Autocritica e rettifica

Ci siamo sbagliati. Per lungo tempo abbiamo considerato l’aria politica facente capo alla “Commissione Preparatoria del (nuovo)Partito Comunista Italiano ” (CPnPCI) come una componente disponibile al processo di formazione del partito nella forma corrispondente all’epoca attuale. Forma che è sintesi dei vari apporti precedenti del Movimento Comunista Internazionale (MCI) e dei successivi superamenti dialettici, fino a quella attuale e necessaria, in pratica il Partito Comunista Combattente (PCC).

La presenza politica di quest’area, contigua anche se non interna alla colonna portante dell’esperienza rivoluzionaria in Italia (le B.R. e altre O.C.C.); la loro partecipazione alla battaglia politica contro la “dissociazione”, il sostegno ai prigionieri politici, e la volontà di partecipare al rilancio di un progetto di una strategia rivoluzionaria in Italia ne aveva fatto una delle componenti accreditate.

Ma da sempre permanevano dei nodi irrisolti, una non chiarezza di pronunciamento su alcuni elementi fondamentali di strategia. Principale fra tutti, l”unità del politico-militare” (p.m.) che quest’area insisteva ad eludere, a non voler affrontare.

Così, nel nostro intervento dell’Ottobre 2000, cercammo di analizzare la loro posizione (in relazione ad altre posizioni) per cercare tutti i possibili punti di convergenza, per consolidare un processo di tendenziale unificazione dei comunisti intorno all’obiettivo centrale di costruzione del partito. Nel fare questo, nello scrivere questa analisi non potevamo fare a meno di rilevare che le distanze permanevano, soprattutto a causa di questi nodi irrisolti che, anzi, col trascorrere del tempo, significavano un problema di fondo.

Da allora, autunno 2000, la situazione è precipitata. Allo stupore generale, la CPnPCI lancia la partecipazione alle elezioni. La botta era talmente sorprendente che non si riusciva a farsene una ragione. Ed era riassumibile nella battuta “andare in clandestinità per poi presentarsi alle elezioni? Questa è schizofrenia!” Fino al punto di porsi molte questioni su se stessi, di indagare sul proprio senso dialettico, sulla propria capacità d’intendere la complessità dei passaggi politici, sulla propria mancanza di audacia a progettare “colpi politici” di grande portata. Fatica inutile, i conti non tornavano. E per quanta indulgenza abbiamo voluto avere nei loro confronti (e nel corso del tempo…) non restava che tirare le logiche conseguenze: questa componente politica sta degenerando.

1. La questione delle elezioni

Noi comunisti non siamo antielettoralisti assoluti, ma non siamo nemmeno per l’utilizzo indiscriminato, spregiudicato, di tutte le forme di lotta e di tutti i terreni di iniziativa politica. Nell’accezione leninista, si deve procedere all’analisi concreta della situazione concreta. E si deve anche tenere in conto altre questioni di principio: l’asse portante, strategico che deve supportare qualsiasi scelta tattica, qualsiasi linea politica, e la tendenza alla Guerra di Classe (alla Guerra Popolare Prolungata o Guerra Popolare Rivoluzionaria che dir si voglia). Tutto va finalizzato a passaggi politici concreti che permettano di avanzare lungo quest’asse portante, e di far avanzare la strategia tendente alla Guerra di Classe.

La tattica più innovativa e audace non può non tener conto di questo, non può non essere funzionale a questa strategia; la strategia comanda la tattica, sempre e comunque! Non dimentichiamo che la tattica non è tatticismo (cioè preminenza delle soluzioni a breve respiro e di adattamento alle situazioni immediate, a scapito del progetto strategico) e che anche il tatticismo (insieme con altri fattori più gravi) portò i PC revisionisti prima a svuotare la strategia rivoluzionaria di presa del potere, poi a stravolgerla nel suo contrario, la subordinazione alla democrazia borghese.

