Per il processo rivoluzionario di classe. Costituire il Partito Comunista nell’unità del politico-militare!

La crisi è finita? Di nuovo il capitalismo tira fuori dal cappello una sorprendente soluzione? La “nuova economia” apre una nuova frontiera e, superando vecchi e rigidi vincoli contrattuali, inventa un modo nuovo di lavorare e vivere? Le guerre sono diventate “pulite”, “umanitarie”, e i prepotenti storici diventano commossi soccorritori di popoli sventurati?

Quello che noi vediamo è una capacità di menzogna decuplicata, sconfinante in veri e propri deliri: Goebbels ha partorito Bush e Berlusconi!

E vediamo una sfilza di attacchi alle condizioni di vita popolari.

L’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è una picconata alle residue barriere a un modello di sfruttamento selvaggio, all’americana, dove il lavoratore sarà sballottato nella giungla del mercato senza più la minima garanzia contrattuale collettiva, “libero nella libera concorrenza”.

Il legittimo e ancestrale bisogno di sicurezza dei lavoratori (e parliamo ancora di quei bisogni vitali di sicurezza dell’avvenire, contro la malattia, gli infortuni, la vecchiaia, base delle prime grandi conquiste operaie…) viene denigrato come rigidità, corporativismo, conservatorismo, per non parlare dell’oscena contrapposizione dell’egoismo degli occupati agli esclusi, ai precari. Disgustoso argomento in bocca ai parassiti di questa società, ai borghesoni miliardari!

Quello che è tragico è che la difesa contro questo gravissimo attacco è ancora nelle mani, per il momento, della sinistra borghese, cioè di quell’altra frazione della borghesia che ha governato fino all’altro giorno, portando avanti lo stesso tipo di provvedimenti e di linea di assoggettamento del mondo del lavoro al capitale, vecchio, e nuovo. Semplicemente usando metodi e tempi un po’ differenti, spesso più efficaci (come dice il signor Agnelli).

 

E intendiamoci, non tratta di restare alla difesa delle storiche conquiste operaie, perché restano anche e comunque un’impalcatura attorno alla condizione di Classe sfruttata, e che in quanto tale tende a protrarne l’esistenza.

Le conquiste dello Statuto del lavoratori non sono nulla di ideale, sono semplicemente l’espressione del rapporto di forza che la Classe Operaia ha imposto nella fase alta del ciclo di lotte dei ’70.

Attestarsi sulla difesa di queste posizioni non solo è irrealistico e, alla lunga, perdente (come tante altre battaglie dei ’80/’90, i vari “questo non si tocca, quell’altro neppure”…) ma per di più sfalsa quello che è lo scontro oggi e nell’avvenire.

Questo scontro porta in sé, oggettivamente, l’orizzonte dell’abolizione di capitale, obiettivi, forme di lotta e organizzazione in quello che è il vissuto delle masse, dei loro movimenti. E dentro alla strategia di Partito.

Orizzonte utopista solo all’apparenza, in realtà ben più realista di tutti i riformismi, che rivelano puntualmente la loro inefficacia e subalternità alle regole sociali dettate dal capitale (è tutta la storia delle svendite e tradimenti della socialdemocrazia, fino alla attuale tragica parodia).

Molte esperienze storiche insegnano che quando i margini di tolleranza capitalistica si contraggono, tutte le riforme e conquiste vengono sconvolte, riviste o soppresse. Oltre una certa soglia di scontro di classe, o si fa il salto al piano strategico di lotta per il potere, o c’è sconfitta.

La crisi capitalistica, quand’è generale e di portata storica come l’attuale impone uno sconvolgimento sociale violento: in tutti i casi capitale e borghesia imperialista impongono il loro, ristrutturando da capo a piedi la società; il proletariato può imporre il proprio solo attraverso il processo rivoluzionario di presa del potere. Coniugare difesa e attacco, con l’attacco come prospettiva: per questo le mezze misure, la “piccola” contrattazione sulle condizioni sociali è cortocircuitata dalla questione del potere.

E con il potere si aprono ben altre prospettive: abolizione di capitale e lavoro salariato! Per cominciare.

 

Prendiamo l’altro aspetto connesso a questo attacco contro l’art. 18, la dilagante precarizzazione dei rapporti di lavoro. Si sta configurando un vero modello europeo, calcato sul predecessore, quello americano. Tutte le invenzioni e modifiche sono buone pur di ridurre le garanzie e la stabilità del posto di lavoro. È tutta una strategia tesa all’indebolimento della Classe Operaia, della sua capacità di resistenza e di lotta, immettendo il veleno della concorrenza tra i lavoratori. Il lavoro interinale in particolare costituisce un “ritorno” alle origini del capitalismo, al tristemente famoso “caporalato”. Tutto ciò ha delle conseguenze più vaste e profonde sull’esistenza proletaria: è il rapporto stesso al lavoro, il quotidiano, i rapporti sociali, la cultura operaia. Vengono ancora una volta sconvolti e spinti verso forme accentuate di alienazione da mercificazione. Nulla di nuovo, per carità, Solo gli intellettuali alla moda o gli “antimondialisti” piccolo – borghesi possono scoprire scandalizzati che siamo diventati merci: per la Classe Operaia questa realtà è nata col capitalismo!

