Milano. Settimana rossa all’ALFA ROMEO

RAPPORTI CORTESI

A metà luglio il presidente dell’Alfa Romeo, Cortesi, espone al Consiglio di Direzione un piano complessivo politico-economico.
Questo rapporto, largamente circolato, contiene alcuni punti importanti per la comprensione dell’attacco antioperaio portato nelle fabbriche in questa fase e all’Alfa in particolare, in questo periodo.
Ne riassumiamo in breve i punti “qualificanti” anche per dimostrare come ormai i padroni (Agnelli in testa) parlino chiaro, a chi almeno voglia capire.
Il rapporto riguarda il 75/76.

Il rendimento

Si definisce apparentemente velleitario il tentativo di ottenere un ragionevole rendimento di lavoro senza toccare macchine e “metodi” di lavoro. Oggi, infatti, afferma, ogni turno produttivo disperde in “non-lavoro” almeno un’ora e mezzo, a prescindere da pause, tempo-mensa, fermate fisiologiche. Rispetto a questo problema la situazione è molto più grave al Sud che al Nord.
SI E’ CIOE’ DI FRONTE AD UN GRAVISSIMO SOTTOUTILIZZO DEGLI IMPIANTI: DALLE 3 ALLE 4 ORE GIORNALIERE NEI DUE TURNI VENGONO PERSE.
La produzione viene così limitata ai livelli minimi e questi si sono ridotti nel tempo.
Si aggiungano le conseguenze dell’alto assenteismo: gli organici delle linee sono programmati su un assenteismo medio del 16% più un 6% di riserva per bisogni fisiologici.
Gli organici dell’Alfa sono quindi molto carichi rispetto ai tempi che si dovrebbero ragionevolmente ottenere.
Esiste poi un forte conflitto tra possibilità direzionali di procedere sulla strada della riduzione dei costi e del riequilibrio economico e le probabilità di poterlo fare.

La produttività

Il quadro produttivo del gruppo esaminato sulla base delle ore lavorate è ben lontano dal rispecchiare la realtà della produzione ottenuta da ogni ora lavorata.
– All’Alfa-Nord, dal ’69 ad oggi si è avuto un graduale ma costante peggioramento della produzione. Le perdite di produttività nel giro di 4 anni sono raddoppiate.

Il recupero può avvenire attraverso:
–    minore assenteismo
–    maggior mobilità
–    ringiovanimento dei cicli
–    miglioramenti organizzativi nei rifornimenti e nella manutenzione.
–    all’Alfa Sud, si costruiscono due macchine su tre; è possibile incrementare da subito la produzione del 40% con lo stesso organico. I fattori che determinano questa situazione sono:
–    mancato rendimento della mano d’opera
–    effetti indotti dalla micro-conflittualità, dall’assenteismo, e dalla mancata mobilità.

Il fattore fondamentale è dunque il PERSONALE, la capacità impiantistica è notevolmente superiore.

Il personale

Blocco delle assunzioni a tempo indeterminato. Vanno ridotte le notevoli eccedenze di personale. I tempi dei turnover naturali sono lunghi, vanno apprezzati i risultati dei licenziamenti (la maggior parte per assenteismo) nel 73/74, seicento in tutta l’Alfa.

Rapporti sindacali

È indubbiamente interesse aziendale fare ogni sforzo, senza cedimenti, per mantenere un clima di leale collaborazione col sindacato, il cui apporto è necessario per il recupero della produttività.
I padroni ormai parlano chiaro: hanno la levigata freddezza di uno scienziato. Quando espongono dati sulle loro fabbriche sembrano alle prese con semplici calcoli matematici, in cui i rapporti politici di forza, anche la semplice contrattazione sindacale, non esistono.
Ma i calcoli matematici sono in fondo molto semplici per tutti: Cortesi vuole da subito per il suo piano, un aumento della produttività del 40% senza ritocchi d’organico o tecnici.
Vuol dire “matematicamente” lavorare un terzo di più di quanto già si lavora. In compenso ridurrà l’organico “fortemente eccedente” e questo ancora vuol dire “matematicamente” lavorare di più.
Inoltre sa a chi rivolgersi: al Sindacato, l’unica forza, secondo lo stesso Cortesi, che può garantire l’aumento della produttività. È questa definizione che dovrebbe essere una condanna viene invece interpretata come una apertura. L’azienda lo deve sostenere in quest’opera, ma certo non gli operai. Anche il concetto storico più elementare sul sindacato è andato perso: ora i sindacati, per riconoscimento stesso dei padroni, invece di contrattare il costo della forza lavoro e di difenderne gli interessi economici, si fanno garanti della produttività padronale!
“Matematicamente” si fanno garanti dello sfruttamento.