Ora, in che contesto concreto ci troviamo in Italia, in Europa? Per sommi capi, e rinviando ai nostri testi precedenti:

Crisi generale storica da sovrapproduzione di capitale.

  • Approfondimento, per salti successivi (inframmezzati da ripresine) di questa spirale di crisi, con aumento continuo della pressione sul proletariato ai fini di un’inarrestabile corsa al più alto tasso di sfruttamento, e particolarmente con le reiterate e intensificate aggressione ai popoli oppressi.
  • Restringimento oggettivo (cioè ancor prima che sul piano delle manovre politiche dei regimi) degli spazi di mediazione “democratica” entro le classi. Su questo terreno, sviluppo della tendenza autoritaria-militarista immanente agli stati imperialisti (fenomeni di fascistizzazione strisciante, aumento della violenza poliziesca, legislazioni speciali, carcerazione come forma estesa di governo di larghe fasce proletarie, ecc…). Di conseguenza, con un’impennata dell’astensionismo elettorale in tutti gli stati imperialisti (l’Italia un po’ in ritardo).
  • Aumento delle forme di lotta, ribellione, resistenza, pur se in forme frammentate caratterizzate da diversi livelli di coscienza e contenuto di classe. Ma, al tempo stesso, i precedenti fattori spingono ad una percezione largamente (e confusamente) diffusa sulle principali contraddizioni del sistema.
  • Difficoltà sul piano ideologico, nella ripresa dell’orizzonte comunista, della prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società, via la presa del potere e l’instaurazione della dittatura del proletariato. Qui si scontrano i danni causati dal revisionismo e dalla conseguente ingloriosa fine del campo socialista.

Se questi sono i caratteri essenziali del contesto attuale nei paesi imperialisti, e da un decennio a questa parte all’incirca, che conclusioni trarne sul piano politico? Di fronte ai vari fenomeni di malessere di massa, al relativo loro distacco dal sistema di potere borghese, alla relativa (benché confusa) presa di coscienza del marciume irreparabile di questo sistema, non resta altro da fare che recuperare queste stesse masse al gioco democratico borghese, ultimi pompieri tra i pompieri?!

Di fronte all’involuzione autoritaria-militarista del sistema, al suo evidente carattere genocida e distruttivo, pensiamo di essere credibili proponendo alle masse un percorso classico di accumulazione di forze sul piano sindacal economicista, per quanto radicale?!

Le risposte sono evidenti e se il percorso innovativo iniziato negli anni 70 basato sull’unità del politico militare ha goduto di tanto credito allora (quando l’acuità delle contraddizioni era ben inferiore) pensiamo che oggi si ponga con ancora più forza ed esigenza. Lo scontro è oggi più crudo, le masse guardano meno ai sogni ideologici (compete all’avanguardia rifare un legame) e sono strette sull’aspetto utilitarista delle loro scelte. O i rivoluzionari dimostrano di far sul serio, di assumere il piano di scontro strategico, di voler costruire la forza rivoluzionaria, oppure qualsiasi programma cartaceo o altre ingegnerie organizzative non avranno alcun credito!

D’altronde cosa valgono i ricorrenti omaggi al grande apporto delle OCC, e delle BR in particolare, se poi se ne stravolge il contenuto, se non se ne riprende il senso essenziale?!

2. Il processo rivoluzionario e la costituzione del partito.

E il senso essenziale oggi è (in questo contesto di crisi generale capitalistica, non risolvibile per vie ordinarie, e di deriva autoritario-militarista dell’imperialismo) che per indicare al proletariato la via rivoluzionaria bisogna costruirla nei suoi vari elementi costitutivi perché possa essere qualcosa di effettivo, che comincia a incidere concretamente nello scontro politico di classe. Bisogna costruire forza, imparare a combattere combattendo, dimostrare che non esiste possibilità di trasformazione sociale se non passando per la porta stretta della rivoluzione politica, proletaria, e che questa di fa anche con le armi. Il Partito sta al centro di questo processo e quindi non può che essere un Partito fondato sull’unità del politico-militare, un Partito Comunista Combattente.

