un consenso diffuso nei gruppi dirigenti borghesi riguardo agli aspetti centrali, ed un contrasto a volte aspro, su aspetti che pure hanno una loro importanza. Il consenso riguarda l’incrollabilità della fedeltà atlantica del nostro paese, la dimensione regionale della potenza italiana la cui ‘giurisdizione’ è limitata al mediterraneo ed al Medio Oriente, la necessità di creare tutte le strutture militari necessarie all’Italia per assolvere al suo nuovo ruolo. Quindi le tendenze di fondo della politica estera del nostro paese sono chiaramente tracciate e questa classe dirigente non le rimetterà certo in discussione: atlantismo, accrescimento delle spese militari e ‘gendarmeria’ del mediterraneo.
  2. Ai settori più reazioni e sciovinisti della borghesia italiana hanno dato voce politica il senatore Giovanni Spadolini e la sua cricca. E’ lui il fautore più acceso del ‘nuovo corso’ del ‘militarismo tricolore’ all’interno del Palazzo. Del resto il Pri di cui è segretario, è un partito tradizionalmente sensibile agli interessi della grande borghesia italiana, animato da un filo-americanismo esasperato. Nel passato governo, come ministro della difesa ha spinto per un cospicuo accrescimento delle spese militari e per un rilancio in grande stile del ruolo dell’esercito, con toni fortemente bellicisti. Il suo attivismo sul piano internazionale ha trasformato il Ministero della Difesa in un secondo Ministero degli Esteri, di cui ha portato avanti una linea di politica estera centrata sul ruolo imperialista dell’Italia sul mediterraneo e sul sostegno del nostro paese a tutte le iniziative militari e avventuriste dell’Amministrazione Reagan. E’ lui, quindi che incarna una politica estera marcatamente reazionaria, che ha reso il nostro paese disponibile ad avventure militari in nome della ‘crociata contro il terrorismo internazionale’, e che ha premuto per una politica medio-orientale filo-israeliana. La stessa battaglia per l’adesione allo Sdi è stata un’occasione in cui il senatore ha mostrato di voler dare una piega nettamente più reazionaria alla politica estera, più vicina almeno a quella dei circoli imperialisti che dello Sdi sono i ‘padrini’. Il senatore è ambizioso e ambiziose sono le forze politiche e sociali che su di lui fanno affidamento. Mettere Spadolini, i suoi uomini e la politica estera da lui patrocinata sul ‘banco degli accusati’ è un obbiettivo essenziale di ogni mobilitazione coerente contro il ‘bellicismo’ della classe dominante.
  3. Con il decaduto governo Craxi si è fatta spazio una linea politica estera che pur condividendo gli assunti comuni all’insieme dei gruppi dominanti, si distingue da quella esasperatamente filo-americana di Spadolini. E’ la linea della ‘autonomia mediterranea’ di Andreotti e soprattutto, del ‘sussulto Sigonella’ di Craxi. A questa linea di politica estera noi prestiamo grande attenzione e la combattiamo con determinazione per varie ragioni tutte estremamente rilevanti. In primo luogo perché è fonte di una pericolosa illusione che il Pci vorrebbe alimentare nelle masse italiane, ossia: sulla base dell’episodio di Sigonella si vuol far credere alle masse che esistono settori della classe dirigente borghese i quali, animati da una diversa concezione della sovranità nazionale potrebbero riconsiderare la collocazione internazionale del nostro paese e in particolare i rapporti con gli Usa, facendo dell’Italia la promotrice di una politica pace e distensione. E’ una maledetta illusione da sradicare con forza prima che consolidi le proprie radici. L’atlantismo dei craxiani e dei settori della Dc è incrollabile quanto quello di Spadolini, cementato da un anticomunismo gretto in cui Craxi e la Dc non prendono lezioni da nessuno, e da un profondo disprezzo per i popoli liberi. La seconda ragione della pericolosità di questa linea di politica estera, che si vuole più vicina agli interessi nazionali, è legata alla sua genesi, ai motivi del suo successo nei gruppi dirigenti borghesi del nostro paese ed agli obbiettivi reali che persegue. L’attivismo italiano nel mediterraneo deriva dalla convergenza di diversi fattori: l’Italia è un paese imperialista in ascesa le cui ambizioni si riflettono all’estero, il deteriorarsi della situazione internazionale per effetto dell’aggressività imperialista ha spinto tutti i paesi dell’alleanza atlantica su un diverso (…). La collocazione geografica a ridosso di una zona strategica altamente infiammabile come il Medio Oriente, ed altri motivi ancora hanno concorso a spingere verso un nuovo ruolo italiano. La linea di Craxi riflette le ambizioni di una borghesia rampante che all’interno del quadro di alleanze occidentali vuole giocare un ruolo di maggior rilievo, e pretende si tenga conto in misura maggiore dei suoi interessi e del suo prestigio soprattutto nell’elaborazione delle linee di intervento occidentale nel Mediterraneo. E’ di fondamentale importanza tenere presente la relazione tra atlantismo, che rimane il caposaldo della collocazione internazionale, e le rinnovate ambizioni nazionali che spingono a ricercare una qualificazione più autonoma dell’intervento italiano, pur nel rispetto dei vincoli imposti dall’alleanza atlantica. Il parere favorevole all’installazione degli Euro-missili, malgrado la massiccia mobilitazione popolare, l’adesione allo Sdi, mostrano che il nostro paese non ha nulla da guadagnare da una simile linea di politica estera. Dietro la sua retorica che riecheggia il tono ‘dell’interventismo democratico’ e riaccende i miti di un certo nazionalismo, spuntano le ambizioni di una borghesia alla ricerca di un ampio riconoscimento internazionale della sua nuova forza, e preme sulla classe politica affinché nella regione mediterranea faccia giocare all’Italia un ruolo politico-militare all’altezza delle sue possibilità attuali. Nessuna frazione dei gruppi dirigenti borghesi potrà fare del nostro paese un attivo fattore di pace nel mediterraneo e nel Medio Oriente. Le loro scelte ancorano il nostro paese al ‘fronte della reazione’ mondiale guidato dagli Usa, e fanno del nostro paese un gendarme imperialista. Sulla base delle nuove ambizioni della borghesia italiana si è innescata una pericolosa rincorsa nella classe politica a mostrare chi è in grado di interpretare nel miglior modo la novità del ‘protagonismo italiano’ nel Mediterraneo. Si è creato un clima politico e culturale che rende la classe politica disponibile ad impegni ed avventure di chiara marca bellicista e reazionaria.

