Roma: Lettera aperta al movimento rivoluzionario. Collettivo Wotta Sitta

In occasione della celebrazione a Napoli del processo “Cirillo-Camorra-Servizi Segreti-Unità”, la corte ha convocato come testimoni alcuni compagni del nostro collettivo, i quali hanno rifiutato questo ruolo ed hanno respinto la provocazione. A questo proposito inviamo una lettera aperta al movimento rivoluzionario.

 

Compagni,
la controrivoluzione è da sempre un dato stabile del rapporto tra imperialismo e rivoluzione e si ridefinisce continuamente nel divenire dello scontro di classe.

In questi anni, con il concretizzarsi di una dialettica unitaria tra le forze rivoluzionarie in Europa Occidentale, questi attacchi si fanno più mirati inserendosi nelle difficoltà e contraddizioni che la nuova dimensione dello scontro produce nel percorso rivoluzionario.

Nel tentativo di delegittimare le avanguardie rivoluzionarie la controrivoluzione aggredisce sia l’insieme del movimento rivoluzionario sia le organizzazioni che si attivano in questo scontro come pure i singoli comunisti che fuori o in carcere sostengono l’iniziativa rivoluzionaria.

I fatti parlano chiaro: l’imperialismo da una parte attacca militarmente le organizzazioni rivoluzionarie che in Europa hanno radicato la lotta armata per il comunismo, e in particolare in Italia tenta di scompaginare le BR-PCC, l’organizzazione che in questi anni ha mantenuto aperta l’iniziativa; dall’altra ridà fiato al progetto di soluzione politica della lotta armata, parte integrante della strategia di pacificazione sociale in diversi paesi europei (Italia, RFT, Spagna, Portogallo…).

Questo progetto che va avanti da anni, in Italia è uscito chiaramente allo scoperto quando circa un anno fa i prigionieri soluzionisti hanno concordato, direttamente con il direttore generale delle carceri Amato, una sistemazione carceraria più comoda e stabile, in cambio di una esplicita condanna della lotta armata e di una garanzia comprovata di lealtà e affidabilità, assicurandosi così la certezza di uscire definitivamente dal circuito speciale, e diventando elemento di differenziazione rispetto agli altri prigionieri.

Continuando lo sporco lavoro di questi anni, sul loro foglio di propaganda controrivoluzionaria “Anni ’70”, hanno lanciato un appello alla resa a tutti i rivoluzionari prigionieri e non, attaccando tutti quelli che continuano a combattere e a sostenere la lotta armata.

È evidente come per questi ex rivoluzionari, ormai aperti apologeti del capitale e della legalità borghese, l’attacco all’intera esperienza rivoluzionaria italiana diventi nei fatti merce di scambio nella trattativa con lo Stato e mezzo per rientrare a pieno titolo nella società civile.

Oggi il percorso della soluzione politica è arrivato ad una svolta significativa. Abbandonata la velleità di essere rappresentanti di tutti i prigionieri politici, questi ex rivoluzionari hanno preso risolutamente la strada che già fu della precedente ondata di dissociati con le “aree omogenee”. Si sono posti cioè come polo stabile di attacco alla lotta armata e alla iniziativa rivoluzionaria nel suo complesso diventando la personificazione della memoria compatibilizzata dello scontro degli anni ’70 e della ideologia della sconfitta contro la pratica presente dei comunisti.

Tramite il loro contributo attivo lo Stato cerca di far diventare la prospettiva della lotta armata per il comunismo esclusivamente una questione di “reduci”. Questione che potrebbe “anche” essere risolta consentendo a questi arresi e al loro contorno di riguadagnare la libertà e così riscuotere il premio per la loro “battaglia”!

In questo contesto, già fortemente intossicato dai messaggi borghesi di pacificazione e delegittimazione della pratica rivoluzionaria, si fanno vivi anche i neorevisionisti fautori dell’amnistia con vari interventi pubblici – da quello collettivo presentato al Forum Internazionale per l’amnistia di Lisbona del settembre ’88 al recente show televisivo di Gallinari per conto di tutti – in cui pretendono di parlare a nome delle BR e arrivano a dichiarare, dal carcere, finita la lotta armata, affermando che «oggi le BR coincidono con i prigionieri», e cercando di appropriarsi pomposamente di questa esperienza.

Questi signori non fanno altro che portare acqua al mulino del progetto borghese di pacificazione sociale, tentando di far confusione sull’esperienza rivoluzionaria e attaccando l’attuale pratica dei militanti rivoluzionari.