Abbiamo detto più volte che il processo che conduce al Partito è un processo complesso che sappia tenere insieme vari piani, livelli, che sappia fare la sintesi degli elementi essenziali. Questo processo si situa nel convergere di almeno tre elementi essenziali:

a) le espressioni di Classe, il livello dato di maturità, contenuti e contraddizioni delle forme di organizzazione e di movimento di massa, la loro dinamica.

b) la presenza del Partito che si qualifica in quanto identità ideologico-programmatica, sintesi politica, prospettiva e strategia, in dialettica con la dinamica di massa, quindi capacità di trasferire le potenzialità di massa su un piano più elevato e di prospettiva.

c) L’attacco allo schieramento delle forze politiche borghesi di governo, alla loro politica di fase contro la Classe ed i popoli colpiti dalle sue aggressioni imperialiste.

Separare questi elementi è impossibile. Ed è esattamente ciò che ha rallentato finora il processo di costituzione del Partito, è ciò che ci ha fatto arretrare dai livelli relativamente alti dei primi anni 80. È ciò che ci fa “sopportare” la deriva “ideologica” della CPnPCI. “Ideologista” nel senso che separa uno di questi elementi essenziali al processo di costituzione del Partito, dandogli un peso sproporzionato: la giusta considerazione dell’identità ideologico-programmatica non supplisce agli altri compiti e particolarmente il compito di essere l’espressione politica della classe in lotta per il potere, quindi che si organizza e combatte sul piano della forza, dell’attacco politico-militare.

Per chi voglia fare bilancio seriamente, non si può non riconoscere che i movimenti di più alto sviluppo del movimento rivoluzionario in Italia (e altrove) si sono dati in questa capacità di assumere i vari livelli di cui parliamo, e che le BR hanno goduto di un prestigio, di una credibilità politica, agli occhi della classe, incomparabile rispetto ai percorsi tradizionali dei gruppetti ML ed extraparlamentari. Proprio perché fino a quando si resta sul suo piano ideologico o massimalista, non si offre nessuna prospettiva di organizzazione, di strategia, tanto meno di attacco. Non può essere casuale il fatto che le OCC, le BR abbiano saputo assimilare alcune tra le migliori espressioni ed avanguardie di Classe, che venissero riconosciute come l’unica alternativa seria alla via parlamentare/revisionista.

Il percorso di costituzione del Partito è immerso nello scontro reale e o i comunisti che lo promuovono ne sono interni, affrontando concretamente il ruolo di avanguardia politico-militare, oppure ne sono forzatamente esterni fossilizzandosi in setta “ideologico-culturale”.

Non si capisce perché i settori di avanguardia, e ancora meno le masse, dovrebbero riporre fiducia in organizzazioni di predicatori della Guerra Popolare quando non se ne vedono concretamente i segni (peggio quando si va nella direzione opposta – l’elettoralismo); perché dovrebbero riporre fiducia in organizzazioni di predicatori di un nuovo Partito quando questo non presenta nulla di nuovo e, nella mancanza dell’impianto politico-militare, rimanda inevitabilmente al modello revisionista dei primi tempi che, facendo balenare il miraggio del “giorno X”, trascinava la classe nel pantano del parlamentarismo (in questo senso poi il gruppo di “Iniziativa Comunista”, calorosamente difeso dalla CPnPCI, è esemplare).

