Seconda Corte d’Assise del Tribunale di Roma. Dichiarazione dei militanti delle Br-Pcc Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli e della militante rivoluzionaria Vincenza Vaccaro allegata agli atti del processo “esproprio-Hunt”.

Ci sono stati nel nostro processo rivoluzionario snodi cruciali nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione che hanno richiesto all’avanguardia comunista combattente il necessario processo di riadeguamento nella definizione e precisazione degli indirizzi politici di fase per poter assolvere alla funzione di direzione rivoluzionaria dello scontro per poter condurre adeguatamente la guerra di classe di lunga durata.

Nei primi anni ’80 la scelta di aprire ad una nuova fase rivoluzionaria, la Ritirata Strategica (RS) operata dalle BR-PCC, fu determinante per affrontare lo scontro rivoluzionario, per sostenerlo e rilanciarlo sul piano della guerra di classe, in relazione alle condizioni dettate dalla controrivoluzione in un contesto di cambiamenti più generali legati alla crisi recessiva generalizzata, che richiedeva la pacificazione dello scontro. Una scelta che si è imposta come terreno discriminante lo schieramento del movimento rivoluzionario e su cui si sono definiti i termini più adeguati della disposizione sulla Lotta Armata (LA) delle avanguardie più mature. Anche agli inizi degli anni ’90, all’indomani delle operazioni antiguerriglia dell’88-89, a fronte dei processi di consolidamento, nello scontro di classe e rivoluzionario, delle dinamiche controrivoluzionarie interne ed internazionali, la scelta compiuta dall’avanguardia com. comb. di avviare lo stadio aggregativo (SA), finalizzato al rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria e ricostruzione delle forze per l’offensiva, ha complessivamente fatto avanzare i termini di sviluppo della guerra di classe nella capacità di sostenerla e condurla su basi più avanzate.

Gli indirizzi politici, programmatici dello SA si sono confrontati con i nodi politici di contraddizione emersi dalle condizioni politiche danneggiate e disperse dal processo controrivoluzionario dell’evolvere del rapporto di scontro tra classe e Stato, relativamente alla discontinuità di attacco, alla difensiva di classe e alle condizioni e contraddizioni proprie alla soggettività rivoluzionaria, in quanto parte dello scontro generale. Si è trattato di misurarsi con la necessità di immettere nei nodi centrali di scontro il “dato politico assente” dell’espressione dell’autonomia politica di classe attraverso l’esercizio di un ruolo d’avanguardia che collocasse l’interesse del proletariato e la sua prospettiva di potere nello scontro generale tra le classi, andando a selezionare i termini complessivi idonei ad affrontare il nodo della ricostruzione delle forze per l’offensiva e dell’Organizzazione Comunista Combattente (OCC).

È proprio nell’affrontare il quadro di scontro nelle sue determinazioni principali, che l’avvio dello SA, sintetizzato nell’agire d’avanguardia dei Nuclei Comunisti Combattenti (NCC), a partire dalle iniziative offensive contro la Confindustria del ’92 e il Nato Defence College del ’94, si è qualificato come scelta fondamentale e dirimente nel dare risoluzione ai nodi politici e alle priorità poste sul piano rivoluzionario, a precisare ed affrontare i compiti inerenti alla Fase di Ricostruzione (RIC.) e dare adeguata continuità al processo rivoluzionario. Infatti l’agire d’avanguardia dei NCC, assumendo il terreno del riadeguamento operato dalle BR-PCC nel corso della RS e gli indirizzi propri alla fase di Ric., e ricollocandoli nello scontro, ha definito la progettualità che, rapportandosi alla complessificazione data sul piano della Ric. dal quadro di contraddizioni dello scontro, ha incardinato i processi politico-militari e i livelli di costruzione/formazione della soggettività rivoluzionaria nella coscienza del ruolo indispensabile che nella guerra di classe svolge l’OCC che agisce da Partito per costruire il Partito (P.).

Per gli indirizzi perseguiti, gli intendimenti e i riferimenti a base dell’agire politico strettamente aderente ai caratteri generali della fase di Ric. e alla concezione organica di sviluppo della guerra di classe, nonché per i termini politici, tattici e strategici dell’attuale fase di scontro, la prassi d’avanguardia, con l’avvio dello SA, ha caratterizzato in un quadro di obiettiva continuità del processo rivoluzionario, il piano di riadeguamento necessario dell’avanguardia, quale snodo fondamentale per dare adeguato sviluppo e proseguimento alla fase di Ric. e quale passaggio centrale che segna l’avanzamento qualitativo nella costruzione dei livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata rispetto ai cui indirizzi sono stati incanalati i processi aggregativi e i livelli di ricostruzione manifesti nella odierna direzione rivoluzionaria dello scontro espressa dalla nostra Organizzazione (O.).

È infatti in questo complesso quadro progettuale che si colloca, come primo punto di sintesi e rivoluzione delle problematiche della fase rivoluzionaria, l’attacco al cuore dello Stato del ’99 contro M. D’Antona, per indebolire il progetto neocorporativo con cui le BR-PCC hanno rilanciato nello scontro generale la strategia della LA, rilancio indirizzato ad aprire un varco offensivo nella difensiva di classe, che ha fatto avanzare i processi aggregativi sul piano della formazione e disposizione della soggettività rivoluzionaria, funzionale ad acquisire i ruoli militanti complessivi e la collocazione idonea sul programma e di assestamento dell’OCC e di costruzione del Partito Comunista Combattente (PCC), dinamica di ulteriore costruzione che ha reso possibile l’attacco del 19-3-02 contro M. Biagi.

I criteri, gli indirizzi politico-militari e le finalità dello SA sono obiettivamente il terreno discriminante a disposizione delle forze rivoluzionarie per essere adeguate ad assumere gli attuali termini dello scontro contro lo Stato e la Borghesia Imperialista (BI), e in questo senso lo è anche per i militanti d’Organizzazione e rivoluzionari prigionieri in quanto parte del contesto di scontro.

A nostro avviso riteniamo che per assumere questa discriminante non sia sufficiente la mera “adesione” alle risultanze delle iniziative offensive contro M. D’Antona e M. Biagi, al contrario si tratta di avviare un processo politico di disposizione idonea che può darsi solo a partire dalla presa d’atto delle contraddizioni e delle dinamiche politiche che la discontinuità d’attacco ha introdotto nello scontro rivoluzionario e di classe, per come queste si sono riflesse in termini di contraddizioni e limiti politici sui prigionieri.

Lo SA e le sue problematiche, prima di tutto le risultanze poste dalle BR-PCC, permettono di collocare e affrontare la reale natura delle contraddizioni e limiti che in forma latente o manifesta hanno attraversato e attraversano l’ambito rivoluzionario dei prigionieri. Contraddizioni che hanno investito la stessa valutazione dell’iniziativa d’attacco contro M. D’Antona, vista da larga parte dei prigionieri come il punto di partenza del rilancio del processo rivoluzionario, dopo l’“interruzione” seguita alle catture dell’88-89, non cogliendo di conseguenza il significato del bilancio che le BR-PCC hanno fatto del processo storico-reale della Ric. in questi 10 anni, e delle problematiche connesse allo SA presenti fin dalla iniziative dei NCC del ’92 e ’94. Contraddizioni e limiti di origine vecchia e nuova che assommano contraddizioni irrisolte nell’ambito dei rivoluzionari prigionieri durante tutto un percorso della RS, con quelle maturate nel confronto con la discontinuità, producendo meccanismi e dinamiche politiche di carattere difensivistico, sfociate in uno scollamento dalla disposizione adeguata all’evolvere dello scontro rivoluzionario e ai suoi reali processi politici. Meccanismi di sottrazione agli esiti dello scontro a cui vanno sostanzialmente ricondotte contraddizioni di tipo idealistico e soggettivistico.

L’idealismo ha attraversato gran parte dei prigionieri, per i quali il riferimento alla progettualità strategica e al riadeguamento operato nella RS dalle BR-PCC, pur costituendo punto fermo, ha perso nella discontinuità la connessione con la visione storica e unitaria del movimento del processo rivoluzionario, scontando in ciò il fatto che il riadeguamento è stato assunto idealisticamente, disancorato cioè dal processo materiale che ha visto prodursi nello scontro un avanzamento strategico per parte rivoluzionaria, collocando di fatto la fase di Ric. in un ambito oggettivo, svilendo i suoi caratteri dinamici e avanzati inseriti nella concretezza della RS, con la conseguenza di aprire la strada ad una visione meccanicistica e riduttiva del processo rivoluzionario, nell’aspettativa “dell’inevitabile ripresa” a partire dal punto più alto dello scontro. Contraddizione idealistica che si è riflessa sulla disposizione militante dei prigionieri, matrice di scalibramenti nel leggere e collocare in modo compiuto e adeguato i processi politici reali posti dall’avanguardia com. comb. che si misurava con le problematiche inerenti la fase di scontro e la discontinuità, fino a produrre oscillazioni nell’identità di Partito.