Martedì 14 luglio

La direzione dell’Alfa Romeo comunica ufficialmente la decisione di prolungare le ferie estive delle fabbriche milanesi di Arese e Portello, con una settimana di cassa integrazione a ZERO ore, per tutti i lavoratori dipendenti, esclusi quelli della manutenzione chiamati ad approfittare di tale sosta per revisionare gli impianti.
Questa decisione, presa “unilateralmente” anche rispetto ai sindacati non prevede nessuna garanzia né per i livelli di occupazione né sui programmi di riconversione produttiva.
L’esecutivo del CdF dell’Alfa Romeo denuncia la grave decisione della direzione ed invita i lavoratori alla massima mobilitazione di e vigilanza. Intanto si cercherà di “aprire trattative” con la direzione per la “discussione della iniziativa padronale”.
Il comunicato cade in un clima già pesante di attacco antioperaio nella fabbrica:
–    procedimento contro alcune avanguardie per la dimostrazione anti-USA in occasione della visita di Volpe alla fabbrica, denunciata come atto di grave mancanza di ospitalità
–    licenziamento, per motivi di assenteismo, di un’altra avanguardia.

Queste contraddizioni sono state affrontate dalle “avanguardie autonome” in termini legalitari: affidando la loro difesa agli avvocati democratici e non alla lotta (confrontare colla parallela situazione della Marelli). Per ora comunque con buoni risultati: la questione non è finita.

Venerdì 18 luglio

Scoppia sui giornali la polemica Luraghi-Cortesi.
Tale polemica nasconde vecchie e non ancora risolte questioni di potere e rispecchia due diverse concezioni di fabbrica automobilistica.

Sulla questione di potere, va precisato che Luraghi, ex presidente dell’Alfa, era uno dei pochi dirigenti di enti pubblici non legati alla DC, e così fu dimissionato. È importante anche ricordare che allora i sindacati collaborarono con la DC per il suo allontanamento. Lo accusavano di mancanza di iniziativa al Sud e così appoggiarono la svolta “di allineamento” nella direzione Alfa Romeo.
Per quel che riguarda la seconda questione, riportiamo alcune dichiarazioni di Luraghi al Corriere.
Secondo Luraghi l’Alfa non è affatto in crisi, come invece sostiene Cortesi nel suo rapporto.
Le macchine Alfa non hanno abbassato i livelli di vendita in Italia mentre invece li ha aumentati all’estero. L’Alfasud, addirittura, non è prodotta in quantità sufficienti neppure rispetto alla domanda interna. Quindi c’è una solidità di fondo, che qualsiasi industria automobilistica le invidierebbe.
A parte la gestione di potere e di sottopotere, che illumina spesso le scelte del ministero delle PPSS, Luraghi denuncia anche l’incomprensione di fondo che una fabbrica automobilistica per essere competitiva sul piano nazionale e internazionale, deve comprendere una concentrazione operaia di una certa consistenza.
Questa affermazione, fatta rispetto al progetto di ampliamento di Arese, porta alla denuncia dell’allontanamento di 2.000 operai nel giro di pochi anni, mentre i suoi programmi prevedevano un incremento di 3.000 unità. Questa fu una delle questioni per cui fu maggiormente attaccato dal sindacato e accusato di voler aumentare le concentrazioni operaie al Nord e di dimenticare il Sud. Cortesi, invece, con l’appoggio del Sindacato, ha ridotto gli organici al Nord e non ha aperto nessuna iniziativa al Sud.
Di fatto Cortesi si prefigge di raggiungere i livelli produttivi concorrenziali teorizzati da Luraghi, attraverso la razionalizzazione della produzione, lo sfruttamento intensivo delle macchine, la mobilità operaia: la così detta ristrutturazione che porta sempre ad una intensificazione dello sfruttamento operaio.
In questo senso si spiega anzi meglio il progetto di cassa integrazione di questi giorni: non è solo un aggiustamento temporaneo degli stoccaggi, come sostiene Luraghi, ma è anche un preciso attacco precontrattuale contro la fabbrica in cui le lotte spontanee sono più alte e incontrollabili, esclusa forse l’Alfa sud, dove, secondo Cortesi, tra assenteismo e scioperi, un operaio lavora un giorno si e uno no.
Ad Arese pare invece che mediamente un operaio su quattro manchi dal lavoro e che la programmazione degli impianti debba tener conto di questo.

