Primo maggio 2011: dalla resistenza alla crisi all’organizzazione rivoluzionaria

Primo maggio speciale questo. Chi avrebbe immaginato solo qualche mese fa una tale precipitazione dello scontro di classe in vaste aree del mondo, fra cui ai due lati del Mediterraneo, Europa e mondo arabo? Ciò che colpisce è che la forza delle esplosioni sociali svela la verità delle questioni in gioco, nella loro essenza e semplicità.

La crisi cessa di essere un’oscura calamità e si svela invece come conseguenza propria del sistema capitalistico, dei suoi meccanismi di funzionamento: così i movimenti di piazza in tutta Europa si ritrovano su parole d’ordine comuni: “La vostra crisi noi non la paghiamo!”, “Ci rubano il futuro – ci rubano la vita”, ridando decisamente spazio alla critica di massa contro il capitalismo. I possenti movimenti contro lo smantellamento della scuola pubblica hanno dimostrato la crescita di una “coscienza di classe” e una diffusa comprensione e disponibilità allo scontro violento in piazza.

In fabbrica, la coscienza si ravviva di fronte alla brutalità delle aggressioni padronali; di fronte alla “guerra competitiva” in cui vogliono trascinare operai contro operai; di fronte al super-sfruttamento che assume i parametri salariali e di orari delle fabbrichelager del Tricontinente come riferimenti da generalizzare; fino alle dure lotte dei proletari immigrati contro le condizioni schiavistiche e lo stato di polizia. Quest’ultimo sempre più presente, in particolare nella militarizzazione dei territori attraversati dalle resistenze popolari contro il degrado e le devastazioni causate dalle ristrutturazioni capitalistiche e dall’affarismo di tutti i generi (fino a quello osceno sui rifiuti). E riprende vigore anche il movimento delle donne contro la degradante mercificazione e oppressione, che non cessano di aggravarsi nell’approfondirsi stesso della crisi economico-sociale. Anch’esso cioè posto di fronte alla radice capitalistica “di tutti i mali”.

Infine, le rivendicazioni forti e chiare portate dalle rivolte nel mondo arabo: “Diritti, lavoro e reddito, dignità e libertà!”

Tutte queste situazioni, pur nella loro diversità e caratteri particolari, del grado di violenza ed oppressione, rivelano una certa omogeneità di fondo in questa nuova determinazione di massa a non arretrare più di fronte alla distruzione e/o negazione dei diritti fondamentali.

Certo, nei paesi arabi obiettivo centrale delle rivolte è l’abbattimento dei regimi reazionari (ciò che comunque rimanda alla loro storica natura di vassalli dell’ordine imperialista), ma ci si scontra anche contro gli stessi effetti della crisi che agiscono pure qui. Disoccupazione e carovita, quest’ultima in particolare provocato dalla speculazione conseguente alle operazioni monetarie messe in atto dagli imperialisti USA per fronteggiare la loro crisi finanziaria.

Nei paesi arabi, come nel Tricontinente in generale, la violenza sociale del supersfruttamento si confonde sempre più con le ricadute interne delle guerre economiche sui mercati, soprattutto per il controllo e saccheggio di materie prime e fonti energetiche, e con guerre dispiegate vere e proprie. È il caso embematico dell’India, dove questi tre tipi di violenze e guerre si compenetrano, tanto che l’esercito indiano è, da lungo tempo, molto più impegnato contro il proprio popolo che altrove! Li le forti resistenze popolari, che già di per se assumono i caratteri di rivolte armate, si incontrano e si sviluppano nei processi rivoluzionari diretti da Partiti Comunisti Maoisti, nella forma di Guerra Popolare Prolungata.

Così, anche qui da noi, nei vecchi centri imperialisti, sia la dinamica della crisi, con l’imposizione violenta di condizioni più gravi di sfruttamento e l’avanzamento della tendenza alla guerra, sia l’accresciuta connessione fra i vari scenari internazionali ci impongono la prospettiva rivoluzionaria, ed in stetta dialettica con le realtà più avanzate del Tricontinente.

Bisogna assumere il piano di scontro per come si è determinato storicamente e nella sua dimensione internazionale.

