Bilancio ed ulteriore riadeguamento politico-organizzativo. Documento interno

Una riflessione sulle leggi generali dello scontro in merito all’esperienza dell’O. ci serve per collocare una serie di dinamiche e di contraddizioni che nell’insieme hanno condizionato in negativo il percorso d’affermazione delle risultanze del processo autocritico.

Infatti il processo di riadeguamento, ben lungi dal seguire un percorso lineare, ha dovuto fare i conti con le contraddizioni politiche di carattere generale, quale prodotto in ultima istanza dello scontro che hanno generato nella loro evoluzione vere e proprie deviazioni.

Gli effetti della sconfitta e del ridimensionamento politico-organizzativo dell’O, riversandosi sui rapporti di forza tra le classi, accanto allo scompaginamento delle condizioni politiche del tessuto proletario in cui si riproduce una forza rivoluzionaria, ha aperto dinamiche che all’indomani dell’82 non era possibile comprendere e governare in tutta la loro portata.

La Ritirata Strategica, atto dovuto, ha permesso di ricostituire l’impianto politico e di riprendere l’iniziativa su basi più adeguate; ma la sconfitta, l’impatto con lo Stato, ha comunque generato il maturarsi di deviazioni politiche che sono riconducibili al liquidazionismo. Queste hanno preteso di sottrarsi al livello di scontro attestatosi nel paese, negando la valenza della strategia della Lotta Armata e revisionandone i suoi presupposti di fondo. Per assurdo queste posizioni hanno dovuto fare i conti con la coscienza che lo Stato ha del problema, pur rappresentando l’estremo arretramento di posizioni rivoluzionarie. Un paradosso questo che dimostra come dentro ad una pesante sconfitta si innestino posizioni politiche rinunciatarie il cui unico pregio sta nel rendere evidente quanto sia facile teorizzare la propria condizione di debolezza, estrapolandola dal livello di scontro rivoluzionario attestatosi nel paese. Questa posizione politica (deviazione) pur essendo una posizione soggettiva è figlia dell’interiorizzazione della sconfitta, avendo come effetto in ultima istanza quello di delegare al movimento di massa la continuità del processo rivoluzionario che si è aperto in Italia.

L’aver espulso questa posizione e aver ridefinito l’impianto non ha significato l’aver superato e compreso la contraddizione di fondo su cui si era innestata la posizione dogmatica e ciò si è manifestato nell’oscillazione della teoria-prassi dell’O. Più precisamente si è passati dal concetto di ritirata strategica alla logica difensivistica e di tenuta.

Quello che si è verificato, è stata la non comprensione delle leggi generali dello scontro rivoluzionario. Lo scontro rivoluzionario segue un andamento discontinuo fatto d’avanzamenti e d’arretramenti, i ripiegamenti da parte delle forze rivoluzionarie avvengono quando si constata l’impossibilità, in date congiunture, di portare avanti una posizione offensiva, pertanto si ritirano allo scopo di ricostruire i termini più idonei per nuove offensive. In questo senso il ripiegare pur essendo un problema relativo alla soggettività rivoluzionaria è prodotto dal non essere adeguati allo scontro in atto, in altri termini il ritirarsi È UNA SCELTA POLITICA finalizzata a preparare nuove condizioni per sostenere lo scontro. Tutto ciò sempre e concretamente all’interno del processo prassi-teoria-prassi, metodo che permette di adeguare la propria pratica rivoluzionaria, imparando anche dagli errori.

Ripiegare non va visto come atto difensivo ma come elemento dinamico delle leggi della guerra, ignorare tale concezione porta in termini puramente militari al dissanguamento delle forze, in termini politici all’avventurismo. Considerarlo come un atto difensivo è altrettanto dannoso: perché la LOGICA DIFENSIVISTICA E DI TENUTA è la negazione della guerriglia in quanto si sottopone al logoramento del nemico e quindi di fatto all’arretramento. Quest’ultima è la contraddizione generale che ha attraversato l’O, e che ha ritardato il processo di riadeguamento teorico-politico-organizzativo provocandone l’oscillazione. La logica della conservazione delle forze ad oltranza è incapace di ridare fiato in termini offensivi alla strategia rivoluzionaria e porta per opposto al logoramento e alla demoralizzazione delle forze, alla perdita di incisività politica.