Il Pci: crisi ed ambiguità del riformismo nazionale

Il Pci è stato incapace di opporsi in modo efficace alla svolta reazionaria voluta dalla grande borghesia e realizzata dal Pentapartito, e la questione dell’adesione italiana allo Sdi ha mostrato ancora una volta la totale inconsistenza dell’opposizione riformista. Il Pci ha rinunciato a fare dello Sdi l’oggetto di una massiccia mobilitazione di massa, limitandosi a protestare (…) di fronte al modo autoritario con cui la decisione è stata presa. La ragione fondamentale del suo atteggiamento rinunciatario sul piano della mobilitazione di massa è da ricercare nell’ambiguità di fondo della sua posizione riguardo alla collocazione internazionale ed alla politica estera del nostro paese. In particolare il Pci considera l’appartenenza alla Nato come rispettosa degli interessi nazionali. E allora come può opporsi in modo risoluto allo scudo stellare un partito che non fa dell’uscita dalla Nato da parte dell’Italia un punto irrinunciabile del suo programma? Com’è possibile combattere il nuovo corso militarista senza combattere i monopoli che ne sono i principali ispiratori? In realtà, l’immobilismo sostanziale del Pci e la sua incapacità di opporsi efficacemente alle tentazioni autoritarie e reazionarie del blocco dei partiti borghesi, è la forma italiana della più generale crisi del riformismo in occidente. Di fronte all’ondata reazionaria di Reagan, della Thatcher e degli altri leaders conservatori, tutto il riformismo, socialdemocratico e revisionista, è stato incapace di fare argine. Al neo-liberismo in politica economica ed all’aggressività in politica estera, le forze riformiste non hanno saputo opporre alcuna prospettiva alternativa, poiché una volta accettate le priorità della crisi, quindi riconosciuta la centralità degli interessi della grande borghesia le soluzioni sono in una certa misura obbligate. Analogamente in politica estera, accettando la partecipazione alla Nato e rinunciando alla lotta aperta alle forze del monopolio, il Pci si trova completamente disarmato di fronte alle scelte reazionarie delle varie coalizioni di governo. E con lui disarma le masse.
Il documento sulla sicurezza:bibbia delle illusioni inutili