Nella nostra area europea, di centro imperialista, significa: costruire le condizioni soggettive, i termini politico-ideologici e politico-militari che sostanziano e sostengono un concreto sviluppo di processo rivoluzionario. Passaggio fondamentale ne è la costruzione del Partito, che potrà infine permettere un salto di qualità decisivo nella conduzione del processo stesso. Ma già il percorso per arrivarci è un percorso di lotta e costruzione di quei termini essenziali, e nel vivo dello scontro.

D’altronde, quanto evidenziato sull’intensità delle contraddizioni di classe comporta la necessaria costruzione del piano strategico rivoluzionario, poiché quello della resistenza e dei movimenti di massa, per quanto terreno irrinunciabile della primaria organizzazione proletaria, è all’evidenza insufficiente, persino sul piano della difesa immediata se non entra in dialettica con la prospettiva di lotta per il potere. Solo a partire da una dialettica di questo tipo si può far fronte alla situazione, uscire dall’impasse del difensivismo inconcludente e dare respiro e possibilità alla stessa resistenza di massa di evolvere e trovare sbocchi alle sue giuste rivendicazioni.

Quindi: definizione ideologica e strategia politica-militare.

 

Secondo noi, Marxismo-Leninismo-Maoismo e forme universali assunte dal processo rivoluzionario sulla base delle storiche aquisizioni, sintetizzate nella strategia di Guerra Popolare Prolungata. Con la sua necessaria articolazione e soluzione tattica adeguata alle aree di centro imperialista. A questo scopo recuperando, pur criticamente, gli apporti utili del ciclo di lotta degli anni ’70/’80, soprattutto la capacità di innestare la lotta armata nello scontro di classe come forma concreta della politica rivoluzionaria, della prospettiva di potere.

Esplicitare lo scontro di potere per quello che è, tendenzialmente guerra; e questo fin dai primi passi, dalla prima fase di aggregazione, perché solo così si può costruire, combattendo e sulla base dei compiti politici di fase che definiscono un agire da Partito. Non si possono scindere i termini costituttivi ed i tempi, pena lo scadere nello storico opportunismo che tante varianti ha già conosciuto, e ancora conosce.

 

Opportunismo che, per di più, provocando discredito e rigetto rispetto all’impostazione comunista in generale, spinge settori proletari giovani verso soluzioni anarchiche, estremiste, di pratica dell’azione diretta e del sabotaggio sociale, prive di respiro programmatico. Giungendo ad essere reticenti (se non ostili) a dimensionare progettualmente la propria azione all’interno dell’unica prospettiva oggi realmente rivoluzionaria, quella della lotta per il potere della classe operaia e del proletariato contro la classe degli sfruttatori, oppressori e guerrafondai.

Noi, pur confrontandoci con esse, proprio per le contraddizioni che rivelano nel campo rivoluzionario ed esprimendo solidarietà ai loro prigionieri in lotta, sottolineiamo la fondamentale distanza politica. Ponendola in termini costruttivi sulle questioni da risolvere: la lotta armata va condotta in modo organico all’azione politica di Partito, sul filo di sviluppo di un processo rivoluzionario, dentro la lotta di classe e come sua prospettiva generale.

Quello che dobbiamo esprimere non è solo la rabbia contro questo sistema immondo e mortifero, ma è soprattutto la determinazione e la capacità di vincerlo, coinvolgendo via via sempre più ampi settori di proletariato, fino alla fase di precipitazione rivoluzionaria di scontro decisivo per il potere. E sapendosi rapportare ai movimenti rivoluzionari all’offensiva nelle grandi periferie del dominio imperialista, avviando cioè il processo rivoluzionario anche qui, dentro le metropoli centrali, per unirsi in una nuova grande ondata internazionale.

PROLETARI DI TUTTO IL MONDO UNIAMOCI !

CONTRO LA CRISI E LA GUERRA IMPERIALISTA

IMPOSTARE LA STRATEGIA DI GUERRA POPOLARE PROLUNGATA

COSTRUIRE NELLA PRASSI RIVOLUZIONARIA, IL PARTITO COMUNISTA POLITICO-MILITARE !

