Cuneo: La lotta armata e gli sciacalli. Documento di Pasquale De Laurentis, Maurizio Ferrari, Aleramo Virgili

  1. Da qualche anno nel proletariato metropolitano, tra i comunisti, è in corso un acceso e complesso dibattito sulla ricerca delle cause, delle condizioni, che hanno determinato la parziale vittoria della borghesia imperialista nei primi anni ’80 sull’intero proletariato.
    In quegli anni ci fu anche un crollo delle organizzazioni della lotta armata, dei loro progetti politici, dei loro modelli organizzativi, ecc. Crollo o, se si vuole, sbaragliamento che a sua volta ebbe ed ha delle ripercussioni sull’intera classe proletaria, sui comunisti.
    Queste ripercussioni hanno determinato lunghe battute di arresto, mai totali, nei processi di lotta e di organizzazione del proletariato metropolitano. In essi si è incuneata ulteriormente, come vedremo, la borghesia imperialista con pratiche disgregative, di guerra.
    Da qui hanno avuto altresì origine le lacerazioni della solidarietà e dei vincoli proletari, che hanno, fra l’altro, condotto allo smarrimento un gran numero di comunisti.
    Uno dei momenti del dibattito attuale è rivolto all’analisi, alla comprensione di quanto avvenne in quegli anni. Noi pensiamo che esso sia unilaterale e riduttivo se lo si separa dal lavoro politico che deve ricostruire la strategia della lotta armata oggi.
    In altre parole, sosteniamo che tale comprensione è possibile, è cosa viva, soltanto se viene svolta assieme al dibattito sulla ricostruzione, sulla ridefinizione – in base alle attuali condizioni politiche, economiche, militari – della pratica strategica della lotta armata.
    Tale dibattito, confronto, anche lotta politica, fra posizioni divergenti, nei più recenti mesi è divenuto oltremodo centrale. Questo, dato l’attacco portato anche contro di esso, dall’idea e dalla pratica controrivoluzionaria di dare – come dicono alcuni ex-comunisti militanti delle BR, oggi chiari collaboratori dello stato – “…sbocco sociale e politico al ciclo di lotte degli anni ’70…” attraverso “… la soluzione politica del problema della liberazione dei prigionieri politici”.
    Noi siamo fuori e contro tale logica e pratica, mentre, invece, lavoriamo alla ricostruzione della strategia della lotta armata e della solidarietà, dei rapporti, del dibattito, che essa presuppone.
    Sono questi i problemi che affrontiamo nella circolazione del dibattito, della comunicazione proletaria, con lo scritto che segue.
  1. Siamo giunti al punto di discutere, un’altra volta, della natura e possibilità della lotta armata e quindi dello sviluppo della rivoluzione politica e sociale in Italia, in quanto ciò che venne creato nel decennio precedente è parzialmente crollato, ridimensionato.
    La fase è mutata: si potrebbe dire che, ad una fase percorsa da grandi tensioni rivoluzionarie, sia sopravvenuta una fase di dominio dell’imperialismo, attraverso la controrivoluzione preventiva, affinata sino al punto da consentirgli di tentare di impedire la fecondazione dei processi di lotta, organizzazione, presa di coscienza rivoluzionaria, ancorché di colpire i parti della rivoluzione.
    Tale attività, del resto, è ben conosciuta dai proletari che lottano, che combattono contro l’imperialismo, il nucleare, la guerra, la ristrutturazione della produzione, l’avanzare della «nuova povertà», l’industria della morte; che lottano per la casa, gli spazi di socialità…
    Il fondamento dell’attuale lotta politica, di cui dicevamo all’inizio, la sua stessa esistenza, noi lo intravvediamo nella modificazione di fase. Cioè, nella necessità di trovare orientamenti, ideali, punti di riferimento … caduti o smarriti, in ogni caso da ridefinire, appunto sulla base dei mutamenti avvenuti, operanti e sulla base dell’esperienza rivoluzionaria del proletariato mondiale. Nella necessità, inoltre, da parte della classe proletaria, di uscire dall’impasse e dall’ininfluenza politica che conosce da quegli anni.