Nella loro smania di autoproclamarsi rappresentanti dell’intera esperienza delle BR si incaricano di dichiarare estranei ad essa (!) i compagni che all’esterno continuano a combattere e si propongono di portare questa esperienza “sul terreno della lotta politica”.

Oltre a questa grave provocazione, essi non esitano ad attaccare tutti quei prigionieri che sostengono la lotta armata, portando agli estremi la loro logica deleteria, e non si fanno scrupolo di ricorrere alla menzogna facendo il verso alla borghesia.

Essi affermano tra l’altro che le BR-Partito Guerriglia sarebbero state “un gruppo” che si è posto fuori dalla esperienza delle BR e che avrebbe gettato “discredito” su di esse.

Non è la prima volta che si sentono simili calunnie.

Da diversi anni ogni volta che si parla delle BR-PG, questo percorso viene descritto dalla borghesia come denso di episodi ambigui, di collusioni con forze occulte e cose simili, soprattutto in merito a particolari fatti.

La borghesia imperialista, per rendere più efficaci i suoi attacchi alla soggettività rivoluzionaria, da sempre costruisce scenari basati sul modello della guerra psicologica, in cui il processo rivoluzionario e le sue singole pratiche vengono mistificati e presentati come un insieme di complotti, collusioni, lotte fra fazioni e personaggi. Personaggi su cui viene ritagliato un ruolo di capo o addirittura di rappresentante di un’intera storia collettiva.

Questa “celebrazione dell’identità individuale”, propria del sistema di valori della borghesia, viene costruita ad arte come mistificazione della prassi rivoluzionaria per attaccare l’identità collettiva dei percorsi rivoluzionari ed è una trappola in cui vediamo cadere negli ultimi tempi anche i fautori di soluzioni ed amnistie!

Gli scenari costruiti dalla guerra psicologica contro la lotta armata fin dal suo inizio sono ormai un classico.

Dagli slogan del PCI «le Brigate Rosse sono nere», alle provocazioni dei Servizi tedeschi contro l’esperienza della RAF, etichettata come “banda” fin dal suo nascere, alle farneticazioni sul “Grande vecchio” e sulla Campagna di Primavera, con al centro la cattura di Aldo Moro «concepita e guidata da potenze straniere e lobbies occulte», all’attacco concentrico e accanito contro i compagni francesi di Action Directe presentati come «belve senza alcun scopo politico», fino alla Campagna Cirillo «inquinata da un accordo tra BR, esponenti della camorra e servizi segreti», e così via.

Questa strategia, portata avanti da magistrati, forze antiguerriglia e giornalisti, fa parte stabilmente dell’armamentario della controrivoluzione.

A ciò si aggiunge la sorda lotta, in atto ormai da molti anni, tra fazioni politiche borghesi, partiti e apparati dello Stato come effetto del vasto processo di rifondazione dello Stato e della democrazia borghese. Una vera e propria guerra che si manifesta in continue campagne mass-mediate e scontri di potere che trovano spesso spunto nelle contraddizioni aperte dallo scontro rivoluzionario degli ultimi venti anni.

Si genera così un continuo riprodursi di “casi”, costruiti ad hoc sugli episodi della lotta armata, che vengono usati nello scontro tra partiti e tra istituzioni dello Stato.

Esiste una vasta letteratura di questo “genere”, costruita a tavolino da specialisti del settore e arricchita con le veline delle questure, dei servizi segreti e con le dichiarazioni degli infami.

Un esempio tra i tanti è l’insieme di ricostruzioni allucinate contenute nel libro dell’“esperto dietrologo” del PCI Flamigni, “La tela del ragno”, o le periodiche interrogazioni parlamentari del “detective” radicale Teodori. Quello che appare ormai evidente è che l’attività di questi provocatori non risponde ormai solo ad un ruolo politico per quanto miserabile sia, ma anche agli interessi di veri e propri affari editoriali e giornalistici. Affari in cui si sta distinguendo ultimamente il nuovo settimanale scandalistico Avvenimenti, alla ricerca di sempre “nuove esclusive”, per non parlare del settimanale L’Espresso!

Nel concreto, tutte queste dinamiche si traducono in una mistificata ricostruzione “ad uso della borghesia” dello scontro di classe di tutti questi anni, e tentano di distruggere la memoria rivoluzionaria, riducendo il tutto ad una sequela di casi estrapolati dal loro contesto storico reale.

È un’opera di falsificazione ed intossicazione tesa ad usare la storia della lotta armata, ricostruita dagli esperti dell’antiguerriglia e dai mass media, contro il presente e il futuro del processo rivoluzionario.

