Firenze, processo alla Brigata “Luca Mantini” – Documento di Maria Cappello e Fabio Ravalli allegato agli atti all’udienza del GIP

Le dinamiche della crisi di sovrapproduzione di capitali e, sul piano politico la rottura degli equilibri Est/Ovest in un approfondimento della tendenza alla guerra, sono i fattori oggettivi che impongono ai singoli Stati a capitalismo avanzato di misurarsi e dare risposte adeguate al procedere della crisi economica stessa e all’incalzare delle spinte guerrafondaie che, nel contesto internazionale, si sviluppano con sempre più gravi e concreti eventi bellici; ciò anche per ritagliarsi la migliore posizione possibile all’interno dei processi d’integrazione economica, politica e relativa gerarchizzazione della catena imperialista. Un contesto internazionale che accelera e influenza in parte i caratteri della stessa ridefinizione della mediazione politica fra le classi, avviata da tempo in Italia attraverso il processo di rifunzionalizzazione dello Stato per renderlo in primo luogo idoneo agli attuali livelli d crisi/sviluppo dell’imperialismo e ai corrispettivi termini di governo del conflitto di classe.

Questo movimento rende evidente il grado di crisi politica in cui si dibatte la borghesia imperialista nostrana. Il processo di “riforma dello Stato” costituisce quindi, anche in questa fase, la contraddizione politica dominante che oppone la classe allo Stato, più precisamente oggi entra nella sua piena fase di concretizzazione possibile, ampiamente accelerata dal precipitare della crisi a livello internazionale. Una accelerazione di carattere contradditorio ai fini della stessa rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti dello Stato, per le misure economiche e politiche che si impongono alla stessa frazione dominante di borghesia imperialista che lasciano ben pochi margini di manovra, i quali si riflettono in misure e strappi istituzionali di carattere autoritario mal governati e di breve respiro, che di fatto ritardano la realizzazione degli equilibri politici di governo idonei al varo di un disegno organico nella rifunzionalizzazione dello Stato.

Un processo questo, che nel corso degli ultimi anni ha maturato attraverso forzature laceranti nelle relazioni fra le classi (la controrivoluzione degli anni ’80 e i patti neocorporativi) la condizione politica di base per stabilizzare metodi di governo ed esecutivi sufficientemente stabili nell’esercizio dei loro poteri, pur in presenza di labili equilibri politici nelle relazioni fra le classi che nello stesso governo. È intorno al modo di governare il paese che sono stati definiti sostanziali passaggi nell’esecutivizzazione e verticalizzazione dei poteri, in cui l’accentramento dei poteri nell’Esecutivo si è rivelato come l’aspetto fondamentale delle riformulazioni indotte dalla stessa pratica di governo dei “fatti compiuti” portata avanti in questi anni da diversi esecutivi che si sono succeduti nella guida del paese. L’accentramento dei poteri nell’Esecutivo è nei fatti l’asse politico su cui ruotano le possibili risoluzioni, su un rinnovato piano formale, degli strappi istituzionali, in parte verificatisi per paradosso dagli effetti di questa stessa dinamica politica accentratrice, a sua volta derivata dall’incapacità di saldare e stabilizzare quegli equilibri politici e di forza dei rapporti tra le classi sul piano istituzionale, nonostante il ricorso a politiche di contenimento del conflitto di classe di carattere marcatamente controrivoluzionario e antiproletario, riflesso evidente della debolezza e crisi politica in cui verso la borghesia imperialista nostrana. Ciò è dovuto anche alla combattività della classe operaia ed all’attività delle Brigate Rosse che colpendo di volta in volta il personale più significativo nel sostenere l’equilibrio politico funzionale alla realizzazione di un dato progetto borghese, lo ha fatto puntualmente arretrare.

La dinamica politica prodotta dalle contraddizioni economiche e sociali si traduce in scelte politiche indirizzate ad un irrigidimento complessivo della mediazione politica, ad una contraddittoria erosione dei suoi margini anche in riferimento agli assi costituzionali della democrazia borghese, per ricercare quella che con aggettivo apologetico viene chiamata, dai propri fautori, “democrazia governante”. O meglio, capacità di decidere sulle questioni fondamentali senza dover incappare negli orpelli istituzionali che formalmente rappresentano la dialettica democratica nell’ambito della costituzione italiana. Un processo politico e una linea di indirizzo della borghesia imperialista che pur trovando sviluppo concreto dall’esigenza dell’attuale crisi congiunturale rappresenta per essa uno sviluppo della propria “democrazia”, delle sue forme di dominio, nel rafforzamento della sua dittatura di classe.