    Infatti, la lotta armata è oggi ridimensionata complessivamente, rispetto all’influenza da essa esercitata nel fuoco della lotta di classe nel decennio precedente. Tale suo ridimensionamento ha accelerato l’affermazione non tanto del mutamento di fase, piuttosto del conseguimento da parte della borghesia imperialista, degli obiettivi politici, economici e militari, presupposti a quel mutamento.
    Vediamo meglio.
    La nuova fase venne aperta dalla borghesia imperialista italiana – in armonia con quella di altri paesi imperialisti – sotto l’incalzare della crisi economico-politico-militare… che attanagliava l’intero sistema imperialista e in misura maggiore l’Italia.
    Questo «salto» ha condotto tale borghesia a divenire uno dei pilastri dell’imperialismo. Ha comportato l’assunzione, da parte dell’Italia, nello scacchiere di guerra imperialista ed in particolare nella NATO, del ruolo di gendarme dell’area mediterranea, in guerra con quei paesi che mettono in crisi il sistema di dominio imperialista.
    Questo, sia per adeguarsi alle direttive politico-militari dell’imperialismo USA, che per portare avanti concorrenzialmente i propri interessi specifici.
    Sul piano interno, la ristrutturazione, l’informatizzazione e l’internazionalizzazione del capitale – inteso soprattutto come rapporto sociale – hanno determinato una maggiore frammentazione della classe operaia e dell’intero proletariato metropolitano. Questo ha favorito il decollo di politiche miranti a concretizzare l’individualismo, la meritocrazia, l’istituzionalizzazione dei conflitti sociali…
    La controffensiva imperialista aggredisce l’intera classe. Essa si manifesta in un più intenso sfruttamento, in una ripartizione della ricchezza più sfavorevole ai proletari, nella controguerriglia psicologica che tenta di compatibilizzare pensieri, comportamenti, lotta, aspirazioni dei proletari, ai riferimenti ideali della borghesia imperialista e del suo stato.
    Insomma, a cavallo degli anni ’70-’80 la borghesia imperialista, notevolmente ricompattata a livello internazionale, si è coalizzata anche contro il proletariato che negli stessi paesi metropolitani aveva messo in crisi il suo potere e la sua autorità nei decenni precedenti. Crisi ben espressasi anche in Italia come tutti sanno (anche chi ha vent’anni oggi) ed acuita dalla pratica della lotta armata.
    Sia chiaro che questo ricompattamento e questi nuovi rapporti di forza favorevoli alla borghesia imperialista non significano affatto – come dicono alcuni ex rivoluzionari – risoluzione della crisi storica del capitalismo e sua vittoria epocale. Anzi, essi sono – paradossalmente – proprio il portato della crisi, che costringe il capitale all’accentrazione, all’integrazione e alla ristrutturazione continua.
    Del mutamento di fase, cui accennavamo prima, vogliamo sottolineare un aspetto: quello della modificazione dei rapporti di forza fra le classi, avvenuta in Italia e nello stesso tempo negli altri paesi europei. Schematizzando (rispetto all’Italia): il proletariato metropolitano passa dall’offensiva ad una prolungata condizione d’inferiorità; la borghesia e lo stato, dalla difensiva al dispiegamento del loro potere in ogni ambito sociale (“rinacquero” – come ebbe a dire un giudice).
    Questo dispiegamento, in Italia, prese avvio sul finire del 1979 alla FIAT. Agnelli, sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale, dalla CEE, dai maggiori finanzieri dei paesi imperialisti e, ovviamente, dallo stato italiano, portò con i licenziamenti delle avanguardie operaie (i 61) un primo attacco alla classe operaia. Attacco che poi si estese a tutto il proletariato metropolitano, ma – fatto più grave – trovò spiazzati i progetti politici, le linee delle organizzazioni comuniste combattenti che, nella storia reale, rimasero mute.
    Intenzionalmente evitiamo di addentrarci nell’analisi specifica della «rinascita» borghese di quegli anni. È questo un lavoro da fare, soprattutto lo si deve fare – come altri aspetti di cui diremo – in un confronto, in un dibattito, secondo noi generale, in cui dovrà pure essere riavviata la circolazione delle idee, delle esperienze, del sapere rivoluzionario, per esempio tra i prigionieri e i militanti che agiscono nelle metropoli.
    Appunto, non vogliamo scrivere libri, piuttosto dare il nostro contributo al progredire della rivoluzione e questo si può dare solo in un rapporto sociale aperto, reciproco, tra situazioni diverse.