La contraddizione soggettivista è quella che più propriamente ha assommato in sé il quadro di contraddizioni maturate nella RS e quelle scaturite all’indomani delle operazioni antiguerriglia dell’88-89, palesandosi in pieno nella discontinuità. In particolare questo tipo di contraddizione ha portato a collocare le risultanze del processo di riadeguamento delle BR-PCC, l’apertura della fase di Ric., e, a conferma, gli stessi eventi dell’88-89, come elementi interni ad una parabola discendente del percorso rivoluzionario, di fatto marginalizzando e aggirando l’importanza del riadeguamento quale fattore di evoluzione e termine agente nei rapporti di scontro, e dunque discriminante il terreno rivoluzionario d’avanguardia, proprio all’approfondimento per parte rivoluzionaria della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione. Riadeguamento quale termine più avanzato di progettualità rivoluzionaria entro cui gli stessi capi saldi strategici trovano immediato riferimento ai contenuti che li sostanziano e li rendono praticabili, in una precisa visione di sviluppo del processo rivoluzionario in guerra di classe, in cui la teoria-prassi operata nel corso della RS e della Ric. è stata tesa a misurarsi e a risolvere le contraddizioni immesse dalla controrivoluzione e dal ripiegamento per rilanciare lo scontro in avanti. Le posizioni soggettiviste, di fronte alle ulteriori contraddizioni prodotte dalla discontinuità e dai caratteri di evoluzione dello scontro, hanno di fatto operato una cesura col processo di riadeguamento e le sue risultanze, in particolare invalidando i presupposti stessi della RS e gli indirizzi propri della fase di Ric., aprendo a concezioni politiche espressioni dell’arretramento difensivistico prodottosi sul piano politico nella visione e relativa disposizione militante intorno alle problematiche della fase rivoluzionaria all’indomani delle operazioni antiguerriglia 88-89. A seguito di queste operazioni, nei fatti, queste posizioni hanno considerato concluso un arco di esperienza del processo rivoluzionario, concependo così i termini del suo affrontamento su presunte differenti basi politiche, finendo per riproporre, se pure in forma “aggiornata”, quelle logiche proprie al combattentismo e al movimentismo lottarmatista, già a suo tempo battute dalle BR nel corso del processo rivoluzionario. Logiche politiche che hanno trovato espressione nell’eclettismo sul piano teorico e politico, invalidando la visione d’insieme dell’andamento storico-concreto del nostro processo rivoluzionario ed in particolare relativizzando il portato degli avanzamenti stabiliti dalla teoria-prassi delle BR nella conduzione della guerra di classe. Posizioni che hanno dato corpo ad una particolare impostazione politica fondata principalmente sull’empirismo nella pratica d’avanguardia, assunto tra l’altro a metro di “selezione naturale” verso l’adeguata disposizione nello scontro rivoluzionario, motivo di fondo per cui questa contraddizione è quella che maggiormente ha alimentato la lettura delle ipotesi del rilancio in termini evolutivi e gradualistici della soggettività rivoluzionaria e dello stesso processo rivoluzionario.

L’esistenza di queste contraddizioni e limiti nella militanza in prigione ha comportato l’impossibilità di riconoscere e considerare appieno i NCC per il ruolo che questa avanguardia com. comb. ha effettivamente svolto nella fase di Ric. delle forze all’indomani delle operazioni antiguerriglia ’88-89; questo sia per quella parte dei prigionieri che hanno espresso la contraddizione idealistica, che ha colto solo l’aspetto fenomenico delle iniziative dei NCC, in base al quale ha collocato su piani distinti e separati il “livello” posto in essere dalle iniziative combattenti ed il riferimento strategico e politico rilanciato nello scontro agganciando gli indirizzi politici delle iniziative di rilancio dalla relazione con i processi politici concreti avviati sul terreno della ricostruzione delle forze, sia per quella parte dei prigionieri che ha incarnato la contraddizione soggettivista che ha considerato gli NCC come un tentativo di rilancio tra gli altri, e per di più nemmeno adeguato, secondo la propria lettura delle dinamiche dello scontro e dei processi di ricostruzione stessi.

Porsi il problema di misurarsi con queste contraddizioni, e dunque di sciogliere il nodo di come sono stati considerati i NCC e conseguentemente assumere tutto il bilancio della fase di Ric., non è una questione di mera autocritica riferita al passato, pur essendo anch’essa rilevante sul piano della coerenza rivoluzionaria, ma è propriamente problema dell’oggi, cioè del corretto rapporto che va stabilito con le iniziative offensive delle BR-PCC a partire dalla posizione e dal ruolo che come militanti e rivoluzionari prigionieri occupiamo nello scontro. L’omissione di questo nodo equivarrebbe a riprodurre letture gradualistiche ed evoluzioniste del processo rivoluzionario in generale, più in specifico la mancata chiarificazione del ruolo dei NCC nel processo di ricostruzione avallerebbe la valutazione di un’avanguardia cresciuta per gradi di coscienza, valutazione che non solo svilisce il bilancio complessivo operato dalle BR-PCC sulla fase di Ric., riducendolo a proiezione di uno specifico percorso compiuto dall’avanguardia com. comb., ma ne negherebbe la sua dimensione politico-reale, come focalizzazione di problematiche generali e soluzioni necessarie, relative alla fase rivoluzionaria in corso e alla impostazione che ne ha guidato l’affrontamento e risoluzione, dimensione entro cui si colloca fin da subito l’attività dei NCC con “la ricostruzione delle forze attraverso il rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria”. Un’omissione che ha quindi come risultato obiettivo il porsi in contraddizione con il piano reale che è stato affermato nello scontro dai NCC, ovvero con l’esperienza rivoluzionaria di questo decennio e con il bilancio che viene fornito, che inequivocabilmente qualifica i NCC come l’avanguardia che si è rapportata all’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione all’inizio degli anni ’90 e con la complessità dei compiti e contraddizioni posti dallo scontro rivoluzionario e di classe e dalla fase strategica, collocando adeguatamente in questo scontro il patrimonio storico delle BR a partire dai contenuti più avanzati e maturandone i necessari sviluppi.

Una collocazione che è il piano da cui gli NCC hanno potuto mettere in campo, con le iniziative offensive del ’92 e ’94, la progettualità adeguata a misurarsi con le contraddizioni della discontinuità stabilendo i binari su cui incardinare i processi aggregativi finalizzati a immettere nello scontro il “dato politico assente” con l’attacco al cuore dello Stato.

Rapportarsi all’attività delle BR-PCC senza fare chiarezza sui nodi di contraddizione che hanno attraversato i prigionieri rivoluzionari in questa fase, non si traduce solo in una collocazione formale della propria militanza e altrettanto formale adesione ai contenuti d’O., ma collide con il piano centrale posto dalle BR-PCC come terreno discriminante dello schieramento rivoluzionario, nel senso che invece di contribuire a sostenere dalla propria posizione di rivoluzionari prigionieri questo piano, si finirebbe per contribuire obiettivamente, prima ancora che soggettivamente, a supportare quelle visioni fenomeniche e parziali, che operano cioè un riduzionismo della reale espressione rivoluzionaria dell’autonomia di classe, propria all’andamento storico e concreto del processo di guerra di classe, alimentando quelle letture indistinte onnicomprensive che la discontinuità ha favorito, svuotando il reale significato della continuità del processo rivoluzionario, che, dai livelli attestati dall’O. nella RS, è proseguito ed ha avuto i suoi sviluppi nei processi avviati nello SA dai NCC, un’avanguardia espressione della soggettività rivoluzionaria dell’autonomia di classe adeguata a misurarsi con l’approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione la cui prassi e progettualità ha espresso la valenza del piano di unitarietà dell’impianto politico e strategico, riaffermando che è sul principio prassi-teoria-prassi che l’impianto storico riceve i suoi avanzamenti, nel confronto con i nodi centrali dello scontro, nel quadro dei compiti e caratteri della fase di Ric.

Assumersi la responsabilità di farsi carico politicamente di questo nodo è a nostro avviso un prerequisito per riqualificare la militanza, affinché la disposizione nello scontro rivoluzionario dei prigionieri poggi sulla solida base della presa di coscienza dei processi reali condotti dall’avanguardia com. comb. nella discontinuità.

Ed è proprio a causa della discontinuità che la riqualificazione può darsi solo all’interno di un processo politico finalizzato a ricomporre la coscienza parziale del militante rivoluzionario in prigione ai contenuti complessivi espressi dalle BR-PCC nella prassi rivoluzionaria concretizzata dalle iniziative offensive contro D’Antona e M. Biagi, riqualificazione che in particolare per i militanti d’O. significa stabilire quella relazione organica con questi contenuti complessivi, necessaria a qualificare l’identità di Partito. E, soprattutto, misurarsi con il processo di riqualificazione della militanza è necessario per la funzione politica che i prigionieri ricoprono nello scontro. Una funzione politica che se in generale è legata all’attestazione del processo rivoluzionario nello scontro, in particolare è maturata nel quadro dell’esperienza storica fatta su questo piano dalle BR, da cui è emerso che i prigionieri possono avere un ruolo positivo nello scontro nella misura in cui questo ruolo è funzionale e subordinato alle priorità che vivono di volta in volta nel percorso rivoluzionario. Un principio generale questo che si è affermato in base alla conoscenza delle dinamiche che investono i prigionieri a causa del loro essere ostaggi in mano al nemico di classe e separati dalla prassi rivoluzionaria, una verifica da cui le BR hanno definito criteri e prerogative che sostanziano il ruolo dei propri militanti in prigione relativamente al vincolo di Partito, e che hanno costituito punto di riferimento anche per i militanti rivoluzionari prigionieri. Ruolo che deve sostenere e propagandare i contenuti dell’impianto strategico e delle linee politico-programmatiche definite nella prassi dall’O., ed assumere le discriminanti che di volta in volta le BR pongono nella conduzione dello scontro rivoluzionario e che, quando è necessario, deve anche farsi carico di difendere dagli attacchi la Linea Politica e l’impianto. Criteri e prerogative che nella misura in cui sono stati assunti dai prigionieri, hanno consentito loro di svolgere un ruolo positivo rispetto allo scontro rivoluzionario, fuori dai quali prevale, come è prevalsa, sotto le contraddizioni dello scontro, la tendenza alla teorizzazione soggettiva, espressione della divaricazione dalle concezioni sviluppate nella prassi dall’O.. Il saldo riferimento a questi criteri è ciò che ha permesso la tenuta anche nei momenti più difficili e controversi, salvaguardando i militanti dai processi che portano a spogliarsi dell’identità rivoluzionaria che si sono verificati nel quadro dell’“indurimento” dello scontro e delle specifiche politiche antiguerriglia dello Stato sui prigionieri.

