L’antagonismo totale tra il sistema dei bisogni…

L’antagonismo totale tra il sistema dei bisogni del proletariato – critica ai rapporti sociali di produzione capitalistici – e la necessità del capitale di imporre le proprie regole a tutta l’organizzazione sociale, di sottomettere a sé ogni potenzialità di cooperazione, rende la lotta operaia lotta sovversiva, distruttiva dei rapporti sociali esistenti. Il capitale si arma contro la lotta operaia, proletaria sovversiva; irrigidisce ogni rapporto sociale, ogni articolazione del suo modo di produzione nella difesa della propria necessità di valorizzarsi e di espandersi; allinea figure di comando che presidiano ogni più piccolo passaggio dei rapporti di produzione, ogni più recondita piega del vivere sociale; sentinelle, trincee successive – percorsi di guerra imposti alla lotta proletaria – che la lotta proletaria deve aggredire. L’esplosione di comportamenti autonomi da parte del proletariato ha provocato una proliferazione incredibile di figure di comando, di regolamento per ognuno dei passaggi della vita sociale. Ciò che il capitale cerca di imporre è una pratica tremenda di terrore, di distruzione fisica del proletariato, di logoramento di ogni briciola di potere politico.

Dalla fucilazione dei militanti rivoluzionari, alla tortura, al sequestro dei militanti della lotta operaia, alla sanzione del diritto di esproprio del reddito proletario a favore del blocco sociale antioperaio, fino all’azione quotidiana del più sconosciuto capo officina, ogni giorno il capitale produce una montagna di provvedimenti, sanzioni, ingiunzioni, decreti che applicano le sue regole generali. Se lo Stato rappresenta l’assunzione centrale della regolamentazione dei rapporti di produzione capitalistici, ogni cosa è parte dello Stato, tutta la vita sociale si fa stato, amministrazione violenta della necessità del capitale. La socializzazione del comando è la fonte di legittimità del comando stesso. La nuova democrazia è una foto di gruppo delle gerarchie sociali di comando che sono garanti del regolare sviluppo del capitale. Dopo la confusione generata dalla trasformazione degli istituti di contrattazione e di mediazione dei conflitti – consigli di fabbrica, decentramento amministrativo, organismi territoriali – in puri organismo di comando. Questo salto politico è fondamentale poiché permette una generalizzazione di indicazioni politiche di combattimento, di iniziativa di lotta, dall’organizzazione combattente al quadro combattente proletario e agli istituti della lotta di massa. L’iniziativa capitalistica ha chiuso una fase di lotte in cui era immediata la conquista di obbiettivi, l’imposizione di una pratica di programma con la semplice lotta di massa; il capitale risponde con la guerra, con il funzionamento rigido delle leggi della società. Le giornate di marzo sono state una grande lezione: da condizioni oggettive che massificavano bisogni e caratteri politici del proletariato si è passati alla lotta di massa contro lo stato. In essa si sono esplicitate le diverse ipotesi politiche che vivono nell’area rivoluzionaria tra le organizzazioni combattenti, si sono manifestati i limiti della rete organizzata che ha diretto queste lotte e ha fatto pratica di combattimento in quella fase. La domanda politica sviluppata in questi mesi, la ricerca di una chiarezza, di un progetto lucido di prospettiva e di organizzazione impone di rompere tutte le nozioni di ‘area’: da quella autonoma a quella armata, di scatenare la battaglia politica, di confrontare proposte politiche con la tensione rivoluzionaria che vive nel proletariato e nella classe operaia.

Ciò che va puntualizzato prima di tutto per il dibattito – che in maniera parziale e interlocutoria cominciamo ad introdurre in questo numero zero del giornale di PL – è la natura del processo di ristrutturazione complessiva degli assetti capitalistici. Va capito non solo come si moltiplicano le figure di comando, se ne serrano i ranghi, ma si esplicita il carattere politico di dominio della struttura produttiva. La forma della produzione non ha niente di naturale, ha la natura del capitale, della distruzione – in ogni suo passaggio – della forza politica, sovversiva della classe; ha il carattere della espropriazione di ogni scintilla di forza creativa del proletariato. Il capitale non produce più singole merci e macchine ma strutture generali di comando sulla produzione, assetti produttivi territoriali in cui garantire il profitto. Il comando sul meccanismo di accumulazione, la sottomissione di ogni capacità produttiva. Si vendono assetti territoriali, macchine, tecnologie, scienze, tecnici per svilupparle.