Nei fatti questa logica figlia anch’essa dell’interiorizzazione della sconfitta, si è manifestata con risposte organizzativiste ai problemi politici misurando il proprio agire a ciò che è possibile fare e non a ciò che è necessario fare, sfalsando la misura politica, influenzando negativamente persino la metodologia e lo stile di lavoro dell’O. La logica difensivistica si caratterizza per una visione statica dello scontro, di fatto elude sia una legge generale dello scontro tra le forze rivoluzionarie e Stato, sia gli aspetti peculiari che assume nelle democrazie mature.

Infatti il rapporto di guerra esistente tra le forze rivoluzionarie e lo Stato è dominato dalle caratteristiche della fase di scontro in cui si situa, che pur rispondendo alla logica del reciproco annientamento è calibrato alle condizioni politiche più generali, nella sostanza È CIÒ CHE PIÙ PAGA POLITICAMENTE (riferito al rapporto generale tra le classi) che domina il rapporto di guerra. Una legge generale che nelle democrazie matura peculiarità estremamente politiche e complesse, che ben lungi dal manifestarsi solo nel rapporto che oppone una forza rivoluzionaria allo Stato, attraversa orizzontalmente tutto il corpo di classe, pur manifestandosi su diversi piani. In altri termini, IN REGIME DI DEMOCRAZIA MATURA, nei paesi del centro imperialista, IL PROBLEMA PER LA BORGHESIA E PER LO STATO È QUELLO DI RICONDURRE IL CONFLITTO DI CLASSE NEI MECCANISMI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA, COMPRENDENDOVI ANCHE GLI ASPETTI PIÙ ANTAGONISTICI E LE FORME DI LOTTA PIÙ DURE. Quest’ultime devono essere mediate e depotenziate attraverso gli strumenti e gli organismi politici che rapportano il proletariato allo Stato, alla borghesia.

Difatti il problema della borghesia non è tanto la lotta di classe in sé, ma la coscienza che questa può maturarsi in lotta per il potere. Il problema è impedire questa possibile maturazione per questo LE POLITICHE CONTRORIVOLUZIONARIE, di controrivoluzione preventiva, non sono riferite solamente all’avanguardia rivoluzionaria, ma PRINCIPALMENTE SI RIFERISCON0 AL MODO CON CUI GLI ELEMENTI E GLI ORGANISMI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA POSSONO RICONVOGLIARE E COMPATIBILIZZARE NELL’AMBITO ISTITUZIONALE LE SPINTE DELLA LOTTA DI CLASSE.

In altri termini, nella sostanza, ciò si riflette sul carattere della mediazione politica che è possibile mettere in atto nei confronti del proletariato, il tipo di “governo possibile” delle contraddizioni di classe. Se questa, in termini generali, è la sostanza della controrivoluzione preventiva, essa si manifesta su diversi piani a seconda a chi è riferita e alla condizioni politiche più generali dei rapporti di forza tra le classi; nello specifico, la dinamica controrivoluzionaria è molto selettiva e tende a calibrare le forzature possibili. Infatti, se in termini sostanziali e generali è riferita a tutta la classe, in termini specifici si manifesta contro gli elementi più avanzati di quest’ultima, muovendosi in termini di accerchiamento ed isolamento.