Per quanto riguarda il nostro specifico percorso, gli arresti non hanno mai significato la vanificazione del proseguimento del processo rivoluzionario nei suoi termini della fase di Ric., pur essendo ben consapevoli che il peso delle perdite subite ne avrebbe reso più problematico il corso. Questo in base alla coscienza acquisita nel percorso militante formatasi nella RS e nella successiva apertura in essa della Ric. delle forze, che il processo rivoluzionario nel nostro paese ha giù raggiunto un punto di non ritorno, nel senso che il progetto strategico delle BR si è affermato come centrale nel percorso storico del proletariato italiano per la conquista del potere politico. Una centralità che è il risultato dell’incidenza nei rapporti di scontro tra le classi del processo rivoluzionario in dal suo inizio, soprattutto per come vi ha inciso l’avanzamento strategico conseguito nel confronto con la controrivoluzione degli anni’80, che ha attestato nello scontro i contenuti rivoluzionari del riadeguamento sviluppati nella RS. È stata proprio questa coscienza a guidare la nostra condotta politica dalla cattura ad oggi, una disposizione sui termini generali dello scontro rivoluzionario che, pur forte delle concezioni d’O., si è dovuta misurare con gli effetti politici della discontinuità sulla prigionia, presentatisi come tendenze idealistiche e difensivistiche che hanno attraversato il corpo militante da cui nessuno è avulso, pena pensare di porsi fuori dall’andamento dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione e dai suoi riflessi sulle dinamiche specifiche della prigionia.

Discontinuità che inoltre ha accentuato il carattere di parzialità indotto dalla condizione di separatezza e che ha influito più in profondità quanto a limitazione dell’analisi complessiva dello scontro e della lettura realistica dei suoi processi politici, nella difficoltà a rimanere ancorati a questi e ai criteri politici per interpretarli.

In questo quadro, pur con contraddizioni e limiti, partendo dall’identità di Partito fondata sulle concezioni attestate dall’O. in termini storici, strategici e politici, e in particolar modo tenendo ferme le risultanze del riadeguamento d’O., la nostra condotta militante ha teso a mantenere, seppure su un piano generale, una disposizione relazionata ai caratteri del terreno rivoluzionario, consentendoci così nei fatti di stabilire la dialettica possibile con il suo sviluppo, a partire dal modo di rappresentare i termini del processo rivoluzionario con al centro la fase di Ric., grazie al quale ci siamo potuti relazionare con il sostegno alle iniziative dei NCC, collocate all’interno della Ric., pur non comprendendo i termini politici di specificazione con cui veniva sviluppata la fase. Una condotta, la nostra, che dalla cattura ha nei fatti segnato uno spartiacque rispetto agli avvitamenti soggettivistici e argine, anche se contraddittoriamente, agli approcci idealistici verso lo scontro rivoluzionario, ed in questo ha costituito anche un riferimento per quei militanti rivoluzionari che hanno operato un posizionamento più adeguato al piano rivoluzionario dettato dalla fase di Ric.

Il processo di riqualificazione è reso oggi politicamente possibile dalle risultanze rivoluzionarie espresse dalle iniziative offensive delle BR-PCC. Risultanze che forniscono la chiave di lettura per poter riconnettere il nostro percorso militante in prigione con l’inquadramento complessivo dello scontro rivoluzionario e di classe sul piano storico, in base al quale lo SA nella Ric. è collocato precisamente nel più generale percorso del processo rivoluzionario nella fase di RS.. Chiave di lettura che in questo senso ci consente anche di inquadrare nel modo più corretto gli arresti dell’88-89 e conseguentemente dare la giusta valutazione delle condizioni del terreno rivoluzionario succedute ad essi, e cioè sono chiare oggi le ragioni per cui questi arresti, definiti propriamente dalle BR-PCC come operazioni antiguerriglia quindi situate sul piano delle perdite possibili nel rapporto guerriglia/Stato, si sono tradotti in discontinuità dell’attacco, ponendo il compito di costruire l’OCC: ragioni che risiedono nelle caratteristiche del quadro di scontro determinate dalla modifica del rapporto di forza tra rivoluzione e controrivoluzione, una modifica che le BR-PCC analizzano come risultato di un doppio processo controrivoluzionario (DPC), valutando le ripercussioni di questa dinamica controrivoluzionaria su tutti i piani dello scontro, in relazione al mutamento più generale della fase storica sui piani economico, politico e degli equilibri internazionali. Un DPC inteso come il coniugarsi dell’offensiva contro la strategia della LA nei centri imperialisti, ed in particolare in Europa negli anni ’80, con la controrivoluzione imperialista contro i paesi a transizione socialista che ha prodotto il crollo del Patto di Varsavia, avendo come esito la modifica delle relazioni di forza tra Proletariato Internazionale e Borghesia Imperialista, intese sul piano storico di fase.

Questa dinamica controrivoluzionaria alla fine degli anni ’80, inizia a riflettersi sulle relazioni complessive fra le classi, e dunque il riflesso del DPC su queste relazioni è il piano principale da cui sono dipesi sia la difensiva di classe e l’offensiva degli Esecutivi negli anni ’90 per far arretrare ulteriormente le posizioni proletarie, sia la discontinuità del percorso rivoluzionario. Più precisamente questa discontinuità è intesa dalle BR-PCC come discontinuità nell’attacco al cuore dello Stato, quale condizione che può verificarsi in una fase di Ric. delle forze e per questo non va confusa con la non linearità del processo rivoluzionario nel suo movimento di avanzate e ritirate. In sintesi è proprio questa visione complessiva dell’andamento dello scontro rivoluzionario che restituisce il piano concreto in cui collocare correttamente la discontinuità, avendo chiaro come questa non sia semplicemente riconducibile ad un diretto riflesso nello scontro degli arresti dell’88-89, ma al quadro complessivo determinato dal consolidamento della controrivoluzione, quale piano principale che ha rideterminato il terreno di scontro rivoluzionario e di classe negli anni ’90.

Infatti l’indirizzo e gli obiettivi della fase di ric. definiti alla sua apertura quale piano di risoluzione delle contraddizioni della RS, si sono necessariamente complessificati negli anni ’90 dovendo proseguire questa fase all’interno del consolidamento della dinamica controrivoluzionaria nel campo proletario e rivoluzionario, in un contesto di cambiamenti sociali e politici che hanno riguardato la stessa mediazione politica tra le classi.

Su questo piano l’avanguardia com. comb., cioè i NCC, che si è misurata con lo scontro per dare proseguimento ai compiti della fase di Ric., nell’impostare con lo SA il piano di risoluzione delle contraddizioni della discontinuità, ha potuto definire pienamente i caratteri propri alla Ric., precisando natura e portata delle sue contraddizioni, che sono state inquadrate come storiche. In altri termini la contraddizione che ha posto il compito di costruire l’OCC esplicita fino in fondo le problematiche di una ricostruzione delle forze che avviene dalla posizione ripiegata data dalla RS e che procede nel quadro di un movimento di consolidamento della controrivoluzione, problematiche riconducibili al fatto che la contraddizione costruzione/formazione presiede alla concretizzazione della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie e degli strumenti politico-organizzativi per attrezzare il campo proletario allo scontro prolungato contro lo Stato, dato che la ricostruzione richiede la contestuale formazione delle forze in termini complessivi d’O. adeguate a misurarsi con l’approfondimento dello scontro sul piano del rapporto rivoluzione/controrivoluzione e con i compiti della fase rivoluzionaria.

In questo senso l’affrontamento della contraddizione costruzione/formazione dà soluzione al suo essere elemento critico dell’attività rivoluzionaria traducendola in fattore qualitativo della stabilizzazione nella ricostruzione delle forze ed in particolare di una direzione politico-militare adeguata alla conduzione della guerra di classe in questa fase.