Su questo terreno vediamo da qualche tempo sguazzare anche i prigionieri ex rivoluzionari fautori della pacificazione.

Il disorientamento e la confusione che questi diversi messaggi ed iniziative possono generare all’interno della classe ci spingono a precisare alcune questioni al movimento rivoluzionario per porre elementi di chiarezza, ben coscienti che con l’approfondirsi dello scontro gli attacchi contro i comunisti si ripeteranno e si moltiplicheranno.

A proposito delle BR-PG

L’esperienza del PG si è sviluppata all’interno della pratica delle BR ed è parte del complesso e contradditorio dibattito che ha attraversato questa organizzazione alla fine degli anni ’70 con il manifestarsi apertamente della sua crisi di progetto politico. Questo percorso ha preso corpo a partire dalle indicazioni della Risoluzione della Direzione Strategica del 1980 e dal rilancio della iniziativa concretizzatosi con la Campagna D’Urso, e successivamente con le Campagne dell’81, definendosi formalmente nella rottura dell’unità politico-organizzativa delle BR alla fine dello stesso anno. Rottura da cui sono scaturite due organizzazioni distinte le BR-PCC e le BR-PG.

Non è questa la sede per entrare nel merito politico complessivo dell’esperienza del PG, che – come è noto – è finita nel novembre del 1982 con la sconfitta politico-militare. La riflessione critica che portiamo avanti su questa esperienza non può che svilupparsi sul terreno concreto dello scontro di classe, l’unico che può fornire gli strumenti adeguati per comprendere limiti ed errori del passato e riqualificare la propria militanza rivoluzionaria. Qui ci limitiamo a ribadire come sia assolutamente fuori dalla storia, e per giunta una falsità, mettere in discussione l’internità del percorso del PG all’esperienza delle BR, al senso che le ha guidate fin dal principio come alle contraddizioni che le hanno attraversate.

A proposito della Campagna Cirillo

Questa Campagna, come è noto, si colloca all’interno dell’offensiva politico-militare che le BR, pur tra limiti e contraddizioni che le attraversavano, realizzarono nel 1981, in diversi poli metropolitani (Sandrucci, Taliercio, Peci fino a Dozier) per cercare di adeguare l’iniziativa rivoluzionaria ai nuovi livelli di complessità dello scontro.

Il perdurare in questi anni di operazioni mass-mediate volte a svuotare di contenuti rivoluzionari questa pratica guerrigliera trova le sue cause nel dato politico che l’ha caratterizzata e nel contesto congiunturale in cui si è espressa: l’attacco destabilizzante al sistema di potere della Democrazia Cristiana e ai piani di ristrutturazione della borghesia imperialista da una parte, e le contraddizioni intrinseche alle istituzioni statali e al sistema dei partiti dall’altra.

Questa destabilizzazione e queste contraddizioni si sono manifestate – per poi esplodere – fin da subito nel pieno della Campagna con il frenetico agitarsi di partiti e di servizi segreti alla ricerca di impossibili contatti con le BR attraverso “la camorra” e qualche suo noto personaggio in carcere. Come col tentativo di allacciare un qualche rapporto con i prigionieri militanti delle BR. Tentativo notoriamente fallito sul nascere perché respinto dai compagni.

Questa verità è talmente solida che neppure nelle numerose e chilometriche istruttorie processuali, costruite con gli infami, la magistratura è riuscita a suffragare questo cumulo di sporche calunnie.

Al contrario sono emerse tutte le connessioni e gli intrecci tra istituzioni dello Stato ed esponenti politici con servizi segreti e ambienti della cosiddetta “camorra”. Questa ridicola farsa si riproduce ormai da anni in un continuo regolamento di conti tra partiti ed apparati e non ha niente a che fare con la pratica dei rivoluzionari.

A proposito delle montature dei servizi segreti

Un’altra questione che vogliamo affrontare riguarda il castello di falsità che ormai da anni viene costruito su di un compagno del nostro collettivo e su fantomatici rapporti con i servizi segreti.

Questo tipo di attacco trova origine anch’esso nella strategia controrivoluzionaria che fin dall’inizio della lotta armata la borghesia ha portato avanti in Italia, e nelle guerre interne tra apparati dello Stato.

Dalle operazioni finalizzate all’infiltrazione nelle BR e alla cattura di militanti, fino alla pianificazione di vere e proprie campagne di denigrazione costruite su singoli compagni per delegittimare l’intera esperienza di cui fanno parte.

