Lottare uniti contro l’imperialismo in Europa e nel Tricontinente del Sud. Seconda Corte di Assise di Roma – Documento di alcuni compagni del Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta, Luciano Farina, Giovanni Senzani, allegato agli atti del processo BR-Romiti.

«La decisione di lottare contro il sistema imperialista e per un mondo in cui gli uomini possano condurre una vita libera e autodeterminata, non può essere subordinata al fatto che in una determinata fase sia più forte la propria parte o il nemico, e dunque se la vittoria sia a portata di mano o se debba essere combattuta fino alla fine in una lunga lotta. La decisione per la lotta rivoluzionaria può venire solo dalla propria esperienza nel sistema e dalla sua brutalità e distruttività e dai propri obiettivi ed idee – appunto come si vuole vivere» (Rote Armee Fraktion, 27.7.1990).

Lo scenario degli anni ’90 si è aperto con alcuni fatti destinati ad influenzare in modo determinante lo sviluppo presente e futuro del mondo.

Il primo è rappresentato dal costituirsi della “Grande Germania”, dopo il crollo del sistema economico-politico-militare dei paesi del Patto di Varsavia e dal suo emergere come punto di forza e di predominio all’interno dell’Europa, e ciò fa assurgere l’intero blocco europeo-occidentale al ruolo di potenza mondiale. L’incorporazione della Germania Orientale che si celebra in questi giorni svela a tutti non solo l’evidente realtà di un “Quarto Reich” che sta decollando, ma quella di una borghesia europea decisa a perseguire i suoi interessi sulla pelle dei proletari dell’est, dell’ovest e del sud. Come dicono i compagni della RAF, comincia una nuova «aggressione contro i popoli dell’Europa condotta con i mezzi dell’economia e della politica» e, contemporaneamente, il capitalismo tedesco-europeo vuole lanciarsi «in un nuovo giro di vite nella sottomissione e nel saccheggio dei popoli del Tricontinente». Per questo si apre per i proletari ed i rivoluzionari «una lunga fase di lotta contro l’appena formato potere mondiale grande-germanico/europeo-occidentale».

Il secondo fatto è ancora più scatenante: l’invasione e l’occupazione della regione del Golfo da parte degli USA e dei loro alleati europei occidentali. Con questo atto “oggettivo” di guerra – una vera e propria aggressione – inizia un’epoca nuova in cui il quadro della crisi globale dell’imperialismo tende a tradursi in quello della guerra globale.

Il periodo successivo al ridefinirsi del rigido bipolarismo est/ovest – il cosiddetto post-guerra fredda – comincia in modo traumatico e si manifesta come un periodo di forte instabilità in cui l’interdipendenza del mercato mondiale moltiplica le contraddizioni ed i conflitti assumono una nuova globalità. La ricerca di un nuovo ordine mondiale capitalista diventa sempre più urgente e difficile.

Il terzo fatto è costituito dal ruolo dell’Italia in questa fase di passaggio del dispiegamento imperialista europeo. Lo Stato italiano sta assumendo le maggiori responsabilità nel Fronte Sud della NATO e nel processo di unificazione politica europea attraverso il suo personale inserito al vertice delle strutture comunitarie europee. Ciò si sta traducendo in una rifunzionalizzazione e centralizzazione delle strutture dello Stato che aggrediscono tutte le contraddizioni sociali e in un attacco diretto alle condizioni materiali di vita dell’intero proletariato. L’esempio più chiaro è la nuova manovra finanziaria di questo periodo, vero e proprio insieme di provvedimenti da economia di guerra che pesano soprattutto sui proletari.

Per mesi la propaganda borghese ha teso ad inculcare in tutti l’idea di una ininterrotta era di pace sotto la guida del capitalismo, ormai padrone del mondo dopo il “crollo del comunismo” ovunque. La realtà si incarica invece di riportare in primo piano la materialità delle contraddizioni che attraversano il mondo con un nuovo scenario di guerra.

Assistiamo ormai al concretizzarsi sempre più sconvolgente dello scontro, della guerra del nord contro il sud del mondo; una continua accumulazione di ricchezza e di miseria come poli di una contraddizione che il capitalismo non fa che accentuare in ogni angolo del pianeta, dalle metropoli dell’occidente sviluppato alle periferie del Tricontinente. La contraddizione tra proletariato e borghesia afferma la sua centralità ed assume un carattere scatenante in tutte le aree.

Quello che è cambiato, e che non fa che moltiplicare gli effetti dello scontro tra proletariato e borghesia, è il prevalere, rispetto al consueto quadro della contraddizione est/ovest, che per anni ha fornito una chiave di lettura del mondo in base ad un sistema bipolare ed ha segnato i confini anche dello scontro tra rivoluzione e imperialismo, di quello della contraddizione nord/sud, dentro cui la lotta dei popoli contro la borghesia acquista oggi nuova profondità e radicalità.