Il Documento sulla sicurezza recentemente elaborato dalla direzione del Pci è un capolavoro di quell’ambiguità che rende il Pci un ‘pachiderma immobile’ e mostra il carattere illusorio delle ipotesi politiche su cui il Pci punta e vorrebbe e vorrebbe far puntare le masse. Stabilita la necessità di restare nella Nato per il nostro paese, il Pci sembra avere l’obbiettivo di ‘umanizzare’ questa alleanza reazionaria attraverso l’accrescimento ‘dell’autonomia europea’ rispetto agli Usa. E’ questa un’illusione tipica di un certo pacifismo includente: attribuire alle borghesie europee uno spirito di pace più alto di quello yankee. E’ la stessa illusione che spinge il Pci a sostenere quel residuo della ‘grandeur’ francese che è il progetto Eureka e l’ipotesi di uno scudo spaziale europeo. In realtà occorre considerare che le borghesie europee non sono ‘colonizzate’ ma hanno una convergenza di interessi economico-finanziari con gli usa tali da dare un fondamento strutturale all’alleanza politico-diplomatica e militare. L’esistenza dello stesso sistema sociale capitalista sulle due sponde dell’atlantico crea un vincolo che nessuna ventata pacifista può spezzare, senza prima mettere in discussione il dominio delle singole borghesie all’interno dei rispettivi paesi. Nella difesa dei sacri valori occidentali, a cominciare dalla proprietà privata, le borghesie europee sono impegnate con lo stesso accanimento di quella americana. Considerazioni umanitarie non peseranno sulla coscienza delle borghesie europee più della materialità dei loro interessi che le pone strategicamente al fianco del materialismo yankee. Portavoci autorevoli dei partiti borghesi hanno sbeffeggiato il Documento del Pci mettendo in luce tutta la sua inconsistenza proprio riguardo ai rapporti tra Italia ed Europa da un lato, e Stati Uniti dall’altro. Quali che siano le velleità di dare un carattere nazionale ed europeo alla difesa, la difesa del capitalismo in occidente, alla fin fine richiede la copertura nucleare americana. Il tono caramelloso del documento del Pci deve inchinarsi a questa realtà che nessun gioco di parole può nascondere. Del resto persino il Pci ne prende atto riconoscendo l’intangibilità della partecipazione italiana alla Nato. Le contraddizioni del Pci e i lori riflessi sui temi e l’intensità delle mobilitazioni di massa rappresentano un aspetto essenziale della situazione politica italiana. L’atteggiamento rinunciatario, compromissorio ed immobilista del Pci negli ultimi anni è il riflesso dell’assenza di un coerente disegno di rinnovamento profondo della realtà sociale e politica italiana. Malgrado ala sua storia il Pci non è più il gruppo dirigente della classe operaia, da lui la borghesia non teme più di essere scalzata dalla sua posizione dominante. Privato del riferimento di un più alto progetto di trasformazione della società italiana, l’opposizione del Pci alla svolta reazionaria diviene necessariamente frammentaria, piena di ambiguità e contraddizioni negli obiettivi, timorosa e rinunciataria nei confronti delle mobilitazioni di massa. Sulle questioni di politica estera ciò appare evidente. L’installazione dei missili a Comiso, il nuovo ruolo imperialista italiano nel mediterraneo, e l’adesione allo studio stellare sono tutte decisioni di una gravità enorme, contraria agli interessi della stragrande maggioranza della popolazione, volute da quelle ristrette oligarchie economiche e militari che detengono il potere reale nel nostro paese. A tutto ciò cos’ha opposto il Pci? Niente di efficace. In realtà, siamo in presenza di una autentica crisi di progettualità politica del riformismo, di una sua subordinazione alle tesi politiche e culturali della Nuova Destra.