In particolare, in questi ultimi anni, la controrivoluzione ha costruito un’operazione mass-mediata tendente a presentare il nostro compagno Giovanni Senzani come “uomo dei servizi segreti”.

A questo fine vengono tirati in ballo diversi episodi. Da quello completamente inventato dall’infame Buzzatti relativamente ad un incontro avvenuto ad Ancona tra il compagno ed un esponente dei servizi, alla falsa ricostruzione delle modalità e dei contenuti dei rapporti tra l’organizzazione e rivoluzionari di altri paesi, fino al cosiddetto “patto BR-servizi-camorra” intorno alla Campagna Cirillo.

L’inattendibilità di simili ricostruzioni, oltre che dalle innumerevoli e sconclusionate versioni che a seconda dei casi vengono presentate dai mass media, è dimostrata dalle stesse affermazioni contrastanti e pilotate dei traditori.

L’infame Buzzatti, ad esempio, nelle istruttorie e nei processi in cui di volta in volta ha parlato dell’incontro “misterioso” di Ancona “noto solo a lui”, ha individuato una prima volta un esponente del KGB, poi del SISMI, poi del SISDE per finire chissà perché col riconoscere improvvisamente, col passare dei mesi, il noto Musumeci! Chiacchiere a cui nessuno dei menzionati potrebbe mai fornire una qualsiasi base verificabile.

Anche nel processo-sceneggiata di Napoli sugli intrecci tra “servizi-camorra-apparati” al tempo della Campagna Cirillo e sulle invenzioni del giornale l’Unità – per fare un altro esempio – risulta palese la completa estraneità delle Brigate Rosse e di ogni singolo militante a quell’incredibile “balletto di Stato”.

Rispetto a tutto questo, a questo insieme di falsità, diciamo a chiare lettere che nelle BR, come nell’insieme della nostra esperienza, non sono mai esistite gestioni di rapporti politici a livello individuale. Ogni rapporto tra le BR e altri rivoluzionari è sempre stato frutto di decisioni politiche e responsabilità di strutture collettive di organizzazione.

Dentro questa dimensione di militanza rivoluzionaria non c’è posto per intrighi ed intrallazzi di alcun genere!

Non ci sono lati oscuri o “misteri” nella storia e nella pratica delle BR nel loro complesso e del PG in particolare: l’esperienza della lotta armata in Italia è patrimonio di tutto il movimento rivoluzionario, e in tutti questi anni, nonostante il grosso sforzo della controrivoluzione, nessuno ha potuto riscontrare alcun episodio concreto riguardante rapporti con servizi segreti italiani o di altri paesi, o con “faccendieri” di varie specie.

Questi sono solo alcuni elementi di chiarezza e di precisazione sulle non poche iniziative controrivoluzionarie della borghesia.

In realtà nessuno dà alcun credito a storielle ormai destituite di alcun senso, e l’uso che ne vien fatto sui media è semplicemente finalizzato ai bisogni della guerra psicologica contro le forze rivoluzionarie e i singoli comunisti; questa è ormai una dimensione stabile e continua di attacco a tutti i militanti delle organizzazioni rivoluzionarie in Europa.

Per noi comunisti, come singoli e come collettivo di prigionieri, i punti di riferimento sono sempre la classe e il movimento rivoluzionario. Il nostro è un processo di costruzione collettiva. E per i comunisti – insegna Che Guevara – conta il noi collettivo, in cui ogni singolo si riconosce e per cui combatte la borghesia, l’imperialismo e il suo sistema di valori.

Per tutto ciò, questa lettera non è una risposta ai messaggi borghesi e alle iniziative provocatorie di ex rivoluzionari e mestatori – il cui ruolo nell’amplificare le calunnie borghesi e nel farsene portatori però non mancheremo di denunciare sempre al movimento rivoluzionario – al contrario, vuole essere un momento di chiarezza per rinsaldare i legami di solidarietà di classe e per rafforzare l’unità dei rivoluzionari, che è il terreno politico fondamentale su cui oggi sono impegnati i comunisti e le forze rivoluzionarie.

La coscienza rivoluzionaria si rafforza in un processo di lotta-critica-trasformazione attraverso il contributo militante di ogni comunista nella battaglia contro l’ideologia borghese, contro le tendenze opportuniste, liquidazioniste e revisioniste presenti nella classe. Questa battaglia è parte inscindibile della lotta rivoluzionaria contro l’imperialismo per l’emancipazione del proletariato.

Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta

Roma, luglio 1989

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