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Milano. Settimana rossa all’ALFA ROMEO

RAPPORTI CORTESI

A metà luglio il presidente dell’Alfa Romeo, Cortesi, espone al Consiglio di Direzione un piano complessivo politico-economico.
Questo rapporto, largamente circolato, contiene alcuni punti importanti per la comprensione dell’attacco antioperaio portato nelle fabbriche in questa fase e all’Alfa in particolare, in questo periodo.
Ne riassumiamo in breve i punti “qualificanti” anche per dimostrare come ormai i padroni (Agnelli in testa) parlino chiaro, a chi almeno voglia capire.
Il rapporto riguarda il 75/76.

Il rendimento

Si definisce apparentemente velleitario il tentativo di ottenere un ragionevole rendimento di lavoro senza toccare macchine e “metodi” di lavoro. Oggi, infatti, afferma, ogni turno produttivo disperde in “non-lavoro” almeno un’ora e mezzo, a prescindere da pause, tempo-mensa, fermate fisiologiche. Rispetto a questo problema la situazione è molto più grave al Sud che al Nord.
SI E’ CIOE’ DI FRONTE AD UN GRAVISSIMO SOTTOUTILIZZO DEGLI IMPIANTI: DALLE 3 ALLE 4 ORE GIORNALIERE NEI DUE TURNI VENGONO PERSE.
La produzione viene così limitata ai livelli minimi e questi si sono ridotti nel tempo.
Si aggiungano le conseguenze dell’alto assenteismo: gli organici delle linee sono programmati su un assenteismo medio del 16% più un 6% di riserva per bisogni fisiologici.
Gli organici dell’Alfa sono quindi molto carichi rispetto ai tempi che si dovrebbero ragionevolmente ottenere.
Esiste poi un forte conflitto tra possibilità direzionali di procedere sulla strada della riduzione dei costi e del riequilibrio economico e le probabilità di poterlo fare.

La produttività

Il quadro produttivo del gruppo esaminato sulla base delle ore lavorate è ben lontano dal rispecchiare la realtà della produzione ottenuta da ogni ora lavorata.
– All’Alfa-Nord, dal ’69 ad oggi si è avuto un graduale ma costante peggioramento della produzione. Le perdite di produttività nel giro di 4 anni sono raddoppiate.

Il recupero può avvenire attraverso:
–    minore assenteismo
–    maggior mobilità
–    ringiovanimento dei cicli
–    miglioramenti organizzativi nei rifornimenti e nella manutenzione.
–    all’Alfa Sud, si costruiscono due macchine su tre; è possibile incrementare da subito la produzione del 40% con lo stesso organico. I fattori che determinano questa situazione sono:
–    mancato rendimento della mano d’opera
–    effetti indotti dalla micro-conflittualità, dall’assenteismo, e dalla mancata mobilità.

Il fattore fondamentale è dunque il PERSONALE, la capacità impiantistica è notevolmente superiore.

Il personale

Blocco delle assunzioni a tempo indeterminato. Vanno ridotte le notevoli eccedenze di personale. I tempi dei turnover naturali sono lunghi, vanno apprezzati i risultati dei licenziamenti (la maggior parte per assenteismo) nel 73/74, seicento in tutta l’Alfa.

Rapporti sindacali

È indubbiamente interesse aziendale fare ogni sforzo, senza cedimenti, per mantenere un clima di leale collaborazione col sindacato, il cui apporto è necessario per il recupero della produttività.
I padroni ormai parlano chiaro: hanno la levigata freddezza di uno scienziato. Quando espongono dati sulle loro fabbriche sembrano alle prese con semplici calcoli matematici, in cui i rapporti politici di forza, anche la semplice contrattazione sindacale, non esistono.
Ma i calcoli matematici sono in fondo molto semplici per tutti: Cortesi vuole da subito per il suo piano, un aumento della produttività del 40% senza ritocchi d’organico o tecnici.
Vuol dire “matematicamente” lavorare un terzo di più di quanto già si lavora. In compenso ridurrà l’organico “fortemente eccedente” e questo ancora vuol dire “matematicamente” lavorare di più.
Inoltre sa a chi rivolgersi: al Sindacato, l’unica forza, secondo lo stesso Cortesi, che può garantire l’aumento della produttività. È questa definizione che dovrebbe essere una condanna viene invece interpretata come una apertura. L’azienda lo deve sostenere in quest’opera, ma certo non gli operai. Anche il concetto storico più elementare sul sindacato è andato perso: ora i sindacati, per riconoscimento stesso dei padroni, invece di contrattare il costo della forza lavoro e di difenderne gli interessi economici, si fanno garanti della produttività padronale!
“Matematicamente” si fanno garanti dello sfruttamento.

Martedì 14 luglio

La direzione dell’Alfa Romeo comunica ufficialmente la decisione di prolungare le ferie estive delle fabbriche milanesi di Arese e Portello, con una settimana di cassa integrazione a ZERO ore, per tutti i lavoratori dipendenti, esclusi quelli della manutenzione chiamati ad approfittare di tale sosta per revisionare gli impianti.
Questa decisione, presa “unilateralmente” anche rispetto ai sindacati non prevede nessuna garanzia né per i livelli di occupazione né sui programmi di riconversione produttiva.
L’esecutivo del CdF dell’Alfa Romeo denuncia la grave decisione della direzione ed invita i lavoratori alla massima mobilitazione di e vigilanza. Intanto si cercherà di “aprire trattative” con la direzione per la “discussione della iniziativa padronale”.
Il comunicato cade in un clima già pesante di attacco antioperaio nella fabbrica:
–    procedimento contro alcune avanguardie per la dimostrazione anti-USA in occasione della visita di Volpe alla fabbrica, denunciata come atto di grave mancanza di ospitalità
–    licenziamento, per motivi di assenteismo, di un’altra avanguardia.

Queste contraddizioni sono state affrontate dalle “avanguardie autonome” in termini legalitari: affidando la loro difesa agli avvocati democratici e non alla lotta (confrontare colla parallela situazione della Marelli). Per ora comunque con buoni risultati: la questione non è finita.

Venerdì 18 luglio

Scoppia sui giornali la polemica Luraghi-Cortesi.
Tale polemica nasconde vecchie e non ancora risolte questioni di potere e rispecchia due diverse concezioni di fabbrica automobilistica.

Sulla questione di potere, va precisato che Luraghi, ex presidente dell’Alfa, era uno dei pochi dirigenti di enti pubblici non legati alla DC, e così fu dimissionato. È importante anche ricordare che allora i sindacati collaborarono con la DC per il suo allontanamento. Lo accusavano di mancanza di iniziativa al Sud e così appoggiarono la svolta “di allineamento” nella direzione Alfa Romeo.
Per quel che riguarda la seconda questione, riportiamo alcune dichiarazioni di Luraghi al Corriere.
Secondo Luraghi l’Alfa non è affatto in crisi, come invece sostiene Cortesi nel suo rapporto.
Le macchine Alfa non hanno abbassato i livelli di vendita in Italia mentre invece li ha aumentati all’estero. L’Alfasud, addirittura, non è prodotta in quantità sufficienti neppure rispetto alla domanda interna. Quindi c’è una solidità di fondo, che qualsiasi industria automobilistica le invidierebbe.
A parte la gestione di potere e di sottopotere, che illumina spesso le scelte del ministero delle PPSS, Luraghi denuncia anche l’incomprensione di fondo che una fabbrica automobilistica per essere competitiva sul piano nazionale e internazionale, deve comprendere una concentrazione operaia di una certa consistenza.
Questa affermazione, fatta rispetto al progetto di ampliamento di Arese, porta alla denuncia dell’allontanamento di 2.000 operai nel giro di pochi anni, mentre i suoi programmi prevedevano un incremento di 3.000 unità. Questa fu una delle questioni per cui fu maggiormente attaccato dal sindacato e accusato di voler aumentare le concentrazioni operaie al Nord e di dimenticare il Sud. Cortesi, invece, con l’appoggio del Sindacato, ha ridotto gli organici al Nord e non ha aperto nessuna iniziativa al Sud.
Di fatto Cortesi si prefigge di raggiungere i livelli produttivi concorrenziali teorizzati da Luraghi, attraverso la razionalizzazione della produzione, lo sfruttamento intensivo delle macchine, la mobilità operaia: la così detta ristrutturazione che porta sempre ad una intensificazione dello sfruttamento operaio.
In questo senso si spiega anzi meglio il progetto di cassa integrazione di questi giorni: non è solo un aggiustamento temporaneo degli stoccaggi, come sostiene Luraghi, ma è anche un preciso attacco precontrattuale contro la fabbrica in cui le lotte spontanee sono più alte e incontrollabili, esclusa forse l’Alfa sud, dove, secondo Cortesi, tra assenteismo e scioperi, un operaio lavora un giorno si e uno no.
Ad Arese pare invece che mediamente un operaio su quattro manchi dal lavoro e che la programmazione degli impianti debba tener conto di questo.

Venerdì 29 agosto

La direzione dell’Alfa Romeo ha confermato la decisione, non concordata con le organizzazioni sindacali, di tenere in cassa integrazione fino all’8 settembre quindicimila operai.
Dal 29 luglio ’75 ad oggi sia la FLM che il CdF hanno emesso comunicati che invitavano i dipendenti a riprendere il lavoro il 1 settembre. Nessun rapporto contrattuale attribuisce questo diritto e/o responsabilità al Sindacato. La responsabilità è aziendale e l’Alfa se l’è assunta nell’interesse della ripresa commerciale e quindi produttiva dell’azienda.
Ciò premesso la direzione vi fa presente:

A.    L’azienda ha organizzato la riapertura della fabbrica per l’8 set. ’75, tenuto conto del programma di manutenzione ordinaria e straordinaria predisposto, ed in corso, essa non sarebbe in grado di operare;
B.     Ciò posto, la mancanza dei tecnici di fabbrica dei vari livelli non consente la responsabile conduzione del lavoro e quindi rende la PRESTAZIONE IRRICEVIBILE e come tale la stessa non può essere retribuita. L’Alfa Romeo perciò declina ogni responsabilità circa le conseguenze che in queste condizioni potrebbero derivarne agli impianti, cose o persone;
C.     I lavoratori non comandati che si presentassero prima dell’8 al posto di lavoro lo farebbero contro le disposizioni della Società e nel caso effettuassero prestazioni d’opera lo farebbero a loro rischio e pericolo e sotto la responsabilità personale;
D.    Qualsiasi produzione di parti non prevista, non può che alterare i livelli dei diversi stoccaggi, il che rischia di provocare la necessità di ulteriore ricorso alla cassa integrazione.

Sabato 30 agosto

Le confederazioni sindacali e il CdF rispondono al comunicato della Direzione. Partendo dalla valutazione tecnica che le auto in deposito sono 23.000, pari alla quantità fisiologica dello stoccaggio, denunciano l’ “atto autoritario” della Direzione tendente a portare i rapporti sindacali non sul piano del confronto aperto ma dei rapporti di forza. È preoccupante che a scegliere questa via sia una grande azienda a PPSS, che nell’autunno ’74 aveva saputo cominciare un dialogo che portò ad accordi di rilevante valore politico.
Si fa inoltre notare che i livelli produttivi sono buoni anche rispetto al ’73.
“Questi atti – riprendono i sindacati – assumono i caratteri di una accentuata tensione alla vigilia della scadenza contrattuale e nel momento in cui – di fronte alla gravità dei problemi del paese – più che mai occorre senso di responsabilità e non gesti da padrone del vapore”.
Rispetto alle affermazioni della Direzione secondo cui non sarebbe in gioco il posto di lavoro, il CdF replica che le richieste in materia di programmi di sviluppo, diversificazione produttiva, investimenti, non hanno trovato risposta.
Inoltre – si osserva – la prospettiva contenuta nella relazione del presidente Cortesi è quella della riduzione di migliaia di posti di lavoro.
Si invita poi la Direzione a riprendere coi sindacati un confronto globale.

NOTE:
I sindacati pur individuando correttamente nelle misure della Direzione Alfa un intento puramente repressivo e ricattatorio, rifiutano una conseguente presa di posizione politica e si perdono nelle accuse formali. Il tentativo è quello di spostare il confronto dalla fabbrica, con gli operai, ai tavoli della contrattazione, coi sindacati. Ancora una volta si pongono come mediatori tra la rabbia operaia e i progetti padronali.
Non è poi preoccupante ma significativo che una iniziativa di questo genere sia stata presa da una grande azienda a PPSS. Ciò significa che anche le PPSS vogliono sperimentare prima dei contratti varie misure repressive.
I dati forniti dal sindacato servono poi a denunciare, se ancora ce n’era bisogno, il significato politico della manovra e come questa, almeno a livello delle organizzazioni operaie tradizionali, non trovi una risposta chiara.

Domenica 31 agosto

Continua la polemica tra Direzione e Confederazioni.
L’FLM e il CdF hanno tenuto a precisare che non si tratta di una “occupazione”, né questa iniziativa vuole avere il senso di una gestione alternativa, ma semplicemente di una protesta anche se espressa in maniera originale.
Invitano la Direzione ad un incontro “urgente” e sollecitano i tecnici a non farsi strumentalizzare dalla Direzione.
Intanto escono i dati sulla situazione economica milanese: nei primi sei mesi dell’anno sono stati licenziati ben 6.000 operai e 71.552 sono stati messi in cassa integrazione.
A questi dopo ferragosto, si aggiunga la chiusura di molte fabbriche di piccole dimensioni e il ricorso alla cassa integrazione di due grosse aziende quali la Innocenti e l’Alfa Romeo.
Rispetto a questi dati, appare decisamente assurdo l’atteggiamento dei sindacati tesi semplicemente a conservare il loro livello di potere, non tanto rispetto alla fabbrica, quanto rispetto alle Direzioni.

Può essere stato comunque un fattore di spinta ad assumere un atteggiamento “duro”, la coscienza che in fabbrica queste misura avrebbero suscitato reazioni incontrollabili.
Quindi “protesta” e non occupazione, perché già la parola è troppo pericolosa.

Lunedì 1 settembre

Fin dal primo turno l’afflusso ai reparti è quasi totale, senz’altro più massiccio della normalità. Su indicazione sindacale gli operai raggiungono i reparti per cominciare normalmente a produrre, ma le linee sono interamente sabotate: manca la corrente per far funzionare le macchine, manca l’aria compressa per le pompe, mancano i normali attrezzi di lavoro, le grosse macchine sono state rese inutilizzabili da sapienti manomissioni.
Questa gravissima provocazione della Direzione è stata solo denunciata e non interpretata dalle forze politiche di fabbrica. In ogni caso, ciò vuol dire che durante le ferie d’agosto un buono staff di capi e capetti ha lavorato dentro i reparti semplicemente per rendere inutilizzabili le linee. Presenza massiccia dunque, e anche se i dati della Direzione e del Sindacato sono contrastanti, si parla di una presenza pari al 95-100% del normale. Subito Cortesi in persona, manda un radioso comunicato al CdF in cui si dice: “Dobbiamo considerare la fabbrica occupata; da questo momento gli stabilimenti sono di fatto da voi unicamente controllati. Ricade quindi solo su di voi e sui singoli ogni conseguente responsabilità. Noi ritiriamo pertanto dallo stabilimento il direttore e i suoi collaboratori”. Il sindacato si affretta a respingere la definizione di occupazione: “tanto è vero – aggiunge – che a sera gli operai sono tornati a casa”, ed emette un comunicato in cui si da la valutazione degli avvenimenti di oggi: “gli operai dell’Alfa hanno voluto respingere le scelte unilaterali della azienda, che ricorrendo per l’ennesima volta alla cassa integrazione aveva deciso, evitando ogni trattativa, di riaprire i cancelli solo l’otto settembre. Ma soprattutto hanno voluto ribadire che dalla crisi economica, dalla crisi che investe in particolare l’industria automobilistica, non si esce con il perenne ricorso alle riduzioni d’orario, in una prospettiva di riduzione delle basi produttive. Occorre imboccare strade nuove, le strade di una riconversione produttiva, di un nuovo sviluppo”. Si dichiara disposto a trattare per una “ripresa graduale” della produzione durante questa settimana e “a demandare ad un negoziato successivo i problemi sollevati dalla azienda, come quelli riferiti alla MOBILITA’ del lavoro”.
Nonostante tale dimostrazione di buona volontà, la direzione dichiara di non poter revocare la misura di cassa integrazione, anche se questa non va interpretata come anticamera dei licenziamenti; di considerare illegale l’iniziativa sindacale di oggi; di non poter dare garanzie sul lavoro aldilà di quelle già date nel passato.
La stampa padronale rileva quanto numerosi siano gli interrogativi sollevati da questo braccio di ferro, tanto duro quanto inatteso in una fabbrica, l’Alfa appunto, in cui già da due anni funziona una buona collaborazione tra sindacati e direzione. La spiegazione non è difficile però se si parte da un punto di vista politico e non economico.
L’Alfa Romeo è, nonostante i cadenti livelli interni di organizzazione delle avanguardie rivoluzionarie, la fabbrica col più alto tasso di assenteismo in Europa (Cortesi) e con un livello di spontaneismo nelle lotte che la rende pericolosa ed incontrollabile, soprattutto dentro un rigido progetto di ristrutturazione quale è quello enunciato da Cortesi.
La manovra, oltre a ricercare il recupero di più ampi spazi di manovra economici, riduzione degli stoccaggi, acquista il significato di una sollecitazione al sindacato perché prenda in mano più saldamente e con maggior responsabilità la situazione di fabbrica.
Il sindacato, da parte sua ha semplicemente denunciato la unilateralità della decisione, non l’attacco politico e la provocazione antioperaia, perché vuole difendere il suo POTERE DI CONTRATTARE TUTTO con la direzione e di essere il tramite riconosciuto tra le decisioni della direzione e gli operai. Così si capisce come la risposta sindacale abbia assunto, solo apparentemente, toni aspri ma in sostanza sia servita solo a frenare una eventuale risposta autonoma operaia e a riproporsi come forza complessivamente disponibile e collaborare coi padroni.
Tutto questo però non ha nulla a che fare coi bisogni politici e materiali degli operai, oggi.

Martedì 2 settembre

Ancora le televisione in fabbrica, ancora una massiccia partecipazione operaia alle iniziative sindacali, che oggi prevedono una assemblea generale in fabbrica e un successivo corteo all’Intersind. Alta la partecipazione e la volontà di lotta della fabbrica anche alla luce della rottura, avvenuta ieri sera, della trattativa con la direzione.
La direzione non ha accettato di riaprire la fabbrica nonostante l’offerta sindacale di contrattare la mobilità.
La manutenzione sta lavorando per cercare di rimettere in funzione le linee sabotate dalla direzione.
Unificazione in piazza Castello con gli operai della Imperial, della Pini, ecc. ecc., che protestavano davanti all’Assolombarda.
Comincia però a sentirsi il vuoto politico e di prospettive in cui si muove l’iniziativa sindacale. Mancano proposte alternative e gli operai delle catene si sentono sempre meno rappresentati da questo gioco legalitario e di comunicati tra direzione e sindacati.
Comincia a serpeggiare la coscienza che la settimana di lotte altro non è che una settimana di sconfitte.

Mercoledì 3 settembre

Ultima giornata in cui si registra una consistente partecipazione operaia alle iniziative sindacali e ultima grande parata istituzionale dentro la fabbrica con la complicità della sinistra neo-revisionista.
Mentre a Roma il ministro del lavoro Toros tenta una mediazione tra le parti, (che poi verrà sospesa) in fabbrica si svolge una assemblea “aperta a tutte le forze democratiche della città”, presiede l’assemblea il sindaco Aniasi in persona, partecipano rappresentanti di tutti i partiti dell’arco costituzionale (LC e AO comprese) con l’intento dichiarato di sensibilizzare forze politiche ed opinione pubblica alle tristi vicende dell’Alfa Romeo.
L’assemblea si risolve in una lunga serie di interventi che non riescono neppure ad essere demagogici come vorrebbero sembrare.
Parlano i sindacati, promettendo impegni durissimi per la riconversione produttiva, degli investimenti e l’occupazione.
Parlano i partiti, PCI in testa, che tenta di legare la lotta dell’Alfa all’impegno del partito per le giunte e le politiche locali.
Parlano i gruppi, AO ed LC, ma con analisi e richieste che non sono degne nemmeno di una seria sinistra sindacale. Obiettivo di fondo per LC è l’allontanamento del presidente Cortesi, il solo responsabile della crisi attuale.
Parlano gli “autonomi organizzati”, che avanzano ancora una volta, con tenacia, la loro proposta della riduzione di orario e dell’abbassamento dei ritmi, senza però toccare nessuno dei nodi politici che interessano la fabbrica.
Parla il “compagno Aniasi”, ma solo delle difficoltà della Giunta.
Parlano i delegati degli altri CdF, tra cui quelli dell’Innocenti interessati alla CI, contrabbandando come successi operai gli ultimi vuoti accordi sindacali.
L’impressione che si ha è quella di una totale mancanza di volontà di affrontare i problemi politici che stanno alla base della situazione delle fabbriche milanesi, da una parte, e dall’altra, un terribile vuoto organizzativo che la disponibilità operaia alla lotta non basta a colmare.
A Roma, alle trattative del ministro, per l’Alfa sono presenti il direttore e il vice-direttore, Cortesi e Caravaggi, assistiti dal presidente e dal direttore generale dell’Intersind, Boyer, Massaccesi, Meucci e dai tre segretari confederali, Giovannini, Carniti e Ravena. Era pure presenta il direttore della Finmeccanica Franco.
Nulla di fatto, da domani si ricomincia la lotta in fabbrica.

Giovedì 4 settembre

Chiusa la trattativa a Roma, in fabbrica diventa sempre più bassa la partecipazione operaia alle ormai stanche iniziative sindacali. I compagni autonomi distribuiscono in fabbrica un volantino e continuano a vendere tra le linee il loro giornale.
Fuori, i commenti della stampa diventano sempre più preoccupati per questo braccio di ferro tra direzione e sindacati. In un’intervista il segretario della CdL Lucio de Carlini fa importanti dichiarazioni: “Chi spera di escludere il sindacato dal controllo della riconversione industriale troverà fermissime risposte. L’Alfa è stato un banco di prova sindacale ma anche politico contro le illusioni di un governo tecnocratico e autoritario e contro le velleità subdole di limitare il diritto di sciopero”.
“… chiariamo subito che noi non stiamo facendo la guerra per qualche giorno di CI ma per una questione, che all’inizio era di metodo, e ora è diventata di sostanza. Vogliamo far capire a tutti che l’uso della forza-lavoro, in più o in meno, non è di sola competenza delle direzioni aziendali, siano queste dell’Alfa o di una piccola e media industria. La direzione dell’Alfa non si è resa conto che il tentativo di scavalcare il sindacato era come accendere una miccia esplosiva che poteva “provocare comportamenti anche più selvaggi”.

Venerdì 5 settembre

Ultimo giorno della “settimana rossa” dell’Alfa, definita da tutti una settimana di spettacoli e festival più che di lotta reale.
La partecipazione negli ultimi giorni, è progressivamente calata.
Per il sabotaggio delle macchine non si è potuta costruire nemmeno una “vettura autogestita”. I lavori di manutenzione non hanno dato spazio alla ripresa del lavoro.
Nulla di fatto dunque, lunedì si ricomincia senza capire a cosa sia servita questa settimana. Forse, ha solo chiarito il rapporto di “forza” tra direzione e sindacati, ma non ha espresso una capacità a costruire forme spontanee di resistenza da parte della fabbrica, anche quando non si senta rappresentata dalla logica assurda, almeno da un punto di vista operaio, dei sindacati.
Questa settimana ha residuato nelle avanguardie di fabbrica un clima di sfiducia: non si è saputo buttare sul piatto proposte alternative dentro le quali potessero riconoscersi quelle frange che hanno capito la situazione. Ha anche residuato un senso di impotenza sulle prospettive di opporsi concretamente in futuro alle iniziative e ai disegni padronali, che da questa settimana sono emersi con chiarezza.
Più in là delle scazzature e dei mugugni non si è andati: questo è il frutto di una classe operaia disabituata alla lotta e guastata da false ideologie organizzative, che in questa occasione hanno dimostrato in pieno come il loro tempo sia finito.

Occorre intervenire per fare un chiaro discorso politico di classe, così come sono chiari i discorsi dei padroni e dei sindacati. Chi non si riconosce dentro le logiche efficientiste e  produttivistiche dei padroni e dei loro collaboratori, deve cercarsi uno spazio e delle prospettive d’organizzazione alternativi. L’esperienza di altre fabbriche ha storicamente chiarito che solo là dove esiste una avanguardia armata capace di muoversi, pur con grandi limiti, dentro la lotta di potere che si svolge nelle fabbriche, esiste la possibilità di costruire una risposta organizzata e una iniziativa politica operaia.
All’Alfa quindi è da costruire questa avanguardia.

Brigate rosse.

Fonte: Lotta armata per il comunismo

Le Br e l’accordo di novembre

Compagni,
L’accordo dell’otto novembre, fra sindacati e Fiat, vede favorire le volontà e le speranze di quest’ultima rispetto alla ristrutturazione e al ristabilimento del profitto.
L’atteggiamento dei vertici sindacali è stato ancora una volta, e più marcatamente che nel passato, quello di porsi in una posizione subordinata, di accettazione, della strategia neo-corporativa di Agnelli, che ha la sua logica nel rilancio imperialista dell’impresa, nella disarticolazione dell’unità politica della classe. Ai padroni l’“onore” dell’intensificazione dello sfruttamento e della gestione della crisi, in funzione antioperaia; ai sindacati e al PCI l’ “onore” di far dimenticare persino il concetto stesso di lotta e di resistenza.
La politica di licenziamenti delle avanguardie, di trasferimenti di massa, di mancato ricambio e blocco delle assunzioni, che ha determinato una diminuzione dell’occupazione di più di 8.000 unità solo nell’ultimo anno, trova il suo avallo e la sua naturale istituzionalizzazione in questo compromesso.
Ciò che è avvenuto dopo non fa che confermare pesantemente questo giudizio: l’aumento del fatturato Fiat e la espansione delle Holdings finanziarie da un lato, e dall’altro la provocazione montata dai vertici delle burocrazie sindacali e del PCI, durante lo sciopero del 22 novembre, con il conseguente tentativo di espulsione delle avanguardie di lotta dal sindacato, sono fatti non slegati in se, ma devono essere visti nella loro necessaria integrazione.
Ma la classe operaia non può accettare il disorientamento, la rassegnazione, che in nome del compromesso Berlinguer, Lama ecc., vorrebbero imporre.
La scadenza contrattuale deve diventare occasione per una ripresa delle lotte e dell’Organizzazione operaia, deve trasformarsi in scontro di Potere.
I trasferimenti, i licenziamenti, devono trovare decisivi momenti di risposta. Compito di tutte le avanguardie operaie è:
–    battere la linea neo-corporativa confindustria-sindacati e la linea del compromesso storico revisionista, per impedire la sconfitta e il riflusso del proletariato;
–    battere le tendenze liquidazioniste della lotta, per impedire la nullificazione delle conquiste e la disgregazione dell’unità rivoluzionaria della classe operaia;
–    organizzare un MOVIMENTO DI RESISTENZA, che trovi il suo punto qualificante nell’appoggio alla LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO, con il compito di unificare tutte le avanguardie autonome e di creare iniziative di massa sui vari problemi che lo scontro di classe solleva;
–    accettare la GUERRA DI CLASSE portando l’attacco alla gerarchia aziendale Fiat, colpendo duramente i vari cuscinetti del ricatto e del terrorismo padronale; battere e liquidare una volta per sempre i sindacatini gialli tipo SIDA, veri e propri covi di reazione e di spionaggio, e le carogne fasciste sotto qualsiasi etichetta si presentino;
–     costruire il POTERE PROLETARIO ARMATO, a partire dalle fabbriche, che significa in primo luogo creare il NUCLEO STRATEGICO DELLA GUERRA DI CLASSE e cioè PARTITO combattente del proletariato.

Giovedì 11 dicembre, alcuni nuclei armati delle BRIGATE ROSSE, hanno incendiato e distrutto le auto dei seguenti servi del padrone:
DE NADAI NICOLINO via Tessarin 6 Venaria, possedeva una Fulvia GT bianca targata TO 937314. Vaselina delle Presse, bieco strumento dell’ufficio del personale responsabile della politica di repressione e di tutti gli spostamenti e licenziamenti avvenuti in questi ultimi tempi.
BENEDETTI GIULIANO via Anastasio 19c Grugliasco, possedeva una Fiat 128 rossa targata TO M94217. Capo gruppo aziendale della Cisnal responsabile di sezione per le Meccaniche.
ABATE VINCENZO via Foligno 121, possedeva una Fiat 128 sport coupé blu targata TO K54161. Rappresentante SIDA nei comitati per le officine 71/72/92 per la meccanica 1.
ARGENTIERO FRANCESCO via Nomis di Cossilla 16, possedeva una Fiat 128 verde targata TO M53012. Rappresentante SIDA nei comitati per le officine 73/74/75 per la meccanica 2.
GALLARINO GIOVANNI via Guala 117, possedeva una Fiat 850 bianca targata TO A004485. Guardiano alla porta 15. Fa parte dell’apparato militare di “controllo” di Agnelli.
GRECO ANTONIO via Finalmarina 8, possedeva una Fiat 1500 targata TO 70700. Fascista della Cisnal alle Presse di Mirafiori. Noto picchiatore amico dei PS. Già punito alle “Nuove” dai compagni detenuti.
PS. Un avvertimento, l’ “ultimo”, la classe operaia è stanca di sentire il vostro puzzo, perciò vi serva da esempio la “saggezza” di Boffa il quale alla Singer non si fa più vedere!

PORTARE L’ATTACCO ALLA GERARCHIA FIAT.