Tutto ciò è sottomesso ai movimenti del capitale sulla scala del mercato mondiale: dalle armi alla scienza del comando, della produzione, della amministrazione… Produzione e comando sono inestricabilmente intrecciati. Da ciò segue la messa all’ordine del giorno per la lotta operaia e la pratica combattente dell’attacco alla circolazione delle merci come riproduzione del comando sulla classe. Alla socialdemocrazia in questa fase in Italia in particolare è delegata la riproduzione del comando in ogni luogo della società, la costituzione dello stuolo di funzionari del capitale ad ogni stazione della catena di produzione capitalistica. Essi sono i guardiani fedeli dei rapporti di produzione, i fedeli esecutori (i più fedeli di tutti) delle direttive del capitale. Sono i promotori di quel processo di legittimazione e di ricostruzione del comando che passa per la sua socializzazione. Sono i cani lupo più accaniti, i segugi più feroci nel seguire la pista dei rivoluzionari. L’attacco generale alle concezioni fondamentali del dominio del capitale, lo svelamento dell’aspetto politico di ogni condizione del proletariato in questa società è oggi più che mai possibile per la miseria di ciò che la socialdemocrazia ha messo in piedi come adesione operaia al progetto del capitale, come blocco operaio antiproletario. Certo la ristrutturazione ha messo a segno parecchi colpi, la socialdemocrazia e gli istituti sindacali hanno spezzato a più riprese le capacità di mobilitazione della classe, ma è da oggi cha ha inizio il tentativo di consolidare alcuni puntelli fondamentali per il comando capitalistico, sulla base dell’attacco portato in questi anni. Il capitale – recitando lo scontato gioco delle parti nelle trattative istituzionali, secondo i ruoli affidati dopo il 20 giugno – passa all’attacco del cuore della classe operaia, porta lo Stato in fabbrica, stringe i ranghi, rinnova le attrezzature, rilancia i nuovi centri di impresa e finanziari, scarica sul proletariato tutto quanto i nuovi assetti internazionali della produzione e del mercato richiedono, affinché la grande impresa italiana e con essa tutto l’apparato produttivo stia al suo posto nella gerarchia imperialista. Il ruolo conquistato dalla grande impresa italiana pubblica e privata, dai centri finanziari come impresa multinazionale, la competitività sul mercato mondiale di settori produttivi tradizionali, mantenuta con il nuovo decentramento produttivo, sono la base del rilancio che il capitale internazionale è deciso a sostenere nei confronti del suo segmento italiano. Si apre un dibattito fra i comunisti, sul quale ora non ci soffermiamo, sul ruolo che un processo rivoluzionario in Italia gioca nel determinare contraddizioni più vaste nel mercato mondiale. Lo sviluppo di una opposizione operaia alle nuove condizioni determinate nei diversi paesi dalla ristrutturazione (Francia, Spagna, Inghilterra fanno testo), l’applicazione delle regole della produzione capitalistica dal sud-America ai paesi socialisti (richiedono la costruzione di nuovi assetti politici e sociali, il che rende omogenee le diverse situazioni nazionali molto più di prima), la definizione di una maggiore centralizzazione dell’azione del capitale e quindi, per così dire, l’unificazione delle controparti delle diverse sezioni del proletariato internazionale, tutto questo compagni fa nascere nuovi problemi per i comunisti che si sforzano di prevedere i passaggi della guerra civile in Italia, il formarsi degli schieramenti. Fa anche della lotta rivoluzionaria del proletariato italiano un punto di riferimento storico di un processo più generale, che in tutti i paesi vede una crescente politicizzazione dello scontro di classe, e con essa l’esplicitazione dei reali interessi in gioco. A fronte di questo assistiamo ad un processo che va incrementato e guidato, di sabotaggio sociale da parte dei proletari: cresce il combattimento proletario e l’iniziativa dei settori più lucidi delle organizzazioni combattenti. Contro la scientificità, la capillarità, l’estensione dell’attacco capitalistico si deve radicare il combattimento come sviluppo della guerra da parte proletaria, con caratteri di stabilità, di regolarità, di riproduzione di strutture embrionali di esercito proletario.