È proprio per le peculiarità politiche e sociali dello scontro rivoluzionario odierno nel nostro paese che la logica difensivistica è quanto mai incapace di contribuire ad uscire sostanzialmente, e non solo virtualmente, dalla Ritirata Strategica. Una logica in ultima istanza che si presta, non collocandosi al punto più alto dello scontro, alle politiche di depotenziamento della guerriglia e di possibile endemizzazione. Per concludere, l’insegnamento che bisogna trarre da questi dati si può così sintetizzare: la necessità di ripiegare, di essere soggetti a possibili ridimensionamenti, è facente parte dello sviluppo del processo rivoluzionario (che precisiamo, soprattutto in riferimento alla nostra attività, è teso ad indurire lo scontro, non ad aprire spazi democratici), questo però non deve tradursi in una logica difensivistica, perché ciò porta a subordinare le esigenze politiche poste dallo scontro al puro dato organizzativo, e ciò ha come portato ulteriore il collocare su due piani distinti il politico ed il militare, mentre quest’ultimo deve essere sempre il riflesso delle esigenze politiche; in altri termini, si dà organizzazione ad una strategia, e ad una linea politica, e non è l’organizzazione che produce linea politica.

Sul piano generale non va mai persa la dimensione che sul piano storico ha l’organizzazione per quello che rappresenta in termini politico-strategici, al di là del dato organizzativo del momento. La logica difensivistica riducendo in organizzativismo la capacità di lettura politica dello scontro ha prodotto un’ulteriore contraddizione che per le sue caratteristiche riguarda gli aspetti più interni della vita dell’O. Ossia ha dato luogo a un’involuzione del modulo politico-organizzativo e del centralismo democratico su cui si basa un’organizzazione comunista: anche questo ha fatto da contributo al rallentamento del processo di riadeguamento, la cui risoluzione deve andare di pari passo all’assestamento teorico-politico-organizzativo dell’O.

Con questo intendiamo dire che deve cessare il carattere d’eccezionalità con cui a suo tempo, dentro una legittimità politica e condizioni materiali ben precise, furono varate modifiche sostanziali fra le istanze dell’O. Queste modifiche, allora necessarie e rispondenti ai problemi politici posti dalla Ritirata Strategica, nell’evolversi dei fatti e nell’approfondirsi della logica difensivistica, si sono tramutati in un meccanismo che si può sintetizzare in un rapporto semplificato tra un’unica istanza di direzione (che si perpetua per cooptazione) ed un insieme di singoli militanti che si rapportano ad essa. Questo modulo, proprio del democraticismo comporta inevitabilmente un impoverimento politico che può aprire spazi alla logica di gruppo.

Ciò che si è verificato è stato uno squilibrio tra risultanze del processo autocritico e il riadeguamento politico-organizzativo dell’O; in altri termini erano fragili le gambe su cui doveva marciare la messa in pratica e l’approfondimento della linea politica generando più di una contraddizione; paradossale per un’organizzazione dello spessore delle BR. L’anomala situazione che si è verificata non ha permesso di usufruire a pieno dell’energia del corpo militante, da un lato all’impegno possibile dei singoli e, dall’altro, accentrando il dibattito alla sola istanza di direzione. Il limite non è tanto il verticismo in sé, ma quanto il fatto che in tal modo non si produce il dibattito ma lo s’impoverisce venendo meno agli strumenti politico-organizzativi in cui questo può marciare. I fatti stanno a dimostrarlo.

Inoltre si verifica l’incapacità di attivizzare ed organizzare le forze perché va ribadito: che in un’organizzazione come la nostra niente può vivere in termini spontanei né tantomeno il dibattito che invece va organizzato. La capacità d’organizzare le forze, attivandole in riferimento alle esigenze politiche del momento, è tale nella misura in cui i provvedimenti presi rispondono alla concezione strategica dell’O e non alla contingenza immediata.