BATTERE LIQUIDARE IL SIDA E LA CISNAL, COVI DI REAZIONE E DI SPIONAGGIO.
ACCETTARE LA GUERRA DI CLASSE TRASFORMANDO LA LOTTA CONTRATTUALE IN SCONTRO DI POTERE.

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO.

Torino, 11 dicembre 1975
BRIGATE ROSSE

Mercoledì 10.12.75, un nucleo armato delle Brigate Rosse ha attaccato la caserma dei Carabinieri di Via Montecatini ed ha distrutto un automezzo militare (camioncino Fiat 850) parcheggiato nel suo cortile.
Prendiamo atto del fatto che questa notizia è stata censurata.
I carabinieri sono il braccio militare più omicida della controrivoluzione che i padroni delle multinazionali hanno scatenato contro tutti i proletari.
Essi hanno carta bianca per l’uso indiscriminato delle armi, ed infatti uccidono “a caldo” e “a freddo” per difendere l’ “ordine” del regime. I morti non si contano più. Ma dietro il singolo carabiniere che preme il grilletto si snoda una trama di coperture e di complicità che investe anche i partiti cosiddetti “di sinistra”.
Le famigerate leggi “contro la criminalità” che hanno istituzionalizzato la pena di morte sono passate anche perché il PCI non ha voluto opporre nessuna mobilitazione.

Compagni,
per rispondere veramente a chi si attrezza sempre più perfettamente per l’assassinio di proletari “delinquenti” e di avanguardie politiche; a che ha reintrodotto “di fatto” la pena di morte:
E’ NECESSARIO ORGANIZZARE DOVUNQUE NUCLEI DI POTERE PROLETARIO ARMATO per battere un progetto imperialista armato con una ORGANIZZAZIONE COMBATTENTE ARMATA.

È necessario portare l’attacco al cuore dello Stato.
È necessario colpire con continuità ed intensità crescenti i covi, i mezzi militari, le infrastrutture e i capi di questa “banda armata” criminale al servizio esclusivo dei padroni.

Brigate rosse

13.12.75

Fonte: Lotta armata per il comunismo

Magneti Marelli. Licenziamenti politici: sindacato e autonomia operaia

Agli inizi di settembre piovono tante lettere.
A un operaio che lavora a cottimo in una squadra ne arriva una di scarso rendimento.
Ciò è illegale, sindacalmente parlando, poiché si dovrebbe accusare o tutta la squadra o nessuno.
Una decina di operai di cui due delegati va allora all’ufficio personale per chiedere il ritiro del provvedimento.
È un episodio di “trattativa diretta”.
Sfortuna vuole che il sindacato stia trattando nella stanza accanto. Chiamato ad andarci a parlare dal dirigente Ballatore, il dirigente Pier Luigi Isella dice che gli è impossibile uscire dall’ufficio! Il risultato è un’accusa di sequestro con il licenziamento di quattro compagni avanguardie riconosciute.
L’attacco è esplicito. Non si trova una scusa come alla Fiat (assenteismo) è un chiaro licenziamento politico nato a sua volta da un episodio in cui i padroni commettono un’illegalità.
Questa protesta era tra l’altro una fesseria di fronte a tanti altri episodi, successivi prima alla Magneti. È l’aria che è cambiata, vediamo perché.

Gli episodi precedenti

Alcuni esempi: un gruppo di dirigenti portati alla “gogna” nei reparti e quindi sottoposti a una “trattativa diretta” in assemblea autonoma dove concedevano tutto (compreso il rimborso delle ore di sciopero e una indennità di mancato pasto); rifiuto con scioperi “preventivi” della cassa integrazione, intesa  come attacco politico e quindi non trattabile, quando tutti si sciacquavano la bocca col salario garantito; attacco al locale delle guardie nel quadro della lotta contro la ristrutturazione, perquisiti e incendiati i materiali archiviati. Sequestro di materiali e progetti che i padroni volevano trasferire a Potenza nascosti in un camion; perquisizioni in massa degli uffici per trovare i piani padronali.
Dietro tutto questo, dentro i reparti poca mobilità, diminuzione del lavoro e capi che si devono fare i fatti loro.
Per usare le parole di una denuncia della direzione alla Magistratura “è in questo clima” che fioriscono anche alcuni attentati a dirigenti (azioni condotte dalle BRIGATE ROSSE).

L’interesse dello Stato alla normalizzazione delle fabbriche.

A Milano è stata risistemata la Prefettura: pretori sostituiti da tipi in linea col potere, condannare in Appello. E per gli operai della Magneti Marelli di Crescenzago ci sono tre processi.
Uno è per i fatti delle guardie; doveva svolgersi il tre ottobre ma è stato rimandato sia per la sua delicatezza (tra l’altro c’è sempre Garino di mezzo, quello dello spionaggio Fiat) sia perché è magari opportuno fare prima quello ai compagni licenziati.
Il terzo riguarda una squadra scelta “a caso” cioè in modo terroristico, di 17 persone perché calano il rendimento, intendendo questo sciopero non più come forma di lotta per conseguire un obiettivo ma come nuovo modo di lavorare.
Intanto la situazione di lotta nelle fabbriche di Milano è caratterizzata soprattutto da due brutti esempi: l’Alfa e l’Innocenti. Qui il sindacato si muove perché il padrone non si è affatto comportato in modo bilatere. All’alfa gli operai vengono fatti entrare per lavorare e non per lottare perché i giornali possano farli vedere come bravi ragazzi poco assenteisti.
All’Innocenti, come fa notare un giornale M-L, più che contro il licenziamento sembra che ci si muova per la patria. E i sindacati hanno organizzato una manifestazione con mogli e bambini per andare come elemosinanti per le vie della città, una vergogna che è un insulto alla dignità di classe.
Appena saputo del licenziamento i compagni hanno deciso di far entrare i licenziati in fabbrica “al loro posto di lotta” (e non di lavoro).
Ogni mattina, un corteo che conta fino a 200 persone li va a prendere. L’atteggiamento del Sindacato è stato chiaro: contrario in linea di principio al licenziamento (cioè a parole), dissente dalla iniziativa che ha portato ai licenziamenti e pertanto ciascuno “deve assumersi le sue responsabilità”. Cioè il Sindacato è contrario a ogni mobilitazione! Anzi considera questa storia una deviazione dal problema della cassa integrazione (CI). Dietro queste dichiarazioni sta il ruolo del Sindacato in questa fase: quello di gestore della legalità borghese nella fabbrica. Così in ogni reparto i delegati cercano di impedire la mobilitazione per i compagni, spargono calunnie di tutti i tipi e sostengono la versione padronale oltre ad esaltare la sua ideologia con discorsi contro chi non lavora, ecc.
Il PCI parla come se ormai fosse al potere. La spaccatura tra operai diventa netta, da un lato col padrone dall’altro coi licenziati. Il Comitato di lotta contro i licenziamenti che viene costituito si scontra col disegno padronale e con quello sindacale. È forse la prima volta che una struttura autonoma riesce a dirigere una lotta con continuità, contando interamente sulle proprie forze. Per di più in uno scontro politico e non economico. Ma si tratta ancora di una lotta difensiva mentre il padrone attacca intanto anche con la CI riducendo zero ore l’orario di 800 lavoratori a Potenza, Torino e Pavia.
Di questi limiti si rendono ormai conto tutti, ciascuno a modo suo. C’è un’ombra che preoccupa tutti anche se se ne parla magari con lievi accenni. Ed è la prospettiva della lotta armata. È questo uno dei motivi insieme al carattere elevato raggiunto dalle lotte di massa autonome a Crescenzago, che spiega la virulenza dell’attacco padronale e sindacale. È  dopo tre settimane anche i neo-revisionisti di Avanguardia Operaia (A.O). cominciano a far cartelli in cui prendono le distanze dagli autonomisti per quel che dicono sul sindacato e per paura di cosiddette “azioni esemplari”. Il sospetto sul presunto brigatista, l’angoscia per una azione armata è presente nella mente del primo dirigente fino a quella dell’ultimo neo-revisionista di A.O. Questa lotta sta diventando una miniera di chiarimento per il dibattito politico sia tra le masse (e lo dimostra questa nuova partecipazione delle donne) sul ruolo rivestito da padroni e alla destra del movimento operaio (M.O.), sia tra le avanguardie sul problema di nuove forme di organizzazione; ma chi per ora ha collegato più chiaramente di tutti la lotta autonoma alla prospettiva della lotta armata è il padrone (con i suo servi) che vuole eliminare questo rischio cercando di terrorizzare le masse e eliminare le avanguardie.

Brigate Rosse

Settembre 1975

Fonte:  Lotta armata per il comunismo

Cronaca delle lotte a Mirafiori

Dall’ottobre 1974 alla firma del patto sociale

2 ottobre 1974. La FIAT ed il Sindacato rompono le trattative.
Viene così decisa dalla FIAT la messa in C.I. di 65.000 operai della FIAT e 6.000 della LANCIA a partire dalla prossima settimana. Le Confederazioni richiedono l’arbitrato del Ministro del lavoro Bertoldi e dichiarano uno sciopero nazionale dei metalmeccanici.

Lunedì 7 ottobre. La FIAT rifiuta l’arbitrato del Ministro e la C.I. è confermata. La mediazione del Ministro che prevedeva 24 giorni di sospensione senza il ricorso alla C.I. era stata accettata dai sindacati. Ma a cosa serve alla FIAT la C.I. è chiaro. Con essa vuole ottenere da una parte una mobilità della forza lavoro funzionale ai suoi progetti di ristrutturazione e dall’altra portare un attacco generalizzato al movimento di lotta. Per questo si può capire fin da ora che la C.I. non sarà uno strumento che la FIAT userà solo momentaneamente, ma che ne farà un uso continuato nel tempo.
Mercoledì 9, sciopero generale dei metalmeccanici di 4 e 8 ore. A Torino la manifestazione è imponente. Se nelle intenzioni delle confederazioni doveva essere un momento di pressione per la riapertura delle trattative, esso si risolve in una grande dimostrazione di forza operaia. A Mirafiori, Lingotto, Lancia di Chivasso, l’astensione è TOTALE grazie ai nutriti e combattivi picchetti organizzati fin dalle 4 del mattino. I crumiri e i provocatori che tentano di entrare, vengono puniti e cacciati. A Mirafiori, un crumiro tale Giuseppe Noacco che tenta di sfondare un picchetto con l’auto viene bersagliato da un lancio di pietre e si schianta contro un palo riportando gravissime ferite. Un altro crumiro Antonio Bosco delle Meccaniche riporta un principio di commozione cerebrale per aver tentato di entrare al 2° turno.
I cancelli di Mirafiori sono di nuovo in mano agli operai. I giornali daranno notizia di 31 feriti ed il SIDA, in un comunicato, invocherà “l’intervento delle autorità cittadine e del Ministro dell’Interno per tutelare l’ordine pubblico in tali situazioni”. Sette grossi cortei sfilano per le vie di Torino dando una grande dimostrazione di forza. Ciò che caratterizza questa giornata di lotta è una decisa volontà di rispondere all’attacco padronale, il quale assume ora, forme e strumenti nuovi oltre all’uso di quelli tradizionali: alla FIAT, infatti, le lettere di ammonizione, i trasferimenti, i licenziamenti politici e per assenteismo vengono costantemente usati per attaccare il movimento e le proprie avanguardie. Per i licenziamenti, ad esempio, viene usata una nuova tecnica per eludere la reazione operaia: prima si notifica il trasferimento dell’operaio da colpire da una sezione ad un’altra (per esempio da Mirafiori alla SPA) cui segue dopo 2 o 3 giorni i licenziamento.
Ma l’attacco non si ferma a questo, usando i servizi di polizia vengono costruite infami provocazioni per attaccare e colpire le avanguardie autonome e rivoluzionarie. In piazza Solferino al termine della manifestazione viene arrestata con argomenti pretestuosi una avanguardia della FIAT e la compagna che stava con lui. Questo ennesimo episodio di terrorismo padronale sta a dimostrare il livello di attacco che viene portato alle avanguardie rivoluzionarie. Di fronte a tale offensiva, inquadrata in una situazione più generale di crisi di governo e minaccia di elezioni anticipate, di tentativi e minacce di spaccatura sindacale, lo sciopero si rivela subito uno strumento inadeguato. La stessa strategia sindacale d’autunno che si prefigge di affrontare una trattativa globale sulla contingenza e sull’occupazione non offre alla classe operaia alcuna affidabilità.
Giovedì 17 ottobre si svolge lo sciopero generale dell’industria di 4 ore indetto dai sindacati dopo un incontro negativo con Agnelli. A Mirafiori vengono organizzate assemblee aperte (così come alla Lancia di Chivasso ed altre fabbriche) con la partecipazione dei partiti politici PCI, PSI, DC. All’assemblea partecipano 20.000 persone. La pista prove è gremita di operai e studenti confluiti in diversi cortei da molte piccole fabbriche e dalle scuole. Vicino alle entrate in corso Tazzoli stazionano in servizio di controllo alcune auto del commissariato di PS di Mirafiori col comm. Dott. Riefolo.
All’assemblea la classe operaia Torinese esprime ciò che pensa della DC e dei suoi uomini: a Donat Cattin vien praticamente impedito di parlare dalla selva di fischi e dalle urla esplose dai compagni.
Tuttavia l’assemblea per quanto massiccia vede una scarsissima presenza di operai di Mirafiori. Quelli che erano nelle officine, sono usciti in pochi, quelli che erano a casa (oggi è giornata di C.I.) sono venuti in pochi. A livello di massa e tra le avanguardie di lotta, sono presenti due fattori che determinano il verificarsi di tali situazioni. Uno di questi è una certa paura che l’attacco all’occupazione ha insinuato tra le aree meno politicizzate di classe.
Il secondo, è dovuto alla scarsa credibilità che riscuotono il sindacato, la sua strategia e le forme di lotta che esso propone per opporsi all’attacco che la classe operaia sta subendo, su tutti i fronti. In questa situazione di crisi per il movimento, svolge una forte attività il SIDA che, coi suoi luridi volantini, cerca di creare ulteriore confusione e disorientamento per sviluppare il qualunquismo.
Questa nuova fase di attacco padronale ha tra l’altro portato un notevole disorientamento tra le avanguardie che si trovavano impreparate sia politicamente che organizzativamente a sostenere lo scontro. Dal giorno della messa in C.I. la lotta interna è rifluita.
Tra le avanguardie, vi è la ricerca di obiettivi e di forme di lotta che pagino di più e che riscuotano credibilità da parte del movimento. Sul territorio si sviluppa a Torino la lotta per l’occupazione delle case e per l’autoriduzione. Lotte che sfuggono al controllo sindacale e che in diversi casi diventano momenti di organizzazione autonoma per l’appropriazione. Il rovescio della medaglia è che lo scontro viene spostato su questo terreno, lasciando la fabbrica, sguarnita esposta alle manovre padronali.

Giovedì 24 ottobre. Un primo momento di lotta interna dalla messa in C.I. si ha alla SPA di Stura. Vi è una fermata di un ora e mezzo con un piccolo corteo interno dei 50 addetti alla manutenzione elettrica contro la volontà della direzione d’istituire il 3° turno.

Lunedì 28 anche a Mirafiori la lotta interna dà il suo segno di ripresa. Alle Meccaniche off. 76, gli operai della linea 4 addetti al montaggio motori della 132, fanno una fermata di un’ora per l’ambiente, la pericolosità ed i carichi di lavoro.

Mercoledì 30, sciopero regionale di 4 ore per la vertenza generale. Alla FIAT vi è  una scarsa adesione. Per il sindacato diventa sempre più difficile mobilitare gli operai su questi obiettivi i quali appaiono ai loro occhi molto fumosi e non riscuotono alcuna credibilità così come le forme di lotta proposte.

Giovedì 31, alle presse, nell’off. 68 vi è una fermata compatta contro i trasferimenti. Questa fermata, come quelle di lunedì 28 e giovedì 24, dimostrano come sia sempre viva tra gli operai la disponibilità alla lotta per la difesa dei livelli di agibilità in fabbrica.

Venerdì 8 novembre, sciopero generale di 4 ore dell’industria e del commercio per la vertenza generale. Alla SPA, il C.d.F., verificata la non riuscita di questi scioperi a fine turno, decide di darlo interno; la partecipazione è maggiore del solito e in alcuni reparti si formano piccoli cortei interni. A Mirafiori lo sciopero prevede l’uscita anticipata. Inoltre è giorno di C.I.; non si può certo sperare che uno sciopero con queste caratteristiche possa esprimere momenti di lotta significativi.

Lunedì 11 alla SPA vi è uno sciopero di reparto contro il licenziamento di un’avanguardia per “violenze” ad un guardione.
Si riuniscono i consigli e da tutti esce l’esigenza di rilanciare la lotta in fabbrica a partire dallo sciopero di mercoledì prossimo. La maggioranza dei delegati ha ben capito l’assurdità degli scioperi vacanza, fatti a fine turno e nei giorni di C.I.

Martedì 12 a Rivalta vengono fatte 8 ore di sciopero, sempre per la vertenza generale, vengono organizzati duri e combattivi picchetti.

Mercoledì 13 è una giornata di lotta molto attesa dalle avanguardie che vogliono usare questa giornata come un momento di rilancio reale della lotta interna, vista come iniziativa per la difesa dei livelli di potere operaio, che gli attacchi portati al movimento anche attraverso la ristrutturazione puntano sempre più ad erodere e a sgretolare. A Mirafiori lo sciopero è interno di tre ore. Le percentuali di partecipazione non sono elevatissime, ma si verificano alcuni momenti di lotta che tendono a mettere in discussione i rapporti di forza instauratisi dopo la messa in C.I. . In verniciatura, gli operai che non vogliono aderire allo sciopero vengono spazzati fuori dalle linee. Dalla meccanica 1 parte un corteo di 7.800 operai che si dirige alla palazzina impiegati bloccandola interamente: da questa ne esce e si dirige alla meccanica 2 dove altre 300 operai aderiscono al corteo; durante il percorso vengono respinte le provocazioni dei capi e del SIDA, i quali, avendo previsto questa giornata di lotta, si erano ben preparati ad organizzare il crumiraggio. Anche all’off. 68, Presse, si forma un piccolo corteo.
Alla SPA stura si formano grossi cortei interni, duri soprattutto nei confronti dei guardioni, che la direzione usa continuamente nella provocazione antioperaia. Tra gli operai è presente la volontà di rispondere ai licenziamenti, che nei soli primi due giorni della settimana sono stati 9, dei quali 8 per assenteismo e l’altro è quello di lunedì 11.
Anche alla Fiat Materferro, durante lo sciopero interno di 2 ore, si forma un grosso e combattivo corteo interno che spazza tutta la fabbrica bloccando interamente la produzione. E’ il primo corteo interno dalla scorsa primavera.

Venerdì 15. Alle fonderie di Mirafiori, che non sono a C.I., una squadra sciopera per tre ore contro la nocività. Per un’ora si unisce alla lotta tutto il reparto.

Lunedì 18, all’off. 92 delle gestioni centrali (Meccaniche), tutti i 350 operai scioperano per un’ora chiedendo il ritiro dei licenziamenti di due compagni. Questi, sono stati effettuati mercoledì scorso, con motivazioni provocatorie e pretestuose sulle testimonianze di due capi. Viene ottenuta una decisa vittoria in quanto i licenziamenti vengono subito tramutati in alcuni giorni di sospensione. All’off. 67, dopo la minaccia di sciopero, la direzione ritira le richieste di straordinari, fatte attraverso i c.r. e i c.s., per gli addetti alle lavorazioni della 131. La produzione di quest’auto, oggi “tira”, e mentre le altre produzioni subiscono la C.I., per questa linea vi è un’intensificazione continua dei ritmi e dello sfruttamento operaio.

Mercoledì 20. Contro la lotta interna che, dopo aver subito una breve battuta d’arresto, si sta sviluppando in modo notevole, la Fiat si muove attaccando ogni punto forte di organizzazione operaia mediante la distruzione dei gruppi omogenei, i trasferimenti in massa, la repressione diretta alle avanguardie ed ai delegati. Altri due episodi successi all’off. 65 (Presse) dimostrano la volontà del terrorismo Fiat. Al primo turno gli operai di una linea si fermano dieci minuti contro la pretesa di un c.s. di far svolgere ad un operaio un lavoro pericoloso; la piccola lotta vince, ma domani, al rientro in fabbrica, gli operai troveranno la linea completamente smantellata: tutta la squadra è stata trasferita in altri reparti. Altro episodio: alla linea 41, il delegato appena eletto viene subito trasferito.

Giovedì 21, all’off. 67 (Presse), protagonista nei giorni precedenti di altre fermate, gli operai delle porte 132 si fermano un’ora contro il trasferimento di 4 compagni alla 131.

Venerdì la lotta fa un salto. Tutta l’off. 67 sciopera 8 ore contro le lettere di ammonizione per “scarso rendimento”. Durante lo sciopero vengono bloccati alcuni camion che portano i cofani delle auto all’esterno e viene esercitata una certa vigilanza sulle linee per controllare che queste non funzionino. La direzione risponde prontamente con l’invio di dieci lettere di ammonizione agli operai che bloccano l’uscita dei camion. Anche al secondo turno gli operai non iniziano neppure a lavorare.
Lotte contro la repressione anche alla SPA Stura. I 120 operai della sala-prova motori scioperano due ore durante le quali organizzano un’assemblea, contro le lettre di ammonizione per “lavoro discontinuo” che hanno colpito due operai. La direzione di questa sezione della Fiat, definita anche dalla FLM la più reazionaria delle direzioni Fiat, sta portando un duro e continuato attacco al movimento con i licenziamenti, quali tutti per assenteismo (da dopo le ferire ad oggi sono circa 300) e con le lettere di ammonizione (circa 3.000). su questo problema molto sentito a livello di massa, il C.d.F., egemonizzato da quadri del PCI, è assente con qualsiasi tipo di iniziativa. Ma le avanguardie non accettano di subire passivamente un tale attacco ed organizzano puntualmente la lotta di reparto.

Lunedì 25 novembre. E’ in questa situazione di lotte spontanee, che peraltro dimostrano l’incapacità delle avanguardie nell’organizzare la forza operaia sul terreno dello scontro di potere, passando così da un terreno difensivo a un terreno di attacco, che intervengono, le Brigate Rosse. Diversi nuclei armati colpiscono, con l’incendio delle auto, cinque rappresentanti del “fascismo fiat”. Con tale azione le B.R. si propongono di fare chiarezza sullo scontro che si sta giocando oggi tra classe operaia e padroni, e dare un’indicazione valida alle avanguardie. Tale indicazione viene recepita dalle avanguardie e martedì, dopo che all’uscita del secondo turno le B.R. hanno gestito l’azione con un volantino davanti a tutte le porte di Mirafiori, alcuni compagni si organizzano per dare una continuità alla rappresaglia.
Poco dopo la mezzanotte viene letteralmente pestato sotto casa sua il c.r. GAMBA Giovanni dell’off. 81 (meccanica 2); costui era ben noto come un “provocatore incallito” e si era sempre distinto come un fedele del C.O. ROCATTI Angelo, quest’ultimo già colpito nel ’73 da un altro nucleo armato.
Durante la giornata vi sono stati alcuni momenti di lotta alle Presse: all’off. 68 continua la lotta contro i provvedimenti disciplinari e l’aumento dei carichi di lavoro, gli addetti alla lavorazione della 131 si fermano per tale motivo dalle 8 alle 10. All’off. 67, in lotta da diversi giorni per gli stessi motivi dell’off. 68, gli operai decidono di autodeterminare i ritmi, rinnovando la decisione di continuare gli scioperi in caso d’intervento dei cronometristi. All’off. 65, una squadra si ferma mezz’ora contro un capo squadra bastardo.
Durante la giornata vi sono stati alcuni momenti di lotta alle Presse. All’off. 68 continua la lotta contro i provvedimenti disciplinari e l’aumento dei carichi di lavoro; gli addetti alla lavorazione della 131 si fermano per tale motivo dalle 8 alle 10. All’off. 67, in lotta da diversi giorni per gli stessi motivi dell’off. 68, gli operai decidono di autodeterminare i ritmi, rinnovando la decisione di continuare gli scioperi in caso d’intervento dei cronometristi. All’off. 65, una squadra si ferma mezz’ora contro un capo squadra bastardo.
Durante la mattina sulla linea della 131, alle carrozzerie, il lavoro viene sospeso per un’ora dalla direzione per rappresaglia ad uno sciopero avvenuto ieri alle Presse.
Anche alla SPA si verifica uno sciopero sulla linea montaggio motori contro l’aumento dei carichi di lavoro.
Ma Agnelli sta già mettendo in atto il suo progetto contro il movimento operaio, stringendo attorno alla classe operaia la gabbia dei sindacati e dei riformisti. Alla riunione del direttivo della FLM tenutasi martedì 27, viene data notizia di una raggiunta bozza d’accordo tra la Fiat e i sindacati di categoria (raggiunta dopo una serie di incontri informali tenutisi a Roma tra le due parti, dei quali nessuno era al corrente) per la “cogestione della crisi”. Il sindacato vuole saggiare il terreno prima di affermare esplicitamente la già avvenuta conclusione dell’accordo.

Mercoledì 27 viene proclamato un altro sciopero di 4 ore per la vertenza generale. A Mirafiori le percentuali di partecipazione non sono molto elevate. Si è però sviluppato moltissimo il dibattito sull’azione delle BR. Le avanguardie discutono sulla proposta politica delle BR, mentre a livello di massa si registra un consenso generalizzato e nei reparti dove lavorano coloro che sono stati colpiti vi è un entusiasmo di massa. All’off. 65 delle Presse dove lavora uno dei puniti, il c.s. GRISOTTO, c’è una partecipazione allo sciopero molto più alta del solito, gli operai tendono ad unirsi in corteo ed esprimono il loro odio contro i capi.
Che la lotta armata in fiat continua ad esistere, trovando un terreno sempre più favorevole sul quale svilupparsi, l’hanno capito anche le gerarchie aziendali, soprattutto i quadri intermedi, tra i quali serpeggia la paura di rappresaglie. In quasi tutte le officine i capi si sono rabboniti e messi in silenzio. All’off. 81 dove lavorava il c.r. Gamba, i c.r. ed i c.s. si sono riuniti giovedì 28 in assemblea per rivendicare alla direzione il loro ruolo di “tecnici della produzione” e rifiutare quello di “poliziotti degli operai”. Le azioni di propaganda e di rappresagli hanno quindi aperto contraddizioni e smagliature nell’apparato di controllo.

Sabato 30 novembre viene firmata l’ipotesi di accordo tra Fiat ed FLM. Il sindacato è ormai deciso a farla approvare con qualsiasi mezzo agli operai. I vertici sindacali hanno accettato il ruolo che Agnelli ha loro assegnato, sospinti da una parte dal PCI, che illusoriamente vede nel patto sociale un primo passo verso il compromesso storico, e dall’altra  dalle forze politiche e sindacali di destra che auspicano l’ordine imperialista.

Dalla firma del patto sociale al marzo 1975

Lunedì 2 e martedì 3 dicembre i sindacalisti si presentano alle assemblee operaie per la discussione dell’”ipotesi” di accordo, con la precisa volontà di non permettere lo svilupparsi del dibattito politico. I termini dell’accordo vengono infatti presentati con un vocabolario tecnico e su tale terreno viene imperniato tutto il dibattito. Le assemblee, per altro, sono disertate da un numero altissimo di operai che manifestano in questo modo il loro rifiuto alla politica sindacale. Solo poche avanguardie cercano con i loro interventi di sviluppare il dibattito politico, ma ottengono scarsi risultati. Il dibattito, dove si sviluppa, viene incentrato dagli operai, sulle prospettive della lotta, sullo sciopero generale del 4 dicembre, sullo sviluppo della lotta interna.

Quando il 5 dicembre i segretari dell’FLM firmeranno definitivamente l’accordo, non potranno certo dire che la classe operaia della Fiat abbia espresso il proprio consenso attivo.

Mercoledì 4 dicembre. Lo sciopero generale è molto atteso dalla classe operaia torinese. Davanti ai cancelli di Mirafiori le avanguardie si danno appuntamento fin dalle quattro del mattino. I picchetti, anche se non molto numerosi, sono duri e combattivi; molti operai non vogliono neppure andare alla manifestazione per continuare i picchetti. I crumiri hanno capito l’aria che tira e sono in pochi a presentarsi. Solo di fronte alla porta 7, sul marciapiede opposto all’entrata, stazionano una cinquantina di conigli seminascosti dalla nebbia; impauriti dalla bellicosità dei compagni. Nel corteo che si snoda la volontà di lotta è tangibile. La questione del potere è al centro delle parole d’ordine molte di queste sono rivolte contro il SIDA, Vanni, Scalia.
Nonostante tutto ciò, dell’accordo non se ne parla, il dibattito non si è ancora sviluppato, ma la giornata di lotta dimostra che la classe operaia di Mirafiori non ha alcuna intenzione di stringere un patto neo-corporativo con Agnelli.
In questa situazione vi è una reale esigenza delle avanguardie più coscienti di politicizzare il più possibile lo scontro per far fallire il progetto neo-corporativo che Agnelli e vertici sindacali vogliono portare avanti contro gli interessi della classe operaia.

Mercoledì 11 dicembre per assolvere a tale esigenza, le B.R. fanno un primo passo colpendo il SIDA. Questa azione viene gestita con un comunicato.