Il ruolo dei partiti resta fondamentale a dispetto della campagna demagogica in corso contro la “partitocrazia”, la quale risponde alla duplice esigenza di rifunzionalizzare i partiti alle nuove esigenze democratico borghese ed alla gestione di massa e populista a favore della cosiddetta “democrazia governante”. L’attuale campagna “moralizzatrice” ha le sue esclusive ragioni nel consenso forzoso verso un diverso rapporto con gli enti locali dettato dalla necessità di centralizzazione dei bilanci e, come già detto, verso metodi di governo fortemente centralizzati.

Ecco la voglia di cambiamento della borghesia imperialista!, ben rappresentata dall’attuale Esecutivo Amato che, al di là del ruolo tragicomico che egli si è costruito con il suo personale stile dirigista e interventista, in una continua drammatizzazione proporzionale all’inconcludenza dei “grandi disegni” di cui si proclama portatore (in questo specchio fedele della crisi politica della classe che rappresenta), è l’Esecutivo chiamato a tentare di portare a compimento quel processo di centralizzazione effettiva, con sanzione formale, dei suoi poteri rispetto agli attuali assetti istituzionali dello Stato e in principal modo verso il governo del conflitto di classe. Una sanzione formale che nell’intento dovrebbe essere realizzata con nuove regole elettorali, a questo fine la ricerca di stabili equilibri politici fra i partiti attraverso la Commissione De Mita.

L’obiettivo tanto auspicato dalla borghesia imperialista, quanto nella realtà utopico, è quello di sganciare l’azione di governo dalle contraddizioni prodotte dal conflitto di classe. Nella realtà questo obiettivo ha il suo limite nel suo stesso procedere, se per un verso il suo ambito d’azione ha una relativa linearità finché si svolge al’interno dei poteri formali dello Stato, per l’altro manifesta l’impossibilità di “istituzionalizzare” il conflitto di classe. Questo perché la sua istituzionalizzazione deriva dai rapporti di forza reali fra le classi perciò è il prodotto delle risultanze possibili e non di quelle prospettate e sempre in termini relativi. La momentanea stabilità realizzata nell’azione di governo non fa che riprodurre e ampliare le contraddizioni di classe preesistenti, solo formalmente accantonate, ma nella realtà solamente irreggimentate all’interno di regole saldamente in mano alla borghesia imperialista. In questo, in ultima istanza, si risolve la rifunzionalizzazione dello Stato in atto. Il Consiglio dei Ministri ristretto che funziona come organo decisionale attraverso l’ormai regola ordinaria dei decreti legge e il ricorso alla fiducia, sono la procedura con la quale vengono rifunzionalizzate le competenze e il ruolo del Parlamento intorno alle prerogative ed ai poteri dell’Esecutivo.

Le richieste di attribuzione di poteri eccezionali per decretare sulle principali questioni attinenti alla vita del paese, se da un lato dimostrano l’arroganza politica della “richiesta” in sé e, nei fatti, la debolezza politica della repubblica parlamentare, dall’altro sostanzialmente manifesta lo stato di necessità, per proprie contraddizioni, in cui operano le scelte della borghesia e del suo Stato, e i livelli di attribuzione dei poteri assestati nell’esecutivo che, per come vengono esercitati, rompono gli ultimi “legacci” istituzionali e costituzionali propri del funzionamento della Prima Repubblica. Alla concentrazione dei poteri nell’Esecutivo viene attribuito un potere taumaturgico nei confronti della crisi in cui versa la borghesia imperialista in presenza di fragili equilibri politici fra le classi, un’unica risposta che la borghesia ha per avere ampi margini istituzionali di manovra per dare corso ai propri programmi. Un operato inserito nel più generale processo di superamento della strutturazione costituzionale dello Stato affermatosi dal dopoguerra ad oggi. Un processo in atto che si sviluppa su tutti i piani delle relazioni fra le classi e procede attraverso strappi progressivi e riassetto degli organi istituzionali preposti, strappi e riassestamenti che riflettono le condizioni politiche e materiali nei rapporti di forza tra le classi, da cui questo stesso processo in ultima istanza deriva. Sul piano politico-istituzionale è evidente lo squilibrio tra accentramento dei poteri nell’Esecutivo e la difficoltà di riformulazione e funzionamento degli strumenti della democrazia rappresentativa e il contrasto tra rappresentanze istituzionali, sedi politiche preposte e conflitto reale nel paese.