Se questi sono gli errori che si sono espressi all’interno dell’O, ben più gravi politicamente le contraddizioni riversatesi nel rapporto con l’esterno. La logica difensivistica e di contenimento ha estremizzato un punto cardine dell’ultima battaglia politica, ossia la critica alla centralità del lavoro di massa. In altri termini, la tendenza al settarismo che inevitabilmente tale logica produce non ha permesso la necessaria dialettica tra l’O e il movimento rivoluzionario, e tra l’O e l’autonomia di classe; riflettendosi persino nell’attività indispensabile di riproduzione dell’O dentro al campo proletario. A coprire le deficienze di questo modo di rapportarsi è stato l’uso improprio della critica alla centralità del lavoro di massa, di fatto usato come alibi alla chiusura.

In poche parole il rapporto con il movimento rivoluzionario e con l’autonomia di classe si è limitato al solo utilizzo dei compagni disponibili su base fiduciaria e di cooptazione trasmettendogli la logica di chiusura propria dell’O. È inutile dire che in tal modo si è venuti meno alla metodologia e allo stile di lavoro dell’O, criteri che sono stati conquistati dentro la decennale esperienza pratica dell’O, e che costituiscono il patrimonio del suo modus operandi.

Il venir meno alla sostanza di questi principi non è giustificato né dal ridimensionamento, né dall’opera della controrivoluzione, ma è lo snaturare la logica dell’O a Blanquismo.

Quello che va compreso è che la critica alla centralità del lavoro di massa non può tradursi nella negazione del normale lavoro di massa. Nel fare questo bilancio volutamente sono stati messi in rilievo gli elementi di contraddizione poiché questi rappresentano un serio impedimento alla riqualificazione ed arricchimento dell’impianto politico dell’O.

Riqualificazione che deve tenere conto dello spessore acquisito dall’O sul piano storico, e dei mutamenti che riguardano la complessità dello scontro politico in Italia. Altrimenti, fuori da questi termini non è dato rilancio del processo rivoluzionario pur esistendo uno spazio politico su questo terreno. Ciò che va ribadito è la capacità della proposta rivoluzionaria di muoversi nella dialettica distruzione/costruzione, il che significa intendere l’attività dell‘O non limitata alla sola disarticolazione. Se questo rappresenta il punto più alto dell’attività dell’O, essa non ne esaurisce i compiti, essa apre spazi politici su cui può instaurarsi la dinamica della costruzione nei termini dati dalle condizioni dello scontro. Non assolvere a questi compiti politici comporta l’incapacità di sostenere le dinamiche che l’attività politico-militare determina, che è ovvio sarebbe riduttivo e deviante misurare nella sola tenuta militare dell’O, ma va inquadrata nei termini politici riguardanti il rapporto classe/Stato. È attraverso la capacità politica di calibrare l’attività in relazione ai rapporti di forza interni ed internazionali, allo stato del movimento di classe, allo stato del movimento rivoluzionario, che si ha avanzamento e tenuta nello scontro rivoluzionario.

Due sono le direttrici su cui deve instaurarsi il piano di lavoro dell’O a medio termine:
– riorganizzazione delle forze;
– indirizzo politico dell’attività dell’O.

Riteniamo fondamentale per affrontare questo problema fare riferimento alla risoluzione della Direzione Strategica N° 2 poiché nella sua sostanza e nella sua portata strategica rimane a tutt’oggi più che mai valida. Quello che è importante nel farvi riferimento, è l’impostazione relativa alla sostanza dei principi cardine del funzionamento dell’organizzazione comunista clandestina. Il ripristino nella sostanza di questi principi permette di affrontare la riorganizzazione delle forze in relazione alle condizioni date dalla materialità del momento. Per questo proponiamo la costituzione di cellule, d’istanze di dibattito interne all’O costituite da almeno tre militanti, possibilmente là dove svolgono lavoro politico; questa proposta è solo il ripristino del modulo politico-organizzativo dell’O, il quale prevede che tutti i militanti (regolari ed irregolari) siano organizzati in istanze politiche. Data la materialità delle condizioni prescindiamo dal numero delle cellule possibili ed anche dalla collocazione geografica, ciò come passaggio transitorio al definitivo costituirsi, nei modi e nei tempi possibili, di vere e proprie strutture d’O. Queste cellule saranno la base per il ricostituirsi d’una futura Direzione Strategica, reale espressione dei migliori militanti d’O.

