Questa loquace area del silenzio. Cuneo, intervento di Giuliano De Roma

Cari compagni, vi mando il documento che ho fatto da mettere agli Atti del «processetto» tenutosi più volte (perché più volte rinviato) presso il Tribunale di Sorveglianza di Torino, al quale ho fatto ricorso contro il provvedimento di sorveglianza particolare (art. 14 bis) adottato dalla direzione generale degli Istituti di Prevenzione e Pena del ministero di Grazia e Giustizia (…).

Chiudo queste righe mandandovi un forte abbraccio comunista.

L’applicazione nei nostri confronti dell’art. 14 bis da parte del ministero di Grazia e Giustizia non va vista solamente come atto di ritorsione contro quei comunisti, quei rivoluzionari e quei proletari che non solo rivendicano pienamente la loro esperienza di lotta, ma continuano a contribuire – pur nella specificità della loro condizione attuale – allo sviluppo del movimento rivoluzionario nell’attuale scontro di classe. È certamente qualcosa di più di questo; è bene leggere sinteticamente lo scenario in cui questi provvedimenti vanno a collocarsi per cercare di comprenderne più a fondo la portata politica.

Non è necessario ripercorrere la storia di questi ultimi anni, degli eventi caratterizzanti vissuti dai rivoluzionari nel nostro paese e che hanno segnato le tappe della nostra esperienza politica. È piuttosto del presente e del futuro che bisogna parlare, dell’apertura di una fase che prefigura i nuovi elementi che definiranno le caratteristiche della prigionia politica.

La fuga nelle braccia del nemico di una grossa fetta di ex rivoluzionari, nei variegati modi del rinnegamento della propria storia, dall’infame tradimento alla dissociazione, è già stata codificata da una legge ormai prossima a scadere dopo essere stata offerta per mesi sul mercato della merce istituzionale. Ma la dissociazione non basta, come non basta mostrare di aver «pacificato» il carcere, oggi il tentativo dello stato imperialista si delinea come ancor più ambizioso.

Non si tratta più di regolamentare all’insegna della «riconciliazione» il salto del fosso da parte di squallidi individui totalmente screditati da anni di collaborazionismo con la borghesia. Ora si tenta la carta forse ritenuta più decisiva: pensare che sia possibile orientare i prigionieri politici – nel loro insieme! – contro la ripresa dell’iniziativa guerrigliera, far pesare l’interno contro l’esterno, il «passato» della lotta armata per il comunismo contro il suo futuro!

La lotta armata, data frettolosamente per morta e sepolta, continua a mostrare la sua vitalità strategica in un quadro generale di contraddizioni capaci di dare nuovo alimento al movimento rivoluzionario. Gli stessi eventi di questo inizio d’anno hanno eloquentemente smascherato le pie illusioni di chi riteneva il capitolo ormai chiuso: devono essere allora accelerate le mosse politico-giudiziarie tendenti a dipingere i «terroristi dell’ultima generazione» come fanatici disperati sradicati dalla loro stessa storia, la lotta armata di oggi e di domani come del tutto estranea a quella degli anni ’70, ridotta ormai a fenomeno digerito e storicizzato, imbalsamato grottescamente nelle rievocazioni di reduci disillusi dai capelli grigi, di studiosi di dietrologia, di apologeti delle modernizzazioni craxiane. La galera è oggi il luogo ideale per lo sviluppo di questa manovra. Solo dalla galera la divisione fra vecchi «terroristi buoni» e nuovi «terroristi cattivi» potrebbe essere fatta giocare non solo come dato meramente propagandistico, da controguerriglia psicologica, ma come arma politica rivolta attivamente a creare difficoltà nel movimento rivoluzionario e a seminare confusione e disgregazione. È un’altra pia illusione, ma c’è chi si presta oggettivamente ad alimentarla. Per questo è indispensabile tracciare, come comunisti prigionieri, una chiara linea di demarcazione che non lasci spazio ad attendismi ed ambiguità. E queste righe, con molta franchezza e fuori dai denti, vogliono contribuire a rafforzare tale linea di demarcazione, che divida nettamente rivoluzione e controrivoluzione e denunci come quest’ultima pretenda di inserirsi nel corpo dei prigionieri politici.

Da qualche tempo un gruppo di prigionieri tace con una loquacità inesauribile, dimostrando una ritrosia a scrivere e a rilasciare dichiarazioni che rasenta ormai… la grafomania. Un’area del silenzio particolarmente rumorosa di ex militanti, che in passato hanno ricoperto ruoli politici e responsabilità dirigenziali nel movimento rivoluzionario, si è finalmente associata al coro di chi vorrebbe sistematizzare una volta per tutte la storia della lotta armata in Italia, in modo da sancirne la particolarità (da anni ’70) e l’irripetibilità nel contesto attuale. Questa disponibilità a riciclarsi (da rivoluzionari a storici, da comunisti a memorialisti) è condizionata dal fatto di poterlo fare da… liberi. Particolare evidentemente non di secondaria importanza: come insegna Spadolini, se è proprio scritto che uno debba fare lo storico, è più comodo farlo seduto su una poltrona ministeriale che su uno sgabello da galera.

In una letterina d’intenti definiscono affetti da sclerosi metafisica quanti non condividono la loro conversione a studiosi, alludendo ai comunisti che continuano a lavorare per costruire l’iniziativa rivoluzionaria.

Ma con chi e in che modo ripercorrere la strada intrapresa dalla lotta armata per il comunismo nel nostro paese?

