Processo PCP-M, un bilancio. Documento dal carcere di Siano di Vincenzo Sisi e Alfredo Davanzo militanti per il PCP-M

Ad oltre cinque anni dai nostri arresti, a maggio si è svolto un ulteriore processo PCP-M. A conclusione del quale si è posta la necessità di fare chiarezza sul significato della nostra diversa tattica processuale, rispetto alle passate scadenze.

Un diverso approccio determinato da alcuni cambiamenti, il principale essendo il fatto che il processo avrebbe affrontato essenzialmente il nodo del reato associativo. “Associazione sovversiva e banda armata”: semplici o con finalità terroristica!

Pensiamo che questo sia un terreno minato, perché può portare a posizioni autogiustificatorie, di differenziazione legalista. Specialmente se si lascia gestire questa “battaglia” agli avvocati che, nonostante le loro apprezzabili qualità, restano interni al piano legalitario e (è bene ricordarlo) all’ordine giudiziario borghese.

Qualsiasi fase di vera lotta rivoluzionaria (quindi armata), o anche singoli episodi significativi, vengono qualificati come terrorismo. Questo in particolare negli anni ’70, passando per le svolte emergenziali (leggi speciali), fino all’ultima avviata nel 2001 come portato della “guerra infinita al terrorismo internazionale” (sorta di guerra mondiale informale, dichiarata dalla catena imperialista dominante). In pratica, ogni forma di rivolta, opposizione, organizzazione di avanguardia, armate, contro l’ordine imperialista, vengono bollate dalla qualifica terroristica.

Ciò che si ricongiunge ad un altro concetto fondamentale caratterizzante la nostra epoca di profonda crisi del sistema: è la classe dominante a scatenare la guerra di classe! Perché sa che la guerra diventa sempre più l’orizzonte sociale di un sistema che, bloccato nelle sue possibilità di sviluppo economico-sociale, diventa sempre più distruttivo-mortifero per la gran parte delle popolazioni. Non lasciando altra via d’uscita ad esse che la rivolta o, magari l’avvio di processi rivoluzionari.

Orizzonti di guerra che come vediamo divampa nelle periferie mondiali dominate dall’imperialismo, laddove questo nodo di contraddizioni è esplosivo da tempo. L’ossessione del terrorismo, la “guerra al terrorismo”, e “l’esportazione di democrazia e diritti umani” sono le categorie-guida della macchina da guerra imperialista, nelle sue articolazioni ideologiche, politiche e giuridiche. Che vengono rivolte persino contro i movimenti sociali, di fabbrica e di piazza. Figurarsi rispetto alle organizzazioni rivoluzionarie, sia di classe che di liberazione antimperialista!

La “battaglia giuridica” su questo terreno non solo è illusoria, ma tende ad entrare in contrasto con le esigenze della lotta rivoluzionaria. Diciamo questo anche col senno acquisito dal ciclo precedente, anni ’70/’80: distinzioni, giustificazioni innocentiste, furbismi a pretesa ideologica diventano rapidamente arretramento politico opportunista.

Tali considerazioni ci hanno portato ad una tattica che fosse più chiara e netta possibile: impostazione processuale solo in termini politici di riaffermazione della linea e strategia politico-militare e rifiuto della suddetta diatriba attorno ai reati associativi. Perciò, revoca degli avvocati.

In particolare era inaccettabile l’argomentazione circa “l’inidoneità organizzativa”, vero controsenso per chi cerca di costruire una forza organizzata. Argomentazione svalutativa, appunto da arretramento politico. L’atto della revoca ha dato consistenza all’impostazione. Essa si è precisata nei nostri interventi: “Non abbiamo nulla da cui difenderci, tantomeno dalla qualifica di terrorismo che, invece, è espressione propria del dominio di classe dello Stato borghese e imperialista. Siamo qui a rivendicare ed affermare il legittimo ricorso all’uso della forza da parte proletaria, all’organizzazione politico-militare per sviluppare il processo rivoluzionario di liberazione del proletariato”. “Rivendichiamo i percorsi fatti, nell’indirizzo di costruzione del PCP-M, e ne riaffermiamo l’esigenza attuale”.

Interventi che, volendo anche impedire il ruolo collaborativo degli avvocati imposti d’ufficio, finivano puntualmente in espulsioni dall’aula.

Tutti i momenti in cui abbiamo cercato di far vivere vari contenuti politici: “In quanto operai e comunisti abbiamo preso le armi, perché solo con queste si può abbattere il potere borghese dello sfruttamento e dell’oppressione, e costruire la società nuova, senza classi”. Cosa ancora più evidente oggi: dal carattere di genocidio sociale assunto dalle politiche di crisi, al carattere dittatoriale dei nuovi governi sovranazionali (la troika) che rendono ancora più tangibile il profilo dello Stato Imperialista delle Multinazionali. Dalla sempre più evidente esigenza rivoluzionaria come unica prospettiva di classe possibile, alla necessaria organizzazione politico-militare come sua concretizzazione.