Collettivo Comunisti Prigionieri “Aurora”

5 aprile 2011

Ultima ora: veniamo ora d’apprendere dell’iniziato sciopero della fame da parte del Compagno Arenas nel carcere di Albocasser. Esprimiamo la nostra totale e calorosa solidarietà al Compagno Arenas, di fronte al pesante attacco repressivo di cui è fatto oggetto. Attacco che sembra proprio volto all’annientamento e, quanto meno, a spezzare l’integrità fisica e politica del Segretario generale del PCE(r), e perciò del partito stesso.

Tutti conosciamo il considerevole apporto del PCE(r) alla lotta rivoluzionaria in Spagna, e più ampiamente in Europa. Proprio la drammatica spirale di crisi e l’acutizzazione della lotta di classe in Europa, può essere la causa di questo attacco terroristico da parte dello stato spagnolo contro uno dei reparti d’avanguardia del proletariato oggi più avanzati.

Fine dell’isolamento e della tortura – contro il compagno Arenas! SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE DI CLASSE¨!

CI COSTITUIAMO IN COLLETTIVO COMUNISTI PRIGONIERI

Con la stagione processuale consideriamo esaurita la fase, che, pur prigionieri, ci vedeva in affermazione e continuità con la battaglia politica condotta all’esterno. Fase in cui abbiamo usato le aule dei tribunali borghesi per affermare gli obiettivi generali e il contenuto dello scontro sostenendo il tentativo progettuale da noi portato avanti: contribuire alla costruzione del partito comunista nella forma e con i caratteri storicamente necessari per condurre vittoriosamente il processo rivoluzionario. Ciò che si riassume nel concetto prassi di unità politico-militare, forma concreta della politica rivoluzionaria.

Questo all’interno dello sviluppo dell’autonomia di classe e nel vivo dello scontro, dei problemi e dei nodi politici che concretamente si presentano e rispetto ai quali si definisce la politica rivoluzionaria, l’agire da partito.

Questa nostra assunzione di responsabilità ha poi determinato lo scontro politico attorno alla nostra vicenda: all’operazione dello Stato di prevenzione e repressione dell’istanza rivoluzionaria si è contrapposto un forte lo schieramento solidale interno al movimento di classe. Centinaia di episodi di sostegno, dalle semplici scritte apparse nei muri delle metropoli, alla promozione dio assemblee e comitati di solidarietà, fino al sostegno emerso fra gli operai nelle fabbriche in cui alcuni di noi lavoravamo. Tutto questo ci ha affiancato mentre rivendicavamo nei tribunali borghesi la nostra identità e la nostra prassi. L’unità che si è così creata ha suscitato forti allarmi fra gli apparati della controrivoluzione che puntavano alla nostra criminalizzazione e quindi al nostro isolamento.

Unità cui hanno fortemente contribuito anche quei compagni che, pur non partecipi all’organizzazione rivoluzionaria e colpiti dagli arresti, non hanno piegato la testa di fronte al nemico comune.

Per mesi e mesi, il lavoro svolto dai settori di movimento unitisi nell’iniziativa di solidarietà ha determinato, nella sua dialettica con l’istanza rivoluzionaria, un dato politico: non solo che quest’ultima è tutt’altro che isolata ma che, pur colpita, agisce sui livelli del dibattito e della coscienza di classe, proprio perché riafferma la presenza della via rivoluzionaria nel vivo della lotta di classe.

Se fino alla battaglia politica processuale è stato necessario e prioritario affermare obiettivi e contenuti generali dello scontro sostenendo il tentativo progettuale da noi portato avanti, ora, mantenendo fermi questi capisaldi, si tratta di assumere più precisamente il contesto nuovo in cui ricollocare la nostra militanza.

Abbiamo deciso quindi di costituirci in Collettivo Comunisti Prigionieri; una decisione che non vuole certo assumere un significato di discontinuità politica, in quanto obiettivi e contenuti generali sono sempre gli stessi che orientano la nostra azione, quanto piuttosto definire la nostra discontinuità nel nostro modo di contribuirvi.

