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Il libro in edizione turca

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Tutto il ricavato ai prigionieri politici!

Ceylan

Arka Kapak  Yazısı

Kadınlar, bugün olduğu gibi dün de ezilenlerin özgürlük ve eşitlik mücadelesinin bir parçasıydı. Elbette düze yive biçimi farklıydı. Ancak bugün çok açık ki, artık kadınlar bir özne ve insanlık adına hiçbir ilerleme, kadın iradesi ve gücü olmadan düşünülemez. Sadece geride kalan son birkaç yıla bakıldığında bile kadınların dünyayı değiştirme gücünün ne kadar kudretli olduğunu görmek mümkün. Hemen yanı başımızda, coğrafyamızda kadınlar bir devrim yaptı; Rojava Devrimi. Ellerine silah alarak bütün tabuları yerle bir ettiler. Yayınevimiz, kadın özgürlük mücadelesinin deneyimlerini siz okurları ile buluşturmayı, kadınların tarihte de yok sayılan varlığını hatırlatmayı bir görev sayıyor. Bu kapsamda Kadın Olsak da! kitabını sizlerle buluşturuyor.
Yazarın da dediği gibi; kitap bir tarih çalışması değil, 10 kadın devrimcinin hayatının özeti. Ancak biliyoruz ki, kişisel olan politiktir ve bu 10 hikaye, dünden bugüne uzanırken, geleceğe de ışık tutmaktadır.
Kitapta yer alan 10 kadın devrimcinin ortak noktası, “erkek alanı” olarak bilinen bir alana yani “silahlı direniş” alanına girmeleri, silaha el atmalarıdır.
Bu nedenle de kitabın ismi; Kadın Olsak da’dır. Çünkü, 10 kadın devrimcinin yaşamı gibi kitabın ismi de, politik askeri alanın erkek devrimcilere ait olduğu fikrine bir reddiyedir. Erkekler dünyasında cinsiyetçi bir içerik haline dönüşen “da” kelimesini ters yüz ederek, bu cinsiyetçiliğe karşı silaha dönüştürmektedir.
Kadın özgürlük mücadelesinde özellikle Rojava kadın devrimi ile birlikte kadınlar silahlı direniş alanında da büyük bir deneyim biriktirdi, tarih yazdı. Varlıkları ile Kobanê savunmasının kaderini değiştiren Arîn Mîrkan ve Sibel Bulut ile polis baskınına silahlı direnişle yanıt veren Yeliz Erbay ve Şirin Öter ile nice kadın devrimci, bu tarihin özneleri oldular.
Kadınlar, eylemleri ile olduğu gibi kalemleri ile de tarihi yazıyorlar ve yazacaklar.
Yayınevimiz de bu tarih yazımına kitapları ile katkı sunmaktan büyük onur ve mutluluk duyarak, Kadın Olsak da’yı sizlerle buluşturuyor. İyi okumalar.

Il libro nell’edizione greca

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Red n’ Noir

per acquistare il libro on line

“Κι ας είμαστε γυναίκες. Ιστορίες επαναστατριών” Της Πάολα Στατσόλι.

Νέα κυκλοφορία των εκδόσεων #rednnoir από σήμερα στα ράφια του #rednnoir_bookstore_cafe_bar (Δροσοπούλου 52, Κυψέλη)

Αυτό το βιβλίο γεννήθηκε για να προσδώσει ένα πρόσωπο και μια αιτία σε ένα σημείο συνάντησης. Στο κομάντο συμμετείχε και μια γυναίκα. Αυτός ήταν ένας συνηθισμένος τίτλος εφημερίδων που χρονολογούνται αρκετές δεκαετίες πίσω. Και. Ένας ολόκληρος κόσμος περιλαμβάνεται μέσα σε μια λέξη για να υπογραμμίσει την εξαίρεση και να μηδενίσει την αξιοπρέπεια μιας επιλογής. Είναι κάτι εντελώς αρνητικό. Για έναν κοινό νου μια γυναίκα παίρνει τα όπλα λόγω της αγάπης της για έναν άντρα ή επειδή έκανε κακές παρέες. Ποτέ αυτοβούλως.

Το βιβλίο αφηγείται τις ιστορίες δέκα αγωνιστριών που, από τη δεκαετία του 1970 μέχρι τις αρχές της νέας χιλιετίας και κατά κύριο λόγο στην Ιταλία, έκαναν την επιλογή των όπλων, πραγματοποίησαν παράνομες ενέργειες –συμμετέχοντας σε διάφορες οργανώσεις και χώρους της επαναστατικής αριστεράς– και θυσίασαν τη ζωή τους καθώς έκαναν πράξη τις επιλογές τους.


