I COMPAGNI NON DIMENTICANO! 3 maggio 1972 – 31 marzo 1977

Cinque anni fa veniva assassinato a Pisa il compagno anarchico Franco Serantini. Fu il primo risultato delle elezioni in corso nel paese e fu la conferma che il regime democristiano era deciso a mantenere il potere ed a difendere gli interessi dei padroni sparando su chiunque intendesse opporsi. Dopo i morti di Avola e Battipaglia del 1969, è stato tutto un susseguirsi di assassinii e di stragi di Stato, come risposta al bisogno di comunismo e di libertà di tutti i lavoratori. In questi ultimi sette anni è nato un grosso potenziale rivoluzionario, che partendo dai bisogni reali, e stufo di ogni compromesso, ha messo sotto accusa non solo i padroni e lo Stato ma anche la sinistra tradizionale che, nei fatti si è dimostrata uno strumento mediatore dei conflitti di classe funzionale alla sopravvivenza ed alla crescita del sistema capitalista. I compagni hanno capito che l’antifascismo si fa in piazza e non nelle parate degli anniversari; che la lotta di classe non può essere esercitata nei patteggiamenti tra padronato e strutture legali come i C. di F. [Comitati di Fabbrica], ma nelle assemblee di reparto e di fabbrica; che ciò che conta non è il trasformismo politico ma le rivoluzioni economiche; che la giustizia popolare non può e non potrà mai esprimersi ed esercitarsi con codici e tribunali ma con l’azione diretta; che lo Stato ed i padroni difendono i loro interessi di classe con le armi in pugno e quindi occorre darsi degli strumenti e delle strutture idonee ad imporre il nostro programma rivoluzionario; che la maniera più coerente per celebrare i morti del 1° maggio 1887, come il 5 maggio 1972, sarebbe stato quello di far pagare i responsabili, trasformando una giornata di lutto e di piagnisteo, in una giornata di festa, di autentica gioia rivoluzionaria. Questo 5 maggio 1977 resterà una giornata fondamentale per il movimento rivoluzionario, perché una sua avanguardia ha saputo dare una precisa indicazione di lotta.
L’azione portata a termine dai compagni che hanno colpito Mammoli non è un episodio di stupida vendetta, come l’ha voluta siglare qualche giornalista, ma è traboccante di significato politico. Mammoli poteva salvare Franco dopo il pestaggio poliziesco e non lo ha fatto per un cinico calcolo politico, per una precisa scelta di classe, riconfermando anche in questo caso la condotta tenuta in tante altre occasioni di fronte a compagni detenuti (nelle galere si è brindato quando è arrivata la notizia che era stato colpito). Mammoli non è soltanto il medico che per negligenza ha lasciato agonizzare Franco per 32 ore, mentre goccia dopo goccia il sangue gli riempiva la scatola cranica fino a schiacciare il cervello; Mammoli è un simbolo, un’istituzione, un anello del sistema carcerario e la sua condotta “non si discosta da quella di altri medici delle carceri italiane” che archiviano con poche parole la morte di un compagno. La figura ed il comportamento di Mammoli riportano alla memoria tanti altri squallidi personaggi: il direttore del carcere di Pisa che cercò di far seppellire Franco in fretta e furia; il magistrato “progressista” Sellaroli che interrogò Franco sorretto da due sbirri e non si preoccupò di farlo ricoverare; il “grande inquisitore” Calamari che avocò l’inchiesta per insabbiarla; il capitano di P.S. Albini che arrestò Franco dopo averne ordinato il linciaggio; il giudice Angelo Nicastro che ha mandato assolto Mammoli. Non ci lasciamo però sviare da questi nomi, non è su loro soltanto che deve fermarsi la nostra attenzione, perché di Mammoli, di Calamari, di sbirri graduati e di magistrati ce ne sono a centinaia in Italia, cinici e determinati quanto loro: ed è questo cupo mosaico l’immagine bieca dello Stato.
L’UNICA GIUSTIZIA È QUELLA PROLETARIA
5 maggio 1972 – ore 20
Pisa – Lungarno Gambacorti: 10 sbirri della P.S., agli ordini del capitano Albini, linciano Franco Serantini, nato a Cagliari il 16 luglio 1951. Viene arrestato dal commissario Pironomonte e dal cap. Albini e condotto al carcere Don Bosco.
6 maggio 1972 – ore 12,30
Serantini sorretto da 2 guardie viene condotto in un ufficio del carcere per essere interrogato dal sostituto procuratore della repubblica, Giovanni Sellaroli.
6 maggio 1972 – ore 16,30
Il medico del carcere, dottor Alberto Mammoli, visita Serantini e annota: “Ecchimosi palpebra sinistra; numerose contusioni in parte escoriate al dorso, braccia ed arti inferiori; stato di shock; Sympatol-cortigen-borsa di ghiaccio in permanenza”.
7 maggio 1972 – ore 9,45
Dopo 32 ore di agonia, tra sofferenze atroci, muore il compagno anarchico Franco Serantini. Il certificato del dottor Alberto Mammoli parla di “emorragia cerebrale”. Si cerca di far sparire il cadavere in fretta e furia.
7 maggio 1972 – ore 16,30
Il direttore del carcere Don Bosco di Pisa, manda in Comune un funzionario col certificato di morte firmato dal Mammoli, per chiedere di seppellire Franco. L’impiegato di servizio rifiuta di firmare l’autorizzazione. Alle ore 17,30 la Direzione del carcere sollecita l’autorizzazione.
12 maggio 1972
Il “governatore della Toscana”, Procuratore Generale della Repubblica, Mario Calamari, avoca a sé l’inchiesta giudiziaria ed il Magistrato Sellaroli si guarda bene di formalizzare il processo per impedire il trasferimento a Firenze dell’inchiesta.
12 giugno 1972
Il giudice istruttore di “Magistratura Democratica”, Paolo Funaioli, deposita la sentenza istruttoria che fa seguito alla sua indagine. Le interpellanze ed interrogazioni parlamentari si contano a decine; qualcuno si costituisce parte civile; gli articoli su giornali e riviste della sinistra sono la copertura democratica del sistema.
5 ottobre 1972
Il giudice istruttore Paolo Funaioli, sgradito a Calamari per la sua inchiesta che porterebbe ad inchiodare alle loro responsabilità il medico del carcere, dott. Mammoli, ed il cap. di P.S. Albini, viene trasferito dal tribunale penale al civile.
25 ottobre 1972
Viene depositata la perizia medico-legale mentre continua il conflitto tra Calamari ed i giudici di Pisa.
30 novembre 1972
Il dott. Alberto Mammoli, medico del carcere di Pisa, viene rinviato a giudizio per omicidio colposo. Nel frattempo il commissario Pironomonte dà le dimissioni dalla polizia perché è rimasto schifato dal suo mestiere di boia, ma non fornisce i nomi degli sbirri che hanno massacrato Franco.
2 maggio 1973
Il Consiglio superiore della Magistratura respinge la proposta di Calamari e conferma il giudice Funaioli al suo incarico.
21 maggio 1973
Il P.G. Calamari chiede al giudice istruttore Funaioli il proscioglimento degli sbirri “per essere rimasti ignoti” e del dott. Mammoli, “perché il fatto non costituisce reato”.
14 settembre 1973
Dopo tutta una serie di conflitti tra Calamari e Funaioli, il giudice pisano chiede il rinvio a giudizio, per “falsa testimonianza”, del cap. Albini ed altri graduati che nascondono i nomi dei carnefici di Franco.
1° gennaio 1974
Il giudice Funaioli chiede “spontaneamente” di declinare il suo incarico. Se ne occuperà il giudice Angelo Nicastro.
23 aprile 1975
Il giudice Angelo Nicastro concorda con Calamari nel non dover procedere contro il dott. Mammoli “per non aver commesso il fatto” e si limita a rinviare a giudizio il cap. Albini e la guardia di P.S. Colantoni, per falsa testimonianza.
1° ottobre 1975
Il pretore condanna i due sbirri a sei mesi con beneficio della condizionale.
1° Febbraio 1977
Processo di Appello. Il cap. Albini e la guardia di P.S. Colantoni vengono assolti.
31 marzo 1977 – ore 8
Dopo le sentenze della giustizia borghese, è arrivata quella proletaria. La giustizia ha fatto il suo corso. Il “caso Serantini sembrava chiuso”, scriverà “Paese Sera”.