Per cui il perseguimento della rottura degli assetti della Prima Repubblica non può che avvenire parallelamente alla sostanziale ricerca di modifica delle relazioni politiche fra le classi per ricollocarle sul piano formale in maniera funzionale alle esigenze attuali della borghesia imperialista, cioè avere la possibilità di assestare le forme del potere e gli assetti istituzionali che evolvono verso la nascita di una Seconda repubblica.

In questo senso ben si colloca il recente accordo triangolare sul costo del lavoro, e non solo per la decurtazione del salario, ma soprattutto per le implicazioni politiche che tale misura d’imperio provoca nelle relazioni fra le classi. Per parte della CGIL rappresenta il naturale sbocco della stagione di collaborazione sancita con la “svolta dell’EUR” e su questa linea corona la sua corporativizzazione, perciò non vi è nessuna variazione d sostanza nella politica sindacale. Gli stretti margini di manovra sindacale che questa linea ha provocato è un problema di legittimazione per la CGIL, che però non inficia affatto le scelte operate, ampiamente compensate dal ruolo di apparato burocratico che si è “ritagliata”. Di ben altro tenore è invece l’impatto politico sulla classe e di riflesso nella vita politica del paese, poiché le misure del 31 luglio si distanziano dai numerosi “accordi capestro”, pur inserendosi nel medesimo solco, rappresentando un ulteriore avanzamento dei famigerati Patti Neocorporativi. Queste misure rappresentano il tentativo di sancire lo Stato neocorportativo. Il quale sulla base tutta formale di una delega presunta dalle stesse regole della democrazia rappresentativa e non da soggetti reali aspira a marginalizzare dalla vita politica la parte sociale più significativa della società la Classe Operaia, la classe produttiva per eccellenza sulla quale pesa l’onere dell’economia capitalista e della reale ricchezza prodotta così da legare la parte viva del lavoro a pura variabile del capitale e piegarla alle sue esigenze di “risanamento economico”. Quindi il nocciolo politico dell’accordo di luglio risiede nel tentativo di incidere sulla base reale delle relazioni fra le classi e in questa direzione è premessa indispensabile ai poteri eccezionali “richiesti”.

Sul piano economico tale accordo è la spina dorsale delle politiche recessive adottate dal governo, in quanto le politiche monetarie sono solo dei correttivi artificiosi che non incidono affatto sulla natura della crisi e anzi si traducono in movimenti speculativi con risultati opposti a quelli auspicati. Un accordo quello di luglio che è pienamente inserito nelle politiche di bilancio le quali mirano ad un impoverimento generalizzato così da generare un abbassamento drastico del salario reale, per poter sostenere la concorrenza intermonopolistica e in particolare quella intereuropea. Il fatto che l’economia capitalista mostri chiaramente di scivolare sempre più nella depressione economica e che gli accordi sovranazionali e i correttivi messi in campo mostrino la loro inconcludenza, evidenzia come i sacrifici richiesti siano fini a se stessi data l’impossibilità da parte borghese di riuscire con strumenti “ordinari” a far fronte alla propria crisi che spinge inevitabilmente verso lo sbocco bellico come risoluzione ultima della sovrapproduzione di capitali.

Queste politiche economiche e politiche istituzionali collocate in un contesto internazionale che marcia oggettivamente e soggettivamente verso lo scatenamento bellico, vengono puntellate e sostenute dalle cosiddette “emergenze”, vere e proprie politiche mirate a costituire il collante ideologico e a favorire l’irreggimentazione della mediazione politica. Il ricorso “all’emergenza” dell’ordine pubblico (oggi chiamato “criminalità”) è una costante nel rapporto con il proletariato da parte della borghesia nelle diverse fasi di transizione che hanno caratterizzato la ricerca della governabilità e della “stabilità democratica” in Italia, basti ricordare l’adozione della politica delle stragi caratterizzante l’evolversi della Prima Repubblica.