3. la deriva della CPnPCI

Una serie di verifiche pratiche di questi ultimi mesi confermano malauguratamente tutto ciò. Dall’immediato sorprendente comunicato di condanna, di calunnia contro l’iniziativa del NIPR-Nucleo d’Iniziativa Proletaria Rivoluzionaria, dell’aprile scorso (la tempestività della condanna è ben sospetta, come se questi elettoral-clandestini volessero dare prova della loro linea pacifista…). All’osceno documento “Dieci punti contro il militarismo”, al sostegno a quel gruppo di revisionisti dichiarati che vanno sotto il nome di “Iniziativa Comunista” (che rivendicano la continuità con il partito di Longo e Berlinguer, e insultano chi fa la lotta armata). La CPnPCI ha dato un netto colpo di barra, lanciando un vero e proprio attacco alle posizioni rivoluzionarie che si riconducono alla costituzione del PCC.

Il testo in questione è una disgustosa raccolta di falsità, deformazioni, denigrazioni. In senso generale è dare una picconata al prestigio ed al credito politico delle posizioni rivoluzionarie, cercando di riportare i militanti nel pantano tipico del revisionismo.

L’aspetto più odioso è questa teoria sulla “convergenza obiettiva dei militaristi e della borghesia nella lotta contro la ricostruzione di un vero partito comunista. Da sponde diverse certo, ma complementandosi e confondendosi”. Sarebbe indifferente chi compie iniziative armate e perché, le motivazioni, le rivendicazioni, la strategia… Insomma le tipiche calunnie revisioniste! Il tutto farcito di un narcisismo-egocentrismo nauseabondi: questo complotto militaristi/borghesia sarebbe naturalmente rivolto distrarre i lavoratori dalla convergenza con il loro presunto partito in formazione.

Scusate, ma chi vi caga?! Se si deve intervenire oggi è per limitare i danni che state facendo, ma il movimento rivoluzionario che punta alla costituzione del PCC ha una storia e uno spessore sufficiente per andare avanti senza di voi.

Ci limiteremo ad analizzare qualche punto. Innanzitutto dalla risposta che ci danno (pg. 39-44, La Voce n.8). Già c’è molto da dire sul loro stile, insopportabile nel misto di pedante e pretenzioso, fino al punto di debordare in caricature infantili del pensiero altrui: “La cellula si preoccupa di sostenere che il partito in un primo tempo (in attesa che le masse popolari scendano in guerra) dovrebbe far politica compiendo attentati contro uomini e strutture della borghesia imperialista”. E via di seguito a parlare di presunti ruolo di supplenza, recita, rappresentazione, in attesa delle masse, mentre ci si rimprovera di non occuparsi di come creare le condizioni per arrivare al Partito. Che scemenza, o che malafede!

Crediamo che i nostri testi siano sufficientemente articolati da non presentare dei modellini tanto semplicistici quanto falsi.

Quello che noi sosteniamo è che il percorso di costituzione del Partito è interno ed in stretta dialettica con le dinamiche di massa, che c’è un rapporto di complementarietà e che, proprio per questo, vi è una certa distinzione di ruoli. Fino a prova contraria, è storicamente dimostrato dall’esperienza dei 150 anni del movimento comunista internazionale (cui si richiamano di continuo e con pretenziosità i signor professori) che il ruolo del Partito è quello di assolvere a dei compiti che richiedono un relativo distacco dalla lotta immediata, e capacità di costruire in termini politico-organizzativi strategici, cioè l’orientamento e la riorganizzazione delle istanze proletarie, liberatesi nelle lotte, dentro il processo di tendenziale lotta per il potere. L’utilizzo politico delle armi rientra in queste competenze! Il fatto che sia il Partito a costruire le condizione del processo rivoluzionario, combattendo anche con le armi, non ha nulla a che vedere con ruoli di “supplenza a tempo determinato o indeterminato”! Piuttosto l’affrontamento e la risoluzione di queste questioni è il vero percorso al Partito, e non certo un percorso formalistico-burocratico e… disarmato! È il progetto della CPnPCI che devia le energie emergenti dal percorso di costituzione del Partito, verso un modello superato dai tempi, politicamente devitalizzato, inutile e controproducente (come dimostra questa loro ultima scellerata campagna).