Una intervista per il sito della casa editrice Red n’ Noir, che ha pubblicato l’edizione in greco del libro Sebben che siamo donne. Parliamo di militanti rivoluzionarie, della storia di Silvia Baraldini, della situazione in Italia ai tempi del coronavirus.
In occasione della pubblicazione dell’edizione greca del tuo libro “Sebben che siamo donne”, la prima domanda che viene spontanea riguarda il punto comune che tiene legate queste dieci biografie di donne rivoluzionarie. Qual è il filo che accomuna queste storie e vite che sono state troncate, all’ambasciata USA ad Atene o nelle strade di Roma e non solo, oppure in stato di reclusione.
Nel momento in cui ho deciso di scrivere un libro con le storie di militanti politiche che in Italia, dall’inizio degli anni Settanta fino a tempi più recenti, hanno scelto di prendere le armi, o comunque di combattere con mezzi illegali nell’ambito delle diverse organizzazioni o aree della sinistra rivoluzionaria, ovviamente mi sono trovata a dover fare una scelta. Ho quindi deciso innanzi tutto di occuparmi solo di compagne non più in vita. Per svincolarmi dalla cronaca e parlare di storia, anche se molto recente e densa di temi di riflessione utili per l’oggi. Però è stata necessaria anche una seconda scelta. Negli anni alcune compagne della lotta armata degli anni Settanta e Ottanta sono morte di malattia, di incidenti. Un libro non bastava per ricostruire tutte le loro storie. Ho quindi deciso di parlare solo di quelle rivoluzionarie la cui morte è strettamente legata alla militanza politica, compagne uccise dalle forze di polizia, cadute nel corso di azioni oppure suicide durante la detenzione. Sono così rimaste le dieci storie che ho inserito nel libro. Storie sicuramente diverse ma con un filo in comune. A partire da Elena Angeloni, la prima in ordine cronologico, che nel 1970 ha sacrificato la vita per la libertà del popolo greco dal regime dei colonnelli, fino all’ultima, Diana Blefari, militante delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente (BR-PCC), morta suicida in un carcere romano dopo essere stata sottoposta a un regime di detenzione così duro da poter essere equiparato a tortura. Nel mezzo ci sono Margherita Cagol e Annamaria Ludmann, che hanno militato nelle Brigate Rosse, Annamaria Mantini nei Nap, Barbara Azzaroni in Prima Linea, Wilma Monaco nell’Unione dei comunisti combattenti, Diana Blefari nelle Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente. Poi, ci sono due compagne che hanno effettuato azioni illegali nell’ambito di gruppi o organizzazioni legati all’Autonomia operaia, Maria Antonietta Berna e Laura Bartolini, e, in tempi più recenti, Maria Soledad Rosas, Sole, anarchica, squatter argentina arrestata nel marzo 1998 a Torino insieme a due suoi compagni con l’accusa di aver effettuato alcune azioni di sabotaggio in Val di Susa, contro i cantieri del treno ad alta velocità. Nel libro ci sono poi schede storiche sulle organizzazioni politiche o aree di riferimento di queste compagne.
Il libro vuole quindi ricostruire il filo della memoria, ma anche contribuire alla riflessione sull’oggi, sui temi della trasformazione radicale, rivoluzionaria della società. Perché rispetto agli anni Settanta e Ottanta del Novecento molte cose sono cambiate, ma sicuramente non è diminuita la necessità di lottare per una società basata sulla giustizia sociale.
Nell’edizione è inclusa anche una storia americana, scritta da Silvia Baraldini, una donna in lotta, attiva – negli USA degli anni ’70 – nella questione della liberazione afroamericana, che per questa sua scelta politica si è trovata rinchiusa – per quasi un quarto di secolo – nelle carceri dello “stato piu’ libero del mondo”, fino al suo ritorno in Italia. Ci vuoi riferire brevemente la sua storia, visto che non è molto conosciuta in Grecia come anche qualche spunto dalla vostra collaborazione in questa edizione.
Silvia è una compagna molto conosciuta in Italia, ma di lei sono note soprattutto la abnorme condanna avuta negli Stati Uniti, le brutali condizioni di detenzione, gli anni di isolamento in un carcere sotterraneo, alla base delle campagne di solidarietà che sono riuscite a ottenere un suo trasferimento in Italia nel 1999. Con la partecipazione a questo libro, Silvia ha invece voluto ricostruire per la prima volta le ragioni e le tappe della sua esperienza politica negli Stati Uniti – dove era emigrata con la famiglia – iniziata nel movimento contro la guerra in Vietnam e presto approdata a una più decisa e radicale lotta contro l’imperialismo americano. Il suo sostegno alla lotta per l’autodeterminazione del popolo afro-americano, insieme alla militanza nel movimento femminista, l’hanno condotta a sostenere la lotta clandestina e agire in solidarietà con il Black Liberation Army. Per questo suo contributo – e per la partecipazione alla liberazione dal carcere della rivoluzionaria afro-americana Assata Shakur – Silvia è stata arrestata nel novembre 1982. Condannata a 44 anni di detenzione per associazione e per aver rifiutato di collaborare con l’istituto del grand-jury, è stata trasferita nelle carceri italiane nel 1999, dove ha finito di scontare la pena. È stata scarcerata nel settembre 2006. Un altro motivo che ha spinto Silvia a partecipare al libro, è stata la volontà di dissipare alcune convinzioni presenti nel movimento che si è battuto per la sua scarcerazione, ovvero che fosse una “vittima innocente”, condannata solo per le sue idee. Silvia ha invece voluto ribadire che la sua condanna, sicuramente spropositata, è stata però conseguenza di una scelta politica cosciente e radicale.
Molto interessante ed emozionante è stata l’esperienza che ho fatto con Silvia in questi ultimi anni, dall’uscita del libro. Da allora, abbiamo fatto quasi duecento presentazioni e dibattiti in tutta l’Italia, in centri sociali, associazioni, spazi occupati, comitati. Un’attenzione che non avremmo mai immaginato, soprattutto da parte di giovani compagni e compagne. Interessati al passato, alla memoria, ma anche a cercare di capire i nostri compiti dell’oggi. E questo per noi era molto importante, perché uno degli obiettivi del libro, oltre a ricordare figure di militanti politiche, è proprio quello di cercare di capire come agire oggi, in questa situazione di difficoltà, in cui però a nostro avviso non esistono scorciatoie possibili. L’ipotesi rivoluzionaria rimane l’unica via possibile per un reale superamento di una società basata sullo sfruttamento e l’oppressione.
“Sparare prima alle donne!”. Queste sono delle parole pronunciate da un dirigente dei reparti antiterroristici nella Repubblica Federale Tedesca degli anni ‘70. Questo egregio servitore del potere del Reich democratico argomentava questa sua sentenza spiegando che le donne arrivate a scelte così radicali come quelle armate hanno superato limiti, ruoli e pregiudizi molto più profondi di quelli richiesti ai loro compagni in lotta, quindi la loro morte vale molto. Che ne pensi?
Per una donna, in particolare all’inizio degli anni Settanta, era sicuramente più difficile compiere una scelta radicale come quella armata, che in alcuni casi comportava anche conseguenze dolorose quale la separazione dai propri figli. La decisione richiedeva quindi spesso una maggiore consapevolezza. Nelle organizzazioni armate italiane degli anni Settanta-Ottanta (a differenza di quelle successive, come le BR-PCC) le donne erano in numero minore rispetto ai loro compagni di lotta, ma non avevano ruoli o responsabilità differenti all’interno dell’organizzazione.
Nella istigazione criminale a uccidere le militanti rivoluzionarie che hai ricordato nella domanda, c’è però un dato che spesso è stato negato alle donne combattenti, il riconoscimento di una scelta. Da parte borghese, si è infatti sempre cercato di sminuire il ruolo autonomo delle compagne. Che si sarebbero trovate nella lotta armata non per scelta ma per seguire il proprio uomo, per disagio di vita, per cattive conoscenze.
Il libro vuole evitare le due opposte reazioni, l’esaltazione o la demonizzazione, per ricollocare queste vite nel loro contesto, ripercorrendo un periodo in cui forme di lotta illegali e violente erano patrimonio di tutta la sinistra antagonista.
Visto che queste domande vengono scritte mentre il mondo si trova in una situazione assai distopica, in guerra contro il Virus Covid 19 e l’Italia sta in quarantena, in un stato di emergenza e coprifuoco permanente, ci vuoi riferire un po’ il clima che si respira nel paese?
In questi giorni in Italia ci troviamo a fare i conti con scenari “blindati” che mai avremmo immaginato di vivere. Uno stato di guerra e di terrore, che ovviamente blocca anche le iniziative politiche e sociali. È una situazione sicuramente difficile, per tutti e tutte, a maggior ragione per chi come me ha una patologia oncologica o un’altra malattia grave. Ma è proprio in situazioni come questa che emergono senza ambiguità i caratteri sostanziali e deteriori del sistema capitalistico. Di un sistema che ha demolito la sanità pubblica tagliando fondi e chiudendo ospedali, stanziando invece ingenti risorse per le armi di distruzione di massa, di un sistema che blocca le persone in casa (per chi una casa ce l’ha…) ma nello stesso tempo non ferma la produzione, e con il ricatto del licenziamento costringe una moltitudine di operai a lavorare senza le necessarie misure di sicurezza, e non solo quelle legate all’attuale epidemia. Condizioni che stanno producendo numerosi scioperi spontanei, mentre la borghesia di nuovo “scopre” la centralità della fabbrica, dopo tante narrazioni sulla fine della classe operaia.
Stanno poi emergendo importanti elementi di protesta e di solidarietà sociale, e una grande prova di dedizione da parte di medici, infermieri e operatori socio-sanitari del servizio pubblico, che sarà importante cercare di valorizzare una volta fuori dall’emergenza.
Le carceri in questi giorni sono esplose. Il motivo scatenante è stato il blocco dei permessi e dei colloqui fra i detenuti e i loro familiari. Ma alla base delle rivolte, con numerosi morti – senza che la dinamica dei fatti sia stata finora comunicata – ci sono le condizioni preesistenti, soprattutto l’estremo sovraffollamento e le conseguenti inadeguate condizioni igienico-sanitarie. In generale le vere responsabilità sono, come sempre, di chi gestisce questo sistema e le sue carceri. Quindi, la situazione non fa che confermare ancora una volta quanto già sappiamo da tempo. Per vivere in un mondo più libero e più giusto non c’è altra strada che l’abbattimento del capitalismo. Perciò, anche se le apparenze potrebbero far pensare il contrario, oggi più che mai è tempo di rivoluzione!