Giovedì 12. L’azione delle B.R. si pone al centro del dibattito di massa. Nel movimento ci sono due reazioni entrambe positive: la prima, a livello di massa, di consenso generalizzato e di entusiasmo, stante a dimostrare la giustezza dell’obiettivo colpendo il quale le BR hanno saputo assolvere ad un bisogno politico di massa; basti pensare che l’FLM non ha distribuito alcun volantino per stigmatizzare l’azione, ed il PCI non ha inscenato i suoi interventi diffamatori. La seconda reazione, avutasi a livello di avanguardie, è rappresentata dallo sviluppo del dibatto politico sul progetto neo-corporativo e sull’esigenza di organizzarsi sul terreno dello scontro armato di potere per poter attaccare tale progetto.
Anche la Fiat prende posizione in modo concreto, dimostrando molto esplicitamente come si articoli il progetto di Agnelli: le porte di Mirafiori e di Rivalta vengono militarizzate dalle 5 del mattino fino all’uscita del secondo turno, davanti ad ogni porta staziona un poliziotto in borghese, questa volta non più sulla solita 128 bianca, bensì su Fiat 127 ed A 112 per meglio mimetizzarsi.
Ma la Fiat inizia a muoversi anche su un altro piano, dimostrando cosa realmente significhi “cogestione della crisi” sul terreno della fabbrica. Alle carrozzerie vengono iniziati massicci trasferimenti dalla lastroferratura al montaggio e viceversa con una procedura mai adottata. Inoltre, ha già avanzato la richiesta di 4.000 comandati alle Presse durante il ponte natalizio. Durante il ponte la Fiat vuole mandare avanti la produzione sulle linee che “tirano” (come la 131) e portare avanti una grande ristrutturazione nei reparti con l’introduzione di nuovi macchinari, spostamenti di linee, diminuzione dell’organico. In questo piano di ristrutturazione interna, è già stata data conferma della decisione di immettere anche a Rivalta una linea della 131 al posto di una linea della 128.
A questi provvedimenti si lega l’inasprimento della rappresaglia contro la lotto: in carrozzeria viene sospesa la lavorazione della 131 al secondo turno, in risposta alla lotta che gli operai della verniciatura al circuito 3, stanno facendo per l’aumento delle pause.

Lunedì 16. Oltre alla richiesta di 4.000 comandati per le Presse, la Fiat ne ha avanzate altre simili (1300 comandati nelle officine di attrezzeria, 900 in lastroferratura, 1000 alla manutenzione stampi); inoltre ha richiesto un numero elevatissimo di straordinari durante il ponte. Attraverso la contrattazione su questi punti tra consigli di settore a direzione aziendale, viene ridotto il numero di comandati, messi a punto i giorni in cui questi dovranno lavorare e respinta da richiesta di straordinari. Al di là dei risultati contingenti della trattativa, è ormai un dato di fatto che la contrattazione avviene sui punti dettati dalla Fiat e non viceversa.

Venerdì 20 dicembre inizia il lungo ponte natalizio che si concluderà il 13 gennaio.

Martedì 7 gennaio. Si aprono 4 giorni di trattative all’Unione Industriale per vedere la situazione dei livelli di produzione invenduta. La fiat dà notizia che le auto invendute sono aumentate di 30.000 unità e quindi pone come propria esigenza il ritorno alla C.I. (2 giorni alla settimana per i prossimi mesi); questa volta la richiesta di C.I. viene avanzata anche per i veicoli industriali. Tutto ciò era prevedibile.
Alle richieste del sindacato di affrontare una trattativa più globale sulla diversificazione produttiva, un nuovo piano di sviluppo per i trasporti, la delegazione della Fiat risponde che il monopolio non vuole prendere impegni di alcun genere, quindi: no allo stabilimento per autobus a Grottamarina, no alla diversificazione produttiva, no alla nuova organizzazione del lavoro. La Fiat non intende certo realizzare tali obiettivi come richiede il sindacato, ma li realizza secondo i propri interessi.
Di fronte a tali posizioni, l’FLM abbandona la proposta della “trattativa globale” e scende a discutere le proposte della Fiat singolarmente. Viene così esplicitamente dimostrato come i vertici sindacali, accettando la logica della “cogestione della crisi”, si siano posti in una posizione nettamente subordinata ai progetti di ristrutturazione del grande capitale.
Negli ambienti dell’Unione Industriale si inizia a ventilare la notizia di un possibile aumento dei listini da parte della Fiat.

Martedì 14 gennaio, la Fiat minaccia sospensioni del lavoro anche alla Lancia.

Mercoledì 15 viene riunito il coordinamento dei delegati FIAT OM Autobianchi Lancia per discutere i risultati della trattativa. In questa riunione vi è una sostanziale paralisi di iniziativa. Vi è ugualmente una forte richiesta da parte dei delegati di uscire dalla genericità degli obiettivi e di rompere le trattative se la FIAT non dà garanzie su di essi; interventi questi pur sempre subordinati alla linea di condotta sindacale, ma che tentano ugualmente di rompere l’immobilismo e l’ambiguità dei vertici sindacali.
Vi è anche posto il problema delle piccole fabbriche che stanno subendo da tempo un durissimo attacco all’occupazione. A tutte queste richieste operaie la FLM non dà alcuna risposta. Da questa riunione non è uscita alcuna proposta concreta di lotta, che sapesse liberarsi dal circolo vizioso della trattativa.
In coincidenza con tale riunione, vengono confermate le sospensioni alla Lancia e vengono annunciati 33 licenziamenti per assenteismo alla SPA Stura oltre alla costituzione di un apposito ufficio che dovrebbe controllare le assenze di ogni operaio, per procedere poi ai licenziamenti da un’officina all’altra. All’off. 76 il 50%  degli operai rimangono inattivi e pagati in economia, sicuramente in attesa di essere trasferiti altrove.
Anche Agnelli sceglie la giornata di oggi per fare un suo pubblico intervento, nel quale espone con dati e cifre le prospettive di sviluppo del monopolio nei diversi settori. Inoltre sottolinea che l’aumento del 18% del fatturato è dovuto soltanto all’aumento dei prezzi dei prodotti e non ad un aumento delle vendite di questi; per  questo conclude rinnovando un invito ai sindacati ed al governo a collaborare con le forze imprenditoriali per una gestione comune della crisi.
Anche gli operai riprendono a farsi sentire dopo essere stati per più di 30 giorni fuori dalla fabbrica. All’Off. 77 vi è uno sciopero di mezz’ora contro l’ammonizione fatta dal capetto SICCO ad un compagno, dopo un litigio per il problema delle tute. Gli operai si recano in corteo dal capo Off. per ottenere l’assegnazione delle tute.

Giovedì 16 gennaio riprendono le trattative all’Unione Industriale. La Fiat si rende disponibile ad una intesa sui giorni di cassa integrazione, ma per quanto riguarda la garanzia della piena occupazione per i 350.000 operai delle ditte fornitrici, rimanda tutto all’Unione industriale, dimostrandosi disponibile a trattare solo sul salario garantito. Ciò significa voler permettere i licenziamenti di massa nelle piccole e medie fabbriche da usare poi come ricatto terroristico nei confronti degli occupati Fiat.
Riprendono anche le trattative a Roma alla Confindustria sulla vertenza sindacale d’autunno.
A Mirafiori una squadra del montaggio della 131 fa la sua prima fermata dopo il ponte, contro i carichi di lavoro, scombussolando la produzione su tutta la linea; le fermate di questa squadra continueranno fino al 27 gennaio con una intensità di una o due al giorno.

Sabato 18, all’Unione industriale si conclude la trattativa con un’altra resa dell’FLM alle esigenze della Fiat. L’accordo prevede 13 giornate di C.I. per i tre mesi successivi e nessun impegno da parte della Fiat per ciò che riguarda l’occupazione nelle fabbriche fornitrici; lo stesso dicasi per gli investimenti al Sud e per un nuovo piano per i trasporti. Sindacati e PCI esaltano questo accordo come una grande vittoria, dimostrando ulteriormente la loro disponibilità al progetto neo-corporativo imperialista della Fiat.

Lunedì 20 viene raggiunto anche alla Lancia un accordo simile a quello raggiunto sabato scorso tra FLM e la Fiat.
Si sta già preparando lo sciopero generale dell’industria di giovedì   prossimo, proclamato dalle Confederazioni a sostegno della vertenza generale. Sarà una scadenza importante per il movimento, che saprà esprimersi sugli accordi che Fiat e vertici sindacali continuano a far subire alla classe operaia. Il dibattito politico sulla linea neo-corporativa si è infatti via via sviluppato, rafforzato da fatti nuovi come l’accordo sindacati-Enel sulle tariffe della luce elettrica, e dalla constatazione di come marcia a gonfie vele il processo di ristrutturazione dei padroni sia nelle grandi che nelle piccole fabbriche.

Martedì 21, alla Confindustria viene raggiunto l’accordo sul salario garantito e si apre ora la trattativa sulla contingenza e sull’aumento delle pensioni. Già è visibile il cedimento delle Confederazioni alla politica economica del governo (è sufficiente guardare le misere richieste salariali in questa vertenza, di fronte all’erosione impressionante dei salari).
Anche la vertenza generale d’autunno è vicina alla chiusura dopo di che i margini di mobilitazione offerti dal sindacato verranno ulteriormente ridotti.
Si riunisce il consiglio del montaggio e della verniciatura alle carrozzerie per discutere l’accordo di sabato 18; su sei intervenuti nessuno esprime un giudizio positivo.
Il SIDA dà la sua adesione allo sciopero del 23. Da circa un mese il SIDA ha abbandonato il suo velenoso linguaggio e prende sempre più una posizione morbida nei confronti della FLM e delle sue iniziative, come per ultima l’adesione allo sciopero generale. Ciò è senza dubbio dovuto a due fattori o ad uno solo di essi: 1) dopo l’attacco subito dalle BR il mese scorso, ne è conseguito per il Sida un forte isolamento da parte delle forze politiche di sinistra, sindacali ed operaie; con tali manovre il sindacato giallo sta cercando di recuperare lo spazio politico che gli è stato tolto; 2) all’interno della direzione Fiat può aver prevalso, in questo momento, la linea contraria all’utilizzo del SIDA, la cui attività provocatoria tende ad accendere conflitti non ritenuti necessari in questo periodo, caratterizzato da accordi sindacali positivi per la Fiat.

Giovedì 23 gennaio sciopero generale dell’industria; la riuscita è totale e plebiscitaria in tutta Italia. Questa giornata di lotta è stata dichiarata dalle Confederazioni sindacali con molta paura: si ricordano bene le bastonate che gli operai di Napoli hanno dato a Vanni il 4 dicembre; per questo si sono adoperate per contenere al massimo la mobilitazione la forza operaia.
A Torino, polo centrale dello scontro oggi, non viene organizzata alcuna manifestazione, comizio o assemblea.  La paura dei sindacalisti di sottoporsi in una giornata di lotta ai giudizi della classe operaia Torinese è molto forte. Ma la forza operaia si sa ugualmente esprimere ai picchetti, ponendo ancora una volta come obbiettivo della lotta il potere. A Mirafiori i i picchetti sono forti e organizzati. I muri di cinta tra i cancelli vengono controllati dagli operai; appena i crumiri si avvicinano per saltare il muro, vengono subito bloccati e puniti dai compagni che si precipitano sul posto in auto. Tre crumiri, l’impiegato Stefano Forneris e gli operai Angelo Ceridono e Remo Spalla che tentano di sfuggire al controllo dei picchettanti la porta 9, rimangono feriti. Anche alla SPA Stura, i picchetti sono molto duri ed organizzati più del solito. Anche qui i crumiri che tentano di sfondare i picchetti vengono puniti; uno di questi, tale Gildo Cappato operaio, viene colpito al viso con un tubolare di una bicicletta che qualche operaio si è portato per meglio fare il suo servizio di picchetto. Anche la direzione, la più reazionaria della fiat, si muove: al picchetto davanti alla palazzina impiegati, i guardioni richiedono il nome ad una avanguardia del gruppo “Avanguardia Comunista”, accusandolo di aver usato violenza contro alcuni impiegati. Il compagno sarà subito licenziato. La mossa è premeditata; i guardioni non vanno a caso ma scelgono un compagno molto conosciuto e altrettanto scomodo al potere.

Giovedì 25 gennaio viene firmato alla Confindustria, l’accordo sulla contingenza.

Lunedì 27, il delegato di una squadra del montaggio delle 131 in lotta dal 16 gennaio, andato in direzione per trattare, trova nell’ufficio anche il rappresentante del SIDA. Questa è una cosa che la Fiat non osava fare più da tempo. Il delegato si rifiuta di parlare e se ne va subito.

Martedì 28 gennaio, alla Fiat di Rivalta vengono messi in libertà 300 operai del primo turno e 4.000 del secondo per rappresaglia contro la lotta degli operai della pomiciatura, che continuano a fare pause di 15 minuti ogni ora contro la pretesa della direzione di ridurle a 10 minuti.
All’Osa – Lingotto, ci sono due scioperi di un’ora. Alle Presse contro gli aumenti dei ritmi e alla 128 contro la pretesa di abolire un turno alla cui decisione ne sarebbero conseguiti massicci trasferimenti.

Giovedì 30 alle Carrozzerie il montaggio finale della 131 sciopera un’ora contro gli aumenti dei ritmi e un’altra ora di sciopero viene fatta alla finitura sedili contro gli spostamenti.
Alla SOT (Sezione Officine Telai) il consiglio di fabbrica invita gli operai alla lotta contro i numerosi trasferimenti fatti da questa sezione, alla SPA Stura e alla Ricambi, imposti dalla direzione senza contrattarli con i delegati. E’ da osservare che sempre alla SPA erano già stati trasferiti 3.000 operai di Mirafiori e sempre qui, alla SPA, dal dopo ferie ad oggi i licenziamenti hanno già raggiunto una cifra che si aggira attorno a 400.

Domenica 2 febbraio, i giornali rendono ufficiali gli aumenti dei prezzi di listino attuali dalla Fiat. Questi aumenti raggiungono una media del 7,7%. Anche una utilitaria diventa sempre più inaccessibile ai proletari.

Mercoledì 5 febbraio. Le lotte interne contro i tentativi della Fiat di aumentare lo sfruttamento diventano sempre più frequenti e più forti. Alle carrozzerie di Mirafiori una squadra a monte del montaggio della 131 si ferma determinando il blocco dell’intera linea; la Fiat, per non aumentare la tensione non si azzarda ad attuare la “messa in libertà”.
Anche a Rivalta viene bloccata tutta l’intera lavorazione della 128; nei giorni precedenti vi erano state altre fermate ed un corteo che, uscito dalla fabbrica, era andato a manifestare sotto la palazzina degli uffici.
Alla Fiat Materferro da tre giorni si sono fermate; oggi, la fabbrica viene completamente bloccata da un corteo che spazza tutti i reparti.

Lunedì 10 febbraio ci sono altre due ore di sciopero sulla linea della 131 contro i carichi di lavoro.
Alla SPA – Centro gli operai danno una forte risposta di lotta contro il tentativo della direzione di allestire una sede Cisnal dentro la fabbrica.
Tutta la fabbrica si ferma e si forma un corteo di 1.000 operai che si reca sotto la palazzina degli impiegati, ed una delegazione di massa prosegue negli uffici della direzione. A riceverli è il figlio di Amerio, responsabile dei rapporti col personale, che risponde in modo molto esplicito: “tutti i sindacati hanno diritto di cittadinanza”. Vista però la decisa volontà degli operai di andare fino in fondo nella loro lotta antifascista, alla direzione non resta di meglio che far sospendere i lavori di allestimento della sede.

Mercoledì 12 febbraio, per la prima volta i sindacati organizzano un’assemblea regionale dei delegati delle fabbriche dell’ “indotto Fiat”, cioè delle ditte fornitrici. L’attacco spietato che da mesi viene portato agli operai di queste piccole e medie fabbriche con la C.I. e con massicci licenziamenti, serve ad Agnelli per accerchiare gli operai Fiat facendo pesare come ricatto la disoccupazione crescente. Ma in tutte queste fabbriche colpire, sono esplose situazioni di lotta che in moltissimi casi hanno raggiunto l’occupazione della fabbrica (Vignale, Gallino, Cromodora, Moretti, Sicam, Altissimo, Camerano, Termonafta, ed altre). Gli obbiettivi di queste lotte sono precisi: ritiro della C.I. e dei licenziamenti. Queste realtà di lotta, che spesso sfuggono al controllo revisionista, diventano un polo di aggregazione di tutte le avanguardie di Torino, comprese quelle della fiat, risultato di ciò è che tra tutte questa avanguardie si sviluppa un forte dibattito politico tendente a trasformare le avanguardie di lotta in avanguardie politiche; in queste situazioni di lotta il dibattito politico sul progetto neo-corporativo e sui compiti delle avanguardie oggi, trova un terreno sempre più  favorevole sul quale svilupparsi. Una situazione quindi inaccettabile per i sindacati difensori del patto sociali; per ristabilire il controllo su tale situazione il sindacato cerca di spostare tutte queste lotte su una piattaforma per tutto il settore dell’ “indotto Fiat”. Obiettivo primo di questa piattaforma, è l’estensione dell’accordo Fiat FLM a tutto il settore dell’indotto.

Giovedì 13 alla lastroferratura dell’Off. 68, gli operai di una squadra della 132 si fermano un’ora contro l’aumento dei ritmi.
Anche gli impiegati partono con la lotta: impiegati del servizio amministrativo della Sud Presse scioperano per tutta la giornata contro licenziamento di un’impiegata a contratto a termine.

Lunedì 17 la stessa squadra dell’Off. 68 che ha scioperato giovedì, fa un’altra fermata contro i ritmi.
Alle carrozzerie, linea della 131, una squadra fa due ore di sciopero per cacciare un operatore bastardo; questo fatto preoccupa abbastanza la direzione, tanto che i “vaselina” vengono subito mandati nel reparto. Vistasi ugualmente costretta a trasferire l’operatore, la direzione fa di tutto perché il fatto non venga pubblicizzato, per paura che se ne possano verificare altri simili.

Martedì 18 febbraio, come una beffa alle speranze del sindacato di concordare con la Fiat nuove linee di sviluppo e di diversificazione produttiva, la direzione Fiat chiede 15 giornate di C.I. per i veicoli industriali, cioè  per gli stabilimenti di SPA Stura, SPA Centro e SOT di Torino OM di Brescia e di Suzzara. Un totale di 18.000 operai che dovrebbero lavorare 2 giorni alla settimana, a partire dall’ultima settimana di febbraio fino alla fine di aprile.
Emerge chiaro che il problema per la Fiat, è una ristrutturazione a livello internazionale del settore veic. Indus. (come dimostra la costituzione della Holding Europea con la tedesca KHD e la Francese Unic, oltre al conseguente trasferimento di alcune lavorazioni in Francia), mentre in Italia assistiamo alla richiesta di C.I. unita a drastici aumenti di sfruttamento (alla SPA di Stura, in alcuni periodi lo straordinario volontario o coatto per il turno di notte raggiunge in alcune officine l’80%, oltre ad aversi un costante aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro). Con la richiesta di C.I. e con le dichiarazioni apocalittiche sulla situazione del settore Agnelli si propone un duplice obiettivo: attaccare e colpire l’organizzazione operaia e spingere il governo ad aiutare la Fiat con misure creditizie e di rilancio del settore.
Si susseguono, intanto, le fermate all’Off. 68 per gli organici, l’ambiente ed i ritmi: i 650 operai della Lastroferratura 131 fanno due ore di sciopero sia nel primo che nel secondo turno.
Anche alla Fiat Materferro continua la lotta contro gli aumenti di produzione; dopo una serie di fermate, gli addetti al furgone 124 hanno continuato a fare 40 veicoli contro i 43 pretesi dalla direzione.

Venerdì 21 febbraio inizia un altro ponte che si chiuderà il 3 marzo.
Durante questi giorni, naturalmente, la 131 “tirerà” a pieno ritmo.

Martedì 25 febbraio c’è un’altra fermata di un’ora e mezza degli operai della revisione 131 all’Off. 68, contro gli aumenti di produzione, e due multe per “voluta lentezza”. Questa officina esiste da solo un anno come Lastroferratura ed è la più colpita dalla ristrutturazione interna; alle continue fermate che si verificano da un certo periodo di tempo, la direzione risponde con i trasferimenti delle avanguardie.
In tre uffici amministrativi delle carrozzerie, gli impiegati scioperano due ore contro i licenziamenti per i contratti a termine.
Intanto, la Fiat richiede il ritorno alle 40 ore per la 126 e lo slittamento della quarta settimana per la 131.

Alla riunione Nazionale di gruppo dell’FLM riunitosi oggi viene deciso uno sciopero per il gruppo veicoli industriali Fiat per il 4 marzo; per l’FLM non è altro che uno sciopero di pressione.

Lunedì 3 marzo viene ripreso il lavoro dopo il ponte e puntualmente riprende anche la lotta. Alla SPA due squadre dell’Off.2  scendono in sciopero per un’ora contro la nocività e l’aumento delle pause. A Mirafiori vi è una fermata di un’ora alla sezione produzione elettronica. Anche la direzione si muove nella sua ristrutturazione: in Meccanica 40 operai del 1° e 2° turno dei cambi vengono trasferiti ai motori della 127, 131, 132 USA.

Martedì 4 marzo, sciopero nel settore dei veicoli industriali e dell’ “indotto auto” in concomitanza con lo sciopero nazionale dei trasporti. Per i sindacati vuole essere un momento di maggior pressione per una nuova politica dei trasporti, ma gli operai della SPA Stura lo fanno diventare un grande momento di lotta. Infatti, durante le tre ore di sciopero fatte internamente, si formano due grossi cortei alle meccaniche ed alle carrozzerie, che, dopo aver bloccato tutte le linee e le lavorazioni individuali, si unificano e si dirigono negli uffici degli impiegati. E’ stata una decisa risposta alle richieste di C.I. della Fiat e non una richiesta di un nuovo piano per i trasporti.
Alla SPA Centro lo sciopero registra un’adesione del solo 30%. Questa è la conseguenza dei numerosi trasferimenti che la direzione ha attuato in questo periodo. Anche a Mirafiori le lotte continuano: alle presse, per esigere l’esonero dal turno di notte, i 150 operai che fanno le 150 ore di studio, organizzano un corteo che percorre i reparti con striscioni e cartelli e col lancio di parole d’ordine. Il corteo esce e si dirige verso la palazzina impiegati per andare a “trattare” con la direzione; qui, porta 16, gli operai iniziano ad abbattere il cancello che era preventivamente stato chiuso dai guardioni. A questo punto, per evitare che la situazione si metta veramente male, il vice direttore del personale GATTI, ordina ai guardioni di aprire il cancello e lasciare entrare il corteo che si scioglie.
Il SIDA, che ha aderito allo sciopero proclamato dall’FLM, organizza oggi un’assemblea nazionale dei suoi 400 delegati per discutere sulle “prospettive della federazione ai fini dell’unità dei movimenti democratici ed autonomi”. La Stampa di domani esalterà la riuscita del convegno, mentre da una inchiesta risulta che è riuscito malissimo con scarsissima partecipazione.
All’unione Industriale riprendono le trattative. La Fiat richiede il ritorno alle 40 ore per la 126, lo slittamento della quarta settimana di ferire per gli operai della 131, 15 giorni di C.I. nel bimestre marzo aprile per i veicoli industriali. L’FLM con la prassi ormai consueta, propone una trattativa “globale”, ma poi scende a trattare i vari punti singolarmente.
Alcune brevi considerazioni:
In queste pagine di diario, si può constatare che la classe operaia della Fiat non ha assolutamente accettato e fatta propria la linea neo-corporativa del patto sociale, e la sua identità di classe è sempre viva. Le continue lotte autonome che si verificano tutti i giorni nei reparti contro gli aspetti della ristrutturazione, mettono continuamente in crisi questo progetto in quanto rompono la pace sociale e mantengono lo scontro su un terreno di classe.
Lo scontro, però, non può rimanere rinchiuso sul terreno decisivo dello Stato, e questa è oggi l’esigenza prima dell’avanguardia di Mirafiori. Ma tale avanguardia vive la contraddizione di non sapersi dare una strategia ed una tattica sulle quali muoversi per affrontare tale terreno di scontro. La perdita di credibilità per gli strumenti usati fino ad oggi, spinge il partito di Mirafiori alla ricerca di una strategia politica complessiva; ma la frantumazione ideologica delle avanguardie e la loro  eterogeneità, rallentano il processo di affermazione di una strategia precisa. Il partito di Mirafiori rimane così una forza senza strategia né tattica, ma la sua attenzione, fatto positivo, è rivolta tutta sul terreno politico.

Marzo 1975

Fonte: Lotta armata per il comunismo

CRONACA DELLE LOTTE ALLA FIAT MIRAFIORI E ALLA SPA DI STURA

GIUGNO-LUGLIO 1975

I recenti  passi di Agnelli verso la costruzione dello Stato imperialista delle multinazionali.
Dopo la firma di novembre, del “patto sociale” coi sindacati, altro passo del progetto neo-corporativo, G. Agnelli sta attuando una precisa strategia confindustriale attraverso la quale si propone di intervenire direttamente sullo Stato.
Nel suo ultimo discorso all’assemblea annuale della Confindustria ha accusato “l’insufficienza della guida politica”, lo sviluppo del “parassitismo” e degli “sperperi” dell’industria pubblica. Con i ripetuti richiami all’“efficienza” ha in sostanza voluto reclamare “l’efficienza” stessa come nuovo metro  per la distribuzione del potere nella società. E poiché in questi anni di “crisi” secondo Agnelli la struttura più solida ed efficace è stata l’industria privata, questa deve diventare il polo di potere economico, politico ed ideologico, lo Stato deve quindi uniformarsi alle esigenze della stessa.
Auspicando un nuovo modo di governare, Agnelli non intende distogliere l’attenzione della DC come ha dichiarato all’“Espresso”, né un calo troppo forte né un grande rialzo elettorale della DC gli vanno bene.
La risoluzione del problema non viene quindi individuata nella modifica degli attuali equilibri politici tra i partiti dell’area costituzionale, ma nel rinnovamento della DC stessa, che deve sempre rimanere il partito di governo nei suoi uomini e nelle sue funzioni. Una DC che sappia assolvere a pieno alle esigenze economiche e politiche delle grandi multinazionali, che sappia quindi stabilire l’ordine imperialista delle multinazionali nelle strutture dello Stato e nella società.

LA RISTRUTTURAZIONE ALLA FIAT

All’offensiva sono ancora i padroni e non il movimento. Dobbiamo partire nella nostra analisi da ciò che fa il nemico…..

Le linee sulle quali la FIAT sta sviluppando la propria ristrutturazione rimangono quelle già espresse nelle relazioni di Marzo: “la fase attuale della ristrutturazione alla FIAT”. Ad esse quindi rimandiamo. Qui possiamo solo fornire alcuni elementi che dimostrano ciò che si era già detto.
Nell’assemblea annuale degli azionisti FIAT, G. Agnelli ha ribadito che  “il nuovo modello di sviluppo” è inaccettabile e che la FIAT continuerà a puntare in misura massiccia sulle esportazioni di auto all’estero (che sono salite dal 40% al 45% della produzione con una quota di penetrazione sul mercato comunitario salita dal 16 al 17,59%) e a ridurre i consumi interni (la domanda per il settore dell’auto è caduta in Italia del 22%).
Investimenti fatti dalla FIAT nel ’74 hanno raggiunto un massimo mai raggiunto di 353 miliardi contro i 237 miliardi del ’73, ma questi investimenti come si è visto non sono certo andati nel senso del nuovo modello di sviluppo.
Le richieste di cassa integrazione fatte in questi giorni per lo stabilimento di Termini imerese, stabilimento che secondo i programmi del ’73 doveva essere potenziato, dimostra ulteriormente quali sono le tendenze della FIAT.
Nell’attuazione della strategia di “diversificazione produttiva” e sulla linea dell’efficientissimo produttivista, Agnelli ha ultimamente più volte confermato un obiettivo della FIAT: quello che egli chiama “il massimo utilizzo delle risorse del paese” cioè del capitale e della forza lavoro.
Ciò vuol dire massimo utilizzo degli impianti esistenti, quindi massima intensificazione dello sfruttamento operaio, e puntare ad avere la possibilità di trasferire masse intere di lavoratori da settori di produzione ad altri (dall’auto ai progetti speciali, ai prodotti diversificati, ecc…), oltre ad avere una mobilità operaia all’interno di uno stesso settore, che peraltro è già da tempo praticata in modo massiccio. Ma per il raggiungimento di tale obiettivo, l’ostacolo più grosso che la Fiat si trova a dover superare è sempre la capacità di resistenza e di attacco della classe operaia. Il sindacato deve assumersi da una parte buona parte del compito di abbattere questo ostacolo: lo ha ricordato l’avvocato nelle sue recenti dichiarazioni.
Per il finanziamento della sua ristrutturazione, la Fiat punta ad avere fonti di finanziamento non più solo nell’azionariato, che si dimostra di fornire capitali nettamente insufficienti (nel ’74 per la prima volta nella storia, la Fiat è ricorsa alle banche con la richiesta di 396 miliardi).
I nuovi capitali devono provenire attraverso il credito agevolato delle banche e attraverso i finanziamenti diretti da parte del governo, il quale non deve più indirizzare capitali per mantenere in vita strutture “parassitarie” e “inefficienti”, ma deve con questi finanziare la società multinazionale.
La tendenza della Fiat a sdoppiare la produzione a livello internazionale non riguarda solo il settore auto, ma anche il settore veicoli industriali, come dimostra la costituzione ad Aprile del gruppo internazionale IVECO. Esso comprende 16 stabilimenti per la produzione di autocarri, autobus e veicoli speciali, situati in Italia, Francia e Germania, ed ha la sede centrale ad Amsterdam.
Con tale operazione la Fiat oltre a dimensionare la produzione a livello internazionale tende a comportarsi da multinazionale straniera anche in Italia
I centri decisionali ed i capitali del settore sono stati trasferiti all’estero, in Olanda e gli operai degli stabilimenti italiani sono così stati staccati dall’amministrazione torinese. Inoltre la Fiat può godere dei privilegi che lo Stato dà alle industrie straniere che investono in Italia. E’ una operazione simile a quella fatta nel ’74 con la fusione della Fiat macchine movimento terra e la Allis-Chalmers americana.