La lotta anticapitalista e antimperialista nelle metropoli europee e nel Tricontinente trova un terreno comune di unità nell’iniziativa contro il nuovo dispiegamento imperialista nel mondo intero, quindi contro il sistema economico-politico-militare che ruota attorno agli USA.

In questo senso l’invasione occidentale della regione del Golfo non è altro che il coagularsi delle linee di sviluppo delle lotte del prossimo futuro; i proletari ed i popoli del mondo intero contro l’imperialismo come sistema unitario, contro un sistema di potere e di sfruttamento che è solo distruttività della vita umana qui nel centro e là nella periferia.

Gli USA oggi cercano di uscire con nuova determinazione dalla crisi di egemonia che li attanaglia ormai da anni e che ha segnato tutta la storia dell’Occidente dopo la sconfitta del Vietnam. Dopo la prova generale in Centro America con l’indisturbato assalto a Panama, gli USA passano ad un attacco di ben altre proporzioni, perché vorrebbe essere risolutivo per la definizione del nuovo ordine mondiale e come tale viene rivestito del carattere di una vera e propria moderna crociata, contro l’Iraq e l’intero popolo arabo, che “mettono in pericolo” il benessere e la pace armata dell’Occidente.

In realtà la regione del Golfo è una zona vitale per gli interessi del mondo capitalistico che sul piano energetico dipende in modo rilevante dal petrolio dell’area; quindi il suo controllo è necessario per garantire lo stesso processo produttivo dei paesi occidentali. D’altra parte, fin dal 1980 l’Heritage Foundation, nel suo documento strategico “Mandato per la supremazia”, elaborato per i programmi a lungo periodo dell’Amministrazione Reagan, affermava a chiare lettere che dovevano essere «intraprese efficaci azioni per ristabilire una presenza militare americana credibile in quest’area». Oggi questo si è realizzato concretamente e secondo gli strateghi USA dovrebbe svilupparsi ulteriormente in una “NATO araba”.

Dalla strategia della guerra a bassa intensità sviluppata dall’Amministrazione Reagan, gli USA stanno muovendosi verso la strategia dell’aggressione ad alta intensità dell’Amministrazione Bush, a cui partecipano direttamente – economicamente, politicamente e militarmente – Europa e Giappone, con al seguito gli Stati arabi reazionari, loro nuovi alleati, e uno Stato d’Israele ancora più armato, bellicista e razzista.

Questa è la nuova realtà che i mass-media ci rovesciano addosso ogni giorno con una tempesta di bollettini di guerra e che le masse arabe palestinesi stanno affrontando nella loro terra. La nuova crociata – il più ampio concentramento di potenza militare dalla fine della seconda guerra mondiale – viene vista per quello che è dai suoi destinatari: un attacco occidentale, bianco e razzista contro la vita presente e futura delle masse arabe e palestinesi che va respinto, un attacco ben simboleggiato dalla bandiera con il teschio delle forze d’occupazione USA.

Le masse arabe palestinesi si sono mobilitate subito contro l’invasione del Golfo denunciando il ruolo delle “monarchie feudali arabe” che l’avevano sollecitata per sopravvivere. Dalla Giordania, all’Iran, all’Algeria, ai territori occupati della Palestina, dove l’Intifadah palestinese ha abbinato, nella sua lotta quotidiana, l’invasione USA del Golfo all’occupazione sionista della Palestina, facendo appello ai popoli arabi e ai movimenti dell’area «affinché si uniscano in un unico fronte, forte e saldamente unito, per affrontare la prevista aggressione americana e costringerla ad andarsene, spazzandola via dalla pura terra della missione islamica per proteggere la dignità araba» (Comando Nazionale Unificato dell’Intifadah n. 61, 31 agosto 1990).

Ci sono tutte le premesse perché l’aggressione americana ed europea si trasformi in un nuovo Vietnam, destinato a durare a lungo nel tempo e ad avere una globalità tutta nuova, specifica a questo periodo storico.

Questo scontro coinvolge già tutti i proletari e i popoli del mondo, che sono i primi a pagarne i costi, a cominciare dalle centinaia di migliaia di proletari in fuga dalla zona del Golfo, trasformati da forza-lavoro sottopagata in profughi abbandonati a se stessi, ed è parte dello scontro generale tra rivoluzione ed imperialismo. Esso può diventare un terreno di costruzione e sviluppo della soggettività rivoluzionaria attraverso l’affermazione della connessione strategica tra la lotta anticapitalista ed antimperialista in Europa e nel Tricontinente (Asia, Africa e America Latina). Un aspetto di quel nuovo internazionalismo proletario che si sviluppa nelle condizioni oggettive – storiche – dello scontro di questa epoca che fa sì che gli interessi dei proletari e dei popoli dell’Europa e del Tricontinente diventino “gli interessi comuni” nella lotta unitaria contro l’imperialismo.