4. Costituzione del Partito e tendenza alla lotta per il potere.

Abbiamo scritto in lungo e in largo che non siamo d’accordo con l’utilizzo della lotta armata come guerra, che la guerra sarà propria della fase insurrezionale quando si daranno segni chiari del passaggio di settori decisivi di massa alla disponibilità alla guerra per la presa del potere, che tutto questo necessita di un lungo periodo di preparazione che è caratterizzato, per contro, comunque dalla presenza della lotta armata, dell’unità del politico-militare, perché sono elementi costitutivi del processo rivoluzionario, che senza questo non può esistere un vero partito comunista.

E, a onor del vero, non si può, non più, denigrare i compagni delle BR e di altre OCC (come fa la CPnPCI): anche loro perseguono una strategia di costituzione del Partito in cui è centrale dialettica tra l’espressione dell’autonomia di classe e le istanze d’Organizzazione rivoluzionaria.

Non si può assolutamente attribuire loro posizioni di estraneità al coinvolgimento delle masse nel processo rivoluzionario. È una falsità bestiale contraddetta dall’essenza stessa della storia delle BR.

Con loro condividiamo la tesi fondamentale della centralità dell’unità del politico-militare per innescare un rapporto con le masse che tende al loro coinvolgimento nel processo rivoluzionario. Dimostrazione è stata fatta in alcuni paesi imperialisti che, mentre questo salto di qualità è estremamente fertile proprio nel rapporto con le masse, la sua mancanza fa inevitabilmente stagnare nella dimensione “ideologista” e marginale.

Mentre non condividiamo la “strategia guerrigliera” (per i suddetti stessi motivi), ma il loro contributo è comunque in continuità storico-politica con quel patrimonio cui bisogna rifarsi e che va valorizzato per arrivare ad una forma Partito all’altezza dei compiti dell’epoca attuale.

Nel seguito dell’articolo de La Voce è tale la confusione di idee o l’ignoranza che non vale la pena di soffermarsi. Un solo esempio: per “lotta politica tra le classi” ci si presta l’intenzione di “pesare sulle lotte rivendicative di massa nei confronti del governo, della borghesia” (!), Come se non sapessero o non leggessero che lotta politica è il piano dei rapporti generali tra le classi, ruotante intorno alla questione del potere, che sintetizza e va ben oltre le misere questioni rivendicative (le “tragicomiche conquiste immediate” come diceva Marx). La grande acquisizione del ciclo di lotta rivoluzionaria in Italia, anni 70/80, è stata appunto l’esperienza concreta dell’unità del politico-militare. Come possibilità di pesare sul serio nello scontro politico tra le classi. Ed è ciò contro cui oggi la CPnPCI prende posizione.

Infine essa distorce la nostra posizione, perché non abbiamo mai detto che il Partito incide nella lotta politica tra le classi solo grazie agli attacchi militari. Prima di tutto si è sempre solo parlato di iniziativa politico-militare, che non risponde propriamente ad una logica di guerra, di attacchi militari in senso proprio; in secondo luogo noi diciamo che l’iniziativa politico-militare si situa dentro un impianto di lavoro di Partito ben più articolato e complesso. Il lavoro di Partito è un lavoro su più piani, essendo il Partito l’organismo più complesso ed organico prodotto dalla Classe. Ma sicuramente i passaggi politici prodottisi nella storia del movimento comunista internazionale hanno acquisito la centralità dell’unità del politico-militare, del fatto che per costruire e sviluppare un percorso di crescita rivoluzionaria bisogna darsi una strategia ed una linea politica basati sull’unità del politico-militare.

La questione è difficile, gravosa; appunto per questo bisogna avere almeno il coraggio di porsela. In seguito si avanza, affrontando i vari problemi e contraddizioni, nel vivo della lotta. Ma se la questione nemmeno ce la si pone, se la si rimuove, certamente non si avanza; peggio si fuorviano delle energie ,per farle degenerare sulle vie dell’opportunismo.