Venerdì 29 agosto

La direzione dell’Alfa Romeo ha confermato la decisione, non concordata con le organizzazioni sindacali, di tenere in cassa integrazione fino all’8 settembre quindicimila operai.
Dal 29 luglio ’75 ad oggi sia la FLM che il CdF hanno emesso comunicati che invitavano i dipendenti a riprendere il lavoro il 1 settembre. Nessun rapporto contrattuale attribuisce questo diritto e/o responsabilità al Sindacato. La responsabilità è aziendale e l’Alfa se l’è assunta nell’interesse della ripresa commerciale e quindi produttiva dell’azienda.
Ciò premesso la direzione vi fa presente:

A.    L’azienda ha organizzato la riapertura della fabbrica per l’8 set. ’75, tenuto conto del programma di manutenzione ordinaria e straordinaria predisposto, ed in corso, essa non sarebbe in grado di operare;
B.     Ciò posto, la mancanza dei tecnici di fabbrica dei vari livelli non consente la responsabile conduzione del lavoro e quindi rende la PRESTAZIONE IRRICEVIBILE e come tale la stessa non può essere retribuita. L’Alfa Romeo perciò declina ogni responsabilità circa le conseguenze che in queste condizioni potrebbero derivarne agli impianti, cose o persone;
C.     I lavoratori non comandati che si presentassero prima dell’8 al posto di lavoro lo farebbero contro le disposizioni della Società e nel caso effettuassero prestazioni d’opera lo farebbero a loro rischio e pericolo e sotto la responsabilità personale;
D.    Qualsiasi produzione di parti non prevista, non può che alterare i livelli dei diversi stoccaggi, il che rischia di provocare la necessità di ulteriore ricorso alla cassa integrazione.

Sabato 30 agosto

Le confederazioni sindacali e il CdF rispondono al comunicato della Direzione. Partendo dalla valutazione tecnica che le auto in deposito sono 23.000, pari alla quantità fisiologica dello stoccaggio, denunciano l’ “atto autoritario” della Direzione tendente a portare i rapporti sindacali non sul piano del confronto aperto ma dei rapporti di forza. È preoccupante che a scegliere questa via sia una grande azienda a PPSS, che nell’autunno ’74 aveva saputo cominciare un dialogo che portò ad accordi di rilevante valore politico.
Si fa inoltre notare che i livelli produttivi sono buoni anche rispetto al ’73.
“Questi atti – riprendono i sindacati – assumono i caratteri di una accentuata tensione alla vigilia della scadenza contrattuale e nel momento in cui – di fronte alla gravità dei problemi del paese – più che mai occorre senso di responsabilità e non gesti da padrone del vapore”.
Rispetto alle affermazioni della Direzione secondo cui non sarebbe in gioco il posto di lavoro, il CdF replica che le richieste in materia di programmi di sviluppo, diversificazione produttiva, investimenti, non hanno trovato risposta.
Inoltre – si osserva – la prospettiva contenuta nella relazione del presidente Cortesi è quella della riduzione di migliaia di posti di lavoro.
Si invita poi la Direzione a riprendere coi sindacati un confronto globale.

NOTE:
I sindacati pur individuando correttamente nelle misure della Direzione Alfa un intento puramente repressivo e ricattatorio, rifiutano una conseguente presa di posizione politica e si perdono nelle accuse formali. Il tentativo è quello di spostare il confronto dalla fabbrica, con gli operai, ai tavoli della contrattazione, coi sindacati. Ancora una volta si pongono come mediatori tra la rabbia operaia e i progetti padronali.
Non è poi preoccupante ma significativo che una iniziativa di questo genere sia stata presa da una grande azienda a PPSS. Ciò significa che anche le PPSS vogliono sperimentare prima dei contratti varie misure repressive.
I dati forniti dal sindacato servono poi a denunciare, se ancora ce n’era bisogno, il significato politico della manovra e come questa, almeno a livello delle organizzazioni operaie tradizionali, non trovi una risposta chiara.