Il dato nuovo che oggi emerge nella adozione di tale politica è che essa svolge la sua azione in riferimento ad obiettivi che travalicano in parte la stretta relazione con la classe. Obiettivi di carattere più generale che rispondono a quel quadro di interessi dominanti della borghesia imperialista come la costituzione di monopoli intereuropei e il ruolo geostrategico assegnato allo Stato italiano e in parte anche conquistato rispetto al progredire di fattivi eventi bellici degli organismi politico-militari della NATO e UEO. Esemplificativo in questa direzione è stato il passaggio tutto politico di assegnazione ai militari di funzioni di “Polizia Giudiziaria” e di ordine pubblico, un dato che oltre a modificare il ruolo delle Forze Armate dettato dalla costituzione per quanto marginale, è un aperto strappo nelle relazioni con la classe il cui portato politico va ben oltre la dislocazione sul territorio di alcune migliaia di soldati: un nuovo soggetto viene apertamente instaurato nella relazione classe-Stato, le Forze Armate!

Questo l’elemento politico dominante del nefando decreto legge. Un’attuazione derivata dai rapporti di forza, infatti il tentativo di “coinvolgere” l’esercito in funzione di Polizia Giudiziaria risale agli anni ’50 e solo la resistenza operaia e proletaria riuscì a demolire tale progetto. L’attuale dislocazione dei militari ha perciò una qualità nuova anche rispetto alla funzione di controllo del territorio assegnatagli durante l’aggressione al popolo iracheno pur inserendosi nel medesimo indirizzo. Infatti anche se secondaria rispetto al dato politico sopra esposto, l’assegnazione di questa funzione e la sua dislocazione sul terreno obbedisce alle linee politico-miltari della NATO in relazione alla nuova dottrina detta “presenza avanzata”, nonché alla necessità posta alle Forze Armate dai nuovi e fattivi scenari bellici di riqualificare e professionalizzare l’esercito sulla direttrice dettata dal nuovo modello di difesa italiano che ricalca la dottrina NATO.

In sostanza si sta assistendo ad una serie di interventi apertamente coercitivi che più in generale vanno a pesare e si riflettono sul più complessivo clima politico-generale dello scontro, contribuendo a definire il terreno su cui si giocano i termini di relazione fra campo proletario e Stato in questo momento. In quanto tendono a stabilire un rapporto con il contesto del conflitto di classe da parte dello Stato che permetta di gravare ed intervenire sullo stesso in modo costante e decisivo. E ciò a maggior ragione in una fase in cui all’interno di un quadro di polarizzazione oggettiva dei rapporti fra le classi e di una condizione prebellica emergono con chiarezza tutti i tratti di instabilità e crisi della borghesia imperialista e di converso maturano e trovano terreno di sviluppo i termini possibili e necessari delle potenzialità rivoluzionarie che dalle premesse storiche maturate nel corso della lotta di classe rivoluzionaria nelle metropoli, non può che presentarsi come guerra di classe rivoluzionaria portata avanti dall’avanguardia rivoluzionaria armata e dai settori più avanzati dell’autonomia politica di classe organizzati sulla strategia della lotta armata come dimostrato dalla pratica e progettualità delle BR. Una condizione che in termini concreti e prospettici, sul terreno dello scontro di classe, pone allo Stato la necessità di un intervento preventivo nel rapporto conflittuale che lo oppone al proletariato, a partire dal suo punto più alto (strategia della lotta armata), e del suo necessario governo di normalizzazione e contenimento, in una prospettiva di ricomposizione forzosa sul piano politico all’interno delle diverse forme di irreggimentazione lealista sugli interessi generali della borghesia imperialista, non ultima la prospettiva bellica. Una dinamica che comporta un conseguente sviluppo dei processi di controrivoluzione preventiva intorno cui vincolano gli stessi processi di rafforzamento dello Stato, strettamente connaturati alla sostanza antiproletaria e controrivoluzionaria di questi interventi.