L’individuazione del carattere di contraddizione della costruzione/formazione, che supera la definizione di “binomio” ed inquadra il suo affrontamento su un piano programmatico, chiarisce il terreno obiettivo su cui si misura questo compito politico e cioè che i termini della formazione delle forze rivoluzionarie sono definiti dalle necessità politiche poste dallo scontro rivoluzionario, mentre l’approfondimento di questo scontro è vincolo all’attestazione ed estensione della stessa ricostruzione delle forze. Nel quadro dei caratteri della fase rivoluzionaria e dell’approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione la discontinuità è condizione che incide nella contraddizione costruzione/formazione, stante il fatto che nella Ric. delle forze deve vivere il termine della costruzione dell’OCC., e la loro formazione è il piano che deve ottemperare alla costruzione di quei ruoli complessivi che sono la chiave di volta nel processo teso a costruire la direzione rivoluzionaria. La costruzione/formazione dei ruoli complessivi è a sua volta connessa al nodo della riproduzione di questi ruoli e questo specifico nodo caratterizza la tensione all’avanzamento dello stadio aggregativo iniziale alla costruzione del soggetto organizzato che si qualifica come OCC che agisce da P. per costruire il P., una riproduzione che è vincolata alla incisività politico-militare che può mettere in campo la forza rivoluzionaria, in quanto è nel costruire le condizioni per la capacità offensiva adeguata a portare l’attacco al cuore dello Stato che si dà la prassi su cui avviene la formazione idonea dei ruoli militanti complessivi che siano in grado di operare ulteriore costruzione, ruoli militanti che nell’insieme, cioè come O. e singolarmente, sappiano svolgere quel ruolo d’avanguardia in grado di misurarsi con lo scontro e organizzare la classe sulla L.A.. Problematiche connesse allo stabilizzarsi del portato della controrivoluzione come termine di contraddizione nella soggettività rivoluzionaria, condizioni di scontro che se in generale hanno visto uno svuotamento del movimento rivoluzionario, in particolare hanno inciso sulle espressioni della autonomia politica di classe sul piano della adeguata comprensione ed assunzione del terreno della lotta per il potere.

L’esperienza fatta dall’avanguardia nell’affrontare la contraddizione costruzione/formazione nel quadro della Ric. delle forze rivoluzionarie e della costruzione dell’OCC., ha fatto emergere le problematiche relative al processo di organizzazione della soggettività d’avanguardia e di classe che si rende disponibile sul piano rivoluzionario, che riguardano elementi di spontaneismo nella sua forma prevalente di ideologismo, inteso come un limite che nello scontro, sul piano del ruolo d’avanguardia, non riesce a stabilire l’adeguato rapporto tra prassi e patrimonio storico, limite che in ultima analisi vuole le concezioni come separate dalla prassi. L’ideologismo insieme all’immediatismo, all’esecutivismo e al genericismo, rappresentano espressioni di spontaneismo che rendono inadeguata la disposizione sulla L.A. e dunque sono di ostacolo ad assumere la funzione propria all’OCC. E come tali vanno affrontate come ordine di problematiche proprie dei comunisti relativamente alla concezione dell’avanguardia e del ruolo che svolge nello scontro.

Dall’affrontamento di queste problematiche è derivato un piano di esperienza da cui solo potevano essere definite le soluzioni atte a che l’avanguardia possa organizzare l’autonomia di classe che si dispone sul piano rivoluzionario attraverso la responsabilizzazione complessiva di quest’ultima sui compiti politici-operativi. Infatti se non è mai stata sufficiente la semplice disposizione spontanea sulla L.A., nella fase di Ric. questo piano, che essendo investito dalla contraddizione costruzione/formazione, necessita di un indirizzo progettuale in grado di incanalare tale disposizione verso la concretizzazione dei livelli idonei a svolgere il ruolo di direzione rivoluzionaria. Indirizzo che ha individuato nella costruzione e raggiungimento della autonomia politico-operativa e della responsabilizzazione complessiva i cardini intorno a cui la soggettività di lasse può farsi carico del terreno rivoluzionario come termine di disposizione e lavoro sulla Linea Politica generale. Obiettivi conseguibili con un preciso metodo politico-organizzativo, metodo che opera dentro la dimensione organizzata dell’attività rivoluzionaria e che presiede dall’inizio alla fine l’assunzione dei compiti e che è teso a sollecitare l’iniziativa rispetto ai problemi da affrontare, inducendo a valutar preventivamente quello che è necessario fare in ogni passaggio che porta all’attuazione del compito parziale. Questa valutazione preventiva è funzionale a collocare il compito parziale nell’attività complessiva anche in relazione alle esigenze di centralizzazione e socializzazione dell’esperienza, inducendo a sviluppare una concezione complessiva del lavoro rivoluzionario, in quanto metodo che mette in rapporto alla progettualità generale il compito parziale, costituendo quest’ultimo un esercizio del ruolo d’avanguardia della più generale espressione di direzione rivoluzionaria.

È tramite questo metodo che si costruisce e si forma l’autonomia politico-operativa e questo è ciò che mette in grado di operare le soluzioni politicamente più efficaci nel rapporto con la prassi. Un rapporto nel quale si concretizza il riferimento e l’assunzione del patrimonio che in tal modo viene collocato, verificato e fatto avanzare nei suoi termini di concezione. In ciò sta il senso del rapporto di continuità-critica-sviluppo col patrimonio, rapporto che vive in ogni aspetto e momento dell’attività rivoluzionaria e in cui la continuità sta nell’assunzione dell’interezza del patrimonio, a partire dai suoi aspetti più avanzati, la critica nella verifica che il confronto con la prassi richiede, lo sviluppo negli adeguamenti che ne scaturiscono e che si traducono nell’avanzamento della teorizzazione generale. Il raggiungimento della autonomia politico-operativa e della responsabilizzazione complessiva è dunque ciò che consente di contribuire al patrimonio collettivo, intendendo con ciò il patrimonio in continuo avanzamento, avanzamento che avviene all’interno della prassi-teoria-prassi quale principio su cui da sempre nella storia del nostro processo rivoluzionario si dà verifica e avanzamento alle concezioni del patrimonio.

L’autonomia politico-operativa, la responsabilizzazione complessiva e il metodo politico-organizzativo per conseguirle non sono soluzioni politico-organizzative adottate per sopperire al fatto che la direzione rivoluzionaria che agisce da Partito per costruire il Partito è in costruzione, al contrario, pur essendo nate dalle condizioni di discontinuità, si pongono come linee di formazione su cui si struttura la soggettività adeguata a misurarsi con la complessità dello scontro rispetto all’approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, pertanto costituiscono il piano avanzato su cui si costruiscono i ruoli complessivi, base della selezione della soggettività rivoluzionaria che si dispone come nucleo del soggetto organizzato e in quanto tali funzionali all’agire della forza rivoluzionaria in riferimento ai compiti di fase. Per concludere la Linea Politica generale che guida, quale punto di vista complessivo della realtà, l’attività dell’O. costituisce il riferimento costante del metodo politico-organizzativo adottato ed entrambi sono gli assi su cui si dà la formazione dei ruoli complessivi. Per altro verso l’autonomia politico-operativa è l’espressione di soggettività in grado di operare la disposizione delle forze sugli obiettivi programmatici secondo il principio di centralizzazione che assegna compiti e responsabilità capendone la complementarietà e la complessità.

Capire e valutare adeguatamente la logica politica che ha indirizzato l’attività dell’avanguardia per districare i nodi e le contraddizioni dell’avvio dei processi aggregativi in relazione al quadro di approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione è il piano da cui si traggono gli insegnamenti fondamentali dell’agire della avanguardia com. comb. in relazione ai caratteri della Ric. che procede confrontandosi costantemente con il consolidamento di dinamiche controrivoluzionarie nello scontro. Circostanze in cui è fondamentale far leva sul senso storico del nostro processo rivoluzionario nei suoi caratteri di guerra di classe di lunga durata, sulla visione prospettica e dinamica del suo sviluppo, e quindi sulla saldezza dei suoi termini strategici, a partire dalla coscienza di come l’attività rivoluzionaria sia un fattore di mutamento del quadro di scontro, riferimenti che consentono di affrontare e governare il lavoro anche in situazioni contingenti, senza che le necessità politiche siano piegate al possibile, ma al contrario attrezzandosi politicamente, organizzativamente e militarmente per il livello necessario. Un approccio che l’avanguardia ha fatto vivere nello scontro degli anni ’90, proprio avvalendosi degli insegnamenti che derivano dall’esperienza trentennale delle BR, e arricchendo questi stessi insegnamenti in base alle soluzioni con cui ha costruito le condizioni politico-militari per reimmettere nello scontro di classe e rivoluzionario l’attacco al cuore dello Stato, quale contenuto orientante l’autonomia di classe e in cui si situa il piano avanzato della attuale attestazione delle BR-PCC nella direzione rivoluzionaria dello scontro. In altri termini insegnamenti che si traggono da come l’avanguardia ha affrontato la problematica di mettere in campo contemporaneamente e unitariamente il piano della Ric. intorno e sui processi aggregativi per la costruzione dell’OCC a partire dallo svolgere un ruolo di direzione rivoluzionaria rispetto ai nodi centrali dello scontro. Una complessità di compiti posti dal terreno rivoluzionario e dallo stato dello scontro che potevano essere affrontati solo in base ad una precisa progettualità al fine di indirizzare la prassi per costruire le condizioni politiche atte a sviluppare la capacità offensiva, in quanto su questo sviluppo fanno leva i passaggi per ottemperare alla funzione di OCC. Capacità offensiva che è strettamente vincolata, nelle modalità e nel grado di incisività dell’attacco portato ai caratteri e alle finalità della fase rivoluzionaria, allo stato delle forze rivoluzionarie e proletarie in relazione al nodo di contraddizione tra rivoluzione e controrivoluzione e più in generale alle condizioni delle relazioni complessive tra le classi e allo stato degli equilibri internazionali, questo complesso di fattori è il riferimento obbligato per sviluppare e assestare la capacità offensiva che l’avanguardia mette in campo e questo, nella condizione di discontinuità d’attacco ha significato attrezzarsi per costruire l’iniziativa combattente che, nell’avviare lo S.A., ha costituito il primo momento di risoluzione della discontinuità: questo hanno sintetizzato le iniziative offensive contro la sede della Confindustria e contro la NATO Defence College, con le quali i NCC si sonno confrontati sul piano classe/Stato con gli esordi del progetto neocorporativo relativamente all’accordo sulla politica dei redditi tra governo/Confindustria/Sindacati, e sul piano imperialismo/Antimperialismo col progetto di ridefinizione della strategia NATO. Una prassi la cui capacità offensiva è stata opportunamente calibrata allo stato del terreno rivoluzionario complessivamente inteso, un calibramento teso a rispondere ad una disposizione delle forze che, dentro il principio di centralizzazione proprio del movimento unitario e unico di una forza rivoluzionaria che svolge un ruolo d’avanguardia complessiva rispetto alo scontro generale tra le classi, ha tenuto conto, nel quadro dei rapporti di forza generali, delle forze mobilitabili in funzione della sostenibilità dello scontro rivoluzionario e della sua riproposizione in avanti.