Ogni cellula si farà carico in termini generali di portare avanti per quanto gli compete il lavoro d’O. Più precisamente, per contribuire al dibattito seguendo l’indirizzo politico-programmatico dell’O. In tendenza ogni cellula deve raggiungere un’autonomia organizzativa, ossia deve essere una vera e propria struttura d’O. I contributi e le critiche politiche devono essere scritti. La circolazione del dibattito tra le cellule momentaneamente avverrà esclusivamente per iscritto. È la struttura di direzione che garantirà la circolazione del dibattito. Qualsiasi proposta d’iniziativa deve essere presentata e motivata all’istanza dirigente; le iniziative per passare operative dovranno avere l’avallo della Direzione; in riferimento alla ristrutturazione ogni cellula deve avere un bilancio spese.

Data la situazione attuale che dobbiamo considerare transitoria, anche il ruolo della DS in carica resta anomalo e continuerà a centralizzare questo passaggio affinché avvenga in termini rigidamente indirizzati per evitare possibili sbandamenti. L’attuale istanza dirigente, per le competenze che ha avuto e che oggi deve svolgere, è nella sostanza un Esecutivo oltre ad una vera e propria DS. Proprio per questi motivi il controllo tra le istanze inferiori e l’istanza superiore deve essere massima.

Uno dei compiti principali che viene perseguito per questo passaggio transitorio è di costruire le condizioni per riformulare la nuova DS, la quale, una volta definito il suo lavoro, eleggerà il Comitato Esecutivo.

È l’attuale Esecutivo che propone la formazione e la composizione delle cellule, che ne nomina i responsabili; le eventuali controproposte sia nell’immediato che in futuro devono essere presentate e motivate per iscritto.

L’Esecutivo ha l’obbligo di promuovere, indirizzare e sintetizzare il dibattito ed il lavoro politico e tutti quegli incarichi riportati nella DS2 a pag. 11 e 12. L’Esecutivo in carica risponde alle cellule del proprio operato e viceversa.

Il rapporto all‘interno delle cellule e all’interno dell’O preso nel suo complesso è regolato dal centralismo democratico.

Come dato generale le cellule, nel rapportarsi con l’esterno, devono tendere ad impiantare organizzazione là, nei posti dove svolgono lavoro politico. L’O si riproduce per duplicazione, quando una struttura riesce ad allargarsi (dentro i criteri di reclutamento dell’O) quantitativamente, si divide e costituisce due cellule, l’insieme di più cellule costituirà una brigata.

L’indirizzo politico nel relazionarsi a strutture del movimento rivoluzionario o a singoli compagni rivoluzionari è quello di attivizzarli all’interno della strategia e della linea politica dell’O, lavorando sin da subito a dargli dimensione d’O in termini politico—organizzativi. Questo non va inteso come costruzione di strutture che articolano poi la linea dell’O per conto proprio e, logicamente, al loro livello, ma dev’essere teso a costruire militanti d’O, precisando che comunque la militanza è un percorso singolo e che bisogna tenere presente tutti i diversi livelli di coscienza e disponibilità per poterli tutti organizzare.

Quest’indirizzo è oggi quello che risponde meglio alle esigenze politiche poste dalla fase di scontro e che materializzano fin da subito la parola d’ordine dell’unità dei comunisti per la costruzione del PCC.