Un procedere intorno a cui si sono anche date una serie di modificazioni sostanziali rispetto alla piena funzionalizzazione degli organismi coercitivi dello Stato intorno all’operato dell’Esecutivo. Una serie di modifiche che ovviamente non attengono all’espressione organica di uno “Stato di polizia” o alla “miltarizzazione della società”, ma in realtà sul piano delle trasformazioni delle relazioni fra i vari apparati dello Stato riflettono principalmente quel processo di accentramento e verticalizzazione del potere nell’Esecutivo in quanto concentra le leve di questi strumenti e apparati nelle mani del governo stesso che ne centralizza gli indirizzi, le funzioni e le competenze, all’interno del più complessivo quadro di rafforzamento del regime.

Una dinamica controrivoluzionaria del resto tanto più evidente di fronte agli scenari di guerra che fanno da sfondo e accompagnano i passaggi della crisi del sistema imperialista. Un piano su cui lo Stato italiano ha maturato significativi salti di qualità nella capacità di intervento diretto sui principali teatri bellici, funzionale all’escalation delle politiche aggressive del complesso della catena imperialista. Un ruolo che non solo ha superato i limiti di un intervento prettamente politico-diplomatico o di semplice sostegno militare in un quadro concordato di ruoli e competenze fra i diversi paesi imperialisti propri della fase precedente, ma più sostanzialmente in questa fase internazionale, caratterizzata da un approfondirsi della tendenza alla guerra imperialista, e lo stesso intervento in Yugoslavia sta a dimostrarlo, si va sempre più sostanziando per un ruolo direttamente interventista assunto in prima persona, che d’oltre modo porta in luce il proposito di una politica di potenza da estendere sulle sue “naturali e storiche” aree di influenza, al fine di ritagliarsi un proprio spazio nel complesso della catena imperialista.

Una dinamica guerrafondaia che a maggior ragione presuppone la ricerca di un contesto di scontro fra le classi interno totalmente pacificato. Un contesto di scontro che nella realtà, ben al di là delle velleità borghesi, a tutt’oggi costituisce il limite politico con cui lo Stato deve misurarsi, per la resistenza opposta dal campo proletario alle sue scelte. Iniziative belliciste che riversandosi all’interno dello scontro di classe del paese non fanno che acutizzare ulteriormente le contraddizioni, polarizzando maggiormente gli interessi di classe e influendo sul modo stesso con cui lo Stato si relaziona al campo proletario. Una dinamica questa che ulteriormente si riversa sul potenziamento di tutti i meccanismi e strumenti di controrivoluzione preventiva e in ultima istanza sugli stessi processi di riforma dello Stato.

È proprio quindi a partire dal contesto materiale di scontro che oppone il campo proletario allo Stato nel segno delle sue politiche apertamente antiproletarie, controrivoluzionarie e guerrafondaie che si evidenzia il carattere di classe della lotta in corso. Un carattere segnato da un “attacco organico” da parte della borghesia imperialista alla classe, in quanto per la sua vastità e profondità investe tutti i piani e aspetti delle relazioni fra le classi, finalizzato nelle velleità borghesi a voler ricacciare ancora più indietro le posizioni politiche e di forza della classe.

Un passaggio controrivoluzionario che dal punto di vista di classe e rivoluzionario esprime al meglio la qualità politica dell’approfondimento del rapporto di scontro fra le classi e fra rivoluzione e controrivoluzione. Un approfondimento dello scontro sia sul piano politico-generale tra classe e Stato e sia su quello fra rivoluzione e controrivoluzione che sostanzialmente si situa in continuità con il contesto controrivoluzionario degli anni ’80. Un approfondimento del rapporto di scontro che si è delineato proprio a partire dalle risultanze politiche e materiali prodotte dalla controffensiva dello Stato nel decennio scorso che, pur producendo un arretramento delle posizioni di forza del campo proletario e un relativo ripiegamento della sua avanguardia rivoluzionaria, le BR, non è riuscita tuttavia né a produrre una normalizzazione e pacificazione effettiva del conflitto di classe e, in particolar modo, una “sterilizzazione” della capacità di espressione dei settori più avanzati dell’autonomia politica di classe; né tanto meno ad inibire il portato politico dell’attività delle BR all’interno dello scontro. Fattori politici questi che al contrario di un “esaurimento” delle condizioni del processo rivoluzionario si sono tradotte in un approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione. In particolar modo questo dato va messo in relazione a come la soggettività rivoluzionaria, le BR per la costruzione del Partito Comunista Combattente, hanno saputo affrontare in termini strategici e concreti i compiti politici derivanti dallo scontro, lavorando allo spostamento dei rapporti di forza fra le classi e contribuendo alla tenuta complessiva dello stesso campo proletario di fronte alla controffensiva dello Stato, rilanciando al contempo i termini e i terreni di sviluppo della guerra di classe rivoluzionaria, determinando una maggiore maturità e spessore alla stessa proposta rivoluzionaria.