Domenica 31 agosto

Continua la polemica tra Direzione e Confederazioni.
L’FLM e il CdF hanno tenuto a precisare che non si tratta di una “occupazione”, né questa iniziativa vuole avere il senso di una gestione alternativa, ma semplicemente di una protesta anche se espressa in maniera originale.
Invitano la Direzione ad un incontro “urgente” e sollecitano i tecnici a non farsi strumentalizzare dalla Direzione.
Intanto escono i dati sulla situazione economica milanese: nei primi sei mesi dell’anno sono stati licenziati ben 6.000 operai e 71.552 sono stati messi in cassa integrazione.
A questi dopo ferragosto, si aggiunga la chiusura di molte fabbriche di piccole dimensioni e il ricorso alla cassa integrazione di due grosse aziende quali la Innocenti e l’Alfa Romeo.
Rispetto a questi dati, appare decisamente assurdo l’atteggiamento dei sindacati tesi semplicemente a conservare il loro livello di potere, non tanto rispetto alla fabbrica, quanto rispetto alle Direzioni.

Può essere stato comunque un fattore di spinta ad assumere un atteggiamento “duro”, la coscienza che in fabbrica queste misura avrebbero suscitato reazioni incontrollabili.
Quindi “protesta” e non occupazione, perché già la parola è troppo pericolosa.

Lunedì 1 settembre

Fin dal primo turno l’afflusso ai reparti è quasi totale, senz’altro più massiccio della normalità. Su indicazione sindacale gli operai raggiungono i reparti per cominciare normalmente a produrre, ma le linee sono interamente sabotate: manca la corrente per far funzionare le macchine, manca l’aria compressa per le pompe, mancano i normali attrezzi di lavoro, le grosse macchine sono state rese inutilizzabili da sapienti manomissioni.
Questa gravissima provocazione della Direzione è stata solo denunciata e non interpretata dalle forze politiche di fabbrica. In ogni caso, ciò vuol dire che durante le ferie d’agosto un buono staff di capi e capetti ha lavorato dentro i reparti semplicemente per rendere inutilizzabili le linee. Presenza massiccia dunque, e anche se i dati della Direzione e del Sindacato sono contrastanti, si parla di una presenza pari al 95-100% del normale. Subito Cortesi in persona, manda un radioso comunicato al CdF in cui si dice: “Dobbiamo considerare la fabbrica occupata; da questo momento gli stabilimenti sono di fatto da voi unicamente controllati. Ricade quindi solo su di voi e sui singoli ogni conseguente responsabilità. Noi ritiriamo pertanto dallo stabilimento il direttore e i suoi collaboratori”. Il sindacato si affretta a respingere la definizione di occupazione: “tanto è vero – aggiunge – che a sera gli operai sono tornati a casa”, ed emette un comunicato in cui si da la valutazione degli avvenimenti di oggi: “gli operai dell’Alfa hanno voluto respingere le scelte unilaterali della azienda, che ricorrendo per l’ennesima volta alla cassa integrazione aveva deciso, evitando ogni trattativa, di riaprire i cancelli solo l’otto settembre. Ma soprattutto hanno voluto ribadire che dalla crisi economica, dalla crisi che investe in particolare l’industria automobilistica, non si esce con il perenne ricorso alle riduzioni d’orario, in una prospettiva di riduzione delle basi produttive. Occorre imboccare strade nuove, le strade di una riconversione produttiva, di un nuovo sviluppo”. Si dichiara disposto a trattare per una “ripresa graduale” della produzione durante questa settimana e “a demandare ad un negoziato successivo i problemi sollevati dalla azienda, come quelli riferiti alla MOBILITA’ del lavoro”.
Nonostante tale dimostrazione di buona volontà, la direzione dichiara di non poter revocare la misura di cassa integrazione, anche se questa non va interpretata come anticamera dei licenziamenti; di considerare illegale l’iniziativa sindacale di oggi; di non poter dare garanzie sul lavoro aldilà di quelle già date nel passato.
La stampa padronale rileva quanto numerosi siano gli interrogativi sollevati da questo braccio di ferro, tanto duro quanto inatteso in una fabbrica, l’Alfa appunto, in cui già da due anni funziona una buona collaborazione tra sindacati e direzione. La spiegazione non è difficile però se si parte da un punto di vista politico e non economico.
L’Alfa Romeo è, nonostante i cadenti livelli interni di organizzazione delle avanguardie rivoluzionarie, la fabbrica col più alto tasso di assenteismo in Europa (Cortesi) e con un livello di spontaneismo nelle lotte che la rende pericolosa ed incontrollabile, soprattutto dentro un rigido progetto di ristrutturazione quale è quello enunciato da Cortesi.
La manovra, oltre a ricercare il recupero di più ampi spazi di manovra economici, riduzione degli stoccaggi, acquista il significato di una sollecitazione al sindacato perché prenda in mano più saldamente e con maggior responsabilità la situazione di fabbrica.
Il sindacato, da parte sua ha semplicemente denunciato la unilateralità della decisione, non l’attacco politico e la provocazione antioperaia, perché vuole difendere il suo POTERE DI CONTRATTARE TUTTO con la direzione e di essere il tramite riconosciuto tra le decisioni della direzione e gli operai. Così si capisce come la risposta sindacale abbia assunto, solo apparentemente, toni aspri ma in sostanza sia servita solo a frenare una eventuale risposta autonoma operaia e a riproporsi come forza complessivamente disponibile e collaborare coi padroni.
Tutto questo però non ha nulla a che fare coi bisogni politici e materiali degli operai, oggi.