Brigate Rosse – Walter Alasia (Br-WA)

Nel dicembre 1979 le Brigate Rosse definiscono la loro posizione sulla questione operaia e diffondono l’opuscolo n. 9 “Sulle grandi fabbriche“. La Colonna milanese Walter Alasia, non condividendo le tesi in esso esposte, si rifiuta di distribuirlo e, sempre nello stesso mese elabora un proprio documento dal titolo “Fabbriche”.

Nell’estate del 1980 il conflitto tra la colonna e l’organizzazione centrale si acutizza e neppure la Direzione strategica convocata in provincia di Roma, nel mese di luglio, riesce a risolverlo.

Dopo circa un anno di confronto politico teso e serrato con l’esecutivo delle Br, la Colonna Walter Alasia, il 12 novembre 1980, decide di gestire autonomamente l’azione contro Renato Briano, direttore del personale della Magneti Marelli.

Questa iniziativa, che segna di fatto il suo distacco, si consolida il 28 novembre 1980 con l’intervento contro il direttore tecnico della Falk, Manfredo Mazzanti.

Le Br risponderanno ufficialmente a questa azione, con l’opuscolo n. 10, decretando l’espulsione della colonna.

L’11 dicembre 1980, a Milano, Walter Pezzoli e Roberto Serafini, militanti delle Br – WA, vengono intercettati e uccisi da un nucleo speciale dei carabinieri.

In occasione dell’azione contro il direttore sanitario del Policlinico di Milano, Luigi Marangoni (17- 2-81), la Brigata ospedalieri “Fabrizio Pelli” espone in un opuscolo, intitolato “Attacchiamo la DC principale responsabile della ristrutturazione nell’ospedale”, la sua posizione sul problema dell’intervento nel settore dei servizi.

Il 3 giugno 1981 le Br-WA sequestrano l’ingegnere Renzo Sandrucci, direttore della produzione dell’Alfa Romeo, che verrà rilasciato il 23 luglio 1981, davanti alla Marelli.