La questione fondamentale che si è riaffermata all’interno della prassi delle BR è la forza determinante della strategia della lotta armata come asse portante e propulsiva del processo rivoluzionario e fattore strategico guida per lo stesso processo di riadeguamento intrapreso dalle BR nella fase della Ritirata Strategica rispetto all’assunzione del loro ruolo e funzione di direzione rivoluzionaria dello scontro. Per questo le BR nel mantenimento e riferimento costante alle discriminanti dell’impianto di asse, sia gli assi strategici che i presupposti cardine della guerriglia (strategia della lotta armata, unità del politico e del militare, clandestinità e compartimentazione, principi di costruzione del PCC, concezione della guerra di classe di lunga durata, …) hanno potuto ridefinire i compiti attuali inerenti alla conduzione della Guerra di Classe di Lunga Durata, anche grazie ad una più precisa definizione della condotta della guerra rivoluzionaria nelle metropoli in riferimento alle leggi che la governano. Una maturità della proposta politica che si è resa subito evidente nell’esplicazione dell’attività concreta messa in campo sui terreni programmatici, veri e propri assi strategici di combattimento, dell’attacco al cuore dello Stato e l’attacco alle politiche centrali dell’imperialismo. Ovvero misurando il proprio attacco contro i progetti dello Stato che si contrapponevano alla classe in termini dominanti nelle diverse congiunture, determinandone il loro relativo ripiegamento e nello stesso tempo lavorando per consolidare il grado di maturità raggiunto dallo scontro dentro al necessario termine politico militare e di organizzazione delle forze rivoluzionarie e proletarie sul terreno della lotta armata al fine di attrezzarle nello scontro prolungato contro lo Stato. Sia operando al rilancio dell’attività antimperialista in una pratica di combattimento indirizzata contro le politiche centrali dell’imperialismo e, intorno al criterio di una politica di alleanze con le altre Forze Rivoluzionarie dell’area, hanno lavorato concretamente alla costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista.

In particolar modo, asse discriminante della linea politica e strategica delle BR è l’attacco al cuore dello Stato che costituisce il solo modo, storicamente determinato, di procedere nella guerra di classe di lunga durata nelle metropoli e intorno a cui ruota la capacità di operare la direzione e l’organizzazione dello scontro rivoluzionario. E ciò a partire dalla considerazione che la questione dello Stato è questione fondamentale per i comunisti, e il suo abbattimento è un obiettivo imprescindibile al fine di conquistare il potere politico e instaurare la dittatura del proletariato. In questo senso le BR fanno propri i termini di fondo dell’analisi leninista dello Stato in rapporto a come questo esplica le sue funzioni a questo stadio di sviluppo dell’imperialismo per le diversità sopravvenute nelle sue forme di dominio. Analisi scientifica della macchina statale che risulta essenziale per centrare adeguatamente l’attacco per colpire al punto più alto dello scontro al fine di incidere sui rapporti di forza generali tra le classi. In questo senso per le BR non si tratta di coprire obiettivi “simbolici” o sviluppare la propria iniziativa a partire da un “punto qualsiasi” del rapporto di scontro tra le classi, bensì colpire quello che nella congiuntura è l’aspetto dominante della contraddizione principale che matura nel rapporto classe/Stato, le politiche centrali che riguardano direttamente la ridefinizione dei rapporti politici e di forza tra campo proletario e Stato, e le modalità di governo relative alla mediazione politica fra le classi.