UN COMPORTAMENTO INGIUSTIFICABILE
Stralci delle “Osservazioni dei consulenti della parte civile, Prof. F. Durante e M. Margnelli, alla relazione dei periti d’ufficio, sulla morte di Franco Serantini” (questa relazione è corredata da ben 55 fotografie eseguite sul cadavere di Franco e testimoniano altrettanti punti della testa e del tronco colpito dai calci dei fucili e degli scarponi degli sbirri; la relazione venne depositata il 9 novembre 1972):
«… Le altre lesioni possono aver concorso ad accelerare il decorso clinico e quindi l’exitus (la morte), ma nessun dubbio abbiamo che la causa principale sia stata l’emorragia intracranica.
«… per consuetudine universale i traumatizzati cranici vengono tenuti in osservazione ospedaliera per 48 ore e trasferiti in ambiente specialistico non appena uno solo di questi sintomi si manifesta.
«… per un medico, nelle circostanze in cui si trovava il Serantini, il torpore del paziente avrebbe dovuto costituire un sintomo certo di allarme.
«… se il Serantini fosse stato sottoposto subito a visita medica quando egli stesso accusò durante l’interrogatorio del 6 maggio, “forti dolori di capo” e fu visto chiaramente sofferente, tanto che gli fu offerta una sedia da un agente di custodia, si sarebbero potuti evidenziare alcuni dei sintomi caratteristici prima indicati e certamente un intervento chirurgico avrebbe avuto il massimo della probabilità di riuscita.
«… perché non si trasferì la responsabilità ad un ambiente qualificato, quale risulta, fra l’altro, essere addirittura ospitato nel carcere stesso o nel vicino centro chirurgico ospedaliero?.
«Sostanzialmente la condotta del dott. Mammoli è ingiustificata ed ingiustificabile… In realtà il sanitario non solo tenne in scarsissimo conto i segni esterni facilmente visibili, ma abbiamo fondato sospetto che non abbia nemmeno eseguito rilievi clinici semplici come la misurazione della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca, della temperatura corporea, del diametro pupillare, della reattività pupillare alla luce che, come già specificato, avrebbero dovuto essere in quel momento molto eloquenti sul reale stato di salute del Serantini».

TESTO DELLA RIVENDICAZIONE DELL’AZIONE RIVOLUZIONARIA GIUSTIZIA PER FRANCO SERANTINI
Franco Serantini, nel 1972, venne linciato dalla P.S. e lasciato agonizzare fino alla morte dal Dott. Mammoli, perché colpevole di antifascismo. Mammoli non è stato eliminato perché altri sono colpevoli quanto lui, ma è corresponsabile politicamente, umanamente e professionalmente dell’assassinio dell’anarchico Serantini. Questo comportamento non si discosta da quello di altri medici nelle carceri italiane.

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