Nel corso della Campagna Sandrucci, oltre ai volantini e ai verbali dell’interrogatorio, vengono distribuiti alcuni opuscoli:
– Attaccare il disegno controrivoluzionario del capitalismo multinazionale nel suo cuore: la fabbrica, giugno 1981;
– Contributo alla elaborazione della linea politica, luglio 1981;
– Campagna nelle fabbriche, agosto 1981;
– Bilancio Campagna Sandrucci, autunno 1981.

Il sequestro dell’ingegner Sandrucci si inserisce nel contesto di un’ampia attivazione delle varie linee che in quel periodo si confrontano all’interno delle Brigate Rosse. Al sud, la Campagna Cirillo (Napoli 27 aprile – 24 luglio 1981), gestita dal Fronte delle Carceri e dalla Colonna di Napoli. A S. Benedetto del Tronto (AP), prima e, a Roma poi, il sequestro di Roberto Peci (10 giugno – 3 agosto 1981), gestito dal Fronte delle carceri. Nel Veneto, la campagna centrata sul sequestro di Giuseppe Taliercio (20 maggio – 5 luglio 1981), gestita dalla Colonna Annamaria Ludmann.

Nel dicembre dei 1981 le BR-WA diffondono la loro prima Risoluzione strategica.

Il 23 luglio 1982 viene ucciso dalla polizia, in un bar milanese, Stefano Ferrari, militante delle Br-WA.

Il 12 novembre 1982, nel corso di un’operazione volta all’arresto di quattro militanti, a Cinisello Balsamo, muore, cadendo da un cornicione mentre cerca di sottrarsi alla cattura, Maurizio Biscaro.

Il 1982 vede un succedersi di arresti e, nonostante la diffusione, nel gennaio 1983, del documento “Ancora un passo”, con il mese di febbraio, la storia di questa organizzazione si conclude.

Il 22 gennaio 1992, nel carcere milanese San Vittore, mentre sconta la pena all’ergastolo, muore per arresto cardiaco Nicola Giancola, militanti delle Brigate rosse – Walter Alasia.

Per l’attività delle Brigate rosse – Walter Alasia sono state inquisite 113 persone.

Scheda tratta da: Progetto memoria, La mappa perduta, Sensibili alle foglie, Roma 1994.

Autocritica e rettifica

Ci siamo sbagliati. Per lungo tempo abbiamo considerato l’aria politica facente capo alla “Commissione Preparatoria del (nuovo)Partito Comunista Italiano ” (CPnPCI) come una componente disponibile al processo di formazione del partito nella forma corrispondente all’epoca attuale. Forma che è sintesi dei vari apporti precedenti del Movimento Comunista Internazionale (MCI) e dei successivi superamenti dialettici, fino a quella attuale e necessaria, in pratica il Partito Comunista Combattente (PCC).

La presenza politica di quest’area, contigua anche se non interna alla colonna portante dell’esperienza rivoluzionaria in Italia (le B.R. e altre O.C.C.); la loro partecipazione alla battaglia politica contro la “dissociazione”, il sostegno ai prigionieri politici, e la volontà di partecipare al rilancio di un progetto di una strategia rivoluzionaria in Italia ne aveva fatto una delle componenti accreditate.

Ma da sempre permanevano dei nodi irrisolti, una non chiarezza di pronunciamento su alcuni elementi fondamentali di strategia. Principale fra tutti, l”unità del politico-militare” (p.m.) che quest’area insisteva ad eludere, a non voler affrontare.

Così, nel nostro intervento dell’Ottobre 2000, cercammo di analizzare la loro posizione (in relazione ad altre posizioni) per cercare tutti i possibili punti di convergenza, per consolidare un processo di tendenziale unificazione dei comunisti intorno all’obiettivo centrale di costruzione del partito. Nel fare questo, nello scrivere questa analisi non potevamo fare a meno di rilevare che le distanze permanevano, soprattutto a causa di questi nodi irrisolti che, anzi, col trascorrere del tempo, significavano un problema di fondo.

Da allora, autunno 2000, la situazione è precipitata. Allo stupore generale, la CPnPCI lancia la partecipazione alle elezioni. La botta era talmente sorprendente che non si riusciva a farsene una ragione. Ed era riassumibile nella battuta “andare in clandestinità per poi presentarsi alle elezioni? Questa è schizofrenia!” Fino al punto di porsi molte questioni su se stessi, di indagare sul proprio senso dialettico, sulla propria capacità d’intendere la complessità dei passaggi politici, sulla propria mancanza di audacia a progettare “colpi politici” di grande portata. Fatica inutile, i conti non tornavano. E per quanta indulgenza abbiamo voluto avere nei loro confronti (e nel corso del tempo…) non restava che tirare le logiche conseguenze: questa componente politica sta degenerando.

1. La questione delle elezioni

Noi comunisti non siamo antielettoralisti assoluti, ma non siamo nemmeno per l’utilizzo indiscriminato, spregiudicato, di tutte le forme di lotta e di tutti i terreni di iniziativa politica. Nell’accezione leninista, si deve procedere all’analisi concreta della situazione concreta. E si deve anche tenere in conto altre questioni di principio: l’asse portante, strategico che deve supportare qualsiasi scelta tattica, qualsiasi linea politica, e la tendenza alla Guerra di Classe (alla Guerra Popolare Prolungata o Guerra Popolare Rivoluzionaria che dir si voglia). Tutto va finalizzato a passaggi politici concreti che permettano di avanzare lungo quest’asse portante, e di far avanzare la strategia tendente alla Guerra di Classe.

La tattica più innovativa e audace non può non tener conto di questo, non può non essere funzionale a questa strategia; la strategia comanda la tattica, sempre e comunque! Non dimentichiamo che la tattica non è tatticismo (cioè preminenza delle soluzioni a breve respiro e di adattamento alle situazioni immediate, a scapito del progetto strategico) e che anche il tatticismo (insieme con altri fattori più gravi) portò i PC revisionisti prima a svuotare la strategia rivoluzionaria di presa del potere, poi a stravolgerla nel suo contrario, la subordinazione alla democrazia borghese.