Un contesto, quello del carcere, che impone sì limiti precisi, ma che non bisogna considerare un «buco nero», dove si viene sottratti alla lotta. Il carcere fa parte dello scontro: anzi, più lo scontro si approfondisce e investe i rapporti di forza fra le classi, più il carcere è presente. Quando poi il processo rivoluzionario si dispiega, allora carcere e repressione si massificano. Tendenza questa che si manifesta con sempre più intensità man mano che la crisi del modo di produzione capitalistico produce i suoi effetti.

Le sempre più pesanti restrizioni che la borghesia imperialista impone e continuerà ad imporre alla classe operaia e al proletariato nel tentativo di cercare la soluzione alla sua crisi riproporranno con sempre più forza i temi legati allo scontro di classe che, liberandosi via via dalle catene della legalità borghese, aprirà spazio in primo luogo alla necessità della rivoluzione proletaria e allo sviluppo delle sue articolazioni organizzative in precisi termini politici e militari, di strategia, di sviluppo dello scontro e dei suoi mezzi.

Ed è solo su questo terreno di tendenziale scontro per il potere che il proletariato può unificarsi in quanto classe, dando sbocco positivo alle tante lotte parziali (altrimenti condannate all’impotenza) e che la borghesia può venire sconfitta.

Uno scontro in cui carcere e repressione divengono sempre più gli strumenti utilizzati per piegare e annichilire le istanze rivoluzionarie che intendono dialettizzarsi con il movimento di classe. Su questo terreno la contesa principale si dà attorno alla resistenza dei militanti prigionieri e alla loro difesa del processo rivoluzionario.

Come controprova conosciamo tutti i mezzi dispiegati per estorcere capitolazione, tradimento, dissociazione, fino alle forme più sofisticate e soffocanti di tortura psico-fisica, come il regime carcerario del 41bis. Questo perché lo stato vi dà grande importanza per contrastare e disgregare il movimento rivoluzionario dal suo interno. Soprattutto in una fase di crisi come questa in cui piccoli punti di riferimento per il proletariato possono assumere grande valore strategico.

Ecco che resistere, sostenere le posizioni rivoluzionarie, non cedere a ricatti e repressione diventa sempre più per i comunisti in carcere un imperativo.

Cosa che non è solamente fatto testimoniale di difesa dell’identità politica, bensì partecipazione concreta allo sviluppo del processo rivoluzionario.

Questo è l’obiettivo principale per cui ci siamo costituiti in Collettivo Comunisti Prigionieri. Obiettivo che si concretizza nelle molteplici, seppur limitate, interazioni con il movimento rivoluzionario e di classe.

In particolare cercheremo di contribuire al dibattito, al lavoro di analisi generale; anche con traduzioni di materiali provenienti dal movimento comunista internazionale e dalle esperienze rivoluzionarie avanzate.

Intendiamo inoltre continuare a formarci come comunisti sul piano teorico, cercando di migliorare la nostra comprensione del marxismo-leninismo-maoismo, promovuendo gruppi di studio e seminari. Pensiamo anche che sia importante rapportarsi al cosiddetto mondo carcerario e alle sue lotte, per i tanti motivi che ne fanno un anello decisivo della macchina di repressione di classe, che è lo stato borghese. Questo con tempi, modi e obiettivi che definiremo man mano.

Perciò, come già fatto, cercheremo di cogliere le occasioni opportune per solidarizzarci ai movimenti di lotta e di protesta che possono prodursi e ci rapporteremo alle iniziative e campagne di denuncia, controinformazione e agitazione.

Tutto questo consapevoli del fatto che sta al movimento rivoluzionario, alle sue avanguardie, l’affrontare e risolvere i nodi politici per avanzare verso una nuova definizione progettuale strategica e verso la ripresa del processo rivoluzionario.

Noi cerchiamo di fare la nostra parte resistendo e tenendo alta la bandiera rivoluzionaria qui, nella trincea carceraria.

Collettivo Comunisti Prigionieri «L’Aurora» Bortolato Davide Davanzo Alfredo Latino Claudio Sisi Vincenzo Toschi Massimiliano

Siano-Catanzaro, gennaio 2010

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