Il movimento.
Un dato di fatto che caratterizza il movimento operaio alla Fiat in particolare e nelle fabbriche torinesi più in generale è il grande salto politico dovuto alla coscienza del fatto che il terreno di scontro non può più rimanere rinchiuso all’interno della fabbrica, ma va spostato sul terreno decisivo dello Stato.
Su questo terreno dimostra una forte disponibilità alla mobilitazione ma nello stesso tempo un grosso limite in quanto si esprime, almeno in questa fase, con l’occupazione delle case (nella ultima occupazione dopo l’assassinio del compagno Miccichè come in quelle precedenti gli occupanti sono quasi tutti operai di fabbriche medie e piccole o della Fiat); la lotta ai fascisti; l’autorizzazione delle tariffe telefoniche. Dentro alle fabbriche permane quella situazione di lotte spontanee contro gli aspetti della ristrutturazione e l’intensificazione dello sfruttamento, lotte che però sono una forma di resistenza spontanea fuori da una strategia e da una tattica.
Nonostante il movimento e le avanguardie della Fiat rivolgano sempre più la loro attenzione sul terreno politico, non sono ancora state in grado di elaborare una strategia complessiva.
Dopo mesi di disorientamento e di ricerca di tale strategia le avanguardie autonome di Torino si sono raccolte attorno all’obiettivo “riduzione di orario a parità di salario”.
Si tende quindi a cadere sul terreno piattaformistico.
Per quanto riguarda i rapporti tra sindacato e classe operaia vi è una forte perdita di credibilità nella organizzazione riformista che si esprime con la diserzione delle attività sindacali da parte di delegati (nel consiglio di fabbrica delle Ferriere ci sono state dimissioni in massa) ed anche di elementi attivi anche fuori dalla fabbrica.
Per dare un’ulteriore dimostrazione riportiamo i dati degli iscritti alla FLM alle macchine di Mirafiori negli ultimi 3 anni premettendo che questi dati risentono in modo rilevante anche della politica dei trasferimenti attuata dalla Fiat:
Organico 1/6/1974        operai   15.870
Organico ./4/75        operai   18.000
Tesserati FLM ./12/73             5.979
Tesserati FLM ./12/74                   5.438
Tesserati FLM ./4/75                       4.513
Inoltre vi è sempre più un rifiuto da parte operaia alla mobilitazione per altri obiettivi come dimostrano le lotte sul terreno sociale e come ha dimostrato la “settimana rossa” dove alla testa dei cortei ed all’assalto della sede del MSI erano tutti operai delle maggiori fabbriche torinesi.
Lo sciopero generale del 22 aprile ha registrato un’adesione ed una partecipazione enorme, ma il movimento si era riversato nelle strade sotto il segno dell’antifascismo militante e non tanto per gli obiettivi per i quali tale sciopero era stato proclamato dalle confederazioni. Ma ormai la scadenza importante per il movimento è a dopo le ferie cioè per i contratti. Questo lo sanno bene anche i padroni e già si stanno preparando per arrivare a quella scadenza su una posizione di forza. Analizzare quali sono e quali saranno i movimenti dei padroni per prepararsi a tale scadenza è fondamentale; all’offensiva sono ancora i padroni e non il movimento: dobbiamo perciò partire nella nostra analisi da quel che fa il nemico per riuscire meglio ad individuare la nostra linea di intervento e le nostre scadenze. Vogliamo sollevare la discussione su un punto. Noi sosteniamo che vi sia in atto un chiaro progetto di spaccatura sindacale; questo progetto si può realizzare in due modi: una spaccatura vera e propria con l’uscita delle forze di destra della Cisl e della Uil per costruire poi un grande sindacato giallo in alternativa; mantenendo una battaglia disgregatoria all’interno dei sindacati da parte della destra e con la costituzione di un sindacato giallo abbastanza forte che oltre a condizionare la stessa destra sindacale funga da elemento di riscatto. Rispetto a questa ultima ipotesi il SIDA ha già iniziato a muoversi. Questo sindacato giallo tende a diventare sempre più forte non tanto dal punto di vista numerico bensì dal punto di vista politico. Il SIDA come primo passo si è unificato a livello provinciale con i sindacati autonomi di altre categorie. L’obiettivo di questa manovra è quello di costruire un sindacato giallo con una configurazione più complessiva per far si che abbia un peso politico che possa essere giocato non più solo rispetto alla Fiat ma per più ampi progetti politici.

DIARIO POLITICO DELLA LOTTA ALLA FIAT MIRAFIORI E SPA DI STURA

La lotta che a Mirafiori era partita ad aprire da settori cosiddetti “privilegiati” come i carrellisti ed i gruisti per i passaggi di categoria, sollevando molte contraddizioni tra classe operaia e burocrazia sindacale, si è via via estesa nelle officine e nei reparti agli operai delle linee.
Nel periodo di maggio e giugno, la lotta si è estesa alle Meccaniche e poi alle Presse su piattaforme di officine, raggiungendo livello di autonomia politica ed organizzativa, sia negli obiettivi che nelle forme di lotta esemplare e rivelando l’alta maturità politica della classe operaia Fiat e delle proprie avanguardie. Lo stesso si può ire per la Spa di Stura e per la Fiat di Rivalta.
All’inizio una certa spinta alla lotta veniva pure dal sindacato; per esso mantenere un certo livello di mobilitazione nella fabbrica serviva a mantenere controllabile quel malcontento esistente che sarebbe potuto esplodere da un momento all’altro in modo irrecuperabile sul piano sindacale. Un altro motivo di questa spinta da parte sindacale è dovuta alle contraddizioni generate all’interno delle proprie strutture di base dalla politica di ristrutturazione della Fiat che, attraverso l’uso indiscriminato della mobilità, toglie ogni possibilità ai delegati sindacali di esercitare qualsiasi potere.
Ma quando la lotta ha rivelato tutto il suo antagonismo di classe e il suo carattere offensivo e di potere, il sindacato non ha tardato a darsi da fare per contenerla, pompietarla ed alla fine reprimerla stipulando accordi con la Fiat che aveva l’unico fine politico di ristabilire la pace sociale in fabbrica, premessa necessaria per la “governabilità” del paese.
Vediamo ora, a partire dall’11 giugno, i movimenti offensivi, antagonistici e le contraddizioni della classe operaia Fiat e delle proprie avanguardie.
Mercoledì 11 giugno 1975. Alle Meccaniche di Mirafiori e da ormai tre settimane che la lotta sulle piattaforme di officina si sta sviluppando coinvolgendo sempre più estesi gruppi di operai.
Oggi, nei corridoi dell’off.76, dopo un incontro con la direzione Fiat la quale ha risposto negativamente su tutti i punti presentati nella piattaforma, oltre 2000 operai partecipano ad una assemblea indetta dal sindacato.
Vi è una atmosfera di combattività e di durezza pari a quella che si sentiva nelle officine al tempo del contratto. Alle Meccaniche le avanguardie stanno sul “chi vive”  pronte a respingere le provocazioni della fiat che pratica sempre più frequentemente la messa in libertà, e sono decise ad andare fino in fondo alla lotta trovando una forte rispondenza a livello di massa. In tale atmosfera gli operatori sindacali fanno discorsi “di sinistra” ma evitano di pronunciarsi sugli obiettivi della lotta, anche se non vi si possono contrapporre. Gli obiettivi delle piattaforme sono infatti autonomi: si richiedono passaggi di categoria per tutti con un rifiuto netto del discorso della “professionalità”, punto fermo per il sindacato dal contratto del ’73.
Dagli interventi emerge chiara la volontà operaia di dirigere in prima persona la lotta non delegando più nulla a nessuno. Viene denunciata con forza la latitanza dei delegati più legati al sindacato che, sconcertati dallo sviluppo dell’autonomia, non hanno ancora preso posizione nella lotta.
Alla fine dell’assemblea viene deciso di intensificare la lotta.
Otre alle assemblee sono continuati gli scioperi: i carrellisti scioperano 4 ore, un’ora la sala prova motori e un’ora gli operai dell’off.62. A fine turno la Fiat porta il suo attacco alla lotta: ad una linea del montaggio 128 vengono messi in libertà gli operai con il pretesto che i polmoni sono saturi. Nel giro di pochi minuti gli operai iniziano ad organizzare un corteo e subito i capi invitano a riprendere il lavoro: i polmoni si sono improvvisamente svuotati.
Lotte anche alle Presse. All’off.65 (grandi presse) gli operai aprono lo scontro con due ore di sciopero. Anche qui la piattaforma è autonoma: terzo livello per tutti, abolizione del turno di notte, perequazione salariale con la eliminazione degli aumenti di merito. Sempre alle Presse scioperano due ore i collaudatori dell’off.61 e 63 (piccole e medie presse), gli imbraccatori delle off. Ausiliarie e gli addetti alla manutenzione carrelli.
Negli Enti Centrali scioperano tre ore gli operai dell’off. 61.
Anche alla SPA di Stura continua la lotta per le piattaforme di off. Che hanno per obiettivi le categorie, l’aumento delle pause, gli organici. Oggi scioperano in totale 2000 operai. La lotta si è ormai estesa a tutte le Meccaniche: vengono fatte due ore di sciopero su una lunga serie di lavorazione: per la prima volta alle Meccaniche della SPA si forma un duro e combattivo corteo che gira i reparti spezzando i crumiri. La Selleria continua con una certa sistematicità con due ore di sciopero ogni turno mentre in carrozzeria gli operai delle cabine grandi “imbarcano, ogni giorno la produzione”. Questi hanno già portato avanti una lotta durata 15 giorni e sono pronti a ricominciare in quanto la carrozzeria sta mobilitandosi come pure la sala prove.
Gli operai dei pullman già dovevano scendere in lotta ieri ma una decina di trasferimenti sono riusciti a bloccare la mobilitazione. L’unico punto della fabbrica che non è pronto a partire con la lotta è rappresentato dalle 5 linee del montaggio carri: questo è infatti il punto più debole della fabbrica in quanto è predominante la presenza dei delegati della Uil, i quali, avendo fatta loro la linea del “patto sociale”, non fanno nulla per organizzare la lotta.
Anche altre sezioni Fiat sono investite dalla lotta. Alla sezione Produzioni Elettroniche, 250 operai fanno fermate articolate di mezz’ora per qualifiche e ambiente. Alla Fiat Rivalta i carrellisti delle carrozzerie scioperano oggi 8 ore per turno  per le qualifiche: altre fermate vengono fatte in verniciatura.
Al secondo turno si possono calcolare oltre 6000 operai Fiat in lotta nelle varie sezioni. Questa fase di crescita della lotta ha quindi definitivamente perso le sue iniziali caratteristiche di frammentarietà e confusione punteggiata da esplosioni improvvise, per assumere quella di un andamento più organico di alto livello politico.
Giovedì 12, alle Meccaniche di Mirafiori i carrellisti del 1 turno scioperano dalle 6 alle 9 al 100% e gli operai della sala prove fanno due ore scaglionate. La Fiat risponde con la messa in libertà: alle 6 e 30 la linea del montaggio motori della 128 ed alle 7 le 5 linee vengono mandate a casa. In quest’ultimo punto le avanguardie cercano di organizzare un corteo ma la debolezza organizzativa gioca a sfavore. Verso le 8 però gli operai del montaggio motori 128, che nel frattempo hanno imposto la ripresa del lavoro, dichiarano subito sciopero ed organizzano un corteo di circa 400 operai che, dopo aver raccolto anche i compagni delle 5  linee, si dirige alla palazzina per imporre il pagamento dell’ora di “messa in libertà”; giunti sotto la palazzina molti compagni spingono per salire in massa, ma poi sale solo una delegazione. I dirigenti rinviano la trattativa su tale questione al pomeriggio e nel contempo dichiarano ufficialmente che faranno ricorso alle multe contro gli operai che dopo la “mandata a casa” continuano a rimanere in fabbrica. In risposta a tale dichiarazione gli operai dell’off. 83 scioperano immediatamente per mezz’ora.
Al cambio turno è la volta dei democristiani che si presentano incauti a fare la loro propaganda elettorale davanti alla porta 17 delle Presse.
Anche se già sanno che a Mirafiori non hanno spazio, tentano lo stesso. Sono tre figuri, REVELLI, GIRARDI, GATTI che per prudenza si mettono di lato, un po’ nascosti. Appena però i compagni si accorgono della loro presenza si radunano tutti intorno al palco, che inizia a vacillare sotto i calci, e insultano l’oratore, lo interrompono e lo scherniscono. Ai democristiani non resta che chiudere in fretta ed andarsene, mentre il palchetto rovina al suolo. Vi è una grosso soddisfazione tra i compagni del PCI che hanno partecipato attivamente alla festa.
All’interno della fabbrica la DC trova un appoggio attivo solo tra gli uomini del SIDA, che in questo periodo pre-elettorale fanno propaganda per gente come PICCO (sindaco uscente a Torino), ARNAUD e DONAT CATTIN.
A Stura continuano con regolarità gli scioperi alle meccaniche molte lavorazioni si fermano anche oggi per 2 ore: anche la selleria continua la lotta e gli operai delle cabine grandi “l’imbarcamento” della produzione, con una perdita giornaliera di 7/8 cabine. Molti piccoli cortei girano per i reparti durante gli scioperi assicurando la totale pulizia delle linee.
Nel pomeriggio la sala prova motori convoca un’assemblea per scendere anch’essa in lotta. E’ una situazione di fermento, in cui i compagni e le avanguardie si adoperano al massimo per estendere la lotta ad ogni punto della fabbrica.
Verso sera, alla trattativa, la Fiat ribadisce la posizione di netta chiusura verso le richieste della piattaforma. I delegati decidono la rottura della trattativa e l’allargamento della lotta in tutta la fabbrica.
A Rivalta c’è uno sciopero compattissimo di due ore dei 1100 operai delle Presse e un altro, sempre di due ore, dei carrellisti della carrozzeria.
Molti altri scioperi si hanno nelle altre sezioni Fiat come all’Osa Lingotto, alle Produzioni Elettroniche, alla Ricambi di Volvera, all’Ages Fiat di Santena. In totale nelle varie sezioni Fiat sono oggi in lotta oltre 9000 operai per vertenze di reparto e di officina.
Durante la notte vengono colpite le auto di due capi off. di Rivalta:
costoro sono DOMENICO CASERTANO e ADOLFO RIZZUTI. Al primo viene distrutta la 124, mentre per l’auto del secondo il congegno incendiario (purtroppo) non funziona.
Intanto la Fiat applica un ennessimo aumento dei listini di alcune auto, che va dal 5% al 7% circa. Tra i modelli colpiti vi è anche la 126, l’utilitaria che per l’operaio diventa sempre più raggiungibile. In proposito il SIDA fa un suo pubblico intervento di “moderata critica” che La Stampa di domani riporterà addirittura nella pagina “economia finanze” senza fare un minimo accenno alle prese di posizione dell’FLM.
Venerdì 13, alla SPA Stura, alla rottura delle trattative è seguito il rilascio della lotta con una crescita enorme dell’iniziativa operaia autonoma. Alle Carrozzerie, che come già si diceva erano pronte a scendere in lotta, scioperano 2 ore gli operai delle Cabine Grandi; la Selleria che già ieri pomeriggio aveva prolungato lo sciopero da 2 ore a 4 ore contro 2 crumiri, stamattina sciopera altre 4 ore: alla puntatrice, una linea dichiara per la prima volta 2 ore di sciopero, se ne aggiungano altri ed entra in lotta anche il punto più debole della fabbrica, la linea del montaggio carri. Infine, per la prima volta in questa vertenza, scioperano ora gli operai dei pullman.
Il sindacato aveva indetto fermate solo per i reparti già in lotta e tutti alla SPA. Vi è quindi una forte spinta alla generalizzazione della lotta alla SPA sulla spinta della generalizzazione anche nelle altre sezioni Fiati: ed al centro del dibattito, al di là degli obiettivi delle varie piattaforme sta la questione del potere.
A Mirafiori i sindacalisti continuano la trattativa; gli operai continuano la lotta, alle Meccaniche, la sala prova e cabine revisioni scioperano 2 ore la linea della 128 continua la lotta contro la “messa in libertà” rimanendo in fabbrica dopo la sospensione. Sempre in meccanica all’off.78, il capo GENERO trasferisce per rappresaglia un rappresentante sindacale che difende un operaio; il reparto prontamente risponde scioperando e chiedendo il trasferimento di GENERO. Ma questo bastardo fa subito un comunicato alla direzione, in cui richiede provvedimenti contro gli operai che hanno scioperato per “abbandono del posto di lavoro”.
Anche alle Carrozzerie qualche cosa di nuovo: gli operai della pomiciatura 131 si fermano un’ora chiedono il passaggio al terzo livello ed un’ora di sciopero viene fatta da quelli della verniciatura 127 per il quarto livello e l’ambiente.
Lunedì 16 giugno, giorno dopo le elezioni. Non si sanno ancora i risultati elettorali e gli operai sia a Stura che a Mirafiori li aspettano continuando la lotta.
Alla SPA non pochi ostacoli si frappongono alla prosecuzione della grande ondata di lotta che venerdì scorso aveva impegnato praticamente tutta la carrozzeria e molti reparti delle meccaniche. Vi è infatti una sconcertante carenza di indicazioni da parte del sindacato, che ad esempio nel volantino distribuito questa mattina, stranamente, ha dimenticato di indicare le ore di inizio dei vari scioperi; inoltre sono assenti dal lavoro molti delegati impegnati ai seggi elettorali. Nonostante ciò i reparti chiave, quelli si cui si conta per la generalizzazione della lotta hanno continuato la fermata con 2 ore di sciopero. La buona riuscita della mobilitazione sta quindi a dimostrare quali livelli di autonomia e organizzazione ha raggiunto la classe operaia della SPA; questo è dunque un dato politico che caratterizza questa lotta. Un altro dato è che i terreni della lotta in fabbrica e dello scontro politico generale non sono in alcun modo separati nella coscienza operaia; questo è stato dimostrato dal dibattito politico sul terreno più generale dello scontro di classe che si è sviluppato tra la classe operaia (non solo della Spa) e ha segnato le varie tappe della campagna elettorale, dibattito nel quale la DC viene individuata come il centro politico della reazione e quindi come nemico da colpire con ogni mezzo fino alla sconfitta (si pensi alla cacciata dei democristiani a Mirafiori).
Anche a Mirafiori, pur essendo oggi lunedì, non è giorno di “morta”:
una seria nutrita di fermare blocca per periodi diversi molti reparti delle Meccaniche.
Martedì 17 sono noti i risultati elettorali.
A Torino il PCI è il primo partito con 305.790 voti, pari al 37%; la DC prende solo 194.747 voti, pari al 24%; una decisa sconfitta per il partito democristiano! La lista di Democrazia Operaia prende 10.500 voti ottenendo un seggio al Comune. La Stampa che esaltava a “Torino Laica” dopo il referendum sul divorzio, deve ora constatare, con molta preoccupazione, che Torino è rossa.
Un’ondata di entusiasmo entra in tutte le fabbriche Fiat. Nei reparti c’è aria di festa ed una accesa discussione che esalta non tanto la vittoria del PCI, come partito, bensì  la generale avanzata a sinistra come duro colpo alla DC. Alle Ausiliare delle presse i compagni alzano su una linea una improvvisata bandiera rossa. Sulle linee, durante il lavoro, molti operai se ne stanno con la radiolina all’orecchio per ascoltare i risultati.
Ai discorsi che mettono in luce la stangata democristiana, si affiancano quelli dei proletari che fino ad oggi hanno lottato con l’occupazione delle case, l’autoriduzione delle bollette ecc… e che vedono nel “Comune rosso” la possibilità immediata della soddisfazione dei propri bisogni. E’ con queste richieste, e con la richiesta di potere che viene sempre più forte dagli operai delle grandi fabbriche, che il Comune “rosso” dovrà fare presto i conti a Torino.
Anche la struttura di comando della Fiat ha avuto le sue reazioni ai risultati elettorali nelle officine i capi se ne stanno muti e girano per i reparti con molto timore, per non dire con paura!
Con l’entusiasmo dei risultati elettorali, continua la lotta: il sindacato ha dichiarato per oggi un’ora di sciopero per una serie di reparti della Meccanica di Mirafiori che registra un’adesione totale; la Sala Prove motori allunga lo sciopero di un’altra ora.
Anche alla Spa di Stura l’entusiasmo delle elezioni rafforza la lotta.
Quasi tutte le meccaniche fermano due ore. Alla “linea grande” del montaggio motori, la direzione decreta la “messa in libertà”, gli operai però non se ne vanno e dichiarano lo sciopero fino a fine turno. Al reparto acciai vari operai scioperano dalle 9 e 20 fino a fine turno in risposta all’arrivo dei cronometristi. Contro i carichi di lavoro, gli operai della verniciatura  telai scioperano 6 ore. Altre fermate si hanno in Carrozzeria. Vengono decise due ore di sciopero per domani per diversi reparti con l’intenzione di generalizzare il più possibile la lotta.
Alle Meccaniche della Spa, durante le due ore di sciopero, si verifica un episodio abbastanza singolare: gli operai formano un corteo che, dopo essere uscito dalla fabbrica, si va ad accomodare sui giardini antistanti la palazzina, sotto la direzione. Qui una radio viene attaccata agli altoparlanti e per un certo periodo di tempo gli operai presenti ascoltano risultati elettorali tranquillamente stesi sull’erba.

Mercoledì 18 giugno. La riflessione politica sul significato dei risultati elettorali e sul futuro sviluppo dello scontro di classe va avanti dento la fabbrica sull’onda delle fermate di reparto. Alle Meccaniche di Mirafiori scioperano due ore gli operai dell’off.72 per il 4° livello; la prima ora era programmata mentre la seconda ha avuto una gestione autonoma Anche le cinque linee fermano un’ora. In sala prova gli operai del collaudo 127, 131, 132, scioperano due ore in orari diversi determinando il blocco della produzione sull’intera lavorazione per oltre un’ora.
Ma la Fiat non subisce passivamente i colpi e si prepara a sferrare una serie di attacchi diretti alla lotta. Verso le 11 viene messa in libertà la linea della 127 alle Carrozzerie; la manovra coglie di sorpresa gli operai che non organizzano alcuna risposta. Questa prova di debolezza del movimento delle carrozzerie va ricollegato al periodo di stasi che sta vivendo questo settore.
Al secondo turno, durante le ore di sciopero programmate, un piccolo corteo esce dalle meccaniche e si dirige sotto la palazzina, dove si stanno svolgendo le trattative; giunti sul posto, gli operai decidono di mandare una delegazione ad assistere alle trattative. Ma un controllo operaio alle trattative sindacali è per la Fiat una cosa troppo grossa e che quindi non intende accettare passivamente. Verso le 17, infatti, mandata a casa anche per le Meccaniche; vengono messe in libertà le lavorazioni della 127 e della 131.
Ma la risposta operaia è decisa più che mai: dalle Meccaniche 1 e 2 si forma una unico corteo nel quale rimbalza subito la parola d’ordine “Tutti in palazzina!”.
L’imponente corteo di circa 3.000 operai parte al grido “Torino è rossa, dirigenti nella fossa” e “Potere agli operai” e va a presidiare la palazzina. Sotto l’urto di questo imponente corteo si apre subito la porta e un centinaio di operai sale negli uffici dove si svolgono le trattative per imporre il pagamento  della messa in libertà. E ciò viene realmente imposto al vice direttore del personale DIONISIO che sotto una tale pressione è costretto a cedere. Così alle 18 e 15 sta per scadere il termine che gli operai hanno fissato per la risposta della Fiat, giunge la notizia che le ore di messa in libertà saranno tutte pagate. Allora al canto di Bandiera Rossa ed al grido di “vittoria, vittoria”, si riforma il corteo che va a girare per le officine.
Anche alla SPA continuano gli scioperi e le fermate di reparto con una spinta ulteriore venuta dagli scioperi e dai cortei dei giorni scorsi che hanno innescato un processo di consolidamento e di generalizzazione della lotta.

Giovedì 19, mentre i giornali riportano le preoccupazioni di Agnelli per i risultati elettorali, alle 7 e 30, davanti alla porta 8 della Fiat Rivalta, un nucleo rivoluzionario armato colpisce, sparandogli sei colpi dei quali solo 4 lo colpiscono alle gambe, il vice capo officina PAOLO FOSSAT, noto persecutore della classe operaia e più volte denunciato e processato dal movimento. Il nucleo armato spara al FOSSAT mentre questi sta scendendo dalla sua 127 con una pistola calibro 7, 65 munita di silenziatore. Le ferite provocate al FOSSATO sono però lievi e la prognosi è di soli 15 giorni.
Sul posto si recano CC di Orbassano con il maresciallo RE, il capitano FORMATO del nucleo investigativo di Torino e la squadra politica della Questura. La zona di Rivalta viene immediatamente bloccata e rimane presidiata da posti di blocco che fermano tutti. L’azione viene gestita con un comunicato dato dalla stampa che riportiamo per intero:

“Questa mattina, alle ore 7 e 45, difronte al cancello n. 8 della sezione Fiat di Rivalta abbiamo colpito nella persona di FOSSAT PAOLO (via De Amicis 11, Rivalta), vice capo officina del reparto di verniciatura, uno fra i più solerti esecutori dell’attacco che, sotto il nome di ristrutturazione, l’azienda torinese sta portando avanti contro l’organizzazione operaia di fabbrica. Le recenti lotte dei compagni di Rivalta, conclusesi con il processo di massa e con l’espulsione dalla fabbrica di altri due capi, l’hanno individuato non solo come fedele galoppino della direzione, ma come principale artefice e diretto responsabile di numerosi provvedimenti disciplinari; licenziamenti, trasferimenti, multe. Nel momento in cui la crisi evidenzia le caratteristiche violente e arbitrarie della schiavitù salariale è compito all’ordine del giorno dell’organizzazione rivoluzionaria smascherare e distruggere le sue articolazioni.

GUERRA DI CLASSE PER IL COMUNISMO
P.S.: onore alla compagna MARA caduta combattendo per il comunismo.

L’Unione Industriale, la direzione Fiat il SIDA e l’FLM prendono subito posizione.
I dirigenti dichiarano “noi capi rivendichiamo il diritto di gestire l’organizzazione della fabbrica”; verso sera un gruppo di capi si reca a chiedere protezione al prefetto di Torino.
A Rivalta l’FLM, sollecitata dalla direzione Fiat, dichiara subito un’ora di sciopero in solidarietà di FOSSAT. Ma come vadano questi scioperi ormai si sa: lo sciopero viene rifiutato. Dove non si lavora è solo perché la Fiat blocca le linee: in carrozzatura, al 2° turno gli operai impongono al consiglio di settore di revocare lo sciopero minacciando di andare in palazzina per chiedere il pagamento dell’ora non lavorata se la Fiat avesse bloccato le linee.
La solidarietà, che doveva essere per FOSSAT, va tutta a favore dell’azione armata. Oltre a questo, per quanto riguarda le reazioni ed il dibattito che tale azione ha suscitato a Rivalta non sappiamo dire altro. Conosciamo meglio  le reazioni avutesi a Mirafiori e di queste parleremo man mano, seguendo la lotta. Al mattino, alle Meccaniche, corre la voce che è stato ucciso un dirigente a Rivalta: a livello di massa, le reazioni più negative a questa voce che corre di bocca in bocca, sono di indifferenza, le più positive di entusiasmo. Ma non si sa ancora alcuna notizia precisa e il dibattito non si approfondisce. Intanto la lotta continua con un forte dibattito sulla lotta di ieri pomeriggio: alle 9 iniziano le due ore programmate per la meccanica e gli operai si riuniscono in assemblea. Si aspettano tutti la messa in libertà e tra gli operai corre la voce “se ci mandano a casa, andiamo in direzione e li gettiamo dalla finestra”.
E infatti, alle 10.30, arriva la provocazione di Agnelli, ma questa volta di più grosse proporzioni: tutte le Meccaniche vengono messe in libertà.
Ma di grosse proporzioni è anche la risposta che viene immediatamente data che, al grido “E’ ora, potere a chi lavora” si dirige, più duro e più combattivo di quello di ieri, sul consueto obiettivo: la palazzina dei dirigenti! Qui giunti, un centinaio di compagni sale in direzione e va a scovare DIONISIO per imporgli ancora una volta il pagamento delle ore di messa in libertà. Il grosso del corteo si ferma sotto e presidia la palazzina; sui muri vengono fatte scritte, due bandiere rosse vengono innalzate come testimonianza del potere proletario e gli impiegati vengono “invitati” ad uscire. Dopo un po’, un altro corteo arriva dalla Meccanica 2 e va a rafforzare il presidio alla palazzina.
Questa giornata di lotta entusiasmante, così come quella di ieri, fa rilevare alcuni dati politici che è giusto sottolineare. Una enorme combattività e decisione ormai come un dato costante, la scelta senza mediazioni della palazzina dei dirigenti come obiettivo sul quale indirizzare la forza dei cortei, le parole d’ordine al cui centro sta la questione del potere, testimoniano del livello di coscienza delle avanguardie alla Mirafiori; una inaspettata adesione di massa che dimostra come questi livelli di scontro assolvano ad un bisogno politico di massa; la partecipazione attiva di molti delegati che, rifiutano sempre più la gestione sindacale dello scontro, si ritrovano al fianco delle avanguardie autonome e rivoluzionarie a guidare lotte di potere.
Intanto in direzione, DAZZI (dr. Del personale alle meccaniche) e Dionisio, suo vice, dimostrano che la Fiat ha ormai deciso di porsi frontalmente contro gli operai; Dionisio dichiara che la promessa fatta ieri del pagamento al 100% delle ore di messa in libertà, gli è stata estorta con la forza e gioca a scaricabarile con Annibaldi ed i massimi dirigenti Fiat; alla fine propone la continuazione della discussione all’AMMA in cambio della ripresa del lavoro: i dirigenti sono disposti a trattare di tutto, ma fuori dalla fabbrica e lontano dagli operai. Questa mattina in particolare, e i dirigenti, che hanno appreso con precisione che cosa è successo ad un loro collega di Rivalta, hanno molta paura. La proposta di Dionisio viene però accettata come un grande cedimento della delegazione: la capacità di direzione autonoma della lotta ha fatto un grande salto, ma i pompieri della lotta, i delegati “del patto” hanno ancora un certo peso e sono in grado di farlo valere.
Viene comunque ottenuta una grande vittoria sul terreno della mobilità: cinquanta trasferimenti decretati ieri dalla Meccanica alla Carrozzeria, vengono immediatamente revocati!.
Verso mezzogiorno l’assedio alla palazzina viene tolto ed il lavoro riprende. La lotta di oggi non è stata un’esplosione spontanea, ma è una espressione di un livello ormai consolidato di coscienza e di organizzazione della classe operaia Fiat.
Alla SPA Stura la lotta prosegue incontrando una certa difficoltà alla generalizzazione a causa di una certa opposizione dei delegati dei tre sindacati. Quelli delle UIL in particolare si comportano da veri e propri sabotatori della lotta. Lotta Continua, in un volantino e poi sul giornale, ne attacca uno di questi: costui si chiama NARDI e si fa aiutare da un gruppo di delegati UIL che lui organizza.