Questo è il “cuore dello Stato”, un obiettivo altamente politico su cui si misurano gli stessi sviluppi del processo di guerra di classe di lunga durata e si costruiscono i termini dell’organizzazione di classe sulla lotta armata. Il giusto criterio affermatosi nella pratica rimanda alla capacità di riferirsi ai criteri di centralità, selezione e calibramento dell’attacco. Criteri che guidano l’attacco e la scelta dell’obiettivo e che saranno determinanti per molte fasi ancora nello scontro, perché è solo nella fase finale di Guerra Civile Dispiegata che lo Stato può essere attaccato contemporaneamente su più livelli.

L’iniziativa rivoluzionaria così indirizzata causa una ricaduta in termini di relativa crisi del quadro politico istituzionale che rimette parzialmente in gioco gli equilibri fra le classi, fino al piano capitale/lavoro. La disarticolazione del nemico non solo lo indebolisce, lo “danneggia”, lo costringe a ripiegare, certo non dai suoi obiettivi (rispondendo questi ad un carattere di necessità generale per la borghesia imperialista), ma nel percorso di assestamento dei successivi passaggi del progetto politico dominante; nello spostamento (relativo) dei rapporti di forza a favore del campo proletario, che l’attacco determina, si apre uno spazio politico che per non essere disperso deve essere sintetizzato in forza politica. Per le BR significa tradurlo in termini politico-militari, ovvero va trasformato in organizzazione di classe sul terreno della lotta armata, organizzando e disponendo sulla lotta armata le componenti proletarie e rivoluzionarie che si rendono disponibili, per attrezzarle a sostenere lo scontro prolungato contro lo Stato e far avanzare il processo rivoluzionario. È dentro questa dialettica “attacco-costruzione-organizzazione-attacco” che le BR si fanno carico di rappresentare gli interessi generali del proletariato ed operano per ricostruire le condizioni politiche e materiali per un equilibrio politico e di forza a favore del campo proletario, esplicando al contempo la funzione di direzione rivoluzionaria e facendo vivere in tutta la sua concretezza e il suo portato la strategia della lotta armata come proposta a tutta la classe;

Le iniziative di combattimento sviluppate sul terreno dell’attacco al cuore dello Stato hanno reso evidente la qualità stessa del riadeguamento intrapreso dalle BR durante la fase di Ritirata Strategica e al cui interno è stato possibile definire i termini di apertura della fase specifica di Ricostruzione, una fase che pur informata dai caratteri generali della fase di Ritirata Strategica e, presentandosi nel contesto della controrivoluzione, tale da influenzarne la dinamica di svolgimento, per le BR costituisce un elemento fondamentale di avanzamento della guerra di classe e termine prioritario su cui porre le basi per il mutamento dei rapporti di forza e passaggio politico necessario su cui si dà uscita sostanziale della Ritirata Strategica e dal mandato politico da essa posto. Per questo, per le BR, l’affrontamento della complessa fase di ricostruzione si pone come obiettivo programmatico fondamentale, implicando a partire dallo sviluppo dell’attività rivoluzionaria sugli assi programmatici di combattimento, una più precisa strutturazione e disposizione delle forze in campo per meglio attrezzarle allo scontro prolungato contro lo Stato, uno sviluppo della dialettica guerriglia/autonomia di classe adeguata a questo livello di approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione.

La fase di Ricostruzione definisce quindi le stesse modalità concrete entro cui si dà possibile e necessario sviluppare organizzazione di classe sulla lotta armata indirizzate sul duplice binario costruzione-formazione, tese a ricostruire nel tessuto di classe i livelli di organizzazione politico-militare necessari allo sviluppo dello lotta contro lo Stato, e formazione dei rivoluzionari stessi perché acquisiscano la dimensione dello scontro a partire dalla ricca esperienza accumulata dalle BR in questi venti anni. In altre parole la fase di Ricostruzione nel suo sviluppo e nelle sue finalità comporta l’attrezzare su tutti i piani le forze proletarie e rivoluzionarie alle condizioni dello scontro, al fine di ristabilire i termini politico-militari per nuove offensive. E ciò ha implicato per le stesse BR un salto qualitativo nella loro attività di direzione, attraverso il salto alla centralizzazione politica delle forze in campo intorno alla loro attività generale. Il salto alla centralizzazione politica significa che tutte le forze lavorino all’interno del piano generale di lavoro delle BR, al fine di muovere come un sol cuneo sugli obiettivi perseguiti in modo da incidere con tutta la forza nello scontro e dispiegare intorno a ciò tutta l’attività di costruzione-consolidamento dell’organizzazione di classe.