Proprio per ciò abbiamo anche salutato l’azione contro l’Ansaldo di Genova, come contributo al processo rivoluzionario. Abbiamo dovuto fronteggiare l’ennesima presenza provocatoria del prof. sen. Ichino (per altro spalleggiato da qualche notabile governativo) ricordando a questo eminente servo della borghesia, che ama (come i suoi padroni) presentarsi da vittima virtuale, le incalcolabili vittime reali del sistema capitalistico e tutta la violenza insita nelle loro politiche economiche, vera e propria guerra di classe. Alla cui risposta, da parte proletaria noi cerchiamo di contribuire.

Alcuni di questi concetti sono rimbalzati con toni scandalistici sugli organi di informazione. I funzionari governativi presenti non hanno gradito e, su segnalazione della Digos di Milano, è stata aperta un’indagine per “istigazione alla violenza”, la cui prima conseguenza è stata una perquisizione generale delle celle, e il sequestro di documentazione. Infine la sentenza che, raccogliendo i dubbi della cassazione, ha tolto l’aggravante terroristica e ridotto le pene massime (fra i due, quattro anni e i tre, sette a testa). Cioè riduzioni contenute, e a conferma dell’impianto accusatorio e probatorio (altro che “sentenza scoordinata”…).

Il tutto si è svolto nella consueta e forte dialettica con la solidarietà e componenti del movimento di classe. Tra cui una delegazione internazionale, con compagni/e da Svizzera, Germania, Belgio Francia. L’udienza finale è stata molto partecipata, con la risonanza degli slogan da una parte all’altra delle sbarre. Tra gli slogan, “per i compagni dentro, nessun lamento – linea di condotta, combattimento!”. Questo rende esplicito e caratterizza pienamente il concetto di solidarietà attiva, compresa in funzione dello sviluppo del processo rivoluzionario. Infatti la repressione va intesa, e affrontata, come sua parte inevitabile. Nel senso preciso dello sviluppo dialettico dello scontro: i colpi repressivi dello Stato vanno trasformati in occasioni di maturazione ed ulteriore elevamento dei nostri livelli politici.

Ma, essendo la solidarietà un piano di aggregazione e mobilitazione proletaria pubblica e “di base”, vanno evitate quella confusione e ambiguità che finiscono per tirare al ribasso il livello politico. Cioè non potendo essere conseguenti, in quest’ambito, nei termini dell’impegno rivoluzionario, si tende facilmente all’impostazione vittimista, recriminatrice (contro la repressione intesa come ingiustizia, montatura, ecc.) e, infine, ad arretrare nel tatticismo legalista. Ultimi esempi, alcuni tempestivi (e non richiesti!) comunicati sulla sentenza della cassazione, prima e sul processo poi; in cui non solo si sconfina nei soliti legalitarismi e vittimismo movimentista (l’ossessione contro “le toghe rosse” sic), ma addirittura si arriva a censurare il contenuto politico del processo. Tutto ciò che abbiamo or ora relazionato sparisce, e con esso gli elementi centrali della nostra identità e battaglia politica. L’insistenza nel riproporre questa impostazione sbagliata e deviante crea evidentemente un vero problema con alcuni circoli. Non con tutti i loro partecipi, spesso mossi da un autentico slancio solidale, ne con altri circoli che hanno saputo e sanno rapportarsi a noi nei giusti termini di “unità/distinzione”. Quei termini che già molto tempo fa insistemmo a richiamare (per esempio, nei documenti “Elementi di bilancio del processo PCP-M, 2009” e “La migliore solidarietà consiste nello sviluppo della lotta rivoluzionaria, 2010”. Pur consapevoli dell’importanza di lavorare per l’unità (sia fra proletari che fra comunisti) pensiamo che in Italia e purtroppo nei centri imperialisti in generale, si debba ancora fare i conti con pesanti eredità storiche. Le quali, precisamente, sono all’origine della persistente frammentazione, inadeguatezza e incoerenza. Che vanno superate per riuscire a compiere il salto di qualità così necessario al movimento comunista, di fronte alle grandi e gravi possibilità del presente.

Alcuni importanti avvenimenti, oggi, offrono occasioni a questo percorso di maturazione. La sentenza definitiva sul G8 di Genova ha ratificato le condanne più pesanti mai viste, per scontri di piazza. Scontri e attacchi anche rivendicati politicamente da alcuni compagni/e condannati/e. E giustamente, perché il valore e significato di quelle giornate rimangono come un passaggio importante per tutto il movimento di classe. E questo ancor più nella “dialettica” con una repressione che, fra i massacri di piazza e queste condanne, assume veramente i caratteri da guerra di classe preventiva. L’operazione, poi, contro il movimento NO-TAV è entrata nella fase processuale, attorno cui si vede lo sviluppo del dibattito tendere chiaramente verso la tattica di assunzione collettiva di ragioni e pratica di una lotta. E potrà essere un bel banco di prova, data la forza e la portata di interesse generale ormai acquisite da questo movimento.

Certo, ci sono differenze importanti fra repressione contro i movimenti di lotta di massa e quella contro l’organizzazione rivoluzionaria armata. Però, come dicevamo al nostro processo: la guerra di classe esiste e, per ora, è la borghesia che la sta conducendo (a suon di massacri sociali e imperialistici). Il proletariato deve imparare a condurre la propria. Ne fa parte l’affrontare la repressione come guerra di classe. E, combattendo, imparare a combattere!

 

Vincenzo Sisi e Alfredo Davanzo militanti per il PCP-M

 

 

Carcere di Siano, luglio 2012

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