Venerdì 20 giugno. La prosecuzione della lotta, dopo gli enormi cortei dei giorni è orami un dato costante. In diverse lavorazioni delle Meccaniche di Mirafiori anche oggi viene fatta un’ora di sciopero; alle off.81, 82, 83 quattrocento operai scioperano 2 ore per il 4° livello e la perequazione salariale; viene anche decisa l’entrata in lotta per la prossima settimana degli operai che lavorano agli ingranaggi delle off. 73,74,75.  Le off.71 e 72 fanno un’assemblea di un’ora e mezza nella quale il dibattito viene incentrato sul come organizzare la lotta per rispondere agli attacchi della direzione aziendale; viene anche duramente condannato un comunicato della Fiat (un grosso manifesto verde) che la direzione ha fatto attaccare, in tutti i punti dove era possibile attaccarlo, dentro la fabbrica. Ne riportiamo alcuni stralci per far meglio capire il clima esistente alla Fiat. Il comunicato inizia così: “Episodi di intimidazione, di violenze, addirittura di ferimenti di persone, si sono succeduti in questi ultimi tempi contro dirigenti e capi” e dopo aver parlato di FOSSAT, prosegue: “nel corso di uno sciopero…..il Direttore (Dionisio, n.d.r.) è stato costretto da alcuni facinorosi (oltre 2.000 operai) penetrati con la forza nella palazzina degli uffici, ad accogliere richieste relative a temi che erano in discussione con le organizzazioni sindacali”. La Fiat dimostra tutta la paura che questa situazione le incute, ma dimostra anche la propria volontà di porsi sul terreno dello scontro frontale contro quel movimento che neppure  più il sindacato riesce a controllare. Quali le mosse future della Fiat, sia a breve che a lunga scadenza, non pare difficile capirlo. Una più attenta valutazione su quest’ultimo punto andrà comunque fatta.
All’off. 67 (sett. Presse) L’attacchinaggio dei comunicati della Fiat viene fatto da due uomini del Sida che sono…..
Ma molti di questi manifesti non rimangono a lungo in quanto vengono subito strappati da compagni ed operai.
Nel contempo si sviluppa il dibattito sull’azione  armata contro Fossat.
L’entusiasmo, il consenso generalizzato, l’incazzatura contro il sindacato per l’ora di sciopero proclamata a Rivalta, sono elementi che chiunque può cogliere. Ma il dato nuovo e più positivo è che anche questo livello di scontro, è ormai recepito ed accettato a livello di massa; la grande vittoria elettorale delle sinistre, le lotte vincenti di questi giorni rendono legittimo nella coscienza di tutti i compagni, compresi molti del PCI, l’attacco armato che nuclei di avanguardia portano alla struttura di comando. Ma soprattutto si p verificata negli ultimi tempi una grossa maturazione politica delle avanguardie che ormai individuano l’attacco ai capi, dirigenti, fascisti ecc…., come un terreno di scontro da praticare e da generalizzare. Tentativi di organizzazione su questo terreno già si sono avuti, oltre, naturalmente, a quel nucleo di avanguardie che ha operato in modo eccellente a Rivalta. All’off. 76 delle Meccaniche di Mirafiori, ad esempio, alcune settimane fa, un gruppo di avanguardie autonome appende sui muri un manifesto, nel quale vengono denunciati due capi, in modo semiclandestino.
Un altro fatto è rappresentato da un bollettino operaio, uscito qualche giorno fa, che si propone lo scopo di “denunciare per nome e cognome e smascherare i responsabili della politica padronale, individuarli nei loro luoghi di provocazione, indicarli a tutti gli operai” e pone l’invito a tutti gli operai a muoversi su questo terreno.
Anche la Fiat non se ne sta ferma nella sua opera di attacco alla lotta e, visto che non riesce a spuntarla alle Meccaniche, sposta ritorsioni nuovamente alle Carrozzerie: alle 20 vengono messi in libertà gli operai della verniciatura e del montaggio della 132. Gli operai accennano ad un piccolo corteo, ma poi se ne vanno. Ma diversità dell’atteggiamento operaio di fronte alle provocazioni della Fiat, tra le Meccaniche e le Carrozzerie, è la conseguenza del vuoto di iniziativa esistente in questa sezione che è sempre stata, ai tempi dei contratti, la più combattiva e la più “esplosiva”. La classe operaia delle Carrozzerie di Mirafiori dimostra la propria incapacità di uscire dallo spontaneismo e di sapersi costruire un’organizzazione autonoma stabile. In tale situazione riescono ad avere buon gioco i liquidatori della lotta, i fautori del “patto sociale”, che non fanno nulla per promuovere la lotta alle carrozzerie, evitando addirittura di parlare della lotta sviluppatasi alle Meccaniche, e stipulano accordi sulla mobilità con la direzione, senza quasi informare gli operai.
Alla SPA, anche stamane vengono fatte due ore di sciopero in tutte le Meccaniche, registrando una partecipazione massiccia, un piccolo corteo gira per le officine a caccia di crumiri. Vengono decisi per stasera e domani i picchetti alle porte, in coincidenza con lo sciopero del turno di notte alle Meccaniche e per impedire gli straordinari al sabato, in quanto questi sono stati insistentemente richiesti dai capi in quantità rilevante.
Intanto la Fiat lancia sul mercato un nuovo modello di auto, la 128/3P, il cui presso supera i due milioni e mezzo. Ciò dimostra quali siano gli orientamenti produttivi della fiat nel settore auto in Italia.

Lunedì 23 giugno. Alla trattativa in fabbrica si accompagna quella a Roma, alla quale partecipa, al fianco dei massimi dirigenti Fiati, il vice direttore dell’Unione Industriale di Torino, Aldo Baro. I tre segretari dell’FLM ribadiscono qui la loro volontà di contribuire sulla strada della ristrutturazione. I dirigenti Fiat dichiarano di accettare parzialmente il discorso dell’”arricchimento e della rotazione delle mansioni”. Non vale la pena ripetere che ciò vuol dire cumulo delle mansioni e mobilità nelle officine. Questo è ciò che è rimasto del tanto fumo fatto sulla “nuova organizzazione del lavoro”, visto che ormai le isole di montaggio (la Fiat ha ribadito la propria chiusura su questo discorso) si sono dissolte come neve al sole.
Per oggi il sindacato non ha dichiarato ore di sciopero, ma la lotta va avanti lo stesso: due ore di sciopero vengono fatte nelle off. 65 e 67 delle presse di Mirafiori, alle Carrozzerie e presse di Rivalta ed alle presse del Lingotto. Alla SPA la situazione sta bollendo: oggi, quasi tutte le officine scendono in sciopero per tre ore.
Verso le due di notte, una bomba carta viene fatta esplodere nel cortile della villetta, in via del Colletto a Pinerolo, del Capo Officina della Fiat di Rivalta GIACOMO FARINETTI.

Martedì 24 Giugno, a Torino è festa del patrono; nella varie sezioni Fiat non vengono organizzati i picchetti contro gli straordinari.

Mercoledì 25 giugno. Da  Roma le trattative si spostano all’AMMA, a Torino.
Qui, la Fiat pone come punto primo di discussione la richiesta di 1580 trasferimenti dalle officine meccaniche di Mirafiori, Rivalta, Lingotto alle officine di carrozzeria degli stessi stabilimenti.
In fabbrica continuano le fermate, per le meccaniche il sindacato dichiara due ore ma i carrellisti ne fanno tre. Alla sala prove viene fatta un’assemblea sui due turni: il sindacato riparla dei passaggi di livello legati alla professionalità.
Alle Presse, l’FLM, dichiara due ore di sciopero per le off. 67, 65, 63, 61, ed ausiliarie. Ma questo sciopero, al di fuori che l’off.65 dove riesce meglio, nelle altre officine riesce male: pochi operai scioperano.
Questo fatto impone una riflessione alle avanguardie sullo stato e sulle esigenze del movimento. Alla mal riuscita dello sciopero alle Presse hanno contribuito diversi fattori: principalmente poca chiarezza sugli obiettivi dovuta anche al sindacato che continua ad opporre alla richiesta operaia del 3° livello per tutti, il discorso dei passaggi di categoria legati alla professionalità, ostinandosi ad andare a ricercare le aree professionali dove ormai non esistono più, cancellate dalla ristrutturazione.
La sezione Presse è infatti una tra le più colpite dalla ristrutturazione interna che passa, oltre che con una mobilità pazzesca, attraverso l’introduzione di macchinari super-automatizzati che, oltre a far scomparire ogni area professionale, permettono alla fiat di aumentare la produzione diminuendo l’organico. Un altro motivo per il quale lo sciopero è riuscito male, è rappresentato dalla situazione di sempre maggior rifiuto da parte operaia delle forme di lotta sino ad ora adottate, cioè delle due ore di sciopero fatte due o tre volte la settimana. Gli scioperi col “contagocce” (così come vengono definiti) sono ritenuti inutili e l’esigenza diventa sempre più quella di passare a forme di lotta più incisive: frequenti sono i richiami alla lotta della SPA e a quella delle Meccaniche. Ma il fatto gravo è che la debolezza dell’organizzazione operaia autonoma delle Presse non è riuscita a cogliere e a rilanciare questa spinta operaia realmente esistente nelle officine, permettendo, di conseguenza, il determinarsi di tali situazioni, nelle quali il rifiuto della forma di lotta “inutile” non è accompagnato dallo sviluppo di forme di lotta che sappiano meglio assolvere ai bisogni politici del movimento. La passività e la latitanza dei delegati sindacali non aiuta certo la risoluzione di questa situazione. All’off. 65 (grandi presse), grazie ad una forte organizzazione autonoma che si è costruita e rafforzata passo a passo dalle lotte del ’73, si riuscirà a superare questa situazione e la lotta darà gli sviluppi che vedremo, mentre nelle altre officine (61, 63, 67) la lotta avrà sì uno sviluppo ma molto più contenuto.
Alla SPA, la situazione che già nei giorni scorsi stava bollendo, sta per esplodere. Anche qui la lotta “col contagocce” è sempre meno gradita ed alle due ore di sciopero dichiarate dal sindacato per le meccaniche, non si registra una grande partecipazione. Ma anche qui la scarsa riuscita dello sciopero non è dovuta al fatto che la classe della SPA si crumira, e la dimostrazione di ciò non tarda ad aversi.

Giovedì 26, dal malcontento si passa all’indurimento e dalla generalizzazione della lotta: gli operai, più di mille, del turno di notte entrato ieri sera, attuano il blocco dei cancelli. E’ come una scintilla che incendia un campo di grano. Gli operai del turno del mattino prendono immediatamente il posto di quelli della notte: vengono organizzate le ronde nei reparti per gettar dalla fabbrica i pochi crumiri, i capi e gli impiegati che man mano vengono scovati. E’ un blocco durissimo forte  più duro di quello del ’73; vengono lasciati entrare solo gli operai che vogliono dar man forte al blocco; neppure quelli delle imprese possono entrare; nella strada si formano lunghe file di camions che dovrebbero portare la merce dentro. Per tutta la mattina il blocco rimane nonostante i frenetici tentativi dei sindacalisti di far smobilitare tutto. Il pompieraggio dei revisionisti, di questi liquidatori della lotta, non ottiene risultati e la fabbrica rimane completamente in mano agli opera. Le bandiere rosse ai cancelli come testimonianza del potere proletario, la durezza della lotta, i picchetti sempre più numerosi e combattivi, una compattezza ed una unità esemplari, sono un passo importante e di grosso rilievo nell’evoluzione dello scontro di classe non solo alla SPA, ma anche in tutte le altre sezioni Fiat.
Al secondo turno, gli operai che non si fermano a presidiare, se ne tornano subito a casa. Di fronte a tale unità e compattezza, i fascisti, i provocatori del Sida non trovano alcuno spazio per il loro interventi canaglieschi e preferiscono non farsi neppure vedere.
Il livello di organizzazione raggiunto alla SPA, fa sentire ad Agnelli i primi sintomi negativi della politica dei trasferimenti. Infatti, la maggior parte delle avanguardie trasferite dalla Mirafiori sono state mandate alla SPA, con il rifiuto di disarticolare sì la lotta a Mirafiori, ma di favorire una nuova situazione di lotta.
Di fronte a tale situazione, la Fiat dichiara la sospensione delle trattative, dimostrandosi disponibile a riaprirla in cambio del rientro nei confini tradizionali della lotta.
Ma questa non può essere altro che una manovra di ricatto per i sindacalisti e non per gli operai che proseguono con la massima risolutezza nel blocco dei cancelli.
Vista la inefficienza di tale manovra, la Fiat imbocca nel pomeriggio un’altra strada che è quella di riaprire la trattativa e cercare di arrivare al più presto ad un accordo col sindacato. Su questa proposta non trova certo riluttanti e riformisti, che interessati anch’essi al ristabilimento del controllo sulla classe operaia della SPA, accettano di buon grado e danno subito alla fiat una prova della loro serietà: verso le 17 riescono a far togliere i picchetti, questa spina nel fianco di chi auspica la pace sociale.  La fabbrica rimane però ugualmente bloccata: linee ferme, luci spente, nessuno lavora. Non si può qui gridare al cedimento delle avanguardie rivoluzionarie, che sotto le pressioni dei sindacalisti hanno tolto i picchetti; si può solo dire che l’organizzazione autonoma alla SPA di Stura e molto giovane e perciò ancora debole sia organizzativamente ma soprattutto politicamente. La lotta di questi giorni contribuisce notevolmente alla propria crescita.
Verso le undici di sera i cancelli si riaffollano all’arrivo del turno di notte, quello che aveva dato inizio al blocco, ed il presidio riprende.
Alle Meccaniche di Mirafiori, la situazione è sempre buona ed alle Presse, nonostante la scarsa riuscita dello sciopero di ieri, la situazione si sta riprendendo; diverse fermate vengono fatte in diverse lavorazioni ed officine di queste due sezioni, con una buona partecipazione. Alla sala prove lo sciopero è di otto ore.
La Fiat, continua a far sentire la propria autorità attraverso l’uso della mandata a casa: questa volta vengono colpite le Carrozzerie e le Meccaniche.
Alle Carrozzerie ancora una volta non viene organizzata nessuna risposta; al contrario, alle meccaniche un corteo di circa 400 operai si forma immediatamente e si dirige in palazzina per il pagamento della messa in libertà.
La stampa di stamane si lamenta dei “975 scioperi di reparto riguardanti piccoli gruppi di lavoratori e per periodi limitati da un quarto d’ora ad un’ora al giorno avutisi alla Fiat negli ultimi due mesi”. Accanto a questa manifestazione di preoccupazione per la situazione esistente alla Fiat, La Stampa riporta le pesanti dichiarazioni che Agnelli ha fatto a Venezia in riferimento ai prossimi contratti: qui l’avvocato ha decisamente affermato che ogni trattativa sindacale sarà condizionata dal problema della maggiore produttività e dalla flessibilità della forza lavoro; ha inoltre detto che non esiste, e non potrà esistere, alcuna disponibilità ad un miglioramento dei salari e della normativa se non vi sarà una ripresa di incremento della produttività a tutti i livelli. E’ con queste dichiarazioni di guerra che i padroni prendono posizione rispetto alla stagione contrattuale, ed a queste il sindacato dovrà dare presto una risposta.
Venerdì 27 giugno.
Alla SPA il blocco dei cancelli continua fino alle 6 di stamane, fino a quando, cioè, i sindacalisti vengono davanti ai cancelli ad annunciare che è stata raggiunta una bozza d’accordo con la Fiat. Con i megafoni invitano pressantemente gli operai ad entrare in fabbrica; poche le parole sui punti dell’intesa, la preoccupazione più grande dei sindacalisti è che il lavoro venga ripreso e la situazione si normalizzi. Il blocco viene così tolto con grande sollievo di Agnelli e dei riformisti. Ma ciò non è indolore: davanti ad alcune porte si chiede l’assemblea fuori dai cancelli e in diversi casi gli scontri tra compagni e sindacalisti non sono solo verbali. Nelle assemblee che poi vengono fatte dentro la fabbrica, nonostante il numero di presenti sia limitato, vi è uno scontro durissimo tra le avanguardie autonome ed i sindacalisti, appoggiati questi ultimi dai delegati del PCI. Molte contraddizioni si sono aperte nelle stesse strutture sindacali: molti delegati ed alcuni operatori sindacali non se la sentono di difendere l’accordo. Ma i sindacalisti, per vanificare le critiche e le proposte di continuare la lotta, arrivano persino a dire che l’accordo è già stato firmato definitivamente e non vi è più nulla da fare, mentre è stata solo firmata una bozza d’intesa.
Al pomeriggio, gli operai del montaggio motori piccoli tentano uno sciopero contro l’accordo, ma la debolezza organizzativa gioca a sfavore.
Non ci interessa scendere nella critica dei punti specifici dell’accordo; questo lo lasciamo fare a coloro che si pongono a “sinistra” del sindacato, ma sempre su una posizione piattaformistica. La firma dell’accordo alla SPA è politica; ed è sul terreno politico che le avanguardie devono ora riflettere. Su questo punto non ci soffermiamo per ora, ma vi ritorneremo più avanti.

Lunedì 30 giugno.
La lotta della SPA è stata chiusa, ma padrone e sindacato non sono riusciti a cancellare quel fattore di spinta che tale lotta ha rappresentato per le altre sezioni Fiat e soprattutto per la Mirafiori.
In questa ultima sezione, infatti, la lotta sta avendo sviluppi molto importanti. Alle carrozzerie, dopo il lungo periodo di stasi e di vuoto di iniziativa, riprende la lotta, al primo turno scioperano un’ora per il terzo livello gli operai delle linee che oliano le macchine. Lo sciopero intasa e blocca completamente la produzione; i piazzali si riempiono ed il montaggio motori rimane fermo per due ore. E’ un colpo grosso per la Fiat, tanto che il direttore del personale scende nei reparti per chiedere la ripresa del lavoro. Al secondo turno si fermano per due ore le cabine antirombo.
Alle Meccaniche la lotta prosegue con due ore di fermata in diverse lavorazioni. Alle Presse si riunisce il consiglio di settore. Il discorso che più preme fare ai sindacalisti sugli obiettivi è sempre quello del riconoscimento delle aree professionali per i passaggi di categoria; per quanto riguarda l’organizzazione della lotta, invece, tendono a mantenere il vuoto dell’iniziativa.
Molti delegati, però, premono per l’indurimento e la generalizzazione della lotta; la riunione si chiude senza proposte o programmi precisi.
Allee 19, nell’ora di pausa per la cena, vengono fatte le assemblee in mensa.
Alla volontà dei sindacalisti di liquidare la lotta, gli operai dell’off. 65 (grandi presse) rispondono dichiarando sciopero fino a fine turno; si forma subito un duro e combattivo corteo di circa 300 operai, che gira anche nelle altre officine delle presse per trascinarle nella lotta. Ma sia all’off. 67 che alla 63, aderiscono al corteo solo le avanguardie, mentre il resto degli operai sciopera non compatto solo per due ore. Dopo aver girato per l’officina, il corteo si dirige subito a bloccare i cancelli. E’ la seconda volta nel giro di due mesi che le presse vengono presidiate (la volta scorsa sono stati bloccati i cancelli contro la mandata a casa). Il blocco prosegue fino a fine turno, per poi passare agli operai del turno di notte che entrano solo per ritirare la busta paga, poi escono compatti estendendo anche la lotta alle ausiliarie.
All’off. 68 (lastroferratura) viene licenziato un compagno per “assenteismo”. La squadra sciopera immediatamente due ore. La lettera di licenziamento è firmata dal direttore MILLO.

Martedì 1 luglio, al mattino le off. 67 e 63 rimangono ferme fino alle 7 per discutere sulla continuazione della lotta. La 65 dichiara la prosecuzione dello sciopero fino a fine turno ed altre 8 ore per il secondo turno; le altre officine, invece, dichiarano solo 2 ore di sciopero.
Alla 65 l’adesione allo sciopero è totale, e non poteva essere diversamente; un corteo di 300 compagni gira duro e combattivo per le officine; il canto di “bandiera rossa” e le parole d’ordine “E’ ora, è ora, potere a chi lavora” e “Il potere deve essere operaio” echeggiano instancabilmente nei reparti; lo striscione del consiglio di fabbrica che in genere veniva portato nei cortei, viene abbandonato e sostituito con un altro, il migliore che si trova nella sede sindacale interna, che porta la scritta “no al fascismo”. Fino alle 9 il corteo gira mentre nuclei nutriti di compagni, come di consueto, presidiano le linee perché nessuno lavori.
Durante il corteo alcuni compagni sabotano il collegamento elettrico di alcune presse.
Alla 67, le due ore di sciopero dichiarate stamattina registrano una scarsa partecipazione; la situazione venutasi a creare nei giorni scorsi perdura, ed ancora una volta il pompieraggio e la latitanza dei delegati del “patto sociale” vince sulla debolezza del movimento.
Al secondo turno, come previsto, la 65 non attacca neppure a lavorare e prosegue fino a fine turno, con l’organizzazione di un corteo che gira per le officine. Stessa cosa fa il turno di notte.
Lo sciopero ad oltranza dell’off. 65 mette già in difficoltà la Fiat che è costretta per mancanza di pezzi a far tirare a ritmi dimezzati le linee della carrozzeria; questa volta sotto il terrore che la lotta possa generalizzarsi anche alle carrozzerie, la Fiat preferisce ridurre i ritmi invece della solita mandata a casa:
Alle Meccaniche un’ora di sciopero blocca diversi reparti. La critica a questi scioperi di una o due si fa sempre più esplicita; proprio in relazione a ciò in alcuni reparti lo sciopero ha registrato una lieve flessione. Alle officine ausiliarie della meccanica 2, un corteo di un centinaio di compagni si dirige alla palazzina senza motivi specifici, ma con il solo intento di indurire lo scontro.
In Carrozzeria si riuniscono in assemblea le officine collegate. Dai discorsi e dai commenti degli operai si avverte un certo fermento per il rilancio della lotta. Il sindacalista afferma che la lotta alle presse si sta sgonfiando; è un vero sabotaggio in quanto non si vuole neppure propagandare lo sviluppo della lotta delle presse, come già è stato fatto per quella delle meccaniche, per paura che le carrozzerie possono essere contagiate.

Mercoledì 2 luglio. L’off. 65 prosegue lo sciopero ad oltranza con una durezza e una compattezza tremenda. Il primo turno forma subito un corteo che gira per le officine cercando anche di coinvolgere la 63. Poi si dà come obiettivo preciso, come ormai in tutte le sezioni Fiat, la palazzina dei dirigenti.
Verso lee 9, riprende la trattativa in palazzina e il corteo scorta la delegazione fin sotto gli uffici della direzione; qui arrivato si ferma a presidiare fino a mezzogiorno, l’ora in cui la delegazione ritorna. In questa trattativa la Fiat dimostra di voler andare ad uno scontro frontale: sui punti della piattaforma pone un netto rifiuto o fa concessioni del tutto provocatorie. Inoltre la Fiat si prepara a tale scontro con le sue bieche manovre; ultima in ordine di tempo è il trasferimento di una grande quantità di stampi dalle linee dell’off. 65 e di lamiere a Rivalta e al Lingotto con lo scopo di garantirsi la produzione altrove, per poter tenere duro nello scontro con la lotta della 65. La manovra iniziata alle 8 di stamani è di grosse dimensioni: si parla di 80 camion carichi. Altre manovre di divisione vengono tentate in questi giorni all’off. 67 dove la direzione concede sotto banco, alcune categorie dietro contrattazione individuale.
Lo sciopero del primo turno prosegue fino a fine turno; ed il secondo turno appena entrato organizza subito il corteo. Verso le 16 le manovre della fiat subiscono una dura risposta. Il corteo, dopo aver girato nelle officine si dirige a presidiare il cancello 14 per impedire l’uscita dei camion con gli stampi. I sindacalisti cercano subito di far togliere i blocchi sventolando come spauracchio la possibile rottura della trattativa. Ma tali ricatti non hanno alcun perso: la questione è il potere, non la trattativa! Il blocco continua con una partecipazione attiva a livello di massa; nessun camion riesce più ad uscire. La direzione cerca allora di farli uscire da un’altra porta non sottoposta direttamente al controllo operaio. Ma la vigilanza effettuata dagli operai non lascia molto tempo a questa manovra e la voce di ciò che sta succedendo arriva subito al picchetto della porta 14.
Qui, senza bisogno di indicazioni, un grosso gruppo di operai parte e si dirige a bloccare anche questo nuovo punto; questa volta non viene fatto un normale picchetto, bensì una vera e propria barricata dentro la fabbrica con cassoni, cassette, asce, e tutto ciò che può servire allo scopo. Vista l’efficienza di ciò, la barricata viene controllata ed in seguito viene aperto un varco sufficiente per lasciar passare le autoambulanze, le auto ecc… ma nessun camion viene lasciato filtrare. Il dato significativo di questo episodio è che la sua realizzazione non è stato il frutto di un’indicazione precisa delle avanguardie che hanno diretto la lotta dall’inizio, ma il frutto della creatività di uno strato di avanguardie di lotta nate nel corso della lotta stessa. Sempre durante il blocco, alcuni compagni si organizzano e sabotano la produzione finita “rigando” con dei chiodi diverse 131 pronte ad uscire.
Grande preoccupazione, intanto, all’Amma dove Fiat e sindacati stanno dandosi da fare per cercare di arrivare ad un accordo che normalizzi la situazione e riserva il problema del “pulviscolo di vertenze”.
Ma la Fiat continua ad attaccare anche in fabbrica: alle 21 viene decretata la messa in libertà per le carrozzerie e durante il turno di notte alla 65 vengono racimolati un gruppo di crumiri e viene fatta andare una linea.
A Rivalta gli operai del primo turno alla carrozzatura scioperano due ore ed organizzano un corteo di 200 operai che gira per l’officina. Al secondo turno un altro corteo parte dalla carrozzatura e dalla verniciatura e dopo aver percorso molte officine, esce dalla fabbrica e si dirige sotto la palazzina dove viene tenuta una assemblea. In 200 poi riprendono il corteo e giungono alla lastroferratura che scende anch’essa in sciopero.

Giovedì 3, il sindacato ha dichiarato due ore di sciopero anche alla Fiat per la vertenza dei trasporti. All’off. 65 lo sciopero viene prolungato fino a sei ore. Alle carrozzerie, la lotta che era partita lunedì ha oggi uno sviluppo esplosivo: il secondo turno, che vuole rispondere alla mandata a casa di ieri sera, non attacca neppure a lavorare, dalla lastratura e dai montaggi si forma un corteo di oltre 2.000 operai che esce dalla fabbrica e si dirige sotto la palazzina di corso Agnelli (p.ta 5) dove tiene un’assemblea. Poi il corteo rientra nelle officine e prosegue lo sciopero fino a fine turno.
A Rivalta lo sciopero di due ore viene prolungato dai 2.000 operai del montaggio contro il licenziamento di un operaio.