Ora, in che contesto concreto ci troviamo in Italia, in Europa? Per sommi capi, e rinviando ai nostri testi precedenti:

Crisi generale storica da sovrapproduzione di capitale.

  • Approfondimento, per salti successivi (inframmezzati da ripresine) di questa spirale di crisi, con aumento continuo della pressione sul proletariato ai fini di un’inarrestabile corsa al più alto tasso di sfruttamento, e particolarmente con le reiterate e intensificate aggressione ai popoli oppressi.
  • Restringimento oggettivo (cioè ancor prima che sul piano delle manovre politiche dei regimi) degli spazi di mediazione “democratica” entro le classi. Su questo terreno, sviluppo della tendenza autoritaria-militarista immanente agli stati imperialisti (fenomeni di fascistizzazione strisciante, aumento della violenza poliziesca, legislazioni speciali, carcerazione come forma estesa di governo di larghe fasce proletarie, ecc…). Di conseguenza, con un’impennata dell’astensionismo elettorale in tutti gli stati imperialisti (l’Italia un po’ in ritardo).
  • Aumento delle forme di lotta, ribellione, resistenza, pur se in forme frammentate caratterizzate da diversi livelli di coscienza e contenuto di classe. Ma, al tempo stesso, i precedenti fattori spingono ad una percezione largamente (e confusamente) diffusa sulle principali contraddizioni del sistema.
  • Difficoltà sul piano ideologico, nella ripresa dell’orizzonte comunista, della prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società, via la presa del potere e l’instaurazione della dittatura del proletariato. Qui si scontrano i danni causati dal revisionismo e dalla conseguente ingloriosa fine del campo socialista.

Se questi sono i caratteri essenziali del contesto attuale nei paesi imperialisti, e da un decennio a questa parte all’incirca, che conclusioni trarne sul piano politico? Di fronte ai vari fenomeni di malessere di massa, al relativo loro distacco dal sistema di potere borghese, alla relativa (benché confusa) presa di coscienza del marciume irreparabile di questo sistema, non resta altro da fare che recuperare queste stesse masse al gioco democratico borghese, ultimi pompieri tra i pompieri?!

Di fronte all’involuzione autoritaria-militarista del sistema, al suo evidente carattere genocida e distruttivo, pensiamo di essere credibili proponendo alle masse un percorso classico di accumulazione di forze sul piano sindacal economicista, per quanto radicale?!

Le risposte sono evidenti e se il percorso innovativo iniziato negli anni 70 basato sull’unità del politico militare ha goduto di tanto credito allora (quando l’acuità delle contraddizioni era ben inferiore) pensiamo che oggi si ponga con ancora più forza ed esigenza. Lo scontro è oggi più crudo, le masse guardano meno ai sogni ideologici (compete all’avanguardia rifare un legame) e sono strette sull’aspetto utilitarista delle loro scelte. O i rivoluzionari dimostrano di far sul serio, di assumere il piano di scontro strategico, di voler costruire la forza rivoluzionaria, oppure qualsiasi programma cartaceo o altre ingegnerie organizzative non avranno alcun credito!

D’altronde cosa valgono i ricorrenti omaggi al grande apporto delle OCC, e delle BR in particolare, se poi se ne stravolge il contenuto, se non se ne riprende il senso essenziale?!

2. Il processo rivoluzionario e la costituzione del partito.

E il senso essenziale oggi è (in questo contesto di crisi generale capitalistica, non risolvibile per vie ordinarie, e di deriva autoritario-militarista dell’imperialismo) che per indicare al proletariato la via rivoluzionaria bisogna costruirla nei suoi vari elementi costitutivi perché possa essere qualcosa di effettivo, che comincia a incidere concretamente nello scontro politico di classe. Bisogna costruire forza, imparare a combattere combattendo, dimostrare che non esiste possibilità di trasformazione sociale se non passando per la porta stretta della rivoluzione politica, proletaria, e che questa di fa anche con le armi. Il Partito sta al centro di questo processo e quindi non può che essere un Partito fondato sull’unità del politico-militare, un Partito Comunista Combattente.

Abbiamo detto più volte che il processo che conduce al Partito è un processo complesso che sappia tenere insieme vari piani, livelli, che sappia fare la sintesi degli elementi essenziali. Questo processo si situa nel convergere di almeno tre elementi essenziali:

a) le espressioni di Classe, il livello dato di maturità, contenuti e contraddizioni delle forme di organizzazione e di movimento di massa, la loro dinamica.

b) la presenza del Partito che si qualifica in quanto identità ideologico-programmatica, sintesi politica, prospettiva e strategia, in dialettica con la dinamica di massa, quindi capacità di trasferire le potenzialità di massa su un piano più elevato e di prospettiva.

c) L’attacco allo schieramento delle forze politiche borghesi di governo, alla loro politica di fase contro la Classe ed i popoli colpiti dalle sue aggressioni imperialiste.

Separare questi elementi è impossibile. Ed è esattamente ciò che ha rallentato finora il processo di costituzione del Partito, è ciò che ci ha fatto arretrare dai livelli relativamente alti dei primi anni 80. È ciò che ci fa “sopportare” la deriva “ideologica” della CPnPCI. “Ideologista” nel senso che separa uno di questi elementi essenziali al processo di costituzione del Partito, dandogli un peso sproporzionato: la giusta considerazione dell’identità ideologico-programmatica non supplisce agli altri compiti e particolarmente il compito di essere l’espressione politica della classe in lotta per il potere, quindi che si organizza e combatte sul piano della forza, dell’attacco politico-militare.