Sbaglia chi oggi spara a zero contro lo spontaneismo del combattimento proletario e vuole ridurre il combattimento ai soli percorsi verso l’organizzazione ed alla sua pratica diretta. E’ vero invece che si deve radicare una pratica combattente fondata sulla definizione precisa dei terreni di scontro, delle forme di organizzazione, dei rapporti tra disarticolazione del comando nemico, riappropriazione di ricchezza sociale, e costruzione di organizzazione. Lo sviluppo del combattimento proletario è un processo contraddittorio e collettivo: è imperativo il confronto serrato fra le formazioni che lo praticano. Questo non può essere ridotto ad uno schema fisso, comunque oggi lo sviluppo dello scontro deve contemporaneamente arricchire, trasformare, ma anche omogeneizzare un tessuto organizzativo che sia in grado di riprodursi nelle sue caratteristiche fondanti. Deve attuarsi una dialettica tra massimo di scontro politico e sforzo di omogeneizzare la tattica. Del resto l’evidenza dell’iniziativa del nemico di classe, la forza con cui si riproducono elementi di programma nelle lotte proletarie spingono in quella direzione. E’ tale l’esperienza accumulata in questi anni, la legittimità degli obiettivi, degli elementi di programma ad essi collegati, i modelli operativi che per non farlo ci vuole una precisa volontà contraria. Il superamento delle istanze di semplice autonomia, la nascita di una tensione apertamente rivoluzionaria, producono una forte domanda politica che qualcuno confonde con la delega; si tratta in realtà di domanda di intelligenza politica come capacità di cogliere il progetto del capitale, le contraddizioni e l’unità della coscienza proletaria, i passaggi della costruzione, nella guerra civile, dell’organizzazione di combattimento della classe. E’ maturo a questo punto un discorso sui caratteri fondamentali dell’organizzazione comunista combattente, sul programma rivoluzionario.

 

L’organizzazione

Mentre il proletariato tenta di sciogliersi dalla sua esistenza duplice ed ambigua, in questa società, di forza-lavoro socializzata, sottomessa al capitale, e di soggetto politico irrimediabilmente contrapposto ad esso, l’organizzazione comunista esprime la volontà lucida della parte avanzata della classe di abbattere la società e di realizzare un processo rivoluzionario. La delega da parte del proletariato, l’esternità dell’organizzazione, non si basano su una separazione tra una parte maggioritaria della classe passiva ed attendista ed una minoranza superattiva che si sostituisce al compito storico del proletariato, ma sul rapporto dialettico tra lo strumento di lotta rivoluzionaria che è l’organizzazione e lo sviluppo della faccia rivoluzionaria della classe a scapito di quella di forza-lavoro, di merce particolare del mercato capitalistico.

L’intelligenza politica dei comunisti, la loro pratica combattente non sono altro da questo: la riproposizione al proletariato stesso, in forma stabile e lucida, di quanto esso ha prodotto come scienza della rivoluzione. L’organizzazione comunista combattente allora sviluppa la sua opera di promozione e di direzione del combattimento operaio e proletario, per un’articolazione massima dei diversi livelli di maturità organizzativa e politica, per una massima definizione e circolazione dei modelli operativi. Lo sviluppo del combattimento diventa elemento centrale di rovesciamento della vita del proletariato, strumento per la pratica e la permanenza dell’antagonismo verso questa società: si apre una dialettica positiva tra definizione del sistema dei bisogni, programma rivoluzionario e crescita degli strumenti di lotta rivoluzionaria, che si articolano nei diversi modi di esistenza della classe in questo periodo storico.

 

L’azione combattente dell’organizzazione

All’altro polo di queste posizioni politiche stanno coloro che negano la necessità dell’azione di organizzazione, la usa esplicitazione agli occhi delle masse. La lunga storia del combattimento in Italia ha prodotto in una rete di quadri comunisti un dibattito politico, che permette di indirizzare lucidamente l’azione combattente contro i nodi del dominio del capitale, che permette di colpire secondo previsioni politiche precise sullo sviluppo dello scontro, che disarticola la capacità scientifica del capitale di costruire il proprio dominio. Del resto è di fronte agli occhi di tutti la trasformazione continua della pratica di organizzazione per un avanzamento dei terreni di scontro e per uno spessore sempre maggiore del combattimento proletario; l’osmosi continua tra pratica soggettiva d’organizzazione e radicamento di organizzazione combattente nella classe; l’azione dispiegata su tutta l’ampiezza dei rapporti sociali; la dialettica fra proletariato e lo sviluppo e il radicamento delle capacità di combattimento dentro la classe operaia. Si debbono necessariamente esplicitare i nessi tra pratica di programma e crescita di un programma rivoluzionario, tra disarticolazione del comando nemico e crescita di un’esistenza politica sovversiva autonoma combattente della classe. Non faremo qui il lungo elenco degli obiettivi della lotta proletaria che sono assieme proposta di bisogni immediati da soddisfare, critica pratica a questa società, proposta di programma per una nuova società: ampiamente ne dibattono il movimento ed i rivoluzionari. È difficile oggi immaginare una proposizione di programma che non sia frutto della pratica stoica della classe, d’altra parte svanisce nella memoria collettiva della classe il ricordo del programma che ha praticato e resta patrimonio di intellettuali nostalgici, se questi elementi non si trasformano da subito in pratica combattente.