Venerdì 4 luglio viene firmato nel pomeriggio all’Amma un’ipotesi di accordo tra la Fiat e l’FLM.
All’off. 65 la lotta prosegue ugualmente. Al 2° turno gli operai lavorano fino alle 20, poi riprendono lo sciopero fino a fine turno andando a bloccare i cancelli 15-16 e 17 per impedire l’entrata del turno di notte, in quanto ieri sera si era presentato il problema dei crumiri.
Nella settimana successiva si avranno alti momenti di lotta; al consiglio di settore delle Presse, lo scontro tra le avanguardie autonome ed i sostenitori dell’accordo sfiora più volte lo scontro fisico; ma ormai la vertenza è stata chiusa, anche se con un colpo di mano, e poiché ci si avvicina alle ferie, la disponibilità operaia a proseguire lo scontro viene a meno; pensiamo anche che il livello di massa, nonostante tutto era sempre più presente l’esigenza di chiudere la lotta. Ciò che ora è importante, è che le avanguardie della Fiat riflettano sui contenuti politici ce la lotta ha saputo esprimere, sul significato politico dell’accordo col quale si è voluto decretare la chiusura della lotta per ristabilire la pace sociale in Fiat, e sui compiti e le proposte con le quali le avanguardie si apprestano ad affrontare la nuova fase di scontro che si aprirà a settembre, al periodo dei contratti.
La firma dell’accordo tra FLM e Fiat ha un carattere espressamente politico ed esprime l’esigenza congiunta di padrone e sindacato di ristabilire quel controllo sul movimento che ormai avevano completamente perso. Ciò è dimostrabile guardando come la lotta sia stata sempre predominante ed in alcuni momenti l’unica (come la lotta dell’off. 65) sin dalla formulazione delle piattaforme, per tutto il corso della lotta.
Gli obiettivi delle piattaforme autonome tendevano ad attaccare il processo di ristrutturazione in quanto puntavano a togliere potere ai capi, eliminando strumenti di divisione padronali come gli aumenti di merito, i passaggi di categoria legati alla professionalità ecc…, a difendere l’organizzazione operaia, in fabbrica con il rifiuto della mobilità, la riduzione dello sfruttamento con la riduzione delle pause e l’eliminazione del 3° turno dove questo esiste. Su questi obiettivi, già essi antagonisti alla linea sindacale, la lotta si è sviluppata in un crescendo tumultuoso non tanto sugli obiettivi specifici della piattaforma, ma sul terreno dei rapporti di forza esprimendo tutto il suo antagonismo di classe. La lotta non era quindi solo un mezzo per ottenere obiettivi materiali, ma era diventata un mezzo col quale gli operai esercitavano il loro potere in fabbrica. Quando dicevamo che la questione non era la piattaforma ma il potere intendevamo dire proprio questo.
Basti pensare alla lotta delle meccaniche di Mirafiori ed a quella, ultima in ordine di tempo, delle Carrozzerie contro la “messa in libertà”, questo strumento politico che la Fiat da anni usa, al di fuori di ogni giustificazione tecnico-produttiva per attaccare direttamente le lotte autonome; lotta che si è sviluppata con gli imponenti cortei alla palazzina, le delegazioni di massa in direzione, i processi al dr. del personale Dionisio. Si pensi anche al blocco dei cancelli della porta 14 di Mirafiori e le barricate dentro la fabbrica per impedire l’uscita dei camion con gli stampi, per impedire, cioè un’altra manovra con la quale la Fiat si proponeva di attaccare direttamente la lotta. Ed inoltre, le parole d’ordine che per tutto il periodo della lotta hanno echeggiato nei cortei, ponevano al centro come sola ed unica la questione del potere; le bandiere rosse rialzate sui cancelli di Mirafiori e della SPA Stura, come quella alzata dentro la fabbrica il giorno dopo le elezioni, a testimonianza del potere proletario. Oltre a questi, tanti altri fatti, ed ancor più il dibattito sviluppatosi sul ferimento di Fossat e sull’azione di attacco contro uomini del Sida e dirigenti Fiat condotta dalle Brigate Rosse il 15 Maggio scorso (vedi volantino) e i momenti di organizzazione su tali indicazioni, dimostrano quali siano i livelli politici espressi dalla classe operaia Fiat negli ultimi mesi di lotte e quale sia la richiesta di potere del movimento di classe.
Il sindacato, o meglio la “sinistra” sindacale, che all’inizio aveva dato una certa spinta alla mobilitazione, si è trovato immediatamente fuori campo quando sono stati formulati gli obiettivi delle piattaforme. E fuori campo, con la sua capacità di controllo sempre più minata, vi è rimasto per tutto il corso della lotta, la quale, nel suo sviluppo, generava sempre maggiori contraddizioni all’interno delle sue strutture di base, si che molti delegati ed anche operatori sindacali rifiutavano sempre più la linea de “patto sociale” con padroni e della “cogestione della crisi” e si ritrovavano sempre più spesso al fianco delle avanguardie autonome e rivoluzionarie nelle lotte di potere.
Con la firma dell’accordo, i sindacati hanno dato una ulteriore prova della volontà di proseguire sulla strada iniziata il 30 novembre scorso, poiché, oltre ad essere riusciti con un colpo di mano a bloccare momentaneamente la lotta, hanno stravolto il significato politico degli obiettivi, riconducendoli dentro i confini di una politica di cogestione della ristrutturazione del grande monopolio a tutto vantaggio di quest’ultimo. Viene infatti garantita la mobilita nelle officine, i trasferimenti tra i diversi stabilimenti (che non significa altro che licenziamenti più o meno selettivi ed incontrollabili) ed inoltre viene dato più potere ai capi (gli aumenti di merito sono stati lasciati, i passaggi di categoria decisi sempre dai capi così come i trasferimenti ecc….) favorendo il consolidamento dell’assetto di potere interno alla fabbrica.
Il significato dell’accordo Fiat viene meglio compreso se inquadrato nelle tesi uscite dai convegni sindacali di Ariccia e di Bologna. La strategia sindacale per l’autunno di impostare i contratti con una lotta generale per l’occupazione e un nuovo sviluppo economico, parte del dato incontestabile che le Confederazioni sindacali, come abbiamo già detto, hanno accettato la politica di ristrutturazione delle multinazionali; hanno accettato il ruolo corporativo che questi gruppi economici hanno loro affidato nel progetto di costruzione dello Stato Imperialista delle multinazionali.
E’ un’assurdità proporre una lotta generale per l’occupazione, cedendo poi continuamente nelle fabbriche sul terreno della ristrutturazione, in una fase in cui l’espansione della base produttiva e l’accumulo del capitale sono in netta contraddizione in quanto la restrizione della base produttiva è la condizione dell’accumulo dei capitale. In poche parole, dove la lotta per l’occupazione vince realmente, la crisi capitalistica è destinata ad aggravarsi, almeno in una situazione di crisi del capitalismo.
Sotto il discorso delle Confederazioni traspare quindi la necessità di favorire la ripresa produttiva e non l’occupazione.
L’accordo Fiat ne è un esempio, ma ne è anche un esempio la lotta del settore “indotto auto”, dove si è posto fine alla lotta intransigente contro i licenziamenti e la chiusura delle piccole fabbriche per demandare tutto ad  una vertenza generale del settore che non ha nessun potere per la difesa dell’occupazione.
La lotta per l’occupazione, così come la intende il sindacato, deve eliminare ogni campo che possa diventare terreno di SCONTRO POLITICO.
“Dobbiamo evitare una drammatizzazione ed una politicizzazione dello scontro contrattuale” ha dichiarato Marianetti ad Ariccia.
Come si sta preparando, e con quali proposte politiche, il partito di Mirafiori ad affrontare la nuova fase di scontro che si aprirà a settembre?
Una parte di avanguardie continua a riproporre il discorso della riduzione d’orario a 35 ore a parità di salario. Noi sosteniamo che tale proposta è nettamente perdente poiché arroccarsi ancora su posizioni piattaformistiche vuol dire non essere assolutamente in grado di assolvere ai bisogni politici che la classe operaia Fiat ha espresso negli ultimi mesi di lotta. E’ un discorso senza vie di sbocco e non porta altro che ad allearsi con la destra del movimento. E’ una proposta che va rifiutata e giustamente criticata.
Una parte più ristretta di avanguardie si è invece organizzata sul terreno dello scontro armato di potere ed ha già assestato duri colpi alla struttura di comando della Fiat. All’operato di questi compagni diamo tutto il nostro appoggio politico anche se con una necessaria dialettizzazione andranno meglio chiarite le proposte e le linee di intervento più generali di queste avanguardie.
Le nostre proposte. Punto centrale del programma di lotta rimane l’attacco al progetto politico che abbiamo sintetizzato nelle parole “Patto Corporativo”, progetto politico in larga misura realizzato grazie alla grande disponibilità delle Confederazioni Sindacali, ma che trova sempre maggiori difficoltà a consolidarsi a causa del sempre più forte sviluppo della lotta di classe e della lotta armata dentro le fabbriche.

Attaccare il “Patto Corporativo” perseguendo l’attacco e la disarticolazione della cinghia di trasmissione di tale progetto che ha nella Confindustria il proprio cervello politico. Attaccare e colpire, cioè, la struttura politico-militare del comando ed in specifico, i dirigenti, i capi, i guardioni; attaccare, inoltre i sindacati gialli come centri organizzativi della reazione e di propagazione dell’ideologia corporativa. Su quest’ultimo terreno, l’azione condotta contro il SIDA ha dato ottimi risultati. Nell’ultimo periodo, l’attacco alla struttura di comando nelle fabbriche torinesi è stato portato contro dirigenti, capi, uomini del Sida scelti semplicemente perché nemici odiati dalla classe operaia o  perché responsabili di manovre antioperaie. Nel futuro sarò necessario disarticolare più a fondo questa struttura, mettendone in luce le proprie strutture organizzative, i propri modi di funzionamento, i legami con i centri politici della reazione e col disegno più generale. In questo discorso, dobbiamo inserire anche il problema dei fascisti che, anche se fino ad ora dentro la Fiat si sono limitati all’attacchinaggio saltuario di manifestini anticomunisti organizzandosi in modo più o meno clandestino, si ripresenteranno senza dubbio a settembre ed in maniera certamente diversa da come si presentavano due anni fa: un problema quindi da rivalutare in tutta la su portata.
Lo sviluppo e l’intensificazione dei movimenti autonomi di lotta contro gli aspetti della ristrutturazione, oggi più che mai possiamo dirlo, non è sufficiente per mettere seriamente in crisi il “Partito Corporativo”; questi livelli di scontro sono altresì importanti in quanto, se ben indirizzati, possono minare la capacità di controllo del sindacato e mantenere lo scontro su un terreno politico. Questo è ciò che abbiamo potuto verificare nell’ultimo periodo di scontro alla Fiat.
Un altro problema al quale dobbiamo assolvere è quello di saper tradurre in organizzazione i livelli politici che la classe operaia sta esprimendo. Ciò non vuol dire organizzare i comitati politici operai, come alcuni a Torino sostengono, o, come altri pare dicano, organizzare squadre di operai armati durante le lotte, bensì vuol dire costruire e rafforzare gli organismi di combattimento clandestini sul fronte della lotta di fabbrica che sappiano rendersi sempre più interpreti dei bisogni politici che la classe operaia o meglio il suo strato più avanzato, sta esprimendo.

Luglio 1975

Tutto il potere
Al popolo armato!

Brigate Rosse

Fonte: Lotta armata per il comunismo

ALFA ROMEO – QUADERNO N. 8 – GENNAIO 1980

Situazione di classe nelle fabbriche. La contrattazione.

Quello che è emerso dalla C.O. durante i contratti è stato sicuramente la non disponibilità a lottare per un contratto che non solo non rispecchia gli interessi della C.O., ma garantisce soprattutto quello dei padroni.
Gli alti livelli di lotte che si sono espressi (vedi FIAT) hanno voluto dimostrare una prova di forza con il padronato non tanto sui contenuti del contratto ma per uscire come C.O. dal terreno logorante che avevano scelto i padroni. Non è stato certo per le 10.000 in più che Torino è stata bloccata in quei termini, ma perché dopo mesi di lotta poco chiara e mistificata, dopo che il sindacato aveva mostrato nei fatti il suo ruolo compartecipe alla politica padronale, la C.O. ha voluto chiudere il “confronto” con la forza, per uscire il meno sconfitta possibile dallo scontro. Non è un caso, infatti, che il contratto è stato chiuso in fretta e furia perché ormai la situazione generale del paese era diventato un problema di ordine pubblico. Il ruolo del sindacato, la mancanza d’altra parte di una presenza attiva da parte delle forze rivoluzionarie, ha fatto sì che esistesse uno sbandamento e una insicurezza della C.O. determinata dalla poca chiarezza sul tipo di scontro.
Questo ha dato spazio a settori di classe che tendono al qualunquismo e al menefreghismo, mentre dall’altra parte chi lotta ha paura di essere in minoranza e isolato; soprattutto gli manca la chiarezza della complessità dello scontro e della prospettiva rivoluzionaria che tutto il proletariato ha più in generale. È grazie a questa prospettiva che chi resiste e lotta può dare un senso e una continuità alla sua battaglia che porta, quasi ogni giorno, contro il padrone, i suoi lacchè e i berlingueriani.
Ormai è chiaro a tutti il ruolo che il sindacato ha assunto soprattutto dalla linea dell’EUR in poi, quello cioè di uno strumento padronale di controllo e repressione delle lotte e attivo collaboratore della repressione.
Ancora più chiaro è il ruolo dei berlingueriani che ormai da lungo tempo hanno svenduto tutto in cambio di poche briciole. E hanno ragione quando dicono. “o con lo Stato o con le BR”; infatti da una parte c’è lo Stato e ci sono loro, dall’altra tutto il mov. Rivoluzionario e le sue avanguardie, e quei settori di classe che non hanno intenzione di farsi svendere. D’altronde la crisi internazionale che in Italia ha degli aspetti particolari dovuti alla forza che la C.O. si è conquistata in anni di lotte, ha ormai chiarito a quale nodo dello scontro siamo arrivati e quali sono gli schieramenti che si fronteggiano e il ruolo che ciascuno di essi ha, come i berlingueriani. La crisi che stiamo vivendo non è passeggera, ormai anche i padroni e i loro organi di stampa devono ammettere a denti stretti, ma è una crisi strutturale dovuta proprio al sistema economico imperialista dominante.
Le multinazionali, per fronteggiare la concorrenza che loro stesse si fanno e che si estende senza esclusione di colpi su tutto il mercato mondiale, investono enormi capitali in tecnologie sempre più avanzate, diminuendo così i margini di profitto, cercano e debbono recuperare questo margine facendone pagare il prezzo agli operai con i licenziamenti e aumento dello sfruttamento.
In Italia il problema della borghesia imperialista (capitalisti di Stato e quelli privati delle multinazionali) è proprio quello di fare questo salto: ristrutturare le fabbriche in modo da restare al passo con la concorrenza internazionale. Questo significa che o si sta al passo del livello produttivo che il sistema delle multinazionali impone, cioè di distruzione della base produttiva che rimane al di sotto di quel livello, o si rimane fuori dallo sviluppo capitalistico stesso. In parole povere questo significa per la borghesia nostrana, tagliare i “rami secchi”, i settori improduttivi, facendo migliaia di licenziamenti come per il settore chimico; passare ad un livello di tecnologia più avanzata, licenziando anche qui migliaia di operai, restringere comunque il numero della forza lavoro e automatizzare i processi lavorativi; trasformare sempre di più le fabbriche in caserme, accentuando il controllo poliziesco sulla C.O. recuperare ed aumentare sempre e comunque i profitti aumentando la produttività.
In Italia lo Stato, che è lo strumento di questa borghesia imperialista, lavora ormai da mesi attraverso decreti-legge e soprattutto con il piano Pandolfi, per portare avanti questa politica economica, che significa questo: togliere i soldi ai proletari per darli ai padroni. Questo da una parte, con l’aumento dei prezzi (luce, gas, telefono, mezzi pubblici, benzina,…) facendo pagare i medicinali ai proletari; dall’altra, diminuendo la spesa pubblica (meno servizi sociali e meno soldi per i lavoratori statali).
D’altra parte, si diminuiscono ancora di più gli oneri sociali a carico dei capitalisti (cioè lo Stato si accolla parte del costo del lavoro) è una delle condizioni poste dalla Confindustria – Intersind per la firma dell’ultimo contratto nazionale è stata quella che prevede lo scarico, in percentuale, degli oneri finanziari alla mutua che potrà controllare gli operai dai primi tre giorni di malattia.
E soldi rastrellati agli operai vanno a finire, come contributo agli investimenti, nelle tasche di chi deve ristrutturarsi. Darsi da fare, come il PCI e il sindacato, per portare avanti questo risanamento dello Stato e dell’economia (essi dicono che i soldi si devono prendere sì ai proletari ma si devono usare bene, devono produrre profitto e non clientelismo) significa dare una mano ai padroni della ristrutturazione e alle multinazionali nel loro tentativo di uscire ancora più forti dalla crisi attraverso la distribuzione di materiale, numerica e politica della C.O.. Distribuzione materiale, perché lavorare in fabbrica e fuori significa morire ogni giorno di super-sfruttamento e di nocività (le fabbriche sono diventate fabbriche di morte). Distribuzione numerica perché si restringe la base produttiva con i licenziamenti.
Per attuare tutto questo programma i padroni devono distruggere il muro della resistenza e cancellare anche soltanto il ricordo dell’esperienza di classe soprattutto di questi ultimi 10 anni. Non riuscire a fare questo significa subire e scontrarsi sempre più duramente con una qualità della lotta che non avrà certo schemi sindacali (le lotte sindacali non esistono più!) ma anzi si qualifica sempre più come scontro diretto e come lotta armata (L.A.).
Deve diventare quindi chiaro nella coscienza del mov. di classe e dei rivoluzionari, di tutti quei compagni che in passato in fabbrica hanno anche combattuto e ora sono sfiduciati, che si esce vincenti da questo scontro se si lotta e si combatte anche a partire dalle fabbriche e per la distruzione dello Stato e di questa società nella prospettiva della presa del potere. Questo è avere chiaro che la resistenza all’interno della fabbrica deve diventare un atto continuo e capacità di individuare non solo come la ristrutturazione articola reparto per reparto, ma individuare anche il processo complessivo che c’è dietro, conoscere gli strumenti che lo Stato dà in aiuto a questa ristrutturazione, riconoscere responsabilità individuali e collettive e le strutture di questo programma, e creare rapporti di forza in cui si esprime Potere Proletario.
Sappiamo com’è duro e complesso l’attacco che ci viene portato, ma è anche chiaro che indietro non si può tornare, anche se molti sognano gli anni ’50, la L.A. ha messo radici dentro il mov. di classe e su questo terreno ormai lo Stato si scontra quotidianamente e militarmente. Da questa forza rivoluzionaria che abbiamo costruito in tutti questi anni dobbiamo partire per articolare sempre più l’organizzazione armata dentro la classe e per costruire dentro le fabbriche e nei quartieri le articolazioni del Potere Proletario Armato.

PERCHÉ QUESTO DOCUMENTO
Deve divenire patrimonio di tutta la C.O. dell’Alfa Romeo la conoscenza del livello di scontro che dobbiamo sempre più duramente affrontare in fabbrica nei prossimi mesi e come il padronato programma le fasi del suo attacco.
Deve diventare patrimonio di tutti questa analisi e la conoscenza del piano padronale che viene già attuato e che ha il respiro di alcuni anni. Tutto questo non per conoscenza astratta, teorica, ma perché è su questo piano che dobbiamo confrontarci e programmare la nostra lotta e il nostro attacco.

COSA SI PREFIGGE IL PIANO PADRONALE
Da mesi, soprattutto da dopo le ferie, la borghesia di Stato dell’Alfa (Massacesi, ecc…) ha programmato i passi da compiere per “rimettere in sesto” il gruppo Alfa. “Rimettere in sesto”, per questi corvi di Stato aiutati dai loro lacchè berlingueriani, significa rilanciare il gruppo per aprirsi nuovi spazi all’interno del mercato internazionale e porsi in maniera concorrenziale di fronte alle altre multinazionali operanti nel settore. Risanamento dell’azienda vuol dire, per noi operai, come già lo viviamo tutti i giorni in fabbrica, aumento dello sfruttamento, cioè lavorare di più con una diminuzione graduale dell’occupazione. Per fare ingoiare agli operai il rospo della produttività, affrontando il più possibile lo scontro frontale, gli esperti dell’organizzazione del lavoro puntano ai tre obiettivi principali: 1° coinvolgere gli operai nel proprio sfruttamento, nel controllo reciproco, con la “ricomposizione delle mansioni e dei gruppi di produzione” (“nuovo modo di produzione”); 2° riqualificare le gerarchie in fabbrica dai capetti ai dirigenti per raggiungere questo obiettivo; 3° rinnovamento tecnologico (robot) e uso dell’informatica.

I° NUOVO MODO DI PRODURRE UGUALE AUMENTO DELLO SFRUTTAMENTO
Con l’introduzione in tutti i reparti di “gruppi per la produzione” la direzione in fabbrica si pone innanzitutto l’obiettivo di sconfiggere e prevenire la conflittualità operaia per arrivare all’utilizzo pieno della manodopera con l’eliminazione dei tempi morti (spostamenti, riduzioni, pause); controllo sulla mobilità da un posto all’altro, da un reparto all’altro a seconda delle esigenze produttive; controllo sulla presenza, mettendo gli operai gli uni contro gli altri per combattere l’assenteismo. Il risultato di questo modo di produrre dovrebbe portare in pochi mesi all’aumento di produttività del 15-20% a parità di manodopera. Ricomporre le mansioni significa che all’operaio disaffezionato dalla ripetitività del lavoro verranno assegnati nuovi compiti (piccole manutenzioni, controllo qualità, approvvigionamento materiali, e trasmissioni dati). Questo comporterà la creazione di figure operaie che, a seconda dei casi, verranno inquadrate ai livelli superiori, dividendo ancora di più i gruppi omogenei, o distribuendo incentivi di area. Es. i “battipaglia” o gli operai più esperti costituiranno le squadre jolly di recupero, che lavoreranno indistintamente su tutti i prodotti e su tutte le macchine, diventando, insieme ai capi, gli operai di fatto più fedeli alla direzione, e avranno anch’essi un controllo su tutti gli altri. Con l’assegnazione di questi “nuovi compiti”, verranno rimessi in discussione tempi, ritmi, carichi di lavoro, pause collettive ed individuali, per adeguare la quantità di operai presenti alla produzione che occorre quotidianamente (ad es. si effettueranno cadenze alternative, e si potrà programmare la produzione quindi le scorte necessarie). La direzione si propone di recuperare inoltre anche gli ammalati con la costruzione al Portello di nuove linee “ergonomiche” per montaggio motori (linee adatte ad operai in non perfette condizioni fisiche): veri e propri reparti lager di emarginazione.
È inoltre di questi giorni l’azione della direzione di restringere il più possibile i tempi assegnati.

ESEMPI DI COME MARCIANO QUESTI PROGETTI IN ALCUNI REPARTI. TAPPEZZERIA . ABBIGLIAMENTO
In base all’accordo del ’78, fra direzione e sindacato sul “superamento del sistema di lavoro a catena”, viene introdotta in tappezzeria un’isola sperimentale per la lavorazione dei sedili. Il lavoro viene svolto su postazioni fisse da parte di un unico gruppo di 9 operai. La direzione, impostando queste modifiche sull’organizzazione del lavoro, ha aumentato i carichi di lavoro, diminuito l’organico occupato, con aumento della produzione per ogni operaio. I tempi sono stati tagliati con la soppressione dei tempi morti – spostamenti, attesa dei pezzi, reperimento materiali. La saturazione da individuale è diventata di area. L’isola a postazioni fisse permette alla direzione di avere comunque la garanzia della produzione giornaliera. Infatti quando in catena mancano operai o succedono guasti tecnici, la produzione diminuisce. Questa sperimentazione non ha quindi entusiasmato gli operai interessati perché così lavorano di più che sulla catena tradizionale.

ABBIGLIAMENTO: LINEA 3 GT
Altro esempio concreto di come si dovrebbe tradurre nella realtà la nuova organizzazione del lavoro e quali sono le conseguenze per gli operai, sono i gruppi di lavoro a tratti di linea dell’abbigliamento sul GT.
La figura del manovale viene sostituita dagli operai di catena, così per il controllo qualità e per i recuperi e i battipaglia; si assisterà ad una mobilità continua di tutti gli operai su parti di lavorazione sempre diversa, annullando così la possibilità di organizzazione.
L’organico verrà ridotto di circa una 30ina di operai, ci sarà un maggior controllo sull’assenteismo, e responsabilizzando gli stessi operai su questo problema. Infatti, se nel gruppo mancherà una percentuale x di personale, il lavoro verrà suddiviso dai capi tra tutti i presenti, con la possibilità di spostare operai da una linea all’altra a seconda delle esigenze produttive. “Si adotteranno cadenze alternative”.
Venuti a conoscenza di questo programma su un “nuovo modo di lavorare”, gli operai interessati e riuniti in assemblea hanno emesso un comunicato rivolto all’esecutivo del CdF, invitandolo ad astenersi da qualsiasi trattativa sull’argomento in quanto l’assemblea si dichiarava contraria ad ogni eventuale modifica legata ad aumenti di ritmi lavorativi, diminuzione pause, peggioramento delle condizioni di lavoro.

GRUPPI MOTORI
Sempre per ottenere il massimo dagli operai, sono state decise al reparto meccanico le trasformazioni sui tratti di linea alla catena di montaggio “cambi” e alla catena montaggio – motori, per ridurre l’incidenza dell’assenteismo tanto che, pur di far andare la catena, si prendono in “prestito”gli operai della revisione. In questo senso varrà l’accordo del ’78, che prevede la trasformazione a “posti fissi” di una parte della catena (preparazione basamenti, preparazione teste), costituendo le cosiddette isole che sono in via di realizzazione. Ancora l’organico non è ben definito, ma i risultati immediati che la direzione si pone sono chiari: impiego di operai ammalati, maggior produttività, elasticità della forza lavoro, riduzione della conflittualità.

VERNICIATURA
La ristrutturazione nel reparto verniciatura è passata sotto diversi aspetti. Uno di questi è il cambio della cadenza, con conseguente diminuzione di manodopera, e riorganizzazione del lavoro. Gli operai che vengono recuperati, vengono utilizzati per far funzionare le catene gemelle (tutte le catene sono doppie) che non funzionano a pieno ritmo, ma secondo la presenza o l’assenteismo.
I risultati di pieno utilizzo degli operai, di tendenza al completo funzionamento degli impianti e al recupero certo della produttività, sono lampanti. Con il miraggio del “quarto livello” sicuro, sono state costruite le isole. Un esempio è l’isola formata dalla “finizione” e della “cabina smalto”. Altro esempio di isola è la cabina del metallizzato e la pre-cabina. Nella pre-cabina il lavoro è molto nocivo (coprono le parti levigate, e l’impianto di areazione è insufficiente). Gli operai che ci lavorano avevano cominciato a lottare per il quarto livello e per il cambiamento radicale dell’ambiente. La direzione per non spendere soldi in impianti che non avrebbero aumentato la produttività, ha proposto di formare l’isola con la cabina del metallizzato. In sostanza questo uso della manodopera, questo recupero dell’efficienza produttiva è una chiara messa in discussione di tutti quegli spazi conquistati in anni di lotte: parliamo delle extra-pause, del tempo recuperato sulla produzione, di questi momenti e quegli spazi che nella giornata lavorativa riusciamo a gestirci praticando le nostre esigenze. L’uso della mobilità, modificando continuamente il gruppo omogeneo ed il rapporto tra gli operai, diventa essenziale per la direzione che si pone da sempre l’obiettivo di distruggere qualsiasi forma di organizzazione che gli operai si danno per resistere allo sfruttamento.
Di questi “arricchimenti”, “allargamenti”, “ricomposizione delle mansioni” non è da ora che ne sentiamo parlare. Già da tempo, infatti, questi tentativi sono propagandati dai sindacati e dai berlingueriani, che vorrebbero reintrodurre la parvenza di una nuova professionalità (come se un lavoro scemo + un lavoro cretino fossero uguali a professione, mestiere!) nascondendo e mistificando il loro obiettivo che è FAR LAVORARE DI PIU’ GLI OPERAI, come vogliono i padroni.

2. RIQUALIFICARE LA GERARCHIA DI FABBRICA: NON SOLTANTO PIU’ “CAPI DURI” MA CAPI E DIRIGENTI VERNICIATI DI FRESCO.

Questo “nuovo modo di produrre”, il “gruppo di produzione”, dovrà cadere sotto la responsabilità del capo. Questa figura a detta degli stessi boss dirigenti, è in “perenne crisi di identità”, e perciò è indispensabile una istruzione specifica dei capi e dei tecnici che dovranno gestire la nuova organizzazione del lavoro (distribuzione del lavoro all’interno del gruppo, impiego e cadenze alternative, programmazione dei polmoni, utilizzo e mobilità degli operai nel reparto). È per questa necessità di “ mettere ordine” che sono stati istituiti corsi di formazione e addestramento nella scuola interna (ANCIFAP). Gli operai più anziani ricordano che qualche anno fa, alla vista di un delegato o di un compagno che svolgono attività sindacali o di politica tra gli operai, i capi cominciavano ad incazzarsi e gridare. Oggi no: il capo è il primo che prende il volantino (del sindacato, ovvio), è il primo che quando c’è qualche problema da risolvere chiama il delegato per convincere l’operaio che non vuole più saperne di spostarsi o di lavorare di più. Il capo è sempre il primo, quando la situazione glielo permette a esprimersi contro la violenza, contro i compagni più combattivi… La scuola, EVIDENTEMENTE, GLI FA BENE! Da parte sua, il sindacato cerca di fare il suo meglio per mettere insieme questi capi o capetti addirittura gli ha dato la possibilità di avere delegati propri. Una prima iniziativa di coinvolgimento è stata quella di organizzare al CdF una iniziativa reazionaria con l’assemblea di tutti i capi, dopo che la nostra brigata aveva bruciato le macchine di Giacomin, Russo e Guidon (responsabili dei gruppi, assemblaggio e verniciatura). Per tutti questi figuri, in “crisi di identità”, deve essere chiaro che se si metteranno neutrali o favorevoli (e meglio è) alle lotte operaie, le forze rivoluzionarie ne sapranno tenere conto. Gli altri (non importa se hanno la tessera del PCI o del sindacato, e fanno il doppio gioco.
Facciano in fretta un esame di coscienza, perché chi si schiera e collabora attivamente con il potere padronale non potrà sfuggire alla giustizia proletaria (non hanno nemmeno la possibilità di restare anonimi anche se tolgono la targhetta dal portone di casa), perché sono ogni giorno in contatto con noi operai. Fin qui abbiamo parlato di quelle figure della gerarchia di comando che hanno a che fare direttamente, con presenza fisica, con gli operai, ma è chiaro che per portare avanti il suo programma di ristrutturazione Massacesi e la borghesia di Stato va a ristrutturare anche la sua organizzazione dirigenziale (quadri intermedi e medi, che per loro fortuna non si fanno vedere molto dagli operai, ma che nonostante questo decidono, eseguono, si fanno garanti dei programmi padronali).
A livello di reparto – e non solo di reparto – non c’è più soltanto il dirigente autoritario e arbitrario, ma un essere capace di coinvolgere oltre i suoi collaboratori diretti, anche il sindacato tramite quei delegati (i più sono Berlingueriani e Craxiani) più collaborazionisti. Deve quindi avere una certa credibilità agli occhi di quella parte di aristocrazia operaia presente nei reparti e disposta a vendere la classe in cambio di una sorta di partecipazione ai programmi aziendali. Si arriva al punto che, se si va a trattare con alcuni di questi “gentili signori”, sembra di parlare con dei sindacalisti o viceversa. In sintesi, possiamo definire questo nuovo tipo di dirigente come uno più disponibile a trattare, ma fermamente convinto di quale sia il suo obiettivo: far produrre di più e meglio, spremere il più possibile operai collaborando con i Berlingueriani (quando non sono quei stessi dei cani per controllare e prevenire le lotte, per denunciare le avanguardie. Tutti costoro e i responsabili della ristrutturazione o della formazione sanno ormai troppo bene cosa gli aspetta: una buona dose di piombo, come le forze comuniste combattenti, a Torino stanno dimostrando da tempo!