Per chi voglia fare bilancio seriamente, non si può non riconoscere che i movimenti di più alto sviluppo del movimento rivoluzionario in Italia (e altrove) si sono dati in questa capacità di assumere i vari livelli di cui parliamo, e che le BR hanno goduto di un prestigio, di una credibilità politica, agli occhi della classe, incomparabile rispetto ai percorsi tradizionali dei gruppetti ML ed extraparlamentari. Proprio perché fino a quando si resta sul suo piano ideologico o massimalista, non si offre nessuna prospettiva di organizzazione, di strategia, tanto meno di attacco. Non può essere casuale il fatto che le OCC, le BR abbiano saputo assimilare alcune tra le migliori espressioni ed avanguardie di Classe, che venissero riconosciute come l’unica alternativa seria alla via parlamentare/revisionista.

Il percorso di costituzione del Partito è immerso nello scontro reale e o i comunisti che lo promuovono ne sono interni, affrontando concretamente il ruolo di avanguardia politico-militare, oppure ne sono forzatamente esterni fossilizzandosi in setta “ideologico-culturale”.

Non si capisce perché i settori di avanguardia, e ancora meno le masse, dovrebbero riporre fiducia in organizzazioni di predicatori della Guerra Popolare quando non se ne vedono concretamente i segni (peggio quando si va nella direzione opposta – l’elettoralismo); perché dovrebbero riporre fiducia in organizzazioni di predicatori di un nuovo Partito quando questo non presenta nulla di nuovo e, nella mancanza dell’impianto politico-militare, rimanda inevitabilmente al modello revisionista dei primi tempi che, facendo balenare il miraggio del “giorno X”, trascinava la classe nel pantano del parlamentarismo (in questo senso poi il gruppo di “Iniziativa Comunista”, calorosamente difeso dalla CPnPCI, è esemplare).

3. la deriva della CPnPCI

Una serie di verifiche pratiche di questi ultimi mesi confermano malauguratamente tutto ciò. Dall’immediato sorprendente comunicato di condanna, di calunnia contro l’iniziativa del NIPR-Nucleo d’Iniziativa Proletaria Rivoluzionaria, dell’aprile scorso (la tempestività della condanna è ben sospetta, come se questi elettoral-clandestini volessero dare prova della loro linea pacifista…). All’osceno documento “Dieci punti contro il militarismo”, al sostegno a quel gruppo di revisionisti dichiarati che vanno sotto il nome di “Iniziativa Comunista” (che rivendicano la continuità con il partito di Longo e Berlinguer, e insultano chi fa la lotta armata). La CPnPCI ha dato un netto colpo di barra, lanciando un vero e proprio attacco alle posizioni rivoluzionarie che si riconducono alla costituzione del PCC.

Il testo in questione è una disgustosa raccolta di falsità, deformazioni, denigrazioni. In senso generale è dare una picconata al prestigio ed al credito politico delle posizioni rivoluzionarie, cercando di riportare i militanti nel pantano tipico del revisionismo.

L’aspetto più odioso è questa teoria sulla “convergenza obiettiva dei militaristi e della borghesia nella lotta contro la ricostruzione di un vero partito comunista. Da sponde diverse certo, ma complementandosi e confondendosi”. Sarebbe indifferente chi compie iniziative armate e perché, le motivazioni, le rivendicazioni, la strategia… Insomma le tipiche calunnie revisioniste! Il tutto farcito di un narcisismo-egocentrismo nauseabondi: questo complotto militaristi/borghesia sarebbe naturalmente rivolto distrarre i lavoratori dalla convergenza con il loro presunto partito in formazione.

Scusate, ma chi vi caga?! Se si deve intervenire oggi è per limitare i danni che state facendo, ma il movimento rivoluzionario che punta alla costituzione del PCC ha una storia e uno spessore sufficiente per andare avanti senza di voi.

Ci limiteremo ad analizzare qualche punto. Innanzitutto dalla risposta che ci danno (pg. 39-44, La Voce n.8). Già c’è molto da dire sul loro stile, insopportabile nel misto di pedante e pretenzioso, fino al punto di debordare in caricature infantili del pensiero altrui: “La cellula si preoccupa di sostenere che il partito in un primo tempo (in attesa che le masse popolari scendano in guerra) dovrebbe far politica compiendo attentati contro uomini e strutture della borghesia imperialista”. E via di seguito a parlare di presunti ruolo di supplenza, recita, rappresentazione, in attesa delle masse, mentre ci si rimprovera di non occuparsi di come creare le condizioni per arrivare al Partito. Che scemenza, o che malafede!

Crediamo che i nostri testi siano sufficientemente articolati da non presentare dei modellini tanto semplicistici quanto falsi.

Quello che noi sosteniamo è che il percorso di costituzione del Partito è interno ed in stretta dialettica con le dinamiche di massa, che c’è un rapporto di complementarietà e che, proprio per questo, vi è una certa distinzione di ruoli. Fino a prova contraria, è storicamente dimostrato dall’esperienza dei 150 anni del movimento comunista internazionale (cui si richiamano di continuo e con pretenziosità i signor professori) che il ruolo del Partito è quello di assolvere a dei compiti che richiedono un relativo distacco dalla lotta immediata, e capacità di costruire in termini politico-organizzativi strategici, cioè l’orientamento e la riorganizzazione delle istanze proletarie, liberatesi nelle lotte, dentro il processo di tendenziale lotta per il potere. L’utilizzo politico delle armi rientra in queste competenze! Il fatto che sia il Partito a costruire le condizione del processo rivoluzionario, combattendo anche con le armi, non ha nulla a che vedere con ruoli di “supplenza a tempo determinato o indeterminato”! Piuttosto l’affrontamento e la risoluzione di queste questioni è il vero percorso al Partito, e non certo un percorso formalistico-burocratico e… disarmato! È il progetto della CPnPCI che devia le energie emergenti dal percorso di costituzione del Partito, verso un modello superato dai tempi, politicamente devitalizzato, inutile e controproducente (come dimostra questa loro ultima scellerata campagna).