La capacità di esprimere questo livello di direzione in riferimento stretto alla costruzione del complesso dei termini della guerra di classe, operando nel giusto criterio del “Agire da Partito per costruire il Partito” ha sicuramente posto le basi per un avanzamento del processo di costruzione del PCC. In quanto per le BR il problema della costruzione del PCC non è inteso come atto volontaristico o in cui la semplice formulazione di tesi politiche e del relativo programma è vista come sufficiente per la costituzione dell’avanguardia in Partito. Sul piano di sviluppo della strategia della lotta armata, operando nell’unità del politico e del militare, il processo di costruzione del Partito marcia strettamente in rapporto alla capacità di costruire e far avanzare il complesso delle condizioni politiche e militari per il dispiegamento della guerra di classe. Più semplicemente il problema del Partito non è solo ricondotto alla mera disposizione intorno al programma, ma più concretamente a come esso vive in rapporto alla strategia della lotta armata, operando nell’unità del politico e del militare rispetto a tutti i suoi termini: dall’accumulo di forze rivoluzionarie e proletarie intorno alla costruzione dell’organizzazione di classe armata, alla costruzione della direzione politica su di essa, alla costruzione di quadri politico-militari in grado di affrontare complessivamente i problemi dello scontro rivoluzionario…

È quindi all’interno di questi criteri d’attività e all’interno del più complessivo processo di costruzione del PCC che le BR danno sostanza alla parola d’ordine dell’“unità dei comunisti”. Parola d’ordine che non è intesa come unità generica sulla lotta armata ma va intesa come processo che ha il suo riferimento intorno all’indirizzo strategico, politico e programmatico delle BR in stretto riferimento ai livelli teorici, politici e organizzativi che la stessa prassi delle BR ha attestato nello scontro rivoluzionario.

Altro asse programmatico su cui le BR dispiegano la propria attività è il piano dell’antimperialismo imperniato sullo sviluppo di una politica di alleanze contro il nemico comune, con le forze rivoluzionarie che operano nella nostra area geopolitica, ciò al fine di indebolire e ridimensionare l’imperialismo costruendo, all’interno del processo di costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista, i termini per offensive comuni contro le sue politiche centrali, condizione imprescindibile per dare sviluppo allo stesso processo rivoluzionario. Terreno programmatico anche questo intorno cui le BR costruiscono i termini politico-militari e di organizzazione di classe funzionali allo sviluppo della guerra di classe.

In sintesi ribadiamo che l’intera attività politico-militare delle BR, e in particolare i passaggi politici compiuti in questi ultimi anni, dimostra la valida applicazione della strategia della lotta armata alla realtà concreta del nostro paese sancendone il ruolo di direzione delle BR nello scontro rivoluzionario il Italia. Un dato questo da cui nessuno può prescindere che costituisce l’unica strada perché si dia avanzamento alla prospettiva di potere per il proletariato nel nostro paese.

– Attaccare e disarticolare il progetto di rifunzionalizzazione degli istituti e poteri dello Stato che nella fase attuale evolvono verso una Seconda Repubblica!

– Attaccare e disarticolare i progetti guerrafondai della borghesia imperialista nostrana che si attuano all’interno dell’alleanza imperialista!

– Organizzare i termini politico-militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata!

– Contribuire alla costruzione ed al rafforzamento del Fronte Combattente Antimperialista nella nostra area geopolitica, per combattere i progetti dell’imperialismo sulla linea della coesione europea, sia nei progetti di guerra diretti dalla NATO che si dispiegano in questo momento sulla regione mediterranea-mediorientale e lungo l’asse dei paesi dell’Est Europa!

– Guerra alla guerra, guerra alla NATO!

– Onore a tutti i rivoluzionari caduti combattendo l’imperialismo!

 

28/9/92

I militanti delle Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente: Maria Cappello, Fabio Ravalli

Fonte: senzacensura.org

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