3. ROBOTS E USO DELL’INFORMATICA
Dobbiamo fare una premessa di carattere generale sul cosiddetto progresso tecnologico. Innovazione tecnologica, introduzione di nuovi macchinari, automatizzazione, ecc. non sono positive o negative a seconda dell’utilizzo che ne fa chi detiene il potere. Utilizzata dal padrone o dalla borghesia di Stato come all’Alfa, questo significa sempre maggior sfruttamento degli operai, introduzione di nuovi elementi di divisione all’interno della classe, e in definitiva nuovi strumenti di oppressione e di espropriazione del lavoro e dei frutti. Non è mai accaduto, infatti, che le nuove macchine nei processi produttivi automatizzati abbiano voluto dire maggior ricchezza per gli operai, aumento del loro tempo libero e minor fatica. Se infatti con una nuova macchina si potrebbe lavorare la metà, in realtà bisogna produrre il doppio con maggior carico di fatica. A noi, se ci va bene, ci toccherà di fare lo stesso numero di ore, un lavoro molto più stupido, e solo per il padrone ci sarà guadagno doppio. Mentre proprio l’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate potrebbe permettere di produrre ricchezza per tutti, di distribuirla a tutta la società, di liberarci progressivamente della schiavitù del lavoro necessario. Ma perché ciò si possa realizzare, occorre che il potere non sia più nelle mani di un pugno di capitalisti o di una borghesia di Stato, ma sia saldamente in mano della C.O. e del proletariato. Fino ad allora sappiamo che ogni cosa decisa dai vari Massacesi sarà sfruttarci di più, siamo a favore del progresso tecnico, ma siamo e saremo sempre contro quello realizzato dai padroni. I Robots e gli impianti super-automatizzati sono al centro dei nuovi investimenti ed avranno nel prossimo futuro un peso sempre più rilevante. Per noi operai significa perdita di posti di lavoro e in molti casi un maggior vincolamento ai tempi di queste macchine. La filosofia padronale spacci queste innovazioni tecniche come una scelta indispensabile per togliere gli operai dai posti di lavoro più nocivi. In realtà i robot fanno risparmiare ai padroni i costi della manodopera. I loro esperti fanno notare che i robots oltre a non riscontrare difficoltà nella programmazione per eseguire altri tipi di lavorazione, non sono influenzabili dalla monotonia e dalla stanchezza e possono lavorare in tutte le condizioni (elevate temperature, rumori ….) con un rendimento costante in termini di quantità e qualità. Vediamo nella realtà che cosa hanno determinato.

– REPARTO MOTORI: un robot sigma-Olivetti ha cominciato a funzionare in produzione negli ultimi mesi per lavorazioni di sbavatura e avvitatura prigionieri sui coperchi anteriori dei motori. Ne fa circa 800, mentre cinque operai ne facevano 600.
– SALA PROVA MOTORI: dopo che gli operai avevano denunciato l’azienda per le condizioni altamente nocive in cui erano costretti a lavorare, si è raggiunto un accordo sindacale per la costruzione di una nuova sala prove che prevede l’automazione di parecchie funzioni che prima venivano svolte dagli operai per cui ci sarà una notevole diminuzione del personale. Inoltre già da oggi la sostituzione degli ammalati avviene con personale selezionato con lo scopo di disgregare il gruppo omogeneo che ha sostenuto le più significative lotte di reparto contro la nocività.
– ASSEMBLAGGIO: con la produzione della Giulietta sono stati introdotti nei reparti 4 robot Comau per l’assieme delle fiancate. Prima queste lavorazioni prevedevano 12 operai ora ce ne sono 8 con un incremento della produttività. Infatti gli operai vengono utilizzati su più posti di lavoro con una continua mobilità ottenendo così un forte aumento della saturazione individuale. Anche all’Alfetta due robots Comau sono stati installati alle fiancate è di questi giorni l’aumento della produttività e l’impiego costante di cadenze alternative che hanno determinato un generale aumento dei carichi di lavoro degli operai interessati anche sul resto della catena. Alla catena della Giulietta (scocca) è stato introdotto un robot expert r30 in via sperimentale in vista della robotizzazione completa della linea.
– VERNICIATURA: la robotizzazione è l’aspetto principale della ristrutturazione perché, oltre alla diminuzione della manodopera, l’azienda ottiene un forte calo conflittualità nei posti di lavoro più nocivi. È stata installata una cabina completamente automatizzata che sostituisce tre operai che spruzzavano l’antirombo. Nelle cabine primer sotto smalto ci sono robot swizer con bracci spruzzatori.
– STAMPAGGIO: sulle grandi presse sono stati installati dei transfert che hanno ridotto a metà l’organico che c’era prima.
– FONDERIA E FORGIA: soprattutto in questi reparti l’azienda, negli ultimi anni, senza nessuna difficoltà ha smantellato impianti e decentrato parecchie lavorazioni fuori dall’Alfa, nelle piccole fabbriche di zona. Una robotizzazione completa (due robots unimate) si è avuta allo stampaggio a caldo del supporto ruote.
Un aumento della produttività notevole si è avuta con la meccanizzazione di alcune lavorazioni (pressocolate). Con la robotizzazione di intere linee nei reparti, l’obiettivo su cui si muove la direzione, oltre quello dell’aumento della produttività, è quello di rendere sempre più difficile o addirittura distruggere l’organizzazione operaia che si muove al di fuori degli schemi sindacali, isolandoci, dividendoci, spostandoci. A qualcuno magari verrà data l’illusione di un lavoro professionale essendo a contatto con le macchine ma quella professionalità è sempre più un’illusione: è considerato più professionalizzato non tanto l’operaio che sa lavorare meglio, ma quello che dimostra più consenso (quindi l’operaio ruffiano) verso la ristrutturazione del padrone. Il posto di lavoro vicino alla macchina che porta avanti la produzione, su quella linea, in quel reparto, crea l’illusione di un’alta responsabilità e professionalità. Questa illusione, questa corsa alla carriera, fa di questo operaio il più legato alla direzione, ai suoi programmi: ne fa un controllore in tuta degli altri operai.
Rallentiamo e blocchiamo questa tendenza del padrone a isolarci e dividerci. Approfondiamo a livello di massa la conoscenza del funzionamento di queste macchine ed interveniamo scientificamente per bloccarle.

COSTRUIAMO NELLE LINEE, NEI REPARTI, NUCLEI DI OPERAI NON INDIVIDUABILI DAL POTERE E DAI COLLABORAZIONISTI SINDACALI, PER PORTARE AVANTI L’INTERVENTO CONTRO I NUOVI MEZZI DI OPPRESSIONE DI SFRUTTAMENTO; ISOLIAMO CHI, SEPPURE IN TUTA, SI ASSUME LE FUNZIONI DI CAPO.

3.I INFORMATICA E MILITARIZZAZIONE

Per molto tempo all’Alfa si è parlato di crisi (se ne parla ancora), perché l’azienda non riusciva e non riesce a porsi ai livelli di concorrenza soprattutto estera. La borghesia di Stato ha fatto fronte a questa situazione da una parte razionalizzando tutto il settore commerciale, vendite, marketing, e con un piano di efficientizzazione di tutto il settore amministrativo e impiegatizio; e dall’altra parte con un piano di ristrutturazione dell’organizzazione del lavoro nei reparti di produzione, come stiamo analizzando.
I nuovi macchinari a più alto livello tecnologico per migliorare la quantità e qualità della produzione comportano grossi investimenti. Queste spese le vogliono recuperare con l’aumento della produttività, facendola insomma pagare a noi, mantenendo così inalterati e aumentando i profitti. La razionalizzazione di tutto il settore finanziario, o commerciale e amministrativo, avviene con l’introduzione dell’informatica che è l’asso nella manica che le multinazionali hanno utilizzato a livello mondiale. L’informatica è l’uso delle macchine elettriche (cervelli elettronici, computer) per centralizzare con pochi esperti ultraqualificati le informazioni sui processi produttivi e commerciali, e programmare quindi il lavoro per rendere tutto più spedito e razionale. Nel settore commerciale le informazioni, le ordinazioni, le spedizioni diventano più veloci; le merci prodotte circolano più velocemente e si recuperano più velocemente i capitali.
Nel settore impiegatizio e tecnico ci sarà un numero di persone sempre più qualificate, appendici delle macchine. Le assunzioni sono quindi bloccate, e ci sarà anzi un grosso calo dell’occupazione, mentre pochi individui avranno sempre più potere e conoscenza, e comanderanno sempre un numero più grande di lavoratori a cui viene tolta definitivamente ogni possibilità di intervento. È attraverso le macchine elettroniche che la direzione sta riorganizzando tutto il controllo nella fabbrica e nei reparti. Oltre agli uomini usati tradizionalmente, come guardioni, infiltrati in tuta, ex CC e spie, che ci ritroviamo a “lavorare” sulle linee, questo controllo ORA AVVIENE ATTRAVERSO LE MACCHINE. Controllo sulla presenza con l’introduzione di nuovi cartellini magnetici con tanto di foto a colori con tutte le informazioni sull’operaio, unici per l’entrata in fabbrica, mensa, spostamento da un reparto all’altro. Attraverso questo cartellino inserito nella macchinetta con barriera tipo metropol, si verifica e si controlla l’ora di accesso ai saloni della mensa di ogni singolo operaio, quanto beve, cosa mangia. Già esiste al salone I della mensa centrale l’esempio di questa ristrutturazione. L’uso delle macchine elettriche verrà esteso alla programmazione della produzione di un dato reparto. Tutte le informazioni su quanto succede in un dato reparto (lotte in corso, assenteismo, guasti tecnici) vengono centralizzate da un cervello elettronico. Questo ha il compito di programmare di conseguenza il flusso della produzione, scorte, approvvigionamenti per evitare che il ciclo si inceppi, per evitare soprattutto che le lotte operaie incidano sulla produzione e per fare in modo che vengano prevenute.
Compagni, di fronte a questo programma criminale l’unica parola d’ordine possibile e praticabile perché la fabbrica non diventi una caserma è la:

DISTRUZIONE DEI NUOVI STRUMENTI DI CONTROLLO E SCHEDATURA!
° INDIVIDUIAMO NELLE LINEE GLI INFILTRATI E LE SPIE, ISOLIAMOLI E COLPIAMOLI!
° ELIMINIAMO I MAGGIORI E DIRETTI RESPONSABILI E GLI ORGANIZZATORI DI QUESTO CONTROLLO!

4. RUOLO DEL SINDACATO E DEI BERLINGUERIANI
È emerso di volta in volta nell’analisi del piano padronale il ruolo che il sindacato e i berlingueriani hanno nella ristrutturazione. Il loro ruolo di repressione nelle lotte non è fine a se stesso, ma si inquadra nella strategia che hanno questi venduti per far uscire fuori la borghesia imperialista dalla sua crisi con un necessario sacrificio degli interessi della classe operaia. Quindi i bonzi sindacali e berlingueriani diventano fino in fondo COLLABORAZIONISTI con il programma che tende ad eliminare l’organizzazione di classe in tutte le sue espressioni: dalla resistenza, alla mobilità, agli aumenti dei carichi di lavoro, all’attacco offensivo che le avanguardie operaie e proletarie sferrano continuamente contro il potere borghese. Si arriva a rinnegare quello che la violenza operaia ha sempre espresso per imporre gli interessi di classe, quindi ogni forma di lotta diventa violenta da condannare e denunciare, come a dicembre a Portello. Anche la lotta più elementare e quotidiana diventa lotta sovversiva, perciò non c’è da meravigliarsi se questi figuri sono i maggiori responsabili di schedature, spiate, dimenticando ogni tanto la fine del loro compare. Ressa, spia dell’Italsider. D’altronde questi individui sono gli amanti folli dei Massacesi e i bavosi leccaculo dei dirigenti cosiddetti democratici. Infatti sono loro stessi dei capi, mentre la stragrande maggioranza di quelli dell’Esecutivo sono inquadrati ai livelli più alti (dal 4° grado in su), girano tutto il giorno senza lavorare e accusano chi lavora 8 ore sulla linea e qualche volta si mette in malattia di assenteismo e di passare sugli altri!
Da tempo oramai vanno a braccetto con DIGOS e CC: pensano che la tessera del PCI li renda immuni! È molto pericoloso girare con gli aguzzini del proletariato! Per costoro non c’è molto da aggiungere a quello che oramai si è detto da molto tempo. L’attacco si articola a seconda dei livelli di responsabilità che ognuno si assume. Non fanno parte della C.O. e per questo ne devono essere espulsi.
Un diverso discorso vale per la base del PCI, e sempre più vive la contraddizione di soffrire sulla propria pelle l’attacco del padrone ed essere nello stesso tempo il/un partito che pur prendendo calci in culo dalla, borghesia si ostina a voler essere il suo servo fedele. Per tutti questi compagni la via è già tracciata da chi in nome del comunismo LOTTA e COMBATTE.

5. PROSPETTIVA PER CHI LOTTA E RESISTE IN FABBRICA È LA LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO.
Compagni, di fronte ad una ristrutturazione che già marcia da mesi e si articola in modo capillare in tutti i reparti, dobbiamo capire che non basta più resistere con la lotta quotidiana che da sempre facciamo, se non si sviluppa un attacco offensivo che ci riapra continuamente quegli spazi che ci servono per organizzarci ed andare avanti. Lo vediamo cosa succede quando si mette in discussione quello che la direzione sta cercando di farci passare giorno per giorno sulle linee, nei reparti. Vediamo cosa succede quando gruppi di operai si fermano, tentano qualche reazione alle decisioni di aumentare la saturazione, o quando gruppi di operai scioperano per il passaggio di categoria e contro la nocività. Immediatamente tutto l’apparato sindacale e i capi bloccano ogni possibilità di estensione della lotta e del suo proseguimento. Insieme alle intimidazioni dirette ai più combattivi c’è l’intervento del sindacato che consiglia sempre gli smettere e rimandare ad altre trattative future, tirando fuori l’eterno spauracchio della C.I. o dei licenziamenti, dividendo o indebolendo gli operai, che pur convinti della propria lotta, pur convinti che il sindacato vende fumo e svende le lotte e soprattutto sta dalla parte di Massacesi, non vedono però immediati sbocchi possibili. Quando diciamo che il sindacato sta dalla parte di Massacesi, non calunniamo nessuno. Lo dicono gli stessi burocrati sindacali, che Massacesi è democratico e sta cambiando le cose ed è vero che le sta cambiando, ma sempre più contro gli operai come dimostra il piano di ristrutturazione analizzato.
Finalmente le richieste dei berlingueriani di produrre di più e meglio combaciano perfettamente con i piani della borghesia di Stato. Vuol dire che ogni volta che ci muoviamo, veniamo immediatamente accerchiati e una parte di operai perde sempre più fiducia nella possibilità di lottare e non essere schiacciati. Si diffonde la paura ANCHE PERCHE’ CHI LOTTA OGGI VIENE IMMEDIATAMENTE FATTO PASSARE PER TERRORISTA, perché mette in discussione il piano padronale e lo mette in crisi. È vero che lo mette in crisi, ma è proprio in questo che sta la nostra forza!
Compagni, la possibilità di poter resistere in modo offensivo e di creare rapporti di forza a noi favorevoli sta proprio in questo: ritardare il piano di ristrutturazione e metterlo continuamente in crisi, significa colpire in questa fabbrica una articolazione del programma imperialista che vuole rimettere velocemente ordine nel sistema sociale per potere uscire dalla crisi. Una crisi che si sta delineando per loro, per la borghesia nostrana e quella internazionale, sempre più senza via di uscita. Mettere in discussione in modo offensivo questo loro piano quadriennale significa: legare l’attacco che portiamo avanti in questa fabbrica con la lotta e l’attacco al potere economico, politico e militare dello Stato, che si sviluppa ormai da anni nel paese. Attacco portato avanti dalle avanguardie comuniste combattenti, dagli operai e dai proletari, nella metropoli imperialista e da settori sempre più consistenti di popolazione. La prospettiva che dobbiamo avere davanti, lottando e combattendo in fabbrica è quella di costruire qui dentro l’organizzazione proletaria armata e il rafforzamento dei nuclei clandestini per la costruzione del PCC. Il fine cui dobbiamo tendere è la completa distruzione di questa società e di questo Stato per la costruzione della società comunista.

6. IL POTERE ROSSO
Compagni quando diciamo che ci dobbiamo muovere legando la nostra lotta quotidiana a momenti di attacco non vogliamo dare una indicazione che potrebbe risultare soltanto parziale e sopratutto economicista.
Colpire la macchina (robot) che determina i nostri termini o il cervello elettronico che determina il controllo su di noi insieme ai capi o, il sabotaggio di impianti, non deve essere soltanto una forma di lotta più incisiva per raggiungere un obiettivo (più pause, per esempio). Lo spazio che ci siamo conquistati in quel momento è vero che ha determinato dei rapporti di forza a noi favorevoli, ma essi non restano così in eterno. La L.A. non è una forma più radicale di un’altra, ma è una strategia politico-militare che nel momento in cui colpisce non solo conquista delle cose, ma deve creare organizzazione stabile, chiarimento e discussione tra gli operai, altri compagni che imbracciano il fucile, coscienza rivoluzionaria. Soltanto così si costruisce un potere proletario, che cresce e si rafforza se si riesce ad individuare, colpire, disarticolare continuamente tutto l’apparato (che è fatto di uomini e di strutture), che organizza la nostra espressione in fabbrica dalla direzione del personale a quella che determina e studia la ristrutturazione, a quella informativa.

7. GUERRIGLIA E NON TERRORISMO
La differenza della guerriglia dal terrorismo sta proprio qui: colpire non per terrore indiscriminato, (non perché esso sia condannabile in ogni condizione storica), ma per inceppare e disarticolare il potere della borghesia (nel nostro caso la borghesia di Stato) e creare continuamente contraddizioni all’interno del nemico per indebolirlo. Ma nello stesso tempo, costruire dove il proletariato vive e lotta (fabbrica, quartiere, carceri) le articolazioni del potere proletario armato, costruire cioè l’organizzazione proletaria che dia centralità all’attacco armato e che ogni lotta che si esprime sotto qualsiasi forma sia capace di dare la prospettiva più generale della L.A. per il comunismo; e faccia crescere la coscienza rivoluzionaria dei proletari, costruisca le strutture clandestine che diano continuità alla lotta e al combattimento. COSTRUIAMO LE ARTICOLAZIONI DEL POTERE PROLETARIO ARMATO IN FABBRICA E LE CELLULE DEL PCC. Compagni, questo processo rivoluzionario può però avere un respiro e una via di uscita nella guerra civile di lunga durata solo se diretto politicamente e militarmente dal PCC, cioè da una organizzazione dei rivoluzionari che costruiscono non soltanto in fabbrica e nel territorio o in una metropoli, ma su tutto il territorio nazionale l’organizzazione capace di guidare questo processo .
Soltanto la costruzione del partito, la capacità che esso ha di disarticolare continuamente l’apparato economico politico e militare dello Stato, i rapporti di forza favorevoli al proletariato che esso riesce a costruire, l’organizzazione logistica di supporto al combattimento, la chiarezza delle indicazioni, può far muovere un numero sempre più grande di proletari sul terreno della L.A.
La brigata di fabbrica che dà il suo contributo alla costruzione del Partito, cerca di dare una indicazione più chiara e giusta a quei compagni che vogliono muoversi sul terreno della lotta armata e li aiuta ad organizzarsi.
Dà anche una prospettiva a tutti quegli operai che ancora non hanno scelto di armarsi, ma che continuano a lottare ed è disposta a confrontarsi con quelle avanguardie più coscienti che vogliono muoversi nella costruzione del PCC.

COSTRUIAMO IN FABBRICA LE ARTICOLAZIONI DEL POTERE PROLETARIO ARMATO!
COSTRUIAMO IL PCC !
COSTRUIAMO I GRUPPI CLANDESTINI !
RAFFORZIAMO LA BRIGATA ALFA ROMEO !

Comunicato congiunto BR e NAP su azioni contro caserme dei CC in varie città (1976)

Compagni,

le multinazionali, Agnelli, Cefis, la Confindustria hanno da tempo sferrato un pesante attacco alla Classe Operaia, creando con massicci licenziamenti ed il crescente costo della vita, un clima di terrore con il quale sperano di avere poi carta bianca per ristabilire i loro profitti che le lotte hanno definitivamente compromesso.

Ma sanno che tutto ciò non basta e che il loro “ordine” dovrà essere imposto con le armi. In questo progetto i CC rappresentano la punta di diamante ed il nucleo strategico della repressione armata controrivoluzionaria. È così che negli ultimi tempi la pratica dell’omicidio contro i proletari con la quale i CC hanno costruito la loro “luminosa” storia, si è scatenata nel tentativo di liquidare le avanguardie rivoluzionarie.

La messa in campo di tutto il loro apparato terroristico vuole raggiungere l’obbiettivo di scoraggiare e sconfiggere ogni momento di resistenza proletaria.

La “licenza di uccidere” della famigerata legge Reale è ora diventata un esplicito “ordine di uccidere”.

La politica seguita dal partito di Berlinguer, che fino ad ora poteva essere scambiata per vergognosa compiacenza con i padroni, ora si dimostra quale vera e propria complicità nei piani di ristabilimento dell’ordine imperialista delle Multinazionali della Classe Operaia:

  • organizzarsi sul terreno della guerra di classe, della Lotta Armata per impedire che attraverso l’oppressione militare, lo Stato delle Multinazionali Imperialista decreti la sua sconfitta.
  • lottare in ogni ambito per approfondire la crisi della borghesia perché i bisogni proletari sono, oggi più che mai, antagonisti alle aspettative padronali ed il loro unico interesse è la Rivoluzione Comunista.
  • unificare il movimento operaio attorno alla strategia della Lotta Armata per il potere proletario isolando e sconfiggendo i paladini del “Compromesso” e dell’ “Interesse Nazionale”.

 

L’attacco alle caserme dei CC non ha il respiro della rappresaglia, ma indica una linea di combattimento che insieme a tutte le forze rivoluzionarie combattenti intendiamo percorrere FINO ALLA VITTORIA!

PORTARE L’ATTACCO ALLO STATO!

CI DEVE ESSERE UNA SOLA FORZA ARMATA: I PROLETARI CON IL FUCILE IN SPALLA.

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!

 

Il giorno 1 marzo 1976 nuclei armati delle Brigate Rosse e dei Nuclei Armati Proletari hanno attaccato simultaneamente le seguenti caserme dei CC distruggendo numerosi mezzi militari.

MILANO: Comando di Compagnia di Rho, in via Buon Gesù.

TORINO: Stazione di Madonna di Campagna, in via Zubrieno.

GENOVA: Comando Compagnia di Sampierdarena, corso L.A. Martinetti n. 7.

ROMA: sono state attaccate tre caserme dei CC, tra cui la Stazione di Quadraro, di via Quintilli 130 e la Stazione Garbatella, di Luigi Orlandi 8.

NAPOLI: Caserma zona Fuorigrotta, via Benedetto Cariteo.

FIRENZE: Stazione del Campo di Marte.

PISA: La BRIGATA D’ASSALTO “DANTE DI NANNI” ha attaccato la caserma dei CC di via Guido da Pisa.

 

Compagni,

il presente comunicato è firmato da due organizzazioni combattenti: Brigate Rosse e Nuclei Armati Proletari.

Nella prospettiva della costruzione del Partito Combattente occorre operare per la riunificazione di tutto il movimento rivoluzionario, facendo ogni sforzo perché da ogni esperienza di Lotta Armata nasca una sempre maggiore capacità politica, militare e di organizzazione del proletariato rivoluzionario.

In questo senso è da tempo in corso un confronto politico tra le Brigate Rosse e i Nuclei Armati Proletari. Verificato che non esistono sostanziali divergenze strategiche tra le due organizzazioni, permangono tuttavia delle diversità di prassi politica dovute soprattutto alla diversa storia delle Br e dei NAP ed al diverso cammino fin qui percorso.

Quindi nel rispetto della propria autonomia, le BR e i NAP possono fin da ora praticare comuni scadenze di lotta e realizzare una unità d’azione in un unico fronte di combattimento.

Alla borghesia che ha tutto l’interesse a presentare le forze combattenti come divise, frantumate, disperse, occorre contrapporre una sempre maggiore unità delle Organizzazioni Rivoluzionarie che nella strategia della Lotta Armata combattono per una società comunista.

DI FRONTE AL NEMICO COMUNE UNITA’ DELLE FORZE COMBATTENTI!

TUTTO IL POTERE AL POPOLO ARMATO

Milano, 1-3-76

Brigate Rosse
Nuclei armati proletari

 

Fonte: Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione

Norme di comportamento (stralcio) – 1974

LA CLANDESTINITÀ

La clandestinità è una condizione indispensabile per la sopravvivenza di una organizzazione politico-militare che operi all’interno delle metropoli imperialiste. La condizione di clandestinità non impedisce che l’organizzazione si svolga per linee interne alle forze dell’area dell’autonomia operaia. Oltre alla condizione di clandestinità assoluta si presenta perciò, nella nostra esperienza, una seconda condizione in cui il militante pur appartenendo all’organizzazione, opera nel movimento, ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità. Questo secondo tipo di militanza clandestina da un punto di vista politico è alla base della costruzione delle articolazioni del potere rivoluzionario; da un punto di vista militare è a fondamento dello sviluppo delle milizie operaie e popolari. Operare a partire dalla clandestinità consente un vantaggio tattico decisivo sul nemico di classe che vive invece esposto nei suoi uomini e nelle istallazioni. Questo vantaggio viene annullato quando la clandestinità è intesa in senso puramente difensivo. La concezione difensiva della clandestinità sottintende o nasconde l’illusione che lo scontro tra borghesia e proletariato in ultima analisi si giochi sul terreno politico piuttosto che su quello della guerra e cioè che gli aspetti militari siano in fondo solo aspetti tattici di supporto. Il lavoro politico di ogni compagno si svolge all’interno di una colonna. Tutti i rapporti politici devono dunque essere controllati e valutati. […] Non si deve mai andare a un appuntamento o fare un lavoro particolare senza che qualcun altro dell’organizzazione non ne sia al corrente. In particolare per contatti con nuovi elementi esterni è necessaria una discussione preventiva coi responsabili della colonna. È necessario anche discutere la necessità di predisporre misure di sicurezza adeguate al caso. Ogni contatto deve essere regolato secondo un modo prestabilito. Nel caso in cui salti un appuntamento ne deve essere fissato automaticamente un altro di recupero permanente. Questa norma può essere usata come misura di sicurezza, soprattutto qualora un rapporto non sia ancora completamente verificato. Si può saltare appositamente un appuntamento e mandare un compagno in perlustrazione nella zona. I luoghi degli appuntamenti vanno quindi precedentemente studiati e conosciuti nei minimi particolari. Ogni luogo deve avere le seguenti caratteristiche: essere controllabile e ammettere una eventuale ritirata verificata e predisposta. […] Viaggiando evitare ogni occasione di litigio; guidare con estrema prudenza e totale rispetto del codice stradale. È necessario arrivare un po’ in anticipo agli appuntamenti per poter perlustrare la zona e per evitare di essere visti con la propria macchina posteggiata tenendo appunto presente l’eventualità di una fuga. Ogni militante deve avere i suoi luoghi di appuntamento. Fa parte del suo lavoro. È necessario inoltre evitare di ripetere gli appuntamenti negli stessi luoghi o per lo meno variarli con una certa frequenza. Vanno evitati i parchi pubblici, luoghi molto affollati, vicino a banche o istituzioni militarizzate. È preferibile evitare i centri più militarizzati ed incontrarsi nell’hinterland.

APPUNTI: 1. Non si prendono se riguardano l’organizzazione e la sua vita: si memorizzano. 2. Valgono per tutte le analisi generali, evitando di indicare nomi, luoghi, situazioni determinanti. 3. Non dimenticarli, non portarli con sé in azione. 4. Prestarli solo in caso di reale necessità. 5. Non vi devono figurare né indirizzi né tantomeno numeri telefonici.

DISCORSI: 1. Evitare discussioni sulla vita dell’organizzazione – anche con compagni – fuori dalle sedi adatte. 2. Nei luoghi pubblici, quando ci si trova tra compagni, si evitano pre o post riunioni: questo specie in vicinanza delle sedi. 3. Partire dall’ipotesi che tutti i telefoni sono controllati e quindi limitarne l’uso a brevi comunicazioni.

MACCHINE: Anche la macchina è un bene che l’organizzazione dà in dotazione al compagno. Egli è dunque responsabile della sua manutenzione. I documenti della macchina vanno accuratamente controllati al momento della consegna per verificare eventuali imperfezioni. Essi vanno inoltre periodicamente controllati tenendo presenti le varie scadenze dei bolli, della patente. La macchina all’interno deve figurare ordinata. Non devono esserci accumulati giornali di ogni genere, volantini o cartacce. Ogni sera occorre togliere l’eventuale radio o mangianastri, o altro che possa attirare l’attenzione dei ladruncoli. La macchina non deve essere prestata a nessuno salvo casi effettivamente urgenti o eccezionali. […] Deve diventare abitudine di ogni compagno quella di guardare spesso lo specchietto retrovisore delle macchine. In particolare ogniqualvolta si rincasa o ci si reca in qualsiasi struttura dell’organizzazione occorre accertarsi di non essere seguiti. È bene prendere l’abitudine di compiere qualche giro vizioso appositamente studiato per verificare in modo sicuro di non essere pedinati 1. Non posteggiarle nelle vicinanze delle sedi. 2. In ogni caso la macchina, anche in azione, deve contenere solo il minimo indispensabile di attrezzi meccanici utili per il suo ed il nostro effettivo funzionamento. 3. Partire dall’ipotesi che la macchina può essere perquisita o ispezionata in qualsiasi momento. 4. Non sempre la macchina è il mezzo migliore di riparo. 5. Le macchine nuove non devono essere intestate ai compagni. 6. Che bollo e patente siano sempre in regola e la macchina in perfetta efficienza. 7. I compagni devono sempre sapere il nome del proprietario della macchina presa in prestito.