4. Costituzione del Partito e tendenza alla lotta per il potere.

Abbiamo scritto in lungo e in largo che non siamo d’accordo con l’utilizzo della lotta armata come guerra, che la guerra sarà propria della fase insurrezionale quando si daranno segni chiari del passaggio di settori decisivi di massa alla disponibilità alla guerra per la presa del potere, che tutto questo necessita di un lungo periodo di preparazione che è caratterizzato, per contro, comunque dalla presenza della lotta armata, dell’unità del politico-militare, perché sono elementi costitutivi del processo rivoluzionario, che senza questo non può esistere un vero partito comunista.

E, a onor del vero, non si può, non più, denigrare i compagni delle BR e di altre OCC (come fa la CPnPCI): anche loro perseguono una strategia di costituzione del Partito in cui è centrale dialettica tra l’espressione dell’autonomia di classe e le istanze d’Organizzazione rivoluzionaria.

Non si può assolutamente attribuire loro posizioni di estraneità al coinvolgimento delle masse nel processo rivoluzionario. È una falsità bestiale contraddetta dall’essenza stessa della storia delle BR.

Con loro condividiamo la tesi fondamentale della centralità dell’unità del politico-militare per innescare un rapporto con le masse che tende al loro coinvolgimento nel processo rivoluzionario. Dimostrazione è stata fatta in alcuni paesi imperialisti che, mentre questo salto di qualità è estremamente fertile proprio nel rapporto con le masse, la sua mancanza fa inevitabilmente stagnare nella dimensione “ideologista” e marginale.

Mentre non condividiamo la “strategia guerrigliera” (per i suddetti stessi motivi), ma il loro contributo è comunque in continuità storico-politica con quel patrimonio cui bisogna rifarsi e che va valorizzato per arrivare ad una forma Partito all’altezza dei compiti dell’epoca attuale.

Nel seguito dell’articolo de La Voce è tale la confusione di idee o l’ignoranza che non vale la pena di soffermarsi. Un solo esempio: per “lotta politica tra le classi” ci si presta l’intenzione di “pesare sulle lotte rivendicative di massa nei confronti del governo, della borghesia” (!), Come se non sapessero o non leggessero che lotta politica è il piano dei rapporti generali tra le classi, ruotante intorno alla questione del potere, che sintetizza e va ben oltre le misere questioni rivendicative (le “tragicomiche conquiste immediate” come diceva Marx). La grande acquisizione del ciclo di lotta rivoluzionaria in Italia, anni 70/80, è stata appunto l’esperienza concreta dell’unità del politico-militare. Come possibilità di pesare sul serio nello scontro politico tra le classi. Ed è ciò contro cui oggi la CPnPCI prende posizione.

Infine essa distorce la nostra posizione, perché non abbiamo mai detto che il Partito incide nella lotta politica tra le classi solo grazie agli attacchi militari. Prima di tutto si è sempre solo parlato di iniziativa politico-militare, che non risponde propriamente ad una logica di guerra, di attacchi militari in senso proprio; in secondo luogo noi diciamo che l’iniziativa politico-militare si situa dentro un impianto di lavoro di Partito ben più articolato e complesso. Il lavoro di Partito è un lavoro su più piani, essendo il Partito l’organismo più complesso ed organico prodotto dalla Classe. Ma sicuramente i passaggi politici prodottisi nella storia del movimento comunista internazionale hanno acquisito la centralità dell’unità del politico-militare, del fatto che per costruire e sviluppare un percorso di crescita rivoluzionaria bisogna darsi una strategia ed una linea politica basati sull’unità del politico-militare.

La questione è difficile, gravosa; appunto per questo bisogna avere almeno il coraggio di porsela. In seguito si avanza, affrontando i vari problemi e contraddizioni, nel vivo della lotta. Ma se la questione nemmeno ce la si pone, se la si rimuove, certamente non si avanza; peggio si fuorviano delle energie ,per farle degenerare sulle vie dell’opportunismo.

La CPnPCI finisce per seppellire l’esperienza del ciclo 70/80. Lo fa nel finale della risposta che ci indirizza, e lo fa ben peggio, in modo articolato, nel testo “Dieci punti contro il militarismo” (La Voce).

Già questo testo comincia con una sterzata rispetto a quanto era comunemente riconosciuto fino a qualche anno fa (vedere il testo“Cristoforo Colombo”) e cioè che il ciclo guidato dalle OCC aveva permesso la rottura più conseguente col revisionismo, e di cominciare a concretizzare la strategia della Guerra Popolare Prolungata in un paese imperialista, e questo per la prima volta dalla fase del ciclo della Resistenza.

È stato il grande salto che ha permesso alle OCC di coniugare alcune delle migliori espressioni dell’autonomia di classe con una strategia di lotta per il potere, e questo proprio nella misura in cui si dava concretezza alla fondamentale questione dello sbocco politico che sempre le lotte di massa ricercano. La strategia sviluppata dalle BR, in particolare, è stata l’unica alternativa credibile allo sbocco politico revisionista-parlamentare. Ora la CPnPCI ritorna sui suoi passi, non riconosce più questo avanzamento e, inevitabilmente, logicamente, dove finisce? Nella riscoperta delle virtù dell’elettoralismo! Giustamente perché è l’unico altro sbocco politico esistente.

Per proseguire nella lettura e analisi del loro testo bisogna tapparsi il naso (usano le stesse categorie e termini consueti della borghesia): l’iniziativa politico-militare o guerrigliera diventano “gli attentatori”, mischiandoli al terrorismo di Stato in un’”unica strategia della tensione”!