Fondare il Pcc: gruppo dirigente della rivoluzione proletaria in Italia

L’incapacità del Pci di rappresentare in modo adeguato gli interessi della classe operaia e dei settori sociali colpiti dalla svolta reazionaria, crea un ‘vuoto politico’ che rende la classe operaia la ‘grande assente’ della sfera della politica nazionale. Solo il Pcc è in grado di riempire questo vuoto politico. La nostra Organizzazione lavora alla fondazione del Pcc; soggetto politico che solo può guidare quello schieramento di forze sociali, con al centro la classe operaia, in grado di operare una trasformazione profonda della società italiana, partendo dalla conquista rivoluzionaria del potere politico. Il Pcc si pone di fronte allo Stato e alla classe dominante quale forza politica rappresentativa di un’alternativa rivoluzionaria basata sulla conquista del potere politico, l’instaurazione della dittatura proletaria e la trasformazione socialista del nostro paese. Il Pcc deve rappresentare la capacità dirigente nazionale della classe operaia. Quindi, è portatore di un coerente disegno di trasformazione rivoluzionaria che si basa sulle questioni centrali della società italiana, e raccogliendo le aspirazioni delle grandi masse propone un’organizzazione della società italiana che permette di affrontare e risolvere squilibri e contraddizioni che il modello di sviluppo capitalista, ritagliato sugli interessi delle classi dominanti nel nostro paese, ha creato e approfondito. Le questioni dell’occupazione, della collocazione internazionale del nostro paese e della pace, la questione della democrazia, assumono nel contesto della lotta politica e sociale tra le classi un ruolo di ‘banco di prova’ di ogni opzione politica.

Le scelte di fondo dei gruppi dirigenti reazionari legati alla grande borghesia monopolista costringono il nostro paese ad un modello di sviluppo economico che penalizza le grandi masse e le stesse potenzialità dell’economia nazionale, ad una collocazione internazionale nel campo della reazione mondiale e ad un sistema politico che limita l’esercizio della democrazia da parte delle masse, attribuendo il privilegio delle scelte fondamentali a ristrette oligarchie economiche e politiche. Il Pcc fa leva sulle grandi questioni per promuovere l’unità di tutti gli interessi colpiti dalle scelte del capitale monopolista intorno alla classe operaia. Una soluzione ai problemi delle grandi masse ed alle contraddizioni di fondo del nostro paese può avvenire solo attraverso un cambiamento radicale dell’organizzazione sociale e politica italiana che abbia quale protagonista primo la classe operaia. Il Pcc ricerca le strade concrete perché ciò avvenga, date le condizioni economiche, sociali politiche e culturali che caratterizzano il nostro paese. Tutta l’attività della nostra organizzazione mira a dare vita a questa alternativa rivoluzionaria attraverso la fondazione della forza politica centrale: il Partito Comunista Combattente, dotandolo di una progettualità politica che gli permette di assolvere al ruolo di ‘gruppo dirigente’ della rivoluzione proletaria nel nostro paese.