In questo senso le iniziative offensive del ’92 e del ’94 hanno risposto ad una logica di calibramento espressione di una progettazione che si è misurata con tutti i fattori in campo e soprattutto finalizzaata a costruire i processi politici reali corrispondenti alla necessità di arrivare a mettere in campo e sostenere l’attacco al punto più alto dello scontro. Processi aggregativi che quindi si sono dati interamente sulla dinamica di sviluppo propria alla guerra di classe di attacco-costruzione-nuovo attacco, dinamica che vede una precisa interrelazione tra i suoi diversi momenti, le cui modalità sono riferite ai caratteri e compiti della fase rivoluzionaria. Riferimenti di fase che nel contesto di RS e di Ricostruzione delle forze influiscono peculiarmente su tale interrelazione, nel senso che il piano di costruzione che si ricava dall’attacco necessita di un complesso lavoro politico relativo alla gestione di tutti i fattori che l’iniziativa rivoluzionaria ha posto nello scontro. Un complesso lavoro politico di costruzione delle forze e dell’OCC segnato dalla necessità di sciogliere il nodo della contraddizione costruzione/formazione di quei ruoli militanti complessivi capaci cioè di riportare l’attacco al punto più alto politicamente, organizzativamente inteso. Iniziative offensive inquadrate sulla linea progettuale indirizzata a stabilizzare la “costruzione delle forze per l’offensiva”, con l’obiettivo prioritario, sul piano della costruzione della capacità offensiva, di riportare l’attacco al cuore dello Stato.

Obiettivo questo conseguito con l’iniziativa combattente contro M. D’Antona, figura centrale dell’equilibrio politico che nell’esecutivo D’Alema sosteneva il progetto neocorporativo. Un’iniziativa offensiva, quella del 20 maggio ’99, che ha potuto inserirsi nello scontro politico che si gioca in questa fase tra classe e Stato, in cui è centrale l’indebolimento del progetto neocorporativo. Un’iniziativa la cui incisività ha agito come fattore attivo per la modifica dei rapporti di forza sostenendo la classe nello scontro contro lo Stato. Infatti l’attacco ha colpito la formula politica concertativa su cui marciava il progetto neocorporativo nell’ambito della maggioranza di centro-sinistra, contribuendo alla crisi della concertazione e di conseguenza provocando l’indebolimento dell’azione politica dell’Esecutivo. Un salto nella direzione dello scontro che pertanto ha potuto assumere la denominazione storica BR-PCC e che, sul piano della incisività sui rapporti di forza, per come questi si sono strutturati con la controrivoluzione, ha “aperto un varco offensivo nella difensiva di classe”. In altri termini, l’aver riportato l’attacco al cuore dello Stato, essendo quello in grado di intervenire sugli equilibri politici che sostengono il progetto centrale della BI, è ciò che ha permesso di contrastare questo progetto finalizzato a sospingere indietro le posizioni di classe.

Un intervento basato sui criteri di centralità nell’individuazione del progetto, selezione del personale perno degli equilibri che lo fanno avanzare e calibramento dell’attacco ai rapporti di forza complessivi tra le classi, criteri cioè che permettono di operare il massimo di incisività disarticolante in rapporto a tutti i fattori sociali e politici caratterizzanti lo scontro di classe rivoluzionario. Il livello di direzione e capacità offensiva espresso dalle BR-PCC con questa iniziativa è ciò che ha reimmesso e fatto pesare nello scontro il “dato politico assente”, costituendo l’attacco al cuore dello Stato il contenuto orientante l’autonomia di classe come punto di vista e prassi conseguente, che sostanzia offensivamente la critica di classe allo Stato e alla BI la cui mancanza ha pesato in negativo rispetto alla situazione politica di classe. Un contenuto orientante che è fattore indispensabile nello scontro per determinare le condizioni politiche di affermazione dell’autonomia politica di classe, in quanto questa non è derivato spontaneo delle lotte, anche se antagoniste, ma il prodotto politico dell’immissione nello scontro dell’iniziativa offensiva. In sintesi piano offensivo che fa avanzare strategicamente la prospettiva di potere pesando nell’immediato come fattore politico che contrasta le politiche antiproletarie e sostiene lo scontro di classe, e per altro verso fornisce gli strumenti con cui operare la rottura soggettiva che richiede l’assunzione del piano di lotta per il potere.

L’esperienza maturata dall’avanguardia com. comb. negli anni ’90 chiarifica e riconferma un dato politico storico del nostro processo rivoluzionario relativo al fatto che il progetto strategico delle BR si è definito come l’espressione rivoluzionaria conquistata dall’autonomia politica di classe del nostro paese nello scontro per il potere contro lo Stato e la BI per l’affermazione dei suoi interessi generali storici.

Un patrimonio della soggettività di classe sedimentato nelle condizioni di scontro, ragione per cui né le politiche controrivoluzionarie né la dispersione dell’OCC hanno potuto compromettere la possibilità che l’espressione rivoluzionaria dell’autonomia politica di classe rilanciasse la propria progettualità sulla strategia della LA, verificata come quella adeguata a misurarsi con le forme di dominio della BI per la conquista del potere politico e l’affermazione della dittatura del proletariato.

Il riferimento ai compiti della fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie aver riconquistato l’esercizio della direzione rivoluzionaria dello scontro a livello BR-PCC, ha segnato un passaggio di avanzamento qualitativo nell’aggregazione delle avanguardie nel processo di costruzione dell’OCC, in quanto la costruzione derivata dall’ottenimento del relativo vantaggio politico seguito all’attacco a M. D’Antona ha posto le condizioni sul piano della formazione dei ruoli militanti complessivi, di disposizione delle forze sul programma e di costruzione politico-organizzativa per realizzare, come direzione rivoluzionaria e costruzione di capacità offensive l’iniziativa combattente del 19/3/2002 contro M. Biagi.

In questo modo le BR-PCC hanno dato continuità e sviluppo alla specifica linea politica mirata ad intaccare il progetto neocorporativo intervenendo sull’equilibrio e la formula politica che nel quadro della maggioranza di centrodestra sostiene questo progetto.

La problematica della costruzione della direzione rivoluzionaria ha segnato la prassi rivoluzionaria nel più complessivo quadro della Ric. delle forze negli anni ’90, una problematica che l’avanguardia ha potuto porsi adeguatamente a partire dall’aver collocato il patrimonio nello scontro, nella coscienza quindi del ruolo storico indispensabile che svolge l’OCC che agisce da P. per costruire il P. nel condurre la guerra di classe fintanto che non sono maturate le condizioni per il salto al P., valutando tutte le implicazioni che il perseguimento della costruzione dell’OCC comportava sul terreno rivoluzionario, che hanno necessariamente investito il piano della fase rivoluzionaria di Ric. che ha ricevuto la sua precisazione con la definizione dello SA.

Un piano di fase che ha rimarcato le leggi che sovraintendono alla costruzione della direzione rivoluzionaria nella guerra di classe, implicate dall’operare nell’unità del politico e del militare, leggi insite nell’attività della guerriglia che il percorso di questo decennio ha evidenziato in tutta a loro valenza: e cioè che la direzione rivoluzionaria necessaria a misurarsi con l’evolvere dello scontro rivoluzionario si costruisce soltanto a partire dall’agire come avanguardia complessiva. In altre parole agire da P. per costruire il P. è il principio guida entro cui si affronta il nodo della direzione rivoluzionaria della guerra di classe, principio che le BR hanno affermato come discriminante la conduzione della guerra di classe sin dall’esordio del processo rivoluzionario per svolgere fin da subito il ruolo di direzione e organizzazione del processo rivoluzionario all’interno del presupposto che il PCC, in relazione all’unità del politico e del militare su cui si sviluppa la guerra di classe, non si fonda, ma si costruisce e si fabbrica nel quadro dello sviluppo delle condizioni stesse della guerra di classe, entro cui vengono a precisarsi i termini politico-programmatici e di sviluppo delle articolazioni politico-militari necessarie e sufficienti al salto al Partito. Un processo questo fin dall’inizio condotto e organizzato dall’OCC BR che proprio nell’agire da P. per costruire il P. si pone e si struttura come nucleo fondante il Partito, reparto avanzato del proletariato rivoluzionario disposto e organizzato sulla linea progettuale della strategia della LA. Un ruolo di direzione che si concretizza nel misurarsi con l’iniziativa combattente con le condizioni dello scontro di classe, intervenendo sulla contraddizione dominante nella fase, per modificarla a favore del campo proletario, affermando sul piano della guerra di classe i suoi interessi politici e generali e costruendo le condizioni per sostenere lo scontro prolungato contro lo Stato e la BI.