La CPnPCI finisce per seppellire l’esperienza del ciclo 70/80. Lo fa nel finale della risposta che ci indirizza, e lo fa ben peggio, in modo articolato, nel testo “Dieci punti contro il militarismo” (La Voce).

Già questo testo comincia con una sterzata rispetto a quanto era comunemente riconosciuto fino a qualche anno fa (vedere il testo“Cristoforo Colombo”) e cioè che il ciclo guidato dalle OCC aveva permesso la rottura più conseguente col revisionismo, e di cominciare a concretizzare la strategia della Guerra Popolare Prolungata in un paese imperialista, e questo per la prima volta dalla fase del ciclo della Resistenza.

È stato il grande salto che ha permesso alle OCC di coniugare alcune delle migliori espressioni dell’autonomia di classe con una strategia di lotta per il potere, e questo proprio nella misura in cui si dava concretezza alla fondamentale questione dello sbocco politico che sempre le lotte di massa ricercano. La strategia sviluppata dalle BR, in particolare, è stata l’unica alternativa credibile allo sbocco politico revisionista-parlamentare. Ora la CPnPCI ritorna sui suoi passi, non riconosce più questo avanzamento e, inevitabilmente, logicamente, dove finisce? Nella riscoperta delle virtù dell’elettoralismo! Giustamente perché è l’unico altro sbocco politico esistente.

Per proseguire nella lettura e analisi del loro testo bisogna tapparsi il naso (usano le stesse categorie e termini consueti della borghesia): l’iniziativa politico-militare o guerrigliera diventano “gli attentatori”, mischiandoli al terrorismo di Stato in un’”unica strategia della tensione”!

Ricordiamo a questi signori, di solito così pignoli nell’utilizzo dei termini, che la “strategia della tensione” fu una grande categoria tirata fuori dalla borghesia, così come la teoria degli “opposti estremismi”, per legittimare il regime borghese come oasi di confronto civile e democratico, teoria largamente sostenuta dai revisionisti per soffocare le sane tendenze proletarie all’uso della violenza. Credono forse questi della CPnPCI di ricostruire il Partito nell’oasi del pacifico confronto? Non è forse antitetico con un percorso di maturazione proletaria verso la necessità dello scontro, della guerra popolare? Pensano forse che il proletariato impari a combattere partecipando alle elezioni?!

Resta in ogni caso l’ignominia delle loro affermazioni, insinuazioni, perché una cosa è certa, almeno in Italia, ed è il netto distacco tra le pratiche combattenti delle OCC, chiare e limpide nei loro obiettivi e rivendicazioni, e le bande terroriste dello Stato che di solito colpiscono le masse e non hanno certo né la capacità né il coraggio di rivendicare. Verità storica che spesso gli stessi pennivendoli di regime hanno dovuto riconoscere e che, in ogni caso, le masse popolari hanno saputo riconoscere!

Ma l’elemento politicamente più grave in questa deriva è il fatto di azzerare l’apporto, il salto di qualità operato negli anni 70/80. Altra cosa è fare un bilancio critico e saper individuare i nodi da sciogliere, limiti e contraddizioni da superare ma a partire dalle nuove acquisizioni, dalle conquiste realizzate.

D’altronde basta guardarsi intorno, a partire da quell’epoca, e una cosa è chiara: il movimento comunista rivoluzionario si è sviluppato ed ha avuto una tenuta là dove questo processo di maturazione sulla base dell’unità del politico-militare si è dato, contrariamente ad altri paesi dove la non realizzazione di questo salto ha fatto sistematicamente naufragare le organizzazioni vecchio stile nella capitolazione e nei passaggi in massa di quadri e dirigenti alle fila nemiche. Questo è vero nei paesi imperialisti, mentre nei paesi dipendenti e semicoloniali il problema nemmeno si pone, visto il livello di scontro normalmente esistente. E infatti le organizzazioni rivoluzionarie dei paesi dipendenti e semicoloniali, presenti in Europa, hanno fiutato prima di noi questo tipo di deriva e da tempo hanno preso le loro distanze da quest’area politica.