Martedì 2 settembre

Ancora le televisione in fabbrica, ancora una massiccia partecipazione operaia alle iniziative sindacali, che oggi prevedono una assemblea generale in fabbrica e un successivo corteo all’Intersind. Alta la partecipazione e la volontà di lotta della fabbrica anche alla luce della rottura, avvenuta ieri sera, della trattativa con la direzione.
La direzione non ha accettato di riaprire la fabbrica nonostante l’offerta sindacale di contrattare la mobilità.
La manutenzione sta lavorando per cercare di rimettere in funzione le linee sabotate dalla direzione.
Unificazione in piazza Castello con gli operai della Imperial, della Pini, ecc. ecc., che protestavano davanti all’Assolombarda.
Comincia però a sentirsi il vuoto politico e di prospettive in cui si muove l’iniziativa sindacale. Mancano proposte alternative e gli operai delle catene si sentono sempre meno rappresentati da questo gioco legalitario e di comunicati tra direzione e sindacati.
Comincia a serpeggiare la coscienza che la settimana di lotte altro non è che una settimana di sconfitte.

Mercoledì 3 settembre

Ultima giornata in cui si registra una consistente partecipazione operaia alle iniziative sindacali e ultima grande parata istituzionale dentro la fabbrica con la complicità della sinistra neo-revisionista.
Mentre a Roma il ministro del lavoro Toros tenta una mediazione tra le parti, (che poi verrà sospesa) in fabbrica si svolge una assemblea “aperta a tutte le forze democratiche della città”, presiede l’assemblea il sindaco Aniasi in persona, partecipano rappresentanti di tutti i partiti dell’arco costituzionale (LC e AO comprese) con l’intento dichiarato di sensibilizzare forze politiche ed opinione pubblica alle tristi vicende dell’Alfa Romeo.
L’assemblea si risolve in una lunga serie di interventi che non riescono neppure ad essere demagogici come vorrebbero sembrare.
Parlano i sindacati, promettendo impegni durissimi per la riconversione produttiva, degli investimenti e l’occupazione.
Parlano i partiti, PCI in testa, che tenta di legare la lotta dell’Alfa all’impegno del partito per le giunte e le politiche locali.
Parlano i gruppi, AO ed LC, ma con analisi e richieste che non sono degne nemmeno di una seria sinistra sindacale. Obiettivo di fondo per LC è l’allontanamento del presidente Cortesi, il solo responsabile della crisi attuale.
Parlano gli “autonomi organizzati”, che avanzano ancora una volta, con tenacia, la loro proposta della riduzione di orario e dell’abbassamento dei ritmi, senza però toccare nessuno dei nodi politici che interessano la fabbrica.
Parla il “compagno Aniasi”, ma solo delle difficoltà della Giunta.
Parlano i delegati degli altri CdF, tra cui quelli dell’Innocenti interessati alla CI, contrabbandando come successi operai gli ultimi vuoti accordi sindacali.
L’impressione che si ha è quella di una totale mancanza di volontà di affrontare i problemi politici che stanno alla base della situazione delle fabbriche milanesi, da una parte, e dall’altra, un terribile vuoto organizzativo che la disponibilità operaia alla lotta non basta a colmare.
A Roma, alle trattative del ministro, per l’Alfa sono presenti il direttore e il vice-direttore, Cortesi e Caravaggi, assistiti dal presidente e dal direttore generale dell’Intersind, Boyer, Massaccesi, Meucci e dai tre segretari confederali, Giovannini, Carniti e Ravena. Era pure presenta il direttore della Finmeccanica Franco.
Nulla di fatto, da domani si ricomincia la lotta in fabbrica.