CASE: «La casa è un bene dell’organizzazione che viene affidata in dotazione al militante: essa deve essere gestita secondo regole precise, inderogabili, uguali per tutti. Ogni casa deve essere frequentata esclusivamente dai militanti che ci abitano e conosciuta da un altro membro dell’organizzazione o della colonna precedentemente designato. Quest’ultimo dovrà recarsi nella casa solo per ragioni di particolare necessità. È ovvio, ma purtroppo necessario, ribadire che nessun altro (familiari, compagni legali e di brigata) deve conoscere né la casa di abitazione né la zona dove essa è ubicata. La tecnica di portare un compagno nella propria struttura con gli occhi bendati va rivista e usata solo in casi di assoluta emergenza. […] La strada deve prestarsi ad un facile controllo da parte del militante e a un controllo scoperto da parte del potere; cioè possibilmente non deve essere vicina a bar, luoghi pubblici di vario genere: negozi, istituti, magazzini. Quando un compagno prende possesso di una casa dell’organizzazione il suo primo compito è quello di costruirsi, nei dettagli anche minimi, come una figura sociale ben definita. Decide di presentarsi come operaio Fiat, o come professore, o come rappresentante. […] Il ruolo che ogni compagno si è assunto deve poi manifestarsi coerentemente nella sua vita di tutti i giorni. […] Se ad esempio si è assunto il ruolo di artigiano, bisognerà uscire di casa prima delle otto del mattino e non rientrarci fino alle 12.30, riuscire alle 14 e rientrare alle 19 o dopo. Ciò significa che ogni compagno si deve organizzare il proprio lavoro (appuntamenti, inchieste) secondo orari precisi […]. Salvo casi eccezionali ogni militante deve rincasare entro mezzanotte. Se non è strettamente necessario, i pasti li consuma a casa. […] Va detto che il ruolo assunto da ogni compagno va studiato attentamente per poter giustificare l’eventuale irregolarità del proprio comportamento. Per principio ogni militante deve presentarsi con aria rassicurante e gentile con i vicini di casa, ma è assolutamente necessaria una stretta riservatezza. 1. Non tenere in casa nulla dell’organizzazione e dei compagni: il materiale deve essere consegnato a Z (è il responsabile dei collegamenti della singola colonna) per la centralizzazione. 2. Partire dall’ipotesi che la casa può essere perquisita e ispezionata in ogni momento. In caso di perquisizione chiedere prima di avvertire il proprio legale, che ha il diritto di assistervi. 3. Come nei luoghi pubblici, non assumere atteggiamenti provocatori e di disturbo. 4. Per chi trasloca, scegliere stabili con citofono, onde evitare costi inutili di portierato. PERSONA: Ogni compagno deve essere decorosamente vestito ed in ordine nella persona: barba fatta, capelli tagliati. È bene girare con non più di due documenti e cioè la patente e una carta d’identità non legata ad alcunché. Bisogna avere con sé solo il materiale strettamente necessario al lavoro che si sta conducendo. Ogni militate dovrà portare la propria arma addosso. […] In caso di arresto, subito si declinano le generalità del documento di cui si è in possesso. Solo davanti al magistrato si declinano le proprie generalità. Ogni militante deve rifiutarsi di rispondere a qualsiasi tipo di domanda. La rivendicazione della propria identità politica è un fatto successivo che possibilmente verrà concordato con l’organizzazione. […] Nei riconoscimenti, se si viene arrestati, è bene riuscire a scambiarsi di posto con qualunque carabiniere accanto, poiché spesso il riconoscimento è già prestabilito. […] In ogni ora il nemico può individuare una base, ad ogni appuntamento il compagno può essere pedinato, il colpo può arrivare in qualsiasi momento, tutta la notte e per tutto il giorno. In caso di arresto, negare sempre. L’esperienza dimostra che il nemico difficilmente è in grado di colpire mentre entriamo in azione, mentre più frequentemente sferra gli attacchi infilandosi nella smagliatura dell’organizzazione. […] Nei rapporti con i familiari vanno tenuti presenti i tempi politici del lavoro dell’organizzazione. Prima e dopo le azioni, grosse o piccole che siano, non si possono avere rapporti. Quando la repressione colpisce le zone legali occorre tenersi nel modo più assoluto lontani. Bisogna avere cura di costruire alibi resistenti ai legali, qualora si trascorra con essi un periodo di tempo. […] Per lavoro clandestino intendiamo il consolidamento di una base materiale economica, militare e logistica che garantisca una piena autonomia alla nostra organizzazione e costituisca un retroterra strategico al lavoro tra le masse. […] È molto importante per l’organizzazione riuscire a non farsi fotografare o tanto meno riprendere in TV. Spesso questi fatti hanno causato la caduta di strutture dell’organizzazione. 1. Portare sempre con sé un documento di riconoscimento che deve essere esibito su richiesta. In caso di rifiuto si viene accompagnati in questura per rilievi segnaletici. 2. Controllare la scadenza del passaporto e tenerlo aggiornato. Chi non lo avesse lo faccia subito. 3. I compagni con precedenti penali possono controllare la loro posizione mediante richiesta di certificati penali. 4. Il taccuino dei numeri di telefono e dei nomi dei compagni deve essere abolito: i numeri corrispondenti si trovano sull’elenco telefonico, quelli di uso corrente si imparano a memoria; quelli che non appaiono sulla giuda e che non si memorizzano, si cifrano personalmente e si scrivono su un foglietto. 5. Le agende degli appuntamenti sono ammesse purché i fogli degli appuntamenti scaduti siano distrutti; si consiglia l’uso di schede settimanali. 6. Gli indirizzi dell’organizzazione devono essere consegnati a Z per la centralizzazione. 7. Partire dall’ipotesi che l’abito non fa il monaco.

LEGAMI DI PARENTELA E AMICIZIA: I rapporti con la legalità sono il punto più debole di tutto il nostro lavoro. L’accerchiamento periferico avviene infatti a partire da quelle zone legali che si sospetta siano in contatto con l’organizzazione: mogli, famiglie, avanguardie politiche che si espongono. Dobbiamo dare per scontato che a partire da questi punti in nemico cercherà di giungere ai compagni clandestini. È necessario dunque regolamentare questi rapporti nella maniera più rigida. 1.Verso il mondo esterno bisogna acquisire una dimensione di “autonomia” ponendo una barriera tra sé e gli altri. 2. Liquidare il proprio passato pericoloso.

RAPPORTI CON COMPAGNI ESTERNI ALL’ORGANIZZAZIONE: Per nessun motivo i compagni delle forze regolari devono frequentare le case dei compagni irregolari o di militanti non completamente esterni all’organizzazione. 1. Con tali compagni la discussione riguarda esclusivamente le analisi generali e la strategia. Non si deve fare assolutamente alcun riferimento all’organizzazione.

VIGILANZA: 1. Ogni compagno deve essere in grado di cogliere, valutare e verificare (nei pressi dell’abitazione, della sede o quando è in auto) tutte le situazioni anomale (spie, piantoni, macchine sospette, ecc) e deve indicare tutti i dati possibili a Z. I sospetti devono essere verificati onde evitare tensioni allarmistiche inutili; questo vale anche per notizie eventuali di fermi ecc. di altri compagni, perquisizioni di case o sedi e arrivo di fascisti. 2. Queste note non basta averle in tasca o in testa: si devono assimilare e mettere in pratica si da ora. Poi si distruggono.

OGNI LEGGEREZZA È L’INIZIO DI UN TRADIMENTO. ANCHE SENZA VOLERLO POSSIAMO COMPORTARCI DA SPIE E DA DELATORI. IL RISULTATO NON CAMBIA: LA SI PAGHERà CARA

 

Campagna sulle fabbriche – Opuscolo n. 17 (stralci)

Prospettive strategiche e rilancio della campagna sulle fabbriche.

Premessa indispensabile per un rilancio della campagna sulle fabbriche incentrata sul processo al porco Tagliercio (sic), è mettere in evidenza i caratteri fondamentali che la DS 80 delle B.R. ha lanciato come indicazione generale, che hanno vissuto in maniera diversa all’interno della nostra O. e in altre frazioni del partito in costruzione.

Prima di tutto il concetto di campagna. La campagna di combattimento nella fase della conquista delle masse alla L.A. x il C., non può vivere aldifuori dell’analisi del movimento del capitale, dello stato del partito, dei settori di classe. È dentro l’arco di una intera congiuntura che si consuma questo triplice rapporto e lo riporta ad un livello diverso, superiore della contraddizione e dei rapporti di forza tra le classi. Per questo si è detto che la campagna D’Urso andava a chiudere un intero ciclo di lotte e portava a compimento la battaglia iniziata il 2 ottobre. Dentro questo arco di tempo politico, le determinazioni del Potere Rosso, hanno portato con la conquista della chiusura dell’Asinara, quindi con la conquista di un elemento del programma immediato del PP, alla fine di una congiuntura. Questo intendiamo per congiuntura.

All’interno di essa, muoversi per Campagna significa elaborare un programma in cui attraverso le necessarie battaglie, il partito e gli OMR vanno alla definizione e alla conquista del P.I. Nella campagna Tagliercio, è vissuto un primo momento di tutto questo: cioè l’approccio alla definizione di un programma generale di congiuntura su uno strato di classe centrale, la classe operaria delle grandi fabbriche. È vissuto perché si è posto a partire dai caratteri generali della congiuntura riferiti sia ai movimenti del capitale sia ai movimenti di classe, andando a precisare i contenuti centrali. È stata cioè l’impostazione di partire dalla testa, dai caratteri unificanti, che può permettere di arrivare alla determinazione dello stesso rapporto di potere nelle mille articolazioni delle lotte e dell’organizzazione autonoma della classe.

Come la campagna D’Urso si poneva in termini unificanti rispetto ad un intero strato di classe, i PP, così la campagna Tagliercio (in un rapporto di forza diverso perché diverso è nella classe operaia il livello di accumulo di forza operaia organizzata) rispetto alla classe operaia delle grandi fabbriche. Solo a partire da questi necessari passaggi pensiamo sia possibile determinare il terreno dei Programmi immediati, senza correre in errore di confonderli con obiettivi di lotta espressi da porzioni parziali di ciascun settore di classe. (…)

Per questo riteniamo sbagliata la concezione che definisce la campagna come possibilità di tradurre, trasformare, concretizzare e sviluppare il programma generale di transizione al comunismo in programmi specifici di potere. Dove sta l’errore? Sta nel racchiudere forzosamente all’interno di una battaglia tutti i passaggi necessari che caratterizzano un’intera congiuntura, saltando in modo del tutto arbitrario e soggettivista, il problema di definire un arco politico di tempo le caratteristiche generali in cui la singola battaglia vive, cioè il problema della definizione del programma generale di congiuntura entro cui si danno molteplici battaglie. Proprio perché le campagne si debbono articolare in strati diversi di classe, definire esattamente le contraddizioni dominanti della congiuntura si può evitare l’errore di ripetere nella forma e non nella sostanza, esperienze vincenti diverse. Cioè definire la campagna un “punto di non ritorno”, per evitare di imbalsamarla, significa evidenziare un passaggio fondamentale dell’agire da partito in un specifico strato di classe, in una dinamica precisa del rapporto rivoluzione-controrivoluzione. (…)

Si tratta, per gli altri strati di classe di fare la stessa operazione politica tenendo ben presenti gli effetti immediati e strategici che ogni singola battaglia sviluppa sul doppio terreno dell’attacco al cuore dello Stato e della conquista delle masse alla lotta armata. (…)

Il compito fondamentale in questa congiuntura è la costruzione degli OMR per il passaggio alla fase della guerra civile dispiegata.

Dicono i compagni nella 7° tesi dell’Ape: “Questo passaggio non appare oggettivamente possibile senza che siano stati pazientemente fabbricati tutti gli strumenti organizzativi che la situazione richiede. Senza cioè che il PM abbia conquistato la capacità politico-militare di manifestare la sua forza in maniera unitaria, ma nelle forme molteplici che la sua complessa struttura rivendica”.

Cosa deve sapere il partito per favorire e determinare la “paziente fabbricazione” degli strumenti organizzativi necessari? Deve individuare, in un programma generale di congiuntura le sue forme immediate e congiunturali. Questo lavoro comporta necessariamente un’analisi dei settori di classe (CO, lavoratori dei servizi, proletariato marginale, PP) rispetto alla collocazione che assumono nel MPC. Questa analisi non sopporta quindi arbitrarie approssimazioni, né confusione tra i vari settori, nella individuazione della contraddizioni principali che un programma di partito propone. L’asse centrale, i fili a piombo di questa analisi è la ristrutturazione dell’apparato produttivo che nel suo piano generale provoca profonde modificazioni anche negli strati di PM diversi dalla CO, legati marginalmente o del tutto tagliati fuori dal ciclo produttivo. Aggredire l’aspetto dominante della contraddizione che ogni specifico settore di classe non deve fare mai sì che si spezzi quest’unità dialettica con questo stra    to di classe centrale, la classe operaia occupata. Questa è l’unica condizione che garantisce, nella specificità delle situazioni, di non annegare tutta la proposta nelle particolarità contingenti in cui possono venire a trovarsi porzioni del PM. (…)

Se la crisi ha spostato progressivamente sul terreno rivoluzionario tutte le componenti del PM, se i piani di ristrutturazione tendono principalmente a dividerle e compartimentarle tra di loro e stratificarle al loro interno, è compito del partito unificarle politicamente, dotando tutte le forze dell’antagonismo dell’unica qualità che le trasforma da eversive a rivoluzionarie, la capacità di essere parte della più grande unità politica di classe per la conquista del potere proletario armato. Nel cartello appeso al collo del porco Tagliercio, la parola d’ordine di disarticolare il meccanismo di controllo e di comando che attraversa il cuore della fabbrica, fino al mercato del lavoro, indica una precisa analisi che pur nella specificità, assume il punto di vista unificante entro la crisi del MPC, tiene conto delle scelte principali della borghesia che condizionano il modo di vivere, di organizzarsi e di lottare di tutto il PM. In questo senso SABOTARE QUESTO PIANO NEI VARI SETTORI DI CLASSE, individua qui e subito l’asse portante su cui può dispiegarsi l’offensiva di massa e il terreno di costruzione degli OMR. La campagna Tagliercio si è posta in dialettica con tutta la classe operaia delle grandi fabbriche, partendo da un’analisi dei movimenti generali della ristrutturazione, visti nella loro dinamica evolutiva, individuandone all’interno i punti cardinali contro cui scagliare tutta la forza del partito in costruzione, degli OMR in costruzione, e del movimento di classe: L’ESPULSIONE DI FORZA LAVORO E L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO.

In questo senso tutta l’analisi della multi-nazionalizzazione del capitale, cardine del superamento della divisione tra il capitale pubblico e privato, nel senso “socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti”. Questa accelerazione da una parte porta il capitale a superare le sue contraddizioni interne, quindi a rafforzarsi, ad una centralizzazione spinta dei livelli decisionali sovranazionali, in cui lo SIM va ad una ulteriore precisazione, dall’altra a ben chiare conseguenze per il proletariato in termini di licenziamenti, stratificazione, perdita di potere, maggior sfruttamento, governo ferreo sul mercato del lavoro. Capire questo salto di qualità nel progetto del nemico, ci aiuta a precisare gli elementi del programma rivoluzionario. (…)

L’attacco delle forze rivoluzionarie al personale imperialista che gestisce la ristrutturazione (processi Sandrucci e Tagliercio) ha toccato, disarticolando, i punti chiave su cui si basa il progetto padronale: espulsione di forza lavoro e nuova organizzazione del lavoro. L’attacco al vice capo dell’ufficio personale dell’ Italsider Ciampi, ha teso ad evidenziare le caratteristiche tutte nuove che l’organizzazione di questa struttura di comando assume nella ristrutturazione. Infatti, come il porco Tagliercio ci ha confermato, l’ufficio personale, assieme a quello di vigilanza oggi viene centralizzato ad un livello superiore della singola azienda, passando nelle scelte strategiche, direttamente sotto il controllo delle direzioni generali. Cioè i padroni, in vista dell’attuazione dei piani di espulsione massiccia di forza-lavoro e di intensificazione dello sfruttamento, danno alle strutture poliziesche di controllo, schedatura, stratificazione della classe, massima importanza. In questi covi si elaborano i piani della controrivoluzione preventiva in fabbrica, i metodi per contenere le tensioni con le collaborazioni sindacali, si studiano i progetti di annientamento militare della classe, si impartiscono le direttive su cui poggiano le scelte di CHI deve essere messo in cassa integrazione, CHI deve essere messo in mobilità, CHI espulso definitivamente dalla fabbrica, CHI consegnato nelle mani della sbirraglia di regime. Non è un caso che il tentativo di corruzione di un’ operaio dell’Alfa Romeo di Arese (100 milioni in cambio di informazioni su possibili “terroristi” in fabbrica) sia stato portato avanti in prima persona dal capo dell’ufficio personale e dal responsabile della sorveglianza.

MA TUTTO QUESTO NON BASTA. L’attacco all’apparato di direzione deve necessariamente legarsi ad un altro compito fondamentale, cioè rendere chiaro qual è il punto più alto di attacco al progetto del nemico DENTRO LA FABBRICA: IL SABOTAGGIO. Quindi individuare il reale terreno di costruzione degli OMR in un programma che facendo perno sul sabotaggio scientifico organizzato permetta la reale disarticolazione della ristrutturazione, di rovesciare a favore della classe il ricatto padronale che si pone come blocco a forme di lotta consumate e spuntate, permette la reale direzione di unificazione da parte dell’avanguardia delle mille articolazioni della lotta e della resistenza spontanea alla ristrutturazione. Solo in questo senso oggi è data la disarticolazione da parte dell’azione di guerriglia: colpire i punti nevralgici su cui poggia il piano nemico e favorire l’organizzazione delle masse conquistandole oggi nell’unica strategia possibile: la lotta armata per il comunismo. Fuori di questa dialettica la critica delle armi si spunta, perde capacità reale di disarticolazione, può essere riassorbita, governata e anticipata dal regime della borghesia. (…)

All’interno dello scontro feroce tra esigenze di ristrutturazione di cui il MPC tenta di ritardare la sua fine e i bisogni politici e materiali della classe vive tutta la possibilità di superare lo stadio dell’antagonismo proletario e trasformare il MPRO in movimento rivoluzionario.

In questo cammino incessante è la lotta alle deviazioni e all’opportunismo che vivono sia nel partito che nelle masse. Nell’offensiva delle forze riv. è emerso con tutta chiarezza un errore di impostazione che può annullare tutti gli effetti dell’attacco guerrigliero. L’errore sta nel fatto che non si tenda a rendere chiari i compiti che le avanguardie di classe debbono NECESSARIAMENTE assolvere in questa congiuntura, cioè il passaggio all’organizzazione clandestina, ma basare tutto il successo dell’iniziativa del partito qualificandolo nel consenso di massa. Battere l’opportunismo che vive nelle masse significa togliergli ogni illusione che fuori dalla costruzione del POTERE ROSSO sia possibile alcuna conquista materiale e politica. Quindi non limitarsi ad esaltare la spontaneità delle masse, ma indicarne anche tutti i limiti, cioè far emergere il NUOVO in un movimento che ha al suo interno anche tutto il vecchio. In questo senso va la proposta dei nuclei clandestini di resistenza, embrioni degli Organismi di Massa Rivoluzionari (OMR).

L’opportunismo che vive nelle OCC sta nel favorire questa falsa coscienza delle masse sostituendosi a loro, assolvendo a tutti i compiti uniti e distinti del sistema del Potere Rosso con la sola azione di partito, lasciando serpeggiare la guerriglia, in definitiva proponendo una sorta di tregua al movimento di resistenza. Non basta affrontare dure battaglie, occorre individuare i punti cardine del progetto del nemico e nello spostamento dei rapporti di forza favorevoli che l’azione di partito determina, individuare il terreno possibile di costruzione dell’organizzazione autonoma delle masse.

Gli OMR non sono diretta espressione del partito, non sono composti solo da comunisti, sono gli strumenti delle masse su cui può fondersi la dittatura proletaria a partire dagli interessi immediati e politici della classe. Per questo la loro nascita e il loro rafforzamento sono indissolubilmente legati alla lotta contro tutto ciò che impedisce e contrasta la ricomposizione della classe attorno ad un programma di potere. Questo in fabbrica vuole dire sabotare, inceppare tutto il meccanismo di controllo e di comando, uomini e macchine, sulla classe, essere in grado di regolare il flusso della produzione in qualsiasi momento, ripristinando un comando operaio sulla produzione, nella parcellizzazione esasperata del lavoro, dell’automazione spinta della definitiva scomparsa dell’operaio professionale.

Solo il sabotaggio di massa, scientifico e organizzato, può oggi attaccare al cuore della produzione i centri nevralgici su cui si basa l’organizzazione del lavoro, dare caratteristica offensiva alle lotte, legare l’azione delle masse organizzate al programma comunista dell’abolizione DEL SISTEMA DEL LAVORO SALARIATO. Ecco perché il sabotaggio dell’ufficio tempista del capannone all’Alfa di Arese dà una chiara indicazione di lotta e organizzazione che può inceppare i delicati meccanismi su cui si basa un momento fondamentale del piano di ristrutturazione nel CUORE DELLA PRODUZIONE, cioè la realizzazione dei progetti elaborati e pianificati ad alti livelli. Il ruolo dei tempisti è oggi quello di realizzare tecnicamente con l’elaborazione a tavolino dei nuovi cartelli del “lavoro”, l’intensificazione dello sfruttamento nella nuova organizzazione del lavoro. (…) Dicevamo nel 2° comunicato della campagna Tagliercio: “La gerarchia di fabbrica si nasconde dietro la pretesa oggettiva di un processo lavorativo governato dalle macchine. L’operaio non ha più davanti il vecchio marcatempo, ma una macchina che funziona a base di tabulati e schede perforate, le cadenze determinate da questa robotizzazione sono elaborate altrove. Ciò significa, semplificando al massimo, che diventa sempre più difficile per gli operai determinare dove risiede la controparte. Lo staff centrale che dà gli impulsi direttivi alla produzione, resta occulto ad un occhio che analizzi in termini semplici e immediati il rapporto che lega la forza-lavoro all’attività produttiva. A partire da questa oggettività, l’organizzazione del lavoro con la collaborazione dei servi berlingueriani e dei bonzi sindacali, mette in atto una serie di strumenti allo scopo di annullare le forme di resistenza che la CO pratica da sempre: dallo sciopero alla microconflittualità, all’assenteismo. Per questo, compagni, per iniziare a costruire gli OMR è necessario sviluppare il terreno di lotta che deve coadiuvare tutto l’antagonismo operaio in forma dirompente e che oggi va individuato nell’apparato di comando e controllo della produzione. Questo attacco deve essere finalizzato alla ricomposizione di interi strati di classe sul terreno della lotta armata il C. (…) Altro punto cardine dell’analisi di un programma di congiuntura riguarda tutte le articolazioni dello Stato nella CO: PCI e sindacati. La costruzione del Potere Rosso passa attraverso l’isolamento politico e l’attacco militare dei peggiori infiltrati della borghesia nella classe operaia; oltre al ruolo di spie e delatori, il compito infame di questi parassiti oggi significa fare passare il piano di ristrutturazione attraverso un piano neo-corporativo che consegna la CO mani e piedi legati agli interessi del capitale multinazionale. Analizzare i progetti, individuare le teste pensanti, il drappello che guida la classe dal suo interno, è premessa indispensabile per il loro definitivo smascheramento e reale possibilità di attacco guerrigliero. E liberare la classe di questi nemici dichiarati che con le menzogne e manipolazioni vorrebbero continuare a tenerla legata alle sorti del capitalismo in putrefazione, significa liberare tutte le energie rivoluzionarie che la lotta di classe esprime e che hanno in sé tutti i contenuti del superamento di questo regime in agonia e della transizione alla società senza classi. (…) Abbiamo detto che il MPC attraversa la sua crisi ultima, che le difficoltà sempre maggiori per il capitale di valorizzarsi ormai sono il dato strutturale di tutta la catena imperialista e che il modo con cui ha sempre tentato di risolvere le sue crisi, la borghesia l’ha sempre trovato nella guerra. Guerra per distruggere mezzi di produzione, merci e forza-lavoro, per mettere in moto il meccanismo di accumulazione, guerra per allargare l’area di influenza e rapina per la conquista di posizioni privilegiate nella catena imperialista.

Oggi il capitale si trova al vertice di una piramide e il problema non è risolvere ad un livello superiore la sua crisi, ma di ritardare il più possibile gli effetti devastanti. La guerra non è una possibilità remota, un’ultima carta da giocare, ma è già presente e non potrà che estendersi. È una guerra interna, controriv. preventiva nella metropoli imperialista, è guerra esterna, di conquiste di aree di mercato sempre più ristrette.

SOLO LA RIVOLUZIONE POTRà FERMARE LA GUERRA IMPERIALISTA.

In questo senso il punto di vista operaio più avanzato, che esca dalle strettoie del pacifismo ipocrita è l’individuazione della base materiale su cui l’opera di distruzione del capitalismo poggia: L’INDUSTRIA DELLA GUERRA. Sabotare con ogni mezzo gli strumenti di genocidi di interi popoli, oggi è un punto irrinunciabile del programma operaio che coniuga con il prog. com. di GUERRA ALLA NATO.

Inoltre è l’individuazione del punto più alto della ristrutturazione dell’apparato produttivo in termini di automazione, di controllo militare della classe, integrazione tra capitale e vertici militari. In questo senso fa modello per tutti gli altri comparti produttivi l’azione delle B.R. Alla Oto-Melara, punta di diamante dell’industria bellica in Italia, non solo un preciso terreno di lotta e di organizzazione per la classe operaia occupata in questo tipo di produzione, ma rende chiaro e indica il punto di vista proletario su questo problema, risponde ad aspettative ed aspirazioni di interi strati di classe, da concrete prospettive di lotta alla resa incondizionata dichiarata dai revisionisti e mai accettata dalle masse. La risposta operaia e proletaria a questa iniziativa l’imbarazzo e l’impossibilità da parte dei berlingueriani ad attaccarla, per contraddizioni nate al loro interno, l’incapacità del sindacato di mobilitare contro il “terrorismo” (tutte le assemblee andate deserte), la calata in massa di tutti i super-generali a La Spezia, i rastrellamenti di interi paesi, dimostra la giustezza dell’indicazione e tutte le possibilità che aprono al movimento di resistenza di inceppare dall’interno questo meccanismo. (…)

I contenuti della campagna Tagliercio sono tutti da sviluppare, quello che qui interessa mettere in rilievo sono i presupposti politici su cui si è fondata con la prospettiva strategica che l’ha animata. A partire dai primi elementi del programma generale di congiuntura (movimento del capitale, analisi dei settori, stato del movimento, progetto neo-corporativo sindacale), si è posta tutta in termini evolutivi, tracciando un percorso, l’unico per quanto ci riguarda, l’unico in cui l’azione di partito può realmente investire la classe dei compiti specifici che gli OMR in costruzione debbono affrontare e sabotare nel cuore della produzione il progetto di ristrutturazione; attaccare uomini e strutture del comando; isolare e colpire i nemici infiltrati in mezzo a noi; dirigere ed unificare il movimento di resistenza; dare il reale contenuto offensivo alle lotte perché tutte interne ad un programma di costruzione e di conquista dei programmi politici mediati. La dialettica che durante la campagna si è instaurata tra le B.R. e il movimento di classe è andata ben oltre la tensione tutta nuova con cui la classe ha dibattuto i contenuti della proposta dell’ O., ma si è concretizzata sopratutto a Marghera dove l’attacco portato era il punto più alto di un percorso preciso in cui correttamente, pur negli evidenti limiti precisi, azione di partito ed espressione degli OMR in costruzione hanno vissuto in stretta dialettica senza confusione di ruoli e unanismi (sic) forzosi. Il riconoscimento di massa nelle sue forme spontanee ed organizzate della direzione delle B.R. sullo scontro di classe rappresenta tutta la forza della campagna ma anche tutti i suoi limiti. Superare questi limiti significa sviluppare la campagna Tagliercio, delineare il programma di congiuntura, costruire e rafforzare gli O., costruire e rafforzare i programmi politici immediati.

OGGI LA COSTRUZIONE DEL PARTITO È UNA RICHIESTA IRRINUNCIABILE DEL MOVIMENTO DI CLASSE È CONDIZIONE INDISPENSABILE PER L’AVANZATA DEL PROCESSO RIVOLUZIONARIO; SULLE FABBRICHE LE B.R. ATTESTANO LA LORO POLITICA E LA LORO PRATICA MILITANTE AFFERMANDOSI SEMPRE PIU’ COME PARTITO CHE COSTRUISCE IL PARTITO.

NEL CUORE DELLA PRODUZIONE, NELLA FABBRICA SI SCATENA LA CRISI CAPITALISTICA; DAL CUORE DELLA PRODUZIONE SI SVILUPPA LA LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO, E SI COSTRUISCONO GLI STRUMENTI DEL POTERE PROLETARIO; IL PCC E GLI OMR.

Agosto 1981