Quest’ultimo aspetto è peraltro di primaria importanza: noi oggi abbiamo il dovere di porci la questione di come sostenere il più attivamente possibile la resistenza eroica di questi popoli che portano il gran peso del tallone di ferro imperialista. “Primo dovere internazionalista è sviluppare il processo rivoluzionario in casa propria”: ecco quindi la necessità di portare avanti un processo di riorganizzazione del Partito all’altezza dei tempi e delle urgenze di uno scontro che si definisce sul piano internazionale!

Non per un senso “morale” della solidarietà, ma perché la materialità della situazione fa sì che non si possa procedere senza interconnessione con la dinamica globale dell’imperialismo e con la dinamica del movimento comunista rivoluzionario internazionale (per quanto sia ancora frammentato e incapace di un’impulsione unitaria). La tendenza alla guerra contro il proletariato e i popoli oppressi prima di tutto, e interborghese poi, divampa nel modo. Le Organizzazioni Rivoluzionarie di questi popoli si aspettano da noi ben altro contributo, per aprire varchi alla lotta qui, nei centri del sistema imperialista. Gli avvenimenti dall’estate in poi sono significativi, in positivo o in negativo, di questa esigenza.

Gli avvenimenti dell’estate ci sembrano dire tre cose principali:

1) il consolidarsi, estendersi di un vasto movimento anticapitalista nei paesi imperialisti, da Seattle a Genova, che individua le contraddizioni essenziali del sistema, anche se resta ancora a mezza strada quanto all’identità ideologica e al percorso politico rivoluzionario. Ma già in questo senso la grande esperienza di violenza proletaria organizzata, che è stata fatta in quelle giornate, ha costituito un grande salto in avanti, un formidabile slancio in avanti al dibattito.

2) l’esplosione delle torri di New York e del Pentagono, ben al di là di chi l’ha fatto e della loro matrice reazionaria, porta in sé tutta una carica simbolica della rabbia delle grandi masse oppresse nel mondo, rappresenta quanto profondo sia l’odio attizzato da questo sistema criminale.

3) Il sistema non risponde altro che non con un ennesimo approfondimento della tendenza alla guerra, sia con la nuova penetrazione imperialista in Asia, sia con questa svolta repressiva interna, senza eguali in questi ultimi anni.

Non c’è da illudersi e nemmeno più da scegliere: la borghesia imperialista ha dichiarato lo stato di guerra permanente a tutti gli sfruttati, si muove in un’implacabile logica di guerra, economica, sociale e in ultimo militare.

In questo senso assistiamo all’escalation della Contro Rivoluzione Preventiva come modo di governo delle contraddizioni sociali e dei loro possibili sviluppi. Il processo rivoluzionario che noi pensiamo basato sul doppio binario di Partito e dinamica di massa, in ambedue i casi ed al proprio livello, deve costruirsi dialetticamente a questa realtà. Deve cioè riconquistare una serie di condizioni, ideologiche, politiche e militari, per porsi all’altezza dello scontro e per costruire la capacità della Classe di combattere, combattendo. Il Partito basato sull’unità del politico-militare, sull’utilizzo politico della lotta armata, è la sintesi di questi termini essenziali.

  • Intensificare il dibattito nell’area di partito, fissando i termini ideologico-politico-militari irrinunciabili
  • Isolare le tendenze opportuniste, neo-revisioniste
  • Costruire nella lotta e nel processo organizzativo, una nuova, più alta unità proletariato-popoli oppressi
  • Lavorare alla costituzione del PCC e delle condizioni per la trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria
  • Onore ai compagni/e caduti/e per il comunismo

CELLULA PER LA COSTITUZIONE DEL PCC

Gennaio 2002