Con l’avvio della SA l’avanguardia com. comb. ha fatto vivere coerentemente questi principi strutturando se stessa come nucleo di direzione, che solo costruendo l’iniziativa offensiva in relazione ai nodi centrali dello scontro tra classe e Stato, imperialismo e antimperialismo, ha immesso nello scontro le condizioni per costruire e selezionare i termini complessivi della direzione idonea a qualificarsi come OCC. In questa prassi e in questo indirizzo si è sostanziato il ruolo di direzione dei NCC, quale termine adeguato a dare avanzamento alla fase della Ric. all’interno delle condizioni politico-generali segnate dalla discontinuità d’attacco e dalla stabilizzazione del portato della controrivoluzione nel campo proletario e rivoluzionario. Un principio, quello dell’agire da P. per costruire il P., dirimente l’affermazione dell’agire della guerriglia, soprattutto nello SA, stante la centralità del nodo della costruzione della direzione rivoluzionaria come OCC. Un principio che andava necessariamente riaffermato in quanto le condizioni di scontro segnate dalla mancanza dell’attacco al cuore dello Stato e dalla difensiva di classe, non lo rendevano immediatamente comprensibile agli ambiti delle avanguardie di classe disposte sul terreno rivoluzionario ma politicamente impoverite. Si trattava di fare chiarezza rispetto alle interpretazioni fenomeniche e spontaneiste che potevano snaturare il processo dialettico della costruzione del processo rivoluzionario e della sua direzione in un’accezione evolutiva in cui quest’ultima si raggiunge solo quando si è in grado di portare l’attacco al punto più alto, un’accezione che nei fatti separa la costruzione politico-organizzativa dal ruolo d’avanguardia nello scontro. Principio questo dell’agire da P. per costruire il P. che, insieme alle cognizioni e concezioni generali della guerra di classe proprio alla proposta strategica delle BR-PCC, l’avanguardia, nel reimmettere nello scontro il dato politico assente, riafferma e chiarifica come una necessità politica data dal fatto che la guerra di classe non è dominante nello scontro politico odierno.

In concreto svolgere una funzione di OCC non era e non è un processo che può darsi fuori dalla relazione con lo scontro generale, ovvero dell’esercizio di una funzione di direzione rivoluzionaria che si misura con le problematiche centrali dello scontro tra le classi in termini complessivi, politicamente e militarmente intesi, in quanto è solo a partire dal relativo vantaggio politico che l’iniziativa combattente ricava intervenendo sui rapporti di forza, che si possono dare quei margini da impiegare per rilanciare il nodo strategico del potere e determinare i piani di aggregazione e ricostruzione consoni ad operare la direzione adeguata a sostenere e stabilizzare l’iniziativa rivoluzionaria. In questo senso il piano delle rotture soggettive sul terreno della LA, i processi politici aggregativi, si misurano costantemente con questi nodi di ordine politico complessivo, in quanto la problematica inerente al nodo di costruzione del PCC si misura in ogni momento con le modalità generali della prassi d’avanguardia nel combattimento contro lo Stato. Questione in riferimento a cui non è sufficiente una disposizione spontaneistica, di semplice schieramento o concepita come processo organizzativistico sulla linea d’O., ma si concretizza nel processo di centralizzazione politica sulle esigenze del combattimento alo Stato, alla disarticolazione dei suoi progetti dominanti, senza che l’iniziativa rivoluzionaria si disperda su questioni secondarie rispetto al piano di scontro centrale, o sia semplice riflesso di interessi antagonistici parziali. In questo quadro i processi aggregativi che si producono dal rapporto con lo scontro generale fanno sì che la soggettività di classe rivoluzionaria si costruisca e di sformi in modo adeguato a sostenere lo scontro e affrontare i nodi della fase rivoluzionaria in relazione alla concreta attivizzazione funzionale alla Linea Politica e programmatica d’O., ovvero al contenuto politico-organizzativo e di combattimento che ne guida la prassi e l’organizzazione conseguente.

Le BR-PCC hanno definito una specifica linea politica per indebolire ed ostacolare il progetto neocorporativo per la centralità che questo ha nei processi tesi a consolidare il dominio della BI sul proletariato, con l’assestamento di una mediazione politica neocorporativa. Centralità che deriva dalla funzione che il neocorporativismo svolge rispetto al governo del conflitto di classe, avendo a base la negazione degli interessi generali del proletariato e la ricomposizione forzosa di interessi diversi e particolari intorno a quelli della frazione dominante della BI. In ciò la logica neocorporativa si contrappone direttamente agli interessi generali della classe operaia e del proletariato, isolando e accerchiando le istanze di autonomia di classe non subordinate.

Il consolidamento del progetto neocorporativo è fondamentale per la BI ed il suo Stato, condizione generale attraverso cui gli Esecutivi intendono gestire le contraddizioni antagoniste e rimodellare le relazioni tra le classi facendo arretrare ulteriormente le posizioni politiche e di forza del proletariato, quale presupposto di fondo per far avanzare i processi di ristrutturazione economico-sociale e gli ulteriori passaggi di riforma dello Stato. Processi di ristrutturazione economico-sociale che nella loro funzione controtendenziale alla crisi intensificano lo sfruttamento della forza lavoro, linee di politica economica e sociale che investono l’area europea, tese ad abbattere i vincoli e le normative conquistate dalla classe operaia che regolano la legislazione sul lavoro; ristrutturazioni finalizzate in sintesi a ribaltare il ruolo del lavoro nella società e quindi renderlo subalterno in tutti i suoi aspetti alle necessità capitalistiche. Un passaggio che deve far fronte sia alla debolezza strutturale dell’economia italiana, sottoposta tanto alla concorrenza dei monopoli più forti europei ed americani, quanto a quella dei paesi emergenti, e che pertanto nella dinamica di attuazione riduce i margini di mediazione possibile, sia alla storia politica e sociale del nostro paese che ha sedimentato storicamente nel conflitto di classe una forte autonomia proletaria, motivo per cui i vari patti di stampo neocorporativo, ai quali si sono affiancati i primi processi di esecutivizzazione e i tentativi più o meno organici di Riforma dello Stato, quale ad esempio il progetto demitiano, attuati nel corso degli ultimi venti anni contro e sopra la testa della classe operaia, non hanno ancora prodotto gli esiti auspicati dalla BI, motivo che nello scontro caratterizza modalità, contenuti e non linearità nell’attuazione del “modello neocorporativo”, dovendosi misurare con le caratteristiche del quadro di scontro tra le classi storicamente determinato.

Rimodellazione economico-sociale che ha modificato e modifica la mediazione politica tra le classi e sostiene i processi di Riforma dello Stato, perseguita dalla soggettività politica della frazione dominante della BI nostrana nel quadro dei suoi interessi strategici riferiti necessariamente alla concorrenzialità ed interdipendenza economica per aree quale terreno delle concentrazioni monopolistiche in corso.

Dinamiche economiche che in riferimento a questa fase di sviluppo/crisi dell’imperialismo hanno richiesto l’adozione e la generalizzazione di un complesso di politiche economiche da parte dei singoli Stati imperialisti obbligato a misurarsi con il nuovo quadro prodotto dai livelli di internazionalizzazione del capitale quale piano di approfondimento raggiunto dagli organici rapporti di interdipendenza ed integrazione già prodottisi nell’evoluzione dell’imperialismo dopo la seconda guerra mondiale. Processo che si è riversato in termini generali su tutta la catena imperialista e nello specifico sui processi di coesione europea con la definizione di politiche comuni sia come linee di politiche economiche e sociali che di politiche proprie al rafforzamento e stabilizzazione del dominio della BI e funzionali a produrre i termini affinché lo Stato possa garantire confacentemente gli interessi della BI.

Per questo quadro di interessi e progettualità, la rimodellazione economico sociale e di riforma dello Stato, di stampo neocorporativo è economicamente organica e politicamente funzionale alla coesione politica europea, tanto più necessaria allo Stato quale base interna di rafforzamento per la sua assunzione di ruolo nelle politiche centrali dell’imperialismo e nei processi di guerra in atto.

Per questo il contenuto neocorporativo è il piano di riferimento rispetto a cui si vanno a formare, ruotare e collocare gli equilibri politici nel quadro dell’alternanza degli schieramenti di maggioranza, e non rappresenta certo “scorciatoie” autoritarie, tra l’altro di difficile gestione. Tanto per gli Esecutivi di centrosinistra (come è stato nei precedenti governi) che per quello di centrodestra attuale, il contenuto neocorporativo è l’asse centrale rispetto cui riferirsi nella propria azione, ciò che muta sono le relazioni con le parti sociali (il tipo di rapporto tra Esecutivo e Sindacato Confederale in primo luogo) e le formule politiche su cui si articola il neocorporativismo stesso.