Per quanto riguarda il rapporto con le avanguardie di classe, questo deve seguire l’indirizzo politico del lavoro di massa; nella situazione odierna deve tendere a recepire le contraddizioni politiche che si agitano nel movimento di classe, andando oltre la semplice fotografia, ciò va inteso come elaborazione e sintesi politica dei dati di cui si è in possesso; ciò è necessario per avere il polso politico del movimento di classe e più precisamente, dell’autonomia di classe esistente. Comprendere, sintetizzare, elaborare le tensioni politiche che l’autonomia di classe esprime passa attraverso l’individuazione della contraddizione dominante che essa vive e che la oppone allo Stato. Anche il dibattito politico che le avanguardie di classe svolgono e le proposte politiche che pensano vadano fatte alla classe per uscire dalla situazione di difensiva, diventano dati da elaborare, sempre all’interno della strategia dell’O, per realizzare e arricchire il programma politico che in tendenza dovremo sempre più affinare.

Quindi il polso politico è fondamentale per avere gli strumenti politici necessari a consolidare la dialettica possibile che l’attività rivoluzionaria mette in campo.

Se in prospettiva e dentro l’evoluzione della fase di scontro, punto di programma è quello di attrezzare il campo proletario partendo dai suoi reparti più avanzati, nei termini politico-organizzativi adeguati allo scontro rivoluzionario contro lo Stato, nella situazione odierna ciò non è materialmente dato. Comunque mai tale obiettivo è derogabile al solo lavoro di massa, ma è a partire dall’attività della guerriglia che si aprono gli spazi per la costruzione possibile e realistica di tale dialettica, relazionandola inoltre alle condizioni politiche dello scontro. Affrontare questo nodo non significa cercare di risolverlo con una formuletta elaborata a tavolino, ma significa prendere atto delle condizioni del movimento di classe nella sua reale dimensione politica, per potervi intervenire nella maniera più proficua senza disegnarsi il movimento di classe a propria immagine e somiglianza.

Tornando al rapporto con le avanguardie di classe, esso, in termini generali è teso a quanto detto sopra, in termini specifici è teso a stringere il rapporto sui termini di programma dell’O, tenendo ben presente il grado di coscienza e disponibilità. In questo senso sarebbe un gravissimo errore filtrare il rapporto solo in relazione all’adesione ai termini politici dell’O. Ribadiamo che soprattutto nel rapporto con le avanguardie di classe la sensibilità politica va nel saper valorizzare tutti i piani di contributo.

Il lavoro di massa risponde altresì all’esigenza strategica della riproduzione dell’O per linee interne al campo proletario.

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L’attività dell’O che va dall’82 all’84 matura la ridefinizione dell’impianto politico attraverso anche l’espulsione delle posizioni dogmatiche. In questo passaggio virtualmente si chiude il periodo della Ritirata Strategica; virtualmente perché non è l’espulsione delle posizioni dogmatiche in sé che risolve l’assestamento dell’impianto politico, ma il suo adeguamento sostanziale e complessivo ai termini dello scontro.

Il problema politico che abbiamo di fronte è relativo al rilancio della strategia rivoluzionaria, al rilancio dell’offensiva dell’O all’interno di una condizione di difensiva della classe, all’interno di rapporti di forza favorevoli alla borghesia, con il conseguente arretramento delle posizioni politiche e materiali della classe, con un impoverimento delle espressioni dell’autonomia politica di classe, con lo scompaginamento del tessuto proletario che produce avanguardie. Nonostante ciò lo spazio politico per la LA è sempre presente: spazio politico che si è attestato all’interno dello sviluppo dello scontro rivoluzionario in Italia, uno scontro che è il prodotto dell’evolversi della dialettica tra l’autonomia di classe e la Strategia della Lotta Armata, da una parte, e le politiche dello Stato dall’altra.

Ma se spazio politico c’è occorre il massimo d’intelligenza e sensibilità politica per occuparlo, proprio perché l’offensiva si relaziona alla difensiva di classe e ad uno Stato che ha fatto esperienza nel governo delle contraddizioni di classe e del suo antagonismo, così come nel combattere le avanguardie rivoluzionarie.