Ci interessa poi il nesso tra distruzione di comando e costruzione di forza collettiva della classe. Il rapporto con le merci, con il prodotto finito, con le strutture sociali, ne è parte fondamentale, esso è determinato dallo scontro, dai rapporti di forza fra le classi. Nelle merci non va letto soltanto il carattere distruttivo dei bisogni proletari ma anche la funzionalità al dominio del capitale. Per definire un atteggiamento corretto nei confronti del prodotto finito non si può operare un’astratta suddivisione fra valore d’uso e valore di scambio, soltanto la conoscenza concreta di come le merci e la produzione comandano sui proletari, di come il possesso della ricchezza nelle mani degli espropriatori ricatta i proletari, può fondare parametri corretti di valutazione. Si può sottolineare la funzione della ricchezza sociale come valore d’uso solo se la forza dei proletari organizzati è in grado di sottrarla al dominio del capitale. Parte del dibattito che si è sviluppato dopo le azioni alla Magneti-Fiat, alla Sit-Siemens di Milano, alla Fiat di Prato, è stato contagiato da forti tentazioni opportuniste: si attribuiva a queste azioni la responsabilità di far arretrare il dibattito ad un periodo in cui la ristrutturazione non aveva ancora piegato il processo produttivo ad una forma adatta a piegare la classe nei suoi nuovi assetti internazionali, nel suo decentramento territoriale, nella concentrazione del potere finanziario che aveva sottomesso a pochi centri di potere il controllo sul ciclo produttivo. Che il nodo da sciogliere sia il potere politico, la capacità di esercitare forza, è evidente per esempio nello sviluppo del combattimento proletario contro il decentramento produttivo, le forme di lavoro nero in cui non si riesce a legare disarticolazione del ciclo produttivo come forma di comando e riorganizzazione della forza proletaria per legare sopravvivenza e lotta. Appare chiaro che si sottovaluta il nesso che esiste tra azione di reparti avanzati della classe che disarticolano per primi il comando nemico e schieramento rivoluzionario che si realizza nello scontro: la parte avanzata della classe nella sua azione pone il resto del proletariato nell’alternativa tra avviarsi ad una strada di lotto e/o legarsi al carro del capitale per ricrearne le condizioni di dominio. Il sabotaggio del funzionamento generale della macchina capitalistica è stato ed è tuttora pratica delle lotte di massa; quando il capitale si arrocca, si arma, consolida i passaggi fondamentali dei processi di riproduzione, allora l’azione politica della classe si deve elevare. A nulla valgono ancora una volta le accuse di sostituzione alla classe, vale invece il principio di articolare i terreni politici di attacco, di fornire alla classe nuovi strumenti per lottare. Vale il principio di rendere pratica la critica allo sviluppo mostruoso del capitale.

Stante l’attacco concentrato in questi mesi al reddito proletario ed alla rigidità del mercato del lavoro, si prevede una ripresa di lotte per la riappropriazione di elementi di ricchezza sociale: ciò si svilupperà ed avrà continuità se, e solo se, l’attacco al comando come lo abbiamo descritto creerà e fonderà le condizioni per cui quelle che fino ad oggi sono state soltanto parole d’ordine di movimento – il contropotere, la milizia proletaria – diventino pratica reale di costruzione di organizzazione. Il nostro punto di vista sull’organizzazione è la negazione della concezione che identifica sviluppo del partito e dell’esercito proletario in un unico soggetto, che poi è l’organizzazione comunista combattente, che punta a forzare i passaggi sulla reazione dello Stato alla iniziativa rivoluzionaria, sulle sconfitte degli strumenti di lotta operaia autonoma, questo nega una dialettica tra masse e partito, una dialettica di scontro politico interno alla classe. Quando evidenziamo la necessità del carattere politico militare della organizzazione proletaria noi intendiamo affermare la dialettica precedente, poiché questa fase di scontro ci ha sì consegnato una serie di vittorie per il capitale, il ricomporsi di un suo blocco sociale, elementi di un suo progetto politico, assieme però ad una tensione operaia e proletaria a contrastarlo, a realizzare il proprio sistema di bisogni con uno scontro frontale, senza mediazioni nella prospettiva di un lungo processo di lotta rivoluzionaria. Non confondiamo alcune ipotesi sconfitte come quella dell’area dell’autonomia: una visione aggregativa della costruzione dell’organizzazione, di fronte alla potenzialità rivoluzionaria della classe ed al radicamento crescente di ipotesi ed elementi di organizzazione in essa.