Portare l’attacco al cuore dello Stato

La lotta armata costituisce per la nostra organizzazione il metodo di lotta fondamentale che contribuisce con tutto il suo peso al raggiungimento degli obiettivi politici da noi perseguiti. Con l’attività combattente la nostra Organizzazione acquista di ‘forza’ un posto nello schieramento politico nazionale, facendosi il portavoce della opposizione intransigente e risolutiva alle scelte politiche essenziali della classe dominante. La lotta armata, quindi, è assolutamente irrinunciabile per la nostra O., poiché ci permette di rompere lo stato di emarginazione politica, conquistando lo spazio necessario per rappresentare l’interesse generale della classe operaia di fronte alle altre classi ed allo Stato, nelle concrete battaglie politiche nazionali. Chi nel movimento rivoluzionario mette in discussione la necessità della lotta armata si prenota un posto in quel circo pittoresco ed inconcludente che è una certa sinistra extraparlamentare italiana. Ma noi non ci limitiamo alla semplice propaganda, abbiamo la ferma volontà di pesare sugli equilibri politici che si installano tra i vari partiti, e che presiedono alla formazione dei governi in carica, alla elaborazione dei programmi e dei metodi d’azione che li contraddistinguono. La sostanza dell’attacco al cuore dello Stato è per noi data dalla nostra decisione di premere sul quadro politico nazionale; e sui rapporti di forza che si instaurano tra le stesse forze politiche borghesi e quelle riformiste, colpendo certe forze e le linee politiche di cui esse sono portatrici, concentrando su esse e sulla loro politica il peso della nostra opposizione e dei settori sociali a cui diamo ‘voce politica’ nell’obiettivo di ridimensionarle e neutralizzarle. Vogliamo partecipare alla lotta politica nazionale, imponendo in modo duraturo l’esistenza di un soggetto politico rivoluzionario, nemico intransigente di governi e programmi reazionari, che metta in luce l’ambiguità di fondo e l’inettitudine del riformismo nazionale e dia voce e riferimento politico nazionale all’interesse dei settori sociali penalizzati dalle scelte reazionarie. L’attacco al cuore dello stato non è indirizzato verso astratti ed improbabili progetti di ristrutturazione, ma è la ‘punta’ della politica rivoluzionaria che mette l’attività combattente al servizio di precisi obiettivi politici, che creano un quadro più favorevole all’attività rivoluzionaria nelle concrete battaglie della lotta tra le classi nel nostro paese. Qualsiasi uso scriteriato della lotta armata, finisce col ‘depoliticizzarla’, impedendole di contribuire al raggiungimento di obiettivi politici favorevoli alle forze rivoluzionarie. La nostra O. ribadisce l’irrinunciabilità dello strumento della lotta armata e la necessità di portare l’attacco al cuore dello Stato favorendo il ridimensionamento e la disgregazione di quelle forze politiche reazionarie la cui alleanza è stata alla base dei governi del Pentapartito e della conseguente svolta reazionaria. Nelle attuali condizioni la nostra iniziativa politico militare mira ad impedire, ritardare, rendere più difficile il coagulo dei partiti borghesi intorno ad accordi e programmi che approfondiscano la svolta reazionaria, in particolare con alterazioni della struttura istituzionale tali da liberare le mani in misura ancora maggiore ai gruppi dirigenti reazionari che tengono in pugno lo Stato italiano.

La nostra posizione

I comunisti combattenti sono assolutamente contrari alla militarizzazione dello spazio e all’adesione italiana allo Sdi. La decisione italiana di estendere gli armamenti allo spazio è una minaccia immediata per la pace e la distensione nel mondo. L’avventurismo dell’amministrazione Regan ed il suo obiettivo di riconquista del primato politico militare devono trovare un’opposizione decisa in ogni angolo del mondo. I comunisti combattenti sono parte di quello schieramento di forze che su scala mondiale si oppongono al riarmo ed alle tentazioni belliciste dell’imperialismo americano. L’imperialismo genera la guerra, è la verità che noi comunisti combattenti ben conosciamo, ed in presenza di un conflitto in cui la borghesia trascini il nostro paese non esiteremmo a combattere sulla parola d’ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Ma nelle attuali condizioni che fanno da sfondo alla lotta di classe sul piano interno ed internazionale, non abbiamo intenzione alcuna di limitarci alla ‘educazione ideologica’ delle masse, la lotta alle minacce imperialiste alla pace ed alla pretesa imperialista di supremazia ci vede in prima fila. Lo Sdi è la strada concreta scelta dall’imperialismo per ristabilire il suo primato: questa è la ragione prima per combatterlo. Le forze militariste ricercano costantemente un sostegno di massa alle loro tesi attraverso una violenta pressione ideologica, realizzata in modo principale dai grandi mezzi di comunicazione di massa. Così i sostenitori dell’adesione italiana allo Sdi ed in genere al riarmo, ricercano un appoggio popolare con la divulgazione di tesi propagandistiche che mirano a mostrare il riarmo come fattore positivo per gli interessi delle masse. Due sono le tesi che hanno maggior corso e che devono esser duramente combattute:

    1. La prima argomentazione fa delle spese militari il motore dello sviluppo tecnico scientifico con conseguenti vantaggi in ogni settore. È una tesi falsa e da respingere. La rivoluzione tecnico scientifica apre grandi possibilità per un impegno razionale delle risorse naturali a vantaggio della maggioranza dell’umanità. Piegarla alla logica del profitto la rende appendice dello sviluppo del settore bellico, provocando guasti che riguardano non solo l’impiego delle innovazioni tecnico scientifiche, ma la logica stessa che presiede a tale sviluppo. Aver fatto della scienza il luogo di creazione di armi distruttive è l’esempio più immediato della relazione tra la logica del profitto e rivoluzione tecnico scientifica.
    2. La seconda argomentazione si dimostra estremamente pericolosa poiché fondata sul ricatto dell’occupazione. Il settore degli armamenti ha un peso crescente nella struttura occupazionale e l’adesione italiana allo Sdi, con gli investimenti che implica, accrescerà in misura notevole questo tale peso. Rifiutare questo ricatto vuol dire proporre un modello di sviluppo economico ‘diverso’ da quello concentrato sui monopoli e sulla massimizzazione del profitto. Occorre dare come riferimento concreto un’organizzazione economica e sociale in cui lo sviluppo del settore bellico non sia più una necessità irrinunciabile. Un generico moralismo anti-militarista, per quanto lodevole, non offre un’alternativa solida a quella parte del mondo del lavoro che è sottoposta al ricatto dell’occupazione nel settore bellico. La lotta al militarismo deve ancorarsi ad un coerente disegno di rinnovamento della società, che contrasti i monopoli e le forze reazionarie.

I comunisti combattenti e la collocazione internazionale del nostro paese

L’adesione italiana allo Sdi pone una questione di carattere nazionale. Al momento decisivo, la borghesia e i suoi gruppi dirigenti, hanno dimostrato di non potersi sottrarre ai loro ‘doveri imperialisti’. E noi aggiungiamo che era nel pieno interesse della classe dominante del nostro paese la scelta di allinearsi. I compiti che l’alleanza atlantica attribuisce ai vari membri sono un vincolo ineludibile, quali che siano le singole tentazioni autonomistiche. È evidente che gli interessi delle oligarchie ai vertici della società italiana, condannano il nostro paese nel campo della reazione mondiale costringendolo ad allinearsi alle scelte strategiche dell’imperialismo americano. E sono gli interessi e le scelte delle classi dirigenti del dopoguerra a portare la responsabilità storica della collocazione internazionale del nostro paese, quindi di tutte le conseguenze di ciò nella situazione attuale a cominciare dal sostegno, più o meno deciso, alla politica avventurista di Regan. Lo status di paese imperialista in ascesa che si riflette nella richiesta di una più forte identità nell’alleanza, non risparmia l’Italia del ruolo di paese subordinato riguardo alle scelte fondamentali. È per questo che la lotta alla grande borghesia ed alle sue ambizioni imperialiste ha un punto irrinunciabile nella rimessa in discussione dell’attuale collocazione internazionale del nostro paese. L’uscita dalla Nato è il presupposto ineludibile per un ruolo autenticamente autonomo dell’Italia sul palcoscenico internazionale, che faccia del nostro paese un fattore attivo di promozione della pace nel mediterraneo e nel medio oriente. I comunisti combattenti sono alla testa di tutte le forze che lottano per un diverso ruolo del nostro paese, basato su rapporti di cooperazione e reciproco vantaggio con tutti i paesi liberi dal giogo imperialista, a cominciare da quelli che si affacciano nel bacino del mediterraneo. Fuori l’Italia dalla Nato. Via le basi yankee dal nostro paese. Contro la politica di gendarmeria nel mediterraneo per un’autentica politica di pace e cooperazione.