Una situazione così mutata può portare a ricercare scorciatoie e soluzioni artificiose senza fare tesoro dell’esperienza che l’O ha messo in campo sul terreno dello scontro tra le classi, perdendo di vista l’indirizzo strategico a cui è rivolto l’agire d’O.

Quello che vogliamo porre all’attenzione è che mai come adesso è importante equilibrare il proprio intervento a tutti i fattori facenti parte dello scontro di classe, ciò perché la fase politica odierna è caratterizzata dalla continua evoluzione e trasformazione dei fattori in gioco e degli equilibri esistenti, il tutto in un contesto internazionale che fa da amplificatore ad ogni evento messo in campo soprattutto da forze rivoluzionarie sia mediorientali che europee. In altri termini, si tratta di analizzare ciò che il proprio agire mette in campo sia rispetto allo scontro con lo Stato sia rispetto al movimento di classe, comprendendo ciò che si modifica nella contraddizione tra classe e Stato. Più precisamente, la dialettica distruzione/costruzione deve tenere presente ciò che si determina e lavorare al rilancio del movimento rivoluzionario e del movimento di classe. Se l’obiettivo per la borghesia è la rifunzionalizzazione dello Stato (del funzionamento dei suoi apparati e della definizione delle relazioni con la classe), il realizzare quest’ulteriore passaggio non è certo privo di contraddizioni e di squilibri, ma anzi la definizione di questo passaggio porta in luce tutti i contrasti provocando una relativa instabilità. Quest’ultima vive e matura nel periodo necessario alla distruzione dei vecchi equilibri e il costituirsi dei nuovi. Instabilità che attraversa le forze politiche, ma che si risolve con un nuovo equilibrio raggiunto, non tanto all’interno delle mediazioni tra le forze politiche (sempre necessarie), ma dando risposte adeguate alla situazione del paese tenendo conto dei rapporti di forza tra le classi, in particolare tra borghesia e proletariato. La crisi politica attuale è la manifestazione dell’importanza del passaggio politico che si sta attuando rispetto ad un ulteriore accentramento dei poteri e della leadership che a ciò vuole far capo.

Questo quadro interno è strettamente inserito nello scontro internazionale dove si sono aperti ampi margini di manovra al piano politico-diplomatico all’interno di una fase preparatoria tesa ad assestare equilibri e coalizioni nella più generale tendenza alla guerra. Tutto ciò pur in presenza di diversi tipi di contraddizioni, sia portate dalla politica estera dell’Unione Sovietica, sia per il peso degli equilibri delle forze nelle aree calde, sia per i contrasti sugli indirizzi economici sul piano internazionale. Infatti, il quadro della crisi economica risente fortemente degli squilibri generati dalle politiche economiche neoliberiste con pesanti riflessi anche nel rapporto Nord/Sud.

In altri termini, l’internazionalizzazione delle economie comporta che, con l’esaurirsi della reaganomics, le esigenze odierne dell’economia Usa si riversino obbligatoriamente nelle scelte economiche degli altri paesi industrializzati anche se al loro interno l’evoluzione della crisi segue tempi diversi.

Infatti, il disavanzo degli USA viene fatto pesare, come problema, su tutta l’economia occidentale. A parte ciò, la necessità di operare contromisure rispetto agli effetti più negativi del neo-liberismo (recessione, disoccupazione, stagnazione) riguarda tutta la catena, e le ricette convergono nel ridare parzialmente slancio alla domanda interna, anche attraverso il sostegno alle piccole e medie imprese con le conseguenze del caso in termini di contrasto tra esigenze di protezionismo e di liberalizzazione dei mercati.

Non a caso fino ad ora non è stato possibile definire nuovi GATT.

Ciò che va ribadito è che il cambio di gestione politica sul piano internazionale non è sganciato dall’evoluzione del quadro di crisi economica e relativa gestione politica.

Fonte: processo per banda armata 1988

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