Oggi è sufficientemente maturo un ceto politico rivoluzionario, con conseguente radicamento di idee rivoluzionarie nella classe, perché si imponga un rapporto diretto tra masse ed organizzazione, perché nella classe si sviluppi parallelamente dibattito sull’organizzazione combattente proletaria e sul partito, perché appaia chiaro il nesso tra sviluppo del combattimento e del programma, perché l’azione intelligente dell’organizzazione costruisca la figura del combattente, dell’agitatore del programma, del dirigente dei nuovi processi di organizzazione delle masse. Il processo di costruzione dell’esercito proletario in un paese a capitalismo avanzato passa per l‘intreccio tra organizzazione combattente e istituti di potere della classe.

 

Sulla rappresaglia, sull’attacco alla figura di comando

La storia di atti di rappresaglia in Italia, l’intensificazione nell’ultima fase dell’attacco alle figure di comando impone di dare precise indicazioni politiche a questo proposito. L’intensificazione dello scontro armato in Italia, il precisarsi dell’azione controrivoluzionaria con l’obiettivo di annientare i quadri combattenti – l’ultimo episodio della fucilazione del compagno Lo Muscio insegna – e insieme di sbaragliare la rete operativa e proletaria di movimento, tutto questo fa si che l’eliminazione di un nemico non è più un atto isolato di rappresaglia, ma un’azione precisa contro i corpi più efferati delle truppe della controrivoluzione, contro i centri di comando dell’attacco antiproletario. L’organicità al progetto capitalistico di tutte le forme di attacco controrivoluzionario rende la rappresaglia parte dell’azione generale delle forze combattenti.

Al di là di punte più o meno alte dello scontro, in cui si intensifica l‘azione di guerra, l’azione combattente ha carattere di continuità in ogni suo aspetto: proprio per questo è molto grave quanto è accaduto a Roma nel tentativo di colpire la guardia carceraria Velluto, non è ammissibile l’errore in una azione simile, ai compagni che l’hanno compiuta va la responsabilità di aver fatto arretrare nei proletari la comprensione della necessità dell’attacco, di confondere i contenuti di cui è portatrice l’azione combattente. La decisione di eliminare un nemico oggi è più attuale parallelamente al fatto che lo scontro diviene più duro in ogni suo aspetto, infatti all’altro polo dello scontro di classe l’opera di delazione dei vari momenti del comando decentrato rende necessaria un’azione più dura contro di esso, sia pure calibrata alle necessità. Rispetto all’invalidamento delle figure di comando va detto che all’organizzazione combattente compete la promozione del combattimento proletario su questo terreno e la definizione della sua azione ad un livello di intelligenza e di attacco più alto, e che queste due cose vanno nettamente differenziate, che non vale più la sostituzione del combattimento proletario con l’organizzazione o l’appiattimento di questo tipo di azione ai suoi livelli medi consolidati. Va detto anche qui che l’organizzazione combattente quando sbaglia provoca grossi danni politici a se stessa ed agli altri. In queste settimane ci siamo assunti la responsabilità di alzare il livello di attacco alle figure di comando, parallelamente ad un livello di promozione del combattimento proletario su terreni che in passato erano propri dell’organizzazione: questa è indicazione che vale per tutta la prossima fase. La suddivisione tra i terreni di combattimento dell’organizzazione e del combattimento proletario va definita in modo preciso anche nello scontro con le forze armate della controrivoluzione, dello Stato, in azione complessiva che cominci a rendere impraticabili i modelli con cui esse controllano i territori, bloccano città, entrano nelle fabbriche. La disarticolazione complessiva dell’apparato di comando è indicazione che nasce dalle lotte di questi mesi, passaggio necessario al proseguimento di ogni iniziativa proletaria.

 

Prima Linea

 

Pubblicato in progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. 263-269.

 

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