Ricordiamo a questi signori, di solito così pignoli nell’utilizzo dei termini, che la “strategia della tensione” fu una grande categoria tirata fuori dalla borghesia, così come la teoria degli “opposti estremismi”, per legittimare il regime borghese come oasi di confronto civile e democratico, teoria largamente sostenuta dai revisionisti per soffocare le sane tendenze proletarie all’uso della violenza. Credono forse questi della CPnPCI di ricostruire il Partito nell’oasi del pacifico confronto? Non è forse antitetico con un percorso di maturazione proletaria verso la necessità dello scontro, della guerra popolare? Pensano forse che il proletariato impari a combattere partecipando alle elezioni?!

Resta in ogni caso l’ignominia delle loro affermazioni, insinuazioni, perché una cosa è certa, almeno in Italia, ed è il netto distacco tra le pratiche combattenti delle OCC, chiare e limpide nei loro obiettivi e rivendicazioni, e le bande terroriste dello Stato che di solito colpiscono le masse e non hanno certo né la capacità né il coraggio di rivendicare. Verità storica che spesso gli stessi pennivendoli di regime hanno dovuto riconoscere e che, in ogni caso, le masse popolari hanno saputo riconoscere!

Ma l’elemento politicamente più grave in questa deriva è il fatto di azzerare l’apporto, il salto di qualità operato negli anni 70/80. Altra cosa è fare un bilancio critico e saper individuare i nodi da sciogliere, limiti e contraddizioni da superare ma a partire dalle nuove acquisizioni, dalle conquiste realizzate.

D’altronde basta guardarsi intorno, a partire da quell’epoca, e una cosa è chiara: il movimento comunista rivoluzionario si è sviluppato ed ha avuto una tenuta là dove questo processo di maturazione sulla base dell’unità del politico-militare si è dato, contrariamente ad altri paesi dove la non realizzazione di questo salto ha fatto sistematicamente naufragare le organizzazioni vecchio stile nella capitolazione e nei passaggi in massa di quadri e dirigenti alle fila nemiche. Questo è vero nei paesi imperialisti, mentre nei paesi dipendenti e semicoloniali il problema nemmeno si pone, visto il livello di scontro normalmente esistente. E infatti le organizzazioni rivoluzionarie dei paesi dipendenti e semicoloniali, presenti in Europa, hanno fiutato prima di noi questo tipo di deriva e da tempo hanno preso le loro distanze da quest’area politica.

Quest’ultimo aspetto è peraltro di primaria importanza: noi oggi abbiamo il dovere di porci la questione di come sostenere il più attivamente possibile la resistenza eroica di questi popoli che portano il gran peso del tallone di ferro imperialista. “Primo dovere internazionalista è sviluppare il processo rivoluzionario in casa propria”: ecco quindi la necessità di portare avanti un processo di riorganizzazione del Partito all’altezza dei tempi e delle urgenze di uno scontro che si definisce sul piano internazionale!

Non per un senso “morale” della solidarietà, ma perché la materialità della situazione fa sì che non si possa procedere senza interconnessione con la dinamica globale dell’imperialismo e con la dinamica del movimento comunista rivoluzionario internazionale (per quanto sia ancora frammentato e incapace di un’impulsione unitaria). La tendenza alla guerra contro il proletariato e i popoli oppressi prima di tutto, e interborghese poi, divampa nel modo. Le Organizzazioni Rivoluzionarie di questi popoli si aspettano da noi ben altro contributo, per aprire varchi alla lotta qui, nei centri del sistema imperialista. Gli avvenimenti dall’estate in poi sono significativi, in positivo o in negativo, di questa esigenza.

Gli avvenimenti dell’estate ci sembrano dire tre cose principali:

1) il consolidarsi, estendersi di un vasto movimento anticapitalista nei paesi imperialisti, da Seattle a Genova, che individua le contraddizioni essenziali del sistema, anche se resta ancora a mezza strada quanto all’identità ideologica e al percorso politico rivoluzionario. Ma già in questo senso la grande esperienza di violenza proletaria organizzata, che è stata fatta in quelle giornate, ha costituito un grande salto in avanti, un formidabile slancio in avanti al dibattito.

2) l’esplosione delle torri di New York e del Pentagono, ben al di là di chi l’ha fatto e della loro matrice reazionaria, porta in sé tutta una carica simbolica della rabbia delle grandi masse oppresse nel mondo, rappresenta quanto profondo sia l’odio attizzato da questo sistema criminale.

3) Il sistema non risponde altro che non con un ennesimo approfondimento della tendenza alla guerra, sia con la nuova penetrazione imperialista in Asia, sia con questa svolta repressiva interna, senza eguali in questi ultimi anni.

Non c’è da illudersi e nemmeno più da scegliere: la borghesia imperialista ha dichiarato lo stato di guerra permanente a tutti gli sfruttati, si muove in un’implacabile logica di guerra, economica, sociale e in ultimo militare.

In questo senso assistiamo all’escalation della Contro Rivoluzione Preventiva come modo di governo delle contraddizioni sociali e dei loro possibili sviluppi. Il processo rivoluzionario che noi pensiamo basato sul doppio binario di Partito e dinamica di massa, in ambedue i casi ed al proprio livello, deve costruirsi dialetticamente a questa realtà. Deve cioè riconquistare una serie di condizioni, ideologiche, politiche e militari, per porsi all’altezza dello scontro e per costruire la capacità della Classe di combattere, combattendo. Il Partito basato sull’unità del politico-militare, sull’utilizzo politico della lotta armata, è la sintesi di questi termini essenziali.

  • Intensificare il dibattito nell’area di partito, fissando i termini ideologico-politico-militari irrinunciabili
  • Isolare le tendenze opportuniste, neo-revisioniste
  • Costruire nella lotta e nel processo organizzativo, una nuova, più alta unità proletariato-popoli oppressi
  • Lavorare alla costituzione del PCC e delle condizioni per la trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria
  • Onore ai compagni/e caduti/e per il comunismo

CELLULA PER LA COSTITUZIONE DEL PCC

Gennaio 2002