Le nostre proposte

La nostra O. lavora alla costruzione di un’ampia e massiccia opposizione alla adesione italiana allo scudo stellare. Occorre fare della lotta allo Sdi l’oggetto di una mobilitazione di massa in cui confluiscano l’insieme dei settori sociali colpiti e penalizzati. Sono le tentazioni imperialiste e belliciste della borghesia italiana a dover trovare nella lotta delle masse una barriera insormontabile. In tale lavoro di massa siamo scevri da pregiudiziali ideologiche di qualsiasi genere. La posta in gioco è altissima. Attraverso l’adesione allo Sdi la grande borghesia pone una seria ipoteca sul futuro economico e politico del nostro paese e impedirlo con ogni mezzo è un obiettivo politico essenziale. L’unità di tutti coloro che non si riconoscono in una politica estera sciovinista e filo-americana è una precondizione importante del successo della opposizione. Ci rivolgiamo alla grande massa dei lavoratori che pagano il prezzo economico e politico delle scelte belliciste e della più generale svolta reazionaria. Agli intellettuali ed ai ricercatori scientifici onesti, i quali non possono non vedere quali effetti deleteri abbia la subordinazione della ricerca scientifica a progetti militari avventuristi. Con lo Sdi ciò raggiunge livelli altissimi. La ricerca scientifica viene vincolata a finanziamenti dell’amministrazione militare, con le inevitabili conseguenze riguardo alle finalità della ricerca scientifica stessa. Vengono introdotti i ‘vincoli di segretezza’ per ragioni di sicurezza che impediscono la libera circolazione dell’informazione sulle ricerche scientifiche. Insomma, ogni ricercatore onesto può rilevare che la borghesia vuole ridurre la comunità scientifica ad un insieme di cherubini al servizio di politiche reazionarie e a avventuriste. Una comunità di Edward Teller. Voci autorevoli della comunità scientifica internazionale hanno già detto no a questo progetto, ed anche da noi timide voci si sono sollevate. Occorre dargli un eco all’interno di un fronte di massa più ampio. Così per tutti coloro i quali non accettano di vedere il nostro paese ancorato al fronte mondiale della reazione, in seguito alle scelte della classe dominante. Se non si vuole condividere la responsabilità della militarizzazione dello spazio e del sostegno alle rinnovate ambizioni di supremazia da parte dell’imperialismo americano, occorre combattere decisamente le scelte di politica estera dei gruppi dominanti del nostro paese. Alla convergenza di diversi settori contrari alla svolta in politica estera occorre si accompagni l’incisività dell’opposizione. In questo senso i comunisti mettono avanti obiettivi politici generali che saldino il fronte di massa antigovernativo. L’opposizione al ruolo dell’Italia nella Nato ed all’intero corso militarista e sciovinista della politica estera italiana devono diventare un nuovo spartiacque tra i nemici sinceri delle tentazioni belliciste della borghesia italiana e coloro che tentennano o vi si accodano. Costruiamo una nuova unità dal basso su questi temi, favorendone la base per premere sul quadro politico nazionale. Mettere i partiti politici che hanno avuto responsabilità di governo e che hanno realizzato la svolta reazionaria sul banco degli imputati. La lotta alle alleanze dei cinque partiti borghesi deve divenire una costante dei temi politici delle mobilitazioni di massa. Occorre poi costringere il Pci a prendere posizione facendolo uscire da quella situazione in cui può dire tutto e il contrario di tutto, senza far nulla di concreto per opporsi alla politica reazionaria. La pressione di una nuova unità dal basso contro la svolta reazionaria permetterà di far esplodere l’ambiguità di fondo della posizione dei vertici delle Botteghe Oscure riguardo alla collocazione internazionale del nostro paese. La scissione tra classe politica e società civile è l’altra faccia del distacco tra gli interessi della maggioranza della popolazione. Ma il disinteresse delle masse per i ‘giochetti di potere’ della classe borghese deve trasformarsi in una opposizione attiva, in una pressione dal basso che faccia muro sulle questioni centrali di politica estera e di politica economica, impedendo alle forze borghesi di ricercare con tranquillità un equilibrio al loro interno, che gli permetta di rafforzare il proprio potere impegnando il nostro paese in pericolose avventure. Noi vogliamo rappresentare la forza politico nazionale a tutti quei settori sociali, a cominciare dalla classe operaia, che devono opporsi alle ambizioni imperialiste della borghesia italiana.

No all’adesione italiana allo Sdi. No alla politica di gendarmeria nel mediterraneo. Fuori l’Italia dalla Nato. Costruiamo l’unità dal basso intorno alla classe operaia di tutte le forze contrarie al neo-autoritarismo dei governi borghesi.

UNIONE DEI COMUNISTI COMBATTENTI

Roma 20-3-87

 

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996 pp. 559-572

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