Dentro il movimento rivoluzionario non è mai mancato lo spazio per la critica e l’autocritica, il dibattito seguito alle sconfitte inflitte alla guerriglia all’inizio degli anni ’80 è stato profondo e condotto in termini tali da non poter essere liquidato come una prassi formale e non sostanziale nella ridefinizione di una strategia rivoluzionaria. Un confronto serrato, ma sempre interno al campo della rivoluzione. I nostri «storici», invece, pensano chiaramente ad altro referente, l’unico capace di valorizzare adeguatamente la loro smania di ricostruzione delle vicende della lotta armata. E non è certo voler forzare o stravolgere il loro pensiero affermare che questo referente è quella Commissione Parlamentare istituita per «studiare il terrorismo» insediata da poco e dal ruolo e dalla durata certo promettenti. In quanto «storici» i nostri non hanno fretta, i contratti di questo tipo (consulenza in cambio di libertà) richiedono un certo tempo per essere perfezionati davanti al notaio, specialmente quando nell’area del «silenzio» ci sono contraddizioni sul contraente capace di offrire le condizioni più vantaggiose e di essere solvibile quando si tratterà di riscuotere. Il PSI? Un variegato arco di forze erede del fronte della trattativa? Settori della DC e del PCI comunque interessati a porre un’opzione politica sul futuro dell’operazione «finalmente i capi storici prendono la parola contro i nuovi brigatisti»? Miserie.

Intanto l’area del «silenzio» vive con comprensibile preoccupazione la necessità di non essere confusa con quella dell’abiura e della dissociazione. È per evitare simili confusioni che a qualcuno di loro pare sia stato proposto il 14 bis (?!)… per una ulteriore legittimazione del loro parlare nel movimento rivoluzionario? Le loro preoccupazioni… vendere magliette a Montanelli è una cosa, vendere consulenza storica ad una Commissione Parlamentare è un’altra. Non solo: perché l’intera operazione risulti appetibile alla borghesia, è indispensabile non rinchiudersi in una cosca o in un piccolo circolo. Se la posta in gioco è tentare di far pesare la galera contro l’esterno, il passato contro il futuro della guerriglia, gli «storici» devono ostentare di parlare a nome di tutti i prigionieri politici non coinvolti nella dissociazione. Solo in questo modo possono dimostrare di continuare a mantenere quel ruolo che loro stessi hanno perso ponendosi al di fuori del dibattito fra rivoluzionari. La loro presunzione e la smania di protagonismo sono davvero cattive consigliere: costoro non rappresentano nessuno se non le loro ambizioni. La loro furbizia di politicanti potrà coinvolgere altri, non certo quei comunisti prigionieri che si riconoscono nella validità strategica della lotta armata per il comunismo, quei comunisti prigionieri che giorno dopo giorno assistono alla costruzione di un mosaico esaltato dalla borghesia come il massimo della democrazia e di cui l’applicazione dell’art.14 bis, ter, quater ecc. è solo un tassello. Basta osservare con un po’ più di attenzione la legge Gozzini non solo per comprendere il presente della situazione carceraria, ma per sapere quale futuro ci si prepara.

E questo, per davvero, non è che l’inizio! L’inizio di un trattamento sempre più differenziato in ogni aspetto della prigionia sino alla definizione della galera «più adatta» per ognuno. Ma non sarà per questo che i comunisti smetteranno di esserlo e di comportarsi come tali. Siamo ben contenti di deludere quei corvi che attendono impazienti la nostra fine politica e che per il momento si accontenterebbero anche di registrare il nostro silenzio: continueremo a contribuire a quel dibattito che rende vitale il movimento rivoluzionario e che oggi ci impone maggiori sforzi nell’ambito delle tematiche riproposte dall’iniziativa combattente, dall’agire guerrigliero. Maggiori sforzi, perché il riadeguamento teorico e sostanziale dei prigionieri politici alla nuova fase dello scontro deve fare i conti con lo strascico di impostazioni politiche scorrette e di anni di confusione e disgregazione. Maggiori sforzi, perché il movimento rivoluzionario è ormai nelle condizioni di affrontare e sciogliere quei nodi strategici della lotta all’imperialismo nella nostra area geopolitica che in passato non si erano ancora acquisiti in tutta la loro portata.

Oggi la costruzione del Fronte antimperialista combattente è una proposta credibile, concreta e strategicamente valida su cui tutti i rivoluzionari devono misurarsi in un rapporto di reale unità nell’attacco all’imperialismo. L’attacco al cuore dello stato (come storicamente l’abbiamo sempre inteso) non diviene che l’articolazione – necessaria e indispensabile – nel nostro paese dell’attacco agli interessi generali dell’imperialismo a dominanza USA in rapporto alle linee di sviluppo degli interessi della borghesia imperialista italiana.

Un altro aspetto che va emergendo all’interno dell’area europea e mediterranea è la ripresa delle istanze di liberazione e autodeterminazione dei popoli la cui identità è soffocata dall’ordine imperialista: dall’Irlanda ai Paesi Baschi, dalla Corsica alla Sardegna. Ed è da quest’ultima realtà che come comunista sono stato espresso… ed è in riferimento ad essa che soprattutto muovo il mio contributo dentro lo sviluppo del dibattito/confronto già in atto fra i militanti comunisti e i rivoluzionari sardi, per porre le basi di un processo di unità contro l’imperialismo che non vede misurarsi solo i comunisti, i marxisti-leninisti, ma tutti quei rivoluzionari sardi che impegnano le loro energie verso un percorso di autodeterminazione del popolo sardo. Questo nel concreto, in ultimo, significa lavorare dentro lo sviluppo, più vasto nelle componenti, dello stesso Fronte antimperialista combattente.

 

Rafforzare il Fronte antimperialista combattente!
Guerra alla guerra! Guerra alla Nato!
Onore ai combattenti comunisti caduti!
Onore ai combattenti caduti per la liberazione del proprio popolo dal giogo imperialista!

Giuliano Deroma

Cuneo, marzo 1987

 

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