    L’individuazione e la chiarificazione di ciò che deve essere fatto può scaturire solo da questo dibattito dialettico; questo non è certo soltanto compito nostro o di qualsiasi altro compagno o entità di gruppo separata dalle dinamiche reali dello scontro di classe.
  1. È secondo noi necessario tornare sulle origini delle vicende di quegli anni vissute dal proletariato italiano, dalle organizzazioni comuniste combattenti, non fosse altro che per riaffermare, con serenità e decisione consapevoli, che nel 1982 sono crollate le organizzazioni comuniste combattenti con i loro progetti politici.
    Tuttavia, non fu certamente la fine della lotta di classe, per altro impossibile poiché non è venuto meno il rapporto di sfruttamento con tutti i suoi molteplici corollari… Piuttosto si è visto, in diverse situazioni, i proletari lottare, seppure in condizioni difficilissime.
    Pensiamo che da questi avvenimenti ci sia senz’altro da trarre degli insegnamenti. I principali, per noi, consistono nel darsi nel presente e nel futuro una teoria/prassi che consenta alla lotta armata di prevedere e sostenere i passaggi seguiti dalla guerra, senza farci sorprendere da essa; nel mantenere in tali passaggi il radicamento nel proletariato metropolitano, al fine di creare le condizioni politiche, organizzative, della sua estesa pratica nella guerra di classe; nel combattere l’inevitabile ristrutturazione complessiva e particolare che incessantemente la borghesia imperialista scaglia contro la crescita del proletariato metropolitano; nel combattere la guerra imperialista, nello stimolare e rafforzare la coscienza e la pratica internazionalista della lotta armata, del proletariato metropolitano, nelle stesse lotte di massa; nel sapere sviluppare il dibattito sulle questioni del superamento dei rapporti sociali borghesi e sulla distruzione dell’imperialismo.
    Di tutto questo, secondo noi, bisogna pur discutere, in modo aperto, senza dotti e allievi in nessun ambito, senza deleghe, compiacimenti e simili. Senza un minimo di chiarezza intorno a questi problemi, intorno allo scopo sociale del superamento della società borghese, nessuna forza rivoluzionaria può uscire dai limiti in cui dall’inizio degli anni ’80 il proletariato metropolitano si trova.
    Secondo noi, infine, senza affrontare e sciogliere questi nodi, non ci può essere una ricostruzione della lotta armata adeguata alla fase attuale.
    Peraltro, questo nostro punto di vista consente, altresì, di dare al combattimento sostenuto dalle organizzazioni comuniste combattenti dopo il 1982, ciò che gli appartiene: avere tenuta aperta la prospettiva della lotta armata ed il dibattito intorno ad essa.
    Questo è importantissimo, seppure fosse tutto.
    E con questa ultima considerazione entriamo nel particolare di uno dei problemi dibattuti oggi.
  1. Ci pare che la lotta politica apertasi recentemente chiami prepotentemente alla ribalta la natura, la necessità e la possibilità della lotta armata.
    Essa nasce, a nostro parere, dalla condizione di subordinazione politica vissuta in questi anni dal proletariato metropolitano. In particolare nasce dalla consapevolezza dei proletari coscienti di lavorare per uscire da quella condizione e, conseguentemente, dalla necessità di combattere anche i più recenti aspiranti affossatori della lotta armata.
    Questi anni mostrano molto bene quale situazione subordinata e oppressiva comporti, per i proletari, l’assenza politica della strategia della lotta armata dalla lotta di classe. La borghesia imperialista, come abbiamo precedentemente scritto, ha instaurato con il proletariato un rapporto basato sul terrorismo, sul ricatto, sulla forza oggi ad essa favorevole.
    Non ci soffermiamo su singoli episodi interni a tale rapporto, ripetiamo soltanto che l’attuale fase della lotta di classe deve venire analizzata per essere affrontata con più sicure prospettive che la modifichino in senso favorevole al proletariato. Certamente ci riferiamo al rapporto di classe non tanto per invertirne il segno, ma soprattutto per riprendere, insieme a quel compito, la lotta per il comunismo, per la soppressione della borghesia imperialista, dello stato, del lavoro salariato, delle carceri…
    Non solo la vita reale di questi ultimi cinque anni conferma la necessità da parte del proletariato di praticare la lotta armata, al fine di esistere politicamente, per essere unito e offensivo, e anche per vivere in condizioni più ricche e meno oppressive; ci conferma anche che senza la lotta armata il proletariato rimane privo di aspirazioni concrete e autonome, la società borghese pare diventare il migliore dei mondi.