In Europa siamo di fronte ad un profondo e sempre più accelerato processo di ristrutturazione in vista dell’istituzione del Mercato Unico e del costruirsi dell’unità politica degli Stati Europei. Questo processo è una risposta imperialista alla crisi e comporta enormi riflessi sul proletariato in Europa, nel Mediterraneo e nel sud del mondo. E un primo esempio indicativo sono le decisioni economiche, politiche e militari omogenee rapidamente concertate dagli Stati del blocco europeo sulla questione del Golfo, in collegamento con gli USA.

Questo processo avrà riflessi sulla lotta di classe in ogni paese europeo e su di esso si misureranno sempre più le possibilità di sviluppo rivoluzionario, perché sempre più i proletari di ogni territorio avranno di fronte le nuove concentrazioni capitalistiche sorte su base continentale e le corrispondenti istituzioni politiche che coordinano ed omogeneizzano le loro iniziative.

Per l’Europa, e in generale per gli altri paesi del centro (USA e Giappone), è vitale avere un retroterra pacificato in cui poter portare a termine i processi di ristrutturazione capitalistica sotto la spinta dei grandi oligopoli finanziari multinazionali e da cui lanciare l’aggressione al resto del mondo. In questa prospettiva di sfruttamento e miseria per le masse proletarie in cui la distruttività del sistema imperialista raggiunge livelli mai visti, non c’è spazio per le lotte proletarie che devono essere svuotate di ogni potenzialità antagonista, non c’è spazio per l’opposizione politica rivoluzionaria, che deve essere delegittimata e distrutta… Gli anni ’90, se non possono perpetuare la stagione d’oro del capitalismo del decennio precedente, come amano ricordare in Italia Agnelli e il suo compare Romiti, devono per lo meno consentire lo “sviluppo” dei capitali più forti ed attrezzati nonostante l’approfondirsi della crisi economica nelle aree del centro.

La FIAT, ad esempio, non ha alcun problema ad osannare da una parte i suoi profitti e, dall’altra, ad attrezzarsi per affrontare la nuova situazione che si sta determinando, inventando la mistica della “qualità totale“ rinnovando la concretezza della cassa integrazione e, contemporaneamente, preparandosi ad espandere il suo settore di produzioni di guerra.

In questo quadro, mentre ritornano in primo piano le ragioni della guerra imperialista e si afferma il carattere reazionario della società borghese, si mantiene il dato strutturale della controrivoluzione preventiva che si è stabilizzato nell’attacco al progetto delle organizzazioni della lotta armata negli anni ’70 e ’80.

La “guerra al terrorismo” è un obiettivo irrinunciabile dell’imperialismo nel cercare di garantirsi il livello di pace sociale necessario per portare avanti i suoi processi di ristrutturazione e “sviluppo”. Ciò si traduce nella politica integrata degli Stati europei contro il movimento rivoluzionario e le forze combattenti, in particolare contro la politica di fronte che si va costruendo a livello continentale.

Anche l’attacco ai prigionieri rivoluzionari europei è parte di questa politica imperialista in quanto essi sono un’espressione della continuità della lotta al capitalismo e all’imperialismo all’interno delle metropoli europee. Un attacco questo che serve a delegittimare e spoliticizzare l’intera esperienza rivoluzionaria europea degli ultimi vent’anni.

Per questo di fronte alla lotta dei prigionieri dei GRAPO e del PCE(r) in Spagna contro l’isolamento e per ottenere il raggruppamento – lotta che dura ormai da dieci mesi e che ha già visto la morte del compagno Josè Sevillano Martin – gli Stati europei e gli organismi sovranazionali della repressione sono più che mai uniti e a fianco dello Stato spagnolo e del suo governo “socialista” nella strategia di annientamento dei compagni. Il vero contenuto di queste politiche è sempre la distruzione del soggetto rivoluzionario e ciò stabilisce anche i fondamenti per un terreno di lotta comune per tutti i prigionieri, come parte della lotta tra rivoluzione e imperialismo in Europa. Respingere l’attacco ai collettivi di prigionieri in Spagna e in tutte le carceri imperialiste dell’Europa significa anche respingere e scuotere il potere che sfrutta e opprime milioni di uomini e donne qui nel centro e nel Tricontinente del sud.

Lottiamo insieme e vinceremo insieme.

Onore al compagno Josè Sevillano Martin e a tutti i compagni prigionieri caduti nella lotta contro il carcere imperialista.

Alcuni compagni del Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta: Luciano Farina, Giovanni Senzani

Roma, 3 ottobre 1990

 

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