Giovedì 4 settembre

Chiusa la trattativa a Roma, in fabbrica diventa sempre più bassa la partecipazione operaia alle ormai stanche iniziative sindacali. I compagni autonomi distribuiscono in fabbrica un volantino e continuano a vendere tra le linee il loro giornale.
Fuori, i commenti della stampa diventano sempre più preoccupati per questo braccio di ferro tra direzione e sindacati. In un’intervista il segretario della CdL Lucio de Carlini fa importanti dichiarazioni: “Chi spera di escludere il sindacato dal controllo della riconversione industriale troverà fermissime risposte. L’Alfa è stato un banco di prova sindacale ma anche politico contro le illusioni di un governo tecnocratico e autoritario e contro le velleità subdole di limitare il diritto di sciopero”.
“… chiariamo subito che noi non stiamo facendo la guerra per qualche giorno di CI ma per una questione, che all’inizio era di metodo, e ora è diventata di sostanza. Vogliamo far capire a tutti che l’uso della forza-lavoro, in più o in meno, non è di sola competenza delle direzioni aziendali, siano queste dell’Alfa o di una piccola e media industria. La direzione dell’Alfa non si è resa conto che il tentativo di scavalcare il sindacato era come accendere una miccia esplosiva che poteva “provocare comportamenti anche più selvaggi”.

Venerdì 5 settembre

Ultimo giorno della “settimana rossa” dell’Alfa, definita da tutti una settimana di spettacoli e festival più che di lotta reale.
La partecipazione negli ultimi giorni, è progressivamente calata.
Per il sabotaggio delle macchine non si è potuta costruire nemmeno una “vettura autogestita”. I lavori di manutenzione non hanno dato spazio alla ripresa del lavoro.
Nulla di fatto dunque, lunedì si ricomincia senza capire a cosa sia servita questa settimana. Forse, ha solo chiarito il rapporto di “forza” tra direzione e sindacati, ma non ha espresso una capacità a costruire forme spontanee di resistenza da parte della fabbrica, anche quando non si senta rappresentata dalla logica assurda, almeno da un punto di vista operaio, dei sindacati.
Questa settimana ha residuato nelle avanguardie di fabbrica un clima di sfiducia: non si è saputo buttare sul piatto proposte alternative dentro le quali potessero riconoscersi quelle frange che hanno capito la situazione. Ha anche residuato un senso di impotenza sulle prospettive di opporsi concretamente in futuro alle iniziative e ai disegni padronali, che da questa settimana sono emersi con chiarezza.
Più in là delle scazzature e dei mugugni non si è andati: questo è il frutto di una classe operaia disabituata alla lotta e guastata da false ideologie organizzative, che in questa occasione hanno dimostrato in pieno come il loro tempo sia finito.

Occorre intervenire per fare un chiaro discorso politico di classe, così come sono chiari i discorsi dei padroni e dei sindacati. Chi non si riconosce dentro le logiche efficientiste e  produttivistiche dei padroni e dei loro collaboratori, deve cercarsi uno spazio e delle prospettive d’organizzazione alternativi. L’esperienza di altre fabbriche ha storicamente chiarito che solo là dove esiste una avanguardia armata capace di muoversi, pur con grandi limiti, dentro la lotta di potere che si svolge nelle fabbriche, esiste la possibilità di costruire una risposta organizzata e una iniziativa politica operaia.
All’Alfa quindi è da costruire questa avanguardia.

Brigate rosse.

Fonte: Lotta armata per il comunismo

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