Oggi si assiste ad una ridefinizione delle relazioni neocorporative tra Esecutivo-Confindustria-Sindacato Confederale e ad una diversa funzione della negoziazione neocorporativa rispetto alla precedente formula politica concertativa. “Concertazione” che ha incarnato tutta una fase della politica neocorporativa e consentito sul piano della sua istituzionalizzazione la generalizzazione del contenuto neocorporativo nelle relazioni politiche e di scontro tra le classi, sia veicolando ed informando le modifiche legislative sul diritto del lavoro e sostenendo con la “politica dei redditi” gli indirizzi economici dentro il contesto di crisi e nell’ambito dei processi di integrazione europea, sia affiancando le istituzioni e lo Stato quale canale di legittimazione ulteriore della sua azione. “Concertazione” la cui azione ha costruito e definito quei margini politici sul piano delle relazioni tra le classi, e di conseguenza su quello degli equilibri politici tra classe e Stato, per operare processi rispondenti alla necessità di una più complessiva riforma e ristrutturazione economico-sociale e quelli relativi ai passaggi che hanno investito la rappresentanza politica e la rifunzionalizzazione dello Stato. Una fase di affermazione della negoziazione neocorporativa, espressione degli equilibri politici di quella fase. Un’azione politica di accerchiamento dell’autonomia di classe, ragione per cui si rendeva necessario il massimo di inglobamento possibile delle istanze sociali rappresentate e rappresentabili al fine del depotenziamento dei contenuti di classe. Una funzione antiproletaria a partire dalla quale c’è stato il riposizionamento delle forze politiche di entrambe le coalizioni per affermare l’alternanza, al fine di stabilire il terreno istituzionale funzionale alla “democrazia governante”, poggiante sulla riduzione e selezione degli interessi rappresentabili e mediabili rispetto a quelli centrali della BI. In questo senso la formula politica della concertazione ha accompagnato il trapasso dalla prima alla seconda repubblica. Un processo che si è avvalso delle forzature della BI rispetto alla centralità dei suoi interessi e quindi teso sostanzialmente al rafforzamento del dominio della BI nei confronti della classe operaia e del proletariato. I “patti sociali” del ’92-’93, insieme agli ulteriori sviluppi che da questi ne sono conseguiti nel decennio grazie alla formula politica concertativa e al modello di relazioni sociali che l’ha sostanziato, hanno di fatto rappresentato un puntello essenziale nel quadro del governo della crisi e delle contraddizioni del conflitto di classe andando a rafforzare l’azione degli Esecutivi nella loro opera, con un ampliamento delle loro stesse prerogative decisionali.

L’attacco a M. D’Antona portato dalle BR-PCC al progetto neocorporativo ha contribuito sostanzialmente alla crisi della funzione politica della “concertazione” già in parte logorata dalla resistenza e opposizione di classe agli accordi del luglio ’92 e ’93, al famigerato “grande patto di Natale” e alle politiche che ne hanno sostanziato il corso; attacco che ha indebolito l’azione politica dell’Esecutivo.

Un quadro che a fronte delle ulteriori scelte e necessarie trasformazioni che erano implicate nel rispondere agli interessi della BI sul terreno della ristrutturazione e riforma economico-sociale in relazione all’approfondimento della crisi e allo sviluppo della tendenza alla guerra, nonché delle contraddizioni immesse dalla resistenza operaia e proletaria, ha posto alla soggettività politica della BI il doversi misurare, proprio a partire da questi dati di fondo, con le necessarie risposte politiche da mettere in campo, riferite ai termini di politica economica e di rifunzionalizzazione dello Stato contemporaneamente, tenendo in conto quanto maturato nei passaggi avvenuti su questi piani nel decennio precedente, al fine di saper integrare i passaggi di questa duplice priorità nelle capacità di governare le contraddizioni generali determinate dall’approfondimento della crisi del capitalismo. Ciò ha significato elaborare e definire una progettualità politica che portasse a sintesi organica e facesse, appunto, compiere un salto agli indirizzi “riformatori” messi in campo nel decennio precedente ricollocando il contenuto neocorporativo sia per la funzione che va ad assumere che per il sistema di relazioni che lo sostanzia, su un piano più avanzato. Non semplice prolungamento del piano di ristrutturazione economico-sociale portato avanti dagli Esecutivi degli anni’90: la riorganizzazione prospettata attiene ad una modifica profonda del “modello” di società, ovvero quella rappresentabile delle “democrazie governanti” in cui la strutturazione corporativa delle relazioni sociali è base della riduzione della rappresentanza istituzionale, politica e sociale del proletariato e quindi l’azione politica degli indirizzi riformatori si colloca e agisce sul complesso della riforma statuale, a partire dal rafforzamento e stabilizzazione delle prerogative dell’Esecutivo, quale perno della rifunzionalizzazione dello Stato, fino a rivedere la stessa forma-Stato in senso “federalista”. Federalismo che, tutt’altro dall’essere una ripartizione amministrativa, risponde all’esigenza economica di ricavare differenti saggi di profitto con il conseguente indebolimento del proletariato sul piano locale. Un salto di qualità richiesto a seguito delle modifiche apportate nel decennio passato alla legislazione sul lavoro e quelle a livello di rifunzionalizzazione dello Stato, unitamente all’approfondimento del rapporto crisi/guerra.

È all’interno di queste linee di fondo che la formula politica del “dialogo sociale” supera la “concertazione” intesa come dialettica non conflittuale tra le parti sociali, in quanto la prima dovrebbe poggiare su un sistema di relazioni e filtri che selezioni a monte i termini del conflitto di classe e con ciò di fatto ampliando i margini di manovra e di intervento degli Esecutivi stessi, nonché stabilizzando le condizioni politiche e sociali per “l’alternanza”.

Una dinamica che investe il piano di ridefinizione delle relazioni neocorporative tra Esecutivo Confindustria e Sindacato Confederale, cosa che non solo presuppone la posizione subordinata del Sindacato in termini generali agli interessi della BI, ma più sostanzialmente opera attraverso la collocazione funzionale delle organizzazioni sindacali in rapporto all’azione dell’Esecutivo e alle trasformazioni che l’assestamento dei processi di ristrutturazione economico-socciale e riforma in senso federalista aprono. Un disegno politico che con la compenetrazione tra pubblico e privato nei settori dell’istruzione, della sanità, dell’assistenza, ecc., con un maggior ruolo delle Fondazioni, del Terzo Settore…, come pure l’ulteriore trasformazione del Sindacato Confederale in associazione di iscritti, “erogatore di servizi” e non più nel ruolo di organizzatore del conflitto con il capitale, fruisce di una base economica e sociale concreta.

Una dinamica politica non priva di contraddizioni, ma che tende a normalizzare e funzionalizzare questo piano di relazione ai nuovi termini di democrazia dell’alternanza e del suo carattere “governante”, accentrante i poteri dell’Esecutivo. Ma soprattutto l’aspetto principale di questa progettualità politica è quello di costituire un salto nelle relazioni politiche e di forza tra le classi complessificandone e approfondendone il contenuto neocorporativo rispetto al livello di crisi cui è giunto il capitale. Dato di fondo quest’ultimo che impone una riorganizzazione delle relazioni sociali rispetto agli interessi antagonistici che esprime, funzionale alla regolazione complessiva della forza-lavoro e del suo mercato aderente ala capacità competitiva del sistema economico-sociale, alla ristrutturazione di forme di rapporti sociali e di lavoro idonei a tutti i livelli a sostanziare questo obiettivo, marginalizzando di fatto gli interessi e le istanze di classe a fronte della rimodellazione del reticolo della mediazione politica e della stessa rappresentanza politica e sociale, coerente a sostenere i processi di Riforma dello Stato e la tenuta del fronte interno rispetto all’impegno costante dello Stato nella guerra imperialista.

Guerra imperialista la cui genesi risiede nella crisi del Modo di Produzione Capitalistico ed il “fallimento” delle politiche controtendenziali alla caduta del saggio medio di profitto e l’adozione del riarmo come politica economica in qualità di domanda aggiuntiva (per le caratteristiche intrinseche a questa scelta il cui sbocco necessario è la guerra, pena la bancarotta degli Stati che ne fanno ricorso) sono l’indice generale che evidenzia la tendenza a risolvere la crisi in chiave bellica, in quanto la guerra è, in ultima istanza, distruzione di capitali eccedenti, funzionale ala ripresa del ciclo economico sulla base di una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati.

La controrivoluzione imperialista verso i paesi del Patto di Varsavia, la destabilizzazione di interre aree geopolitiche e la destrutturazione economica per l’assoggettamento ed inglobamento nella catena imperialista di paesi anche con interventi militari, hanno segnato e costituiscono passaggi politici concreti che hanno fatto avanzare la tendenza ala guerra. Un avanzare che ha caratterizzato la modifica degli equilibri ed assetti politico-economici internazionali scaturiti dalla Seconda Guerra Mondiale e da decenni di guerre di liberazione nazionale.

Tappe che, dalla controrivoluzione imperialista, ala decennale aggressione all’Iraq, interna ai tentativi di stabilizzazione imperialista dell’area mediorientale, perseguiti storicamente dalla catena imperialista nel quadro del confronto ad Est, e che dall’imposizione dell’entità sionista si sono susseguiti senza soluzione di continuità, alla frantumazione ed assoggettamento della yugoslavia e dei Balcani, hanno evidenziato la rotta della guerra imperialista sulla contraddizione Est/Ovest, quale rapporto dominante economico, politico, sociale storicamente determinato. Tappe che, proprio nel dover impattare e rompere un equilibrio politico e sociale determinatosi storicamente hanno evidenziato da subito l’imposizione di relazioni volte ala subordinazione di paesi e sottomissione di popoli nel tentativo di privarli del loro diritto ad uno sviluppo autonomo e così condannandoli alla dipendenza e subordinazione economica e politica instaurando rapporti di dominanza peculiari volti all’inglobamento nella catena imperialista.

Questi i caratteri insiti nella strategia imperialista che ha guidato la penetrazione e gli eventi bellici, quanto gli schieramenti in essa.

