Sulle condizioni in cui si svolge il processo rivoluzionario. Corte d’Appello di Parigi, prima Chambre d’accusation. Documento dei militanti delle BR per la costruzione del PCC Giorgieri Simonetta, Vendetti Carla e dei militanti rivoluzionari Bortone Nicola e Gino Giunti letto all’appello all’ordinanza di prolungamento della carcerazione preventiva.

Se si considera questa istruttoria nei suoi termini particolari, slegata dal contesto generale in cui è inserita, quello che risalta maggiormente è il fatto, apparentemente anormale, per cui lo Stato francese si pone il problema (e si assume l’onere) di giudicare l’attività rivoluzionaria delle BR per la costruzione del PCC, organizzazione comunista combattente italiana. Ma questa istruttoria (e tutto ciò che l’ha preceduta in termini di cooperazione tra gli apparati antiguerriglia italiano e francese) assume tutta un’altra dimensione e mostra la sua coerenza e funzionalità se la si legge per quello che è: conseguenza e manifestazione concreta del processo in atto, in Europa occidentale in particolare, di coesione e collaborazione sul piano controrivoluzionario; in quanto tale esprime l’attuale connotazione del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, imperialismo/antimperialismo. Questo processo di coesione, a sua volta, traduce in termini concreti l’assunzione, da un punto di vista sovranazionale e da parte delle istanze politiche, del “problema guerriglia” come problema comune che investe con la stessa intensità tutti i paesi imperialisti dell’Europa occidentale. Il proseguimento, cioè, di linee generali operative comuni e coordinate nelle sedi politiche, si impone come riflesso sul piano politico-militare dell’affermarsi di un interesse generale comune su questo terreno. La stretta collaborazione dei corpi antiguerriglia e dei Servizi Segreti dei diversi paesi non è che un aspetto; l’altro aspetto è la tendenza alla creazione di uno spazio giuridico europeo che, ad esempio, sposta su un altro piano la questione delle estradizioni risolvendola ad un livello più alto ed unitario in cui ogni paese si fa carico di amministrare la giustizia anche per conto degli altri (e questo presuppone un’unanimità di vedute, di metri di misura, di impostazione giuridica con cui riferirsi all’attività rivoluzionaria e darvi risposte politico-militari, informate nella sostanza dai comuni interessi e obiettivi); l’altro aspetto ancora, di più lungo respiro ed a carattere prettamente politico, sono i progetti di “soluzione politica” per la guerriglia che, se pure con diverse forme e seguendo itinerari differenti, marciano in Italia come in Germania, Spagna ecc… Già da questi piani emerge con chiarezza che l’obiettivo di contrastare la guerriglia viene assunto da tutti i paesi imperialisti europei negli stessi termini di fondo, ad un livello tendenzialmente uguale di partecipazione, responsabilità e coinvolgimento (di mezzi, strutture e, soprattutto, volontà politica centralizzata).

Ma anche questo dato va collocato dentro un contesto più complessivo in cui le misure controrivoluzionarie concordate non rappresentano che una delle direttrici su cui si misurano e procedono le politiche di coesione tese a compattare i paesi dell’Europa dell’ovest all’interno degli interessi del blocco occidentale. È a partire dall’acutizzarsi della crisi economica e nel quadro generale della tendenza alla guerra che le scelte e le politiche della catena imperialista prendono forma e si caratterizzano come portato e approfondimento del processo di armonizzazione e responsabilizzazione dei paesi che la compongono (pur nella diversità di ruolo e di diversi gradi in cui si manifesta la crisi), all’interno delle finalità generali di rafforzamento della catena stessa e modifica degli equilibri dell’assetto post-bellico. In questo contesto l’Europa occidentale manifesta il suo ruolo centrale e il carattere altamente dinamico dei suoi processi di coesione politica, economica e militare, anche se si tiene conto delle spinte contraddittorie che discendono dalla dialettica concorrenza/integrazione. La discontinuità che ne risulta non impedisce infatti che si succedano atti concreti di cooperazione e coordinamento, fattivi e durevoli, e che si sanciscano via via intese (sul piano politico, economico e militare) come risultante del collimare dei reciproci interessi con l’interesse generale del blocco imperialista. La collaborazione e gli accordi che fanno avanzare questo processo sul piano controrivoluzionario sono forse il dato più lineare, meno contraddittorio, rispetto a ciò che si produce sugli altri piani della coesione europea, più soggetti a contrastanti interessi nell’ambito interborghese, proprio perché più netta è l’individuazione dell’interesse comune che, su questo piano, coinvolge tutti i paesi del blocco occidentale.

Al tempo stesso, l’esperienza che la borghesia imperialista ha acquisito in relazione all’importanza politica e strategica della guerriglia, sia nel centro che nell’area mediterranea-mediorientale, ne costituisce il filo conduttore e qualificante che dà concretezza non solo alle finalità ma anche ai mezzi per perseguirla. Ne deriva, in termini generali, che gli scambi, i contatti, gli atti politici concreti, integrano e spostano ad un livello più alto l’attività antiguerrigliera dei diversi stati europei occidentali, generalizzando l’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che la guerriglia stessa ha contribuito a determinare; parallelamente modificano l’approccio di ognuno di questi paesi con l’attività antimperialista delle Forze Rivoluzionarie (sia del centro che della periferia) influendo sulla connotazione del rapporto imperialismo/antimperialismo. Infatti è evidente che il rafforzamento e la stabilità politica di ogni paese della catena è importante e condiziona le tappe del procedere della strategia imperialista, e quindi combattere e ridurre ogni espressione dell’attività guerrigliera, sia essa “classista” o “nazionalista” diventa interesse generale del blocco occidentale. D’altra parte quest’ultimo ha piena coscienza del fatto che tra le varie forze rivoluzionarie che combattono l’imperialismo emerge sempre più evidente l’esistenza di un interesse comune, che disegna nettamente i confini di un fronte oggettivo. Di più, e in particolare, il salto di qualità insito nella costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista, finalizzato a stringere nell’attacco pratico l’unità realizzabile tra le forze rivoluzionarie che combattono l’imperialismo nell’area geopolitica (Europa occidentale, Mediterraneo, Medioriente), amplifica la minaccia concreta che la guerriglia rappresenta per l’imperialismo nella misura in cui non solo aumenta l’efficacia dell’attacco ma soprattutto pone i termini per perseguire soggettivamente l’unità che, sul terreno dell’antimperialismo, già esiste oggettivamente tra Forze Rivoluzionarie, in particolare nell’area di massima crisi. Di conseguenza ancor più si stringono i vincoli politici, si accelerano i processi in atto, si intensificano gli scambi e la cooperazione a livello innanzitutto politico (che orienta poi l’attività della controguerriglia). Molto sinteticamente questi sono i termini che segnano attualmente l’approfondimento delle condizioni in cui si svolge il processo rivoluzionario. Tornando a questa istruttoria, è quindi evidente che essa sia tutta interna al piano della guerra rivoluzionaria, di cui rappresenta un momento (anche poco significativo), un piano che ne evidenzia la natura di classe e controrivoluzionaria e, d’altra parte, che qualifica la nostra attuale condizione di prigionieri politici.

I militanti delle BR per la costruzione del PCC: Giorgieri Simonetta, Vendetti Carla. Il militante rivoluzionario: Bortone Nicola. Si associa Gino Giunti militante rivoluzionario

Parigi, 20 settembre 1990

 

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