    Per lotta armata indubbiamente intendiamo il concreto modo di essere, di agire, della pratica rivoluzionaria che discrimina fra rivoluzione e revisionismo, tra indipendenza del proletariato e sua integrazione – naturalmente subordinata – nelle istituzioni borghesi. La nostra posizione, inoltre, su questo è chiara: abbiamo sempre lavorato e lavoreremo per una lotta armata che sappia esprimere l’unità tra il politico e il militare. Poiché se questi due aspetti operano separati si ha, come l’esperienza di questi anni recenti insegna, la scomparsa o quantomeno la subordinazione degli interessi politici del proletariato metropolitano; si hanno azioni militari, appunto, solo e sempre tali, cioè episodi a sé, incomunicanti in modo quasi completo con gli interessi, i bisogni, le lotte, le aspirazioni del proletariato.
    Lotta armata, inoltre, che non può prescindere dalla dimensione internazionale dello scontro.
    Infine, siamo certi che così come non c’è rivoluzione comunista senza lotta armata, allo stesso modo non ci sono comunisti posti al di fuori di essa. La sua pratica è il modo concreto, a nostro avviso, per riconoscersi fra comunisti, nonostante le divergenze che ci possono caratterizzare.
    Questo ci pare decisivo dire non certo per settarismo, estremismo e simili ma perché c’è troppa confusione oggi, troppo parlare e denigrare su quanto appartiene al proletariato, ai comunisti.
    Altri aspetti andrebbero considerati in questo dibattito, per esempio le forme organizzative, il rapporto con le masse, la questione ormai matura di agire, pensare, lottare, costruire rapporti secondo i principi dell’internazionalismo proletario… Scegliamo di sviluppare questo dibattito con i criteri che più volte abbiamo descritto, così da affrontarne gli argomenti secondo la loro effettiva portata politica – certamente insieme ad altri – e quindi con quella compiutezza che meritano.
  1. A questo punto vogliamo invece affrontare due questioni: quella relativa alla «soluzione politica» del problema dei prigionieri politici e quella della memoria della lotta armata degli anni passati, in particolare quella delle BR.
    Della prima parliamo perché siamo tuttora prigionieri.
    Secondo noi non ci troviamo di fronte a nessuna «battaglia di libertà» ma piuttosto ad un rinnovato intervento dello stato.
    Ci troviamo cioè di fronte ad un’operazione condotta dallo stato assieme ai suoi collaboratori, a traditori che, approfittando della debolezza attuale del proletariato metropolitano, credono possibile mascherare con le parole delle scelte assolutamente di resa e collaborazione attiva. Lo stato dà loro spazio, non li presenta neppure per quello che sono in quanto attraverso loro – tenuto presente che un tempo furono dirigenti delle BR – è maggiormente possibile pensare di far passare ancora una volta nel proletariato, i germi dell’accettazione del parlamentarismo, con tutto il suo squallido seguito di subordinazione. C’è dunque una convenienza reciproca tra lo stato e questi suoi neo-collaboratori.
    Quella dello stato l’abbiamo accennata, quella dei nostri ex compagni consiste nel guadagnare al più presto la soglia esterna del carcere.
    Noi pensiamo che lo sciacallaggio, la miseria di questi traditori, possano anche portare confusione tra i proletari, tuttavia siamo certi che chiamandoli per quello che sono, isolandoli ed espellendoli dalla classe insieme ai loro chierici, emerga lampante un aspetto decisivo. Questo: la costruzione politico-sociale della lotta armata trova anche oggi tra i suoi nemici i propugnatori del rapporto politico subordinato, senza principi proletari, per «risolvere» l’antagonismo di classe, affinché la borghesia possa, senza alcun ostacolo, imporre i propri interessi ininterrottamente sul proletariato e sulla società tutta. Questo «risolvere» vale tanto per i prigionieri come per chi lotta nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole, contro la guerra, il nucleare…
    Infine, il «problema dei prigionieri politici» e più in generale del carcere, va posto nel contesto della continuità della lotta di classe, nello sviluppo delle relazioni per realizzare compiti comuni (fra cui anche quello della liberazione da conquistare con la lotta) fra comunisti e proletari che lottano fuori dal carcere in dialettica con i comunisti e i proletari prigionieri. Esso va posto inoltre, in relazione al confronto fra i prigionieri comunisti (per intensificare la nostra militanza in rapporto ai fini rivoluzionari comuni, nel rispetto reciproco…) e tutto il corpo prigioniero per la distruzione del carcere imperialista.