Gli indirizzi guerrafondai e schieramenti inseriti nel quadro storico di integrazione e gerarchizzazione della catena imperialista da cui non si può prescindere. Le dinamiche che hanno marcato i passaggi salienti della tendenza alla guerra imperialista chiariscono come questa non possa essere interpretata come la riproposizione di una guerra di ripartizione di aree di influenza tra potenze imperialiste in conflitto tra loro, e gli attuali eventi bellici come una sorta di forma surrogata del livello assunto dalla concorrenza, come passaggio transitorio ad un conflitto interimperialista generalizzato. Al contrario i fatti sono lì a dimostrare che tanto più si approfondisce la dinamica della tendenza alla guerra e si rimarca come direttrice del conflitto l’asse Est/Ovest, tanto più, anche se contraddittoriamente, si pongono i termini di approfondimento del compattamento all’interno della catena imperialista, in questo senso la coesione europea e del ruolo assunto sul piano politico-militare, tutt’altro dal costituire un polo alternativo agli USA, è in tutta evidenza un pilastro della strategia NATO.

Gli attacchi al Pentagono e al World Trade Center, subiti dagli USA, oltre a mostrare la loro vulnerabilità, evidenziano per contro i caratteri propri, genocidi, controrivoluzionari e di attacco all’autodeterminazione dei popoli insiti e dispiegati dai processi di penetrazione e di guerra condotti dalla catena imperialista a partire dal suo polo dominante statunitense. Attacchi assunti dagli USA come “casus belli”, pretesto usato per ricollocare su un piano più avanzato i processi di guerra imperialista. Ricollocazione da cui scaturisce il dispiegamento in centro-Asia attraverso l’aggressione e l’occupazione dell’Afghanistan. Una nuova fase nella tendenza alla guerra imperialista derivata in realtà come necessità imposta dalle proprie contraddizioni, che hanno avvistato la capacità di governare e stabilizzare le crisi aperte dall’imperialismo stesso, e dalla resistenza di massa e d’avanguardia alle sue politiche di assoggettamento, che ha ulteriormente minato tale capacità. In altri termini lo status quo prodotto dalle “paci di carta”, in un quadro di stagnazione economica, era diventato elemento di freno, indicatore di arretramento delle posizioni imperialiste e in questo gli attacchi subiti ne sono stati cartina tornasole.

Un’accelerazione dei processi di guerra indotta dal polo dominante statunitense che è in sostanza uno squilibrio verso la generalizzazione della guerra imperialista. Il processo di guerra imperialista aperto in questa fase non è misurabile tanto rispetto al dispiegamento bellico linearmente inteso, anche se questo per necessità ha avuto un incremento, ma soprattutto per come investe, come passaggio politico, il complesso delle relazioni internazionali in cui la determinazione bellica innerva il piano politico-diplomatico dando luogo ed imponendo lo schieramento sugli interessi imperialisti intorno ad un quadro di rigida polarizzazione che investe il piano interno agli stessi Stati imperialisti, i quali operano attraverso misure legislative, politiche, di “ordine pubblico” e controrivoluzionarie in coordinamento tra loro sugli indirizzi generali da adottare funzionali alla tenuta del fronte interno. Misure supportate anche attraverso il terrorismo psicologico, disponendo i propri apparati giudiziari per alimentarlo e sostenerlo, e con la propaganda finalizzata a creare il clima di “inevitabilità” della guerra, di “convivenza” con la condizione immanente della guerra, tutti fattori che segnalano il grado di approfondimento e precipitazione verso un conflitto vasto e generalizzato.

È all’interno di questi caratteri che in linea generale contraddistinguono la fase di scontro interna ed internazionale, che le BR-PCC hanno rilanciato la propria progettualità rivoluzionaria ed i termini politici e programmatici per far avanzare la guerra di classe, sulle direttrici di combattimento dell’attacco allo Stato e dell’attacco alle politiche centrali dell’imperialismo con la proposta del Fronte Combattente Antimperialista, ed hanno attaccato la progettualità politica della frazione dominante di BI al fine di incidere nello scontro politico tra le classi, in funzione di una linea di combattimento che in questa fase della guerra di classe deve riferirsi agli obiettivi volti a produrre disarticolazione politica dello Stato ed in cui si sostanzia l’agire da Partito per costruire il Partito volendo spostare in avanti lo scontro tra le classi e collocare su un punto di forza la posizione degli interessi autonomi del proletariato, facendo così avanzare la linea politica sulla quale indirizzare lo scontro prolungato contro lo Stato e l’imperialismo che propongono alle avanguardie, al proletariato rivoluzionario e a tutta la classe.

Le BR-PCC, misurandosi con i termini di evoluzione dello scontro che vedono la BI riprendere l’iniziativa per capitalizzare in termini politici i risultati del duplice processo controrivoluzionari nei rapporti politici e di forza con la classe hanno ricondotto la situazione dello scontro sul terreno risolutivo della guerra di classe, unico capace di affermare l’alternativa di potere al sistema della BI, nonché di far pesare in termini politici gli interessi generali ed autonomi della classe operaia e del proletariato, misurandosi in termini adeguati al tipo di attacco e di modifica dei rapporti tra le classi in corso.

Per le BR-PCC intervenire sui nodi generali dello scontro operando concreta direzione rivoluzionaria e rilanciando la prospettiva di potere sul terreno della guerra di classe, è il solo modo per modificare i rapporti di forza, piano politico sul quale il proletariato e le avanguardie possono tornare a pesare rapportandosi all’attività generale dell’avanguardia armata e soprattutto è solo in questa dialettica che la autonomia politica di classe può trovare la sua ridefinizione in avanti. E’ in questa prospettiva che il rilancio ed avanzamento verso la stabilizzazione dell’iniziativa combattente contro il progetto neocorporativo riesce a relazionarsi ai diversi fattori in campo in una situazione che, sostanziata dalla stabilizzazione del portato della controrivoluzione e dalla difensiva di classe, che ha determinato un considerevole svuotamento politico del movimento rivoluzionario, vede la classe rispondere all’attacco borghese con gli strumenti a disposizione entro cui misura lo scarto, nonostante le ampie mobilitazioni, della realtà dei rapporti di forza e della capacità dello Stato di imporre il proprio terreno di intervento, situazione che ciononostante ha visto il prodursi di uno schieramento rivoluzionario intorno alle iniziative offensive dell’Organizzazione.

In questo quadro è l’Organizzazione l’unica a cogliere la sostanza del progetto della borghesia e dei nodi politici generali che investono lo scontro e le relazioni tra le classi, volendo la borghesia sospingere ulteriormente indietro le posizioni proletarie, attrezzandosi sui diversi piani per normalizzare il conflitto di classe e neutralizzare la proposta rivoluzionaria. Pertanto nella realtà dello scontro, padroneggiandolo sia in termini concreti che prospettici, l’Organizzazione riafferma la dimensione di guerra di classe del processo rivoluzionario assumendo l’unità del politico e del militare come dato che vive in ogni aspetto dell’attività rivoluzionaria basata sulla strategia della Lotta Armata, ed in ogni momento dello scontro rivoluzionario, prassi entro cui ricolloca lo stato delle forze in campo e dei diversi fattori facenti parte dello scontro, e definendo il movimento complessivo della guerra di classe entro cui inquadrare la pratica rivoluzionaria.

Movimento della guerra di classe che richiede la presa d’atto di principi, criteri e leggi che ne sono alla base e che sono emersi dalla verifica pratica nello scontro. Poiché è solo all’interno di questa concezione che è possibile assumere una disposizione adeguata da parte dell’avanguardia che si relaziona sul terreno della LA sia in generale rispetto ai caratteri della guerra di classe che rispetto ai nodi della fase rivoluzionaria, contraddistinta dai compiti della fase di Ric. delle forze rivoluzionarie e proletarie all’interno dei caratteri generali della fase di RS.

Caratteri e indirizzi di fase che necessitano il disporsi sul contenuto orientante della prassi d’O., la sua linea politica e programmatica non in termini generici o di riferimento virtuale, ma sappia esprimere quel livello di centralizzazione funzionale alla pratica d’avanguardia rivola alla disarticolazione dei progetti della borghesia, quanto funzionale alla direzione ed organizzazione del processo rivoluzionario nel suo complesso.

Per concludere ribadiamo che il processo che qui viene celebrato non è che un momento anche poco significativo dello scontro che oppone la classe allo Stato, e che il nostro rapporto con lo Stato dipende dal rapporto che le BR-PCC hanno con esso, ben coscienti che la credibilità ed autorevolezza della nostra O. nel tessuto proletario non può essere minimamente scalfita da qualsiasi manovra, tantomeno quelle attuate verso i prigionieri perché conquistata in più di trenta anni di attività rivoluzionaria nel nostro paese. Quindi dei nostri atti politici come della nostra militanza, rispondiamo solo alle BR-PCC e, con esse, al proletariato di cui sono l’avanguardia rivoluzionaria.

 

– Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di rimodellazione economico-sociale neocorporativo e di riforma dello Stato

– Organizzare i termini politici e militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata

– Attaccare le politiche centrali dell’imperialismo, dalla linea di coesione europea, ai progetti e alle strategie di guerra e controrivoluzionarie diretti dagli USA e dalla NATO

– Promuovere la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista

– Trasformare la guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe

– Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti

 

I militanti delle BR per la costruzione del PCC
Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli

La militante rivoluzionaria
Vincenza Vaccaro

 

Roma, settembre 2002

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