    Solo in un contesto in cui la lotta armata sia riuscita a suscitare e ad organizzare un movimento rivoluzionario che sappia strappare i propri militanti prigionieri dal carcere, la liberazione dei comunisti e dei proletari può essere tolta dalle mani della borghesia, può essere separata dai ricatti, può essere leva di liberazione effettiva. Sul come affrontare il carcere, mentre anche noi lavoriamo affinché si concretizzi quel contesto, altro c’è da dire e da fare, però data la delicatezza del tema valutiamo sia più giusto tornarvi sopra in modo organico, seguendo il criterio più volte enunciato.
  1. Sull’aspetto della memoria delle BR il nostro punto di vista è semplice da esprimere.
    A nostro parere il passato non è mai un tesoro, un capitale, un oracolo, in quanto non può essere «usato», non è proprietà di nessuno.
    È memoria viva che come ogni altra memoria rivoluzionaria appartiene ai proletari che lottano, che combattono.
    L’incastonatura dell’esperienza delle BR è buona per chi vuole limitare e rinchiudere tale esperienza e storia negli anni in cui le BR erano forza politica e sociale dispiegata; non vogliono che vivano oggi in quanto mirano ad usarle in funzione delle proprie scelte di tradimento e resa.
    C’è anche chi considera la storia delle BR come uno scettro, impugnando il quale si ha il potere di guidare le masse, consolidando se stessi nella direzione della lotta armata, del movimento rivoluzionario. Queste concezioni, pur se tra loro molto diverse, non ci appartengono, perché secondo noi il solo aspetto che il passato deve rafforzare è la pratica rivoluzionaria di chi lotta nel presente. Il passato non deve incutere in essi né religiosità né timori.
    I proletari e i comunisti, quindi anche noi, debbono poter instaurare con il passato un rapporto aperto, in cui lo si possa liberamente conoscere, appropriarsene, e così sia possibile favorire la pratica rivoluzionaria presente a futura.
    Pratica che, per altro, è il presupposto a tale rapporto; non ci interessa chiudere il passato in un libro di storia, ma farlo vivere nell’affrontamento dei compiti rivoluzionari del presente.
    Con la volontà, con la consapevole scelta che fra passato e presente, fra comunisti e proletari, compresi quelli prigionieri, vada instaurato un rapporto sociale aperto, chiudiamo questo nostro intervento.
    Sappiamo di avere altro da dire, da capire, ci mancherebbe! Ma se riusciamo ad esprimerci in tale rapporto vivificato dalla circolazione della comunicazione delle lotte, del dibattito che attraversa il proletariato, tutto diverrà meno formale, maggiormente costruttivo in ogni senso. Anche la stessa comprensione di quanto qui abbiamo voluto comunicare.
  1. Ci sta davanti un autunno caratterizzato dalla partecipazione dell’Italia al pattugliamento dei mari in cui si trovano le rotte del petrolio; dai tagli finanziari sui bisogni dei proletari, dai licenziamenti; dalle lotte degli operai coreani e sudafricani la cui influenza si farà sentire sulla produzione e sul commercio internazionali; dalle prossime scelte strategiche sulla produzione di morte…
    Quest’autunno, quindi, è secondo noi un momento eccezionale con valide condizioni per rilanciare la lotta armata, per sviluppare lotte proletarie offensive.
    Inoltre, affrontando queste contraddizioni di classe, si dimostrerà una volta di più quanto è disarmante, disgregante, controrivoluzionaria, l’operazione di pacificazione sociale propugnata dallo stato attraverso la «soluzione politica» sostenuta dai più recenti traditori del proletariato.

 

Per il comunismo

Pasquale De Laurentis, Maurizio Ferrari, Aleramo Virgili

Carcere di Cuneo, agosto 1987

 

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