Ma indubbiamente gli attuali passaggi costituiscono un approfondimento, una ulteriore degradazione della condizione proletaria e di ampi settori popolari. Processo di degradazione che va avanti dagli anni ’80 e fa tutt’uno con i processi di ristrutturazione capitalistica che subiscono periodicamente brutali accelerazioni, gruppi imperialisti decidono di attaccare violentemente ora un settore economico ora un paese intero, un’area intera. Oggi è il turno, di nuovo, dell’Argentina e dell’America Latina più generalmente.

Anche qui il salto nella brutalità é evidente: si tratta di un vero e proprio taglieggiamento/rapina su un popolo intero da parte dell’oligarchia finanziaria internazionale, i circoli della borghesia imperialista, attraverso i loro esecutori FMI-banca mondiale e i governanti argentini.

Al di là della sacrosanta solidarietà di classe, parliamo dell’Argentina perché è sintomatica dello stato di salute reale del capitalismo internazionale. Una tale brutalità è significativa dello “stato di necessità” dei gruppi imperialisti nella ricerca esasperata di profitti, è significativa cioè non solo dell’avidità devastante del sistema, ma anche del fatto che esso non riesce ad uscire dalla crisi di valorizzazione del capitale, che da anni spinge ai peggiori crimini. Sì, crimini! Perché bisogna pensare al filo conduttore che attraversa i massacri in Medio Oriente, in Europa dell’Est, in Africa, in Asia, in America Latina, dove gli imperialisti strozzano le popolazioni, le affamano, le violentano, devastano, e tutto ciò per strapparsi di mano l’un l’altro le fonti di materie prime, le riserve di mano d’opera, il controllo “geostrategico” delle aree del mondo etc.

Avrebbero bisogno di essere così feroci se i loro affari fossero più sicuri? Se il loro ciclo di valorizzazione/accumulazione fosse davvero prospero e garantito nel futuro? Per quanto siano canaglie, ne dubitiamo.

Basta guardare alla storia e constatare che la loro ferocia è proporzionale alle difficoltà che incontrano a soddisfare la sete di profitto.

Basta guardare allo stato interno delle economie imperialiste per rendersene conto: l’Argentina non è così lontana quando si pensa al disastro Enron in USA. Un’intera popolazione di salariati e pensionati truffati e taglieggiati, masse rovinate da un giorno all’altro! (se non altro un buon avvertimento a chi si illude sui fondi-pensione e altre amenità della “partecipazione al capitalismo”).

I processi di privatizzazione e “compartecipazione” dei lavoratori alle imprese capitaliste sono sempre sul filo del processo di precarizzazione/divisione/concorrenzialità che abbiamo descritto prima. E sono del peggiore augurio: trasmettere, aizzare istinti della giungla tra i poveri, gli sfruttati.

 

LA CRISI PORTA ALLA GUERRA IMPERIALISTA

La Germania è in recessione, il Giappone non esce dal marasma economico-finanziario da anni, gli USA si mantengono a galla soprattutto in virtù del primato nella rapina imperialista perpetrata al seguito del 300,000 militari che occupano i quattro angoli del mondo. Questa è la situazione essenziale dei tre principali imperialismi concorrenti, all’origine delle due guerre mondiali, mentre nuovi imperialismi famelici, come quello cinese, si fanno avanti. In Afghanistan si sviluppa quell’asse di penetrazione ad est che denunciamo dai tempi della deflagrazione della Jugoslavia. Anche adesso si intravvedono le linee di tensione e concorrenza interimperialista (in particolare lo schiaffo alla Francia confinata con le sue truppe nella base uzbeka, in attesa di autorizzazione per entrare in Afghanistan) attorno ai futuri oleodotti-gasdotti dei giacimenti del Caspio. Ma non è che una tappa con lo sbarco delle truppe imperialiste nelle steppe ex-sovietiche ci si può attendere al peggio, Russia e Cina sono attaccate nel loro cortile di casa.

I due fenomeni si intrecciano e si alimentano: la crisi generale storica da sovraproduzione di capitale attizza la tendenza alla guerra di rapina contro i popoli oppressi e alla guerra contro i banditi imperialisti.

Qual è la nostra prospettiva? Come posso pensare la Classe Operaia, il Proletariato di affrontare questa situazione? Come difendersi? Come immaginare un altro mondo possibile e come lottare per arrivarci?

Resistere! Per cominciare. Come diceva Marx “una classe che non sa battersi per le piccole cose della sua condizione immediata non può imparare a lottare per un’altra società”. Dunque organizzarsi, sempre e comunque, sulla base delle lotte immediate: ciò che vuol dire tante cose, come superare il fatalismo, le paure, le divisioni, saper battagliare contro gli agenti del capitale nelle nostre fila, ecc. Numerose sono le lotte oggi in Italia e in Europa che fanno vivere la volontà di rivolta del proletariato, la sua capacità di critica pratica del capitalismo, la sua ricchezza di espressioni.

Bisogna collegarsi a queste lotte, valorizzarle, sostenerle nel loro percorso affinché diventino autentici momenti di autonomia di classe.

Percorso non dato, non immediato, ma che richiede maturazione, esperienza, battaglia politica interna alle stesse istanze di lotta per isolare ed espellere via via le posizioni conciliatorie, collaborazioniste, le varie posizioni che portano al suicidio “riformista”. Percorso difficile ma possibile e che può prendere rapidamente consistenza, massificandosi. Abbiamo visto con quale potenza in altri cicli di lotta.

Ma, come dicevamo prima, questo percorso non è esente dalla dialettica con l’espressione politico-militare di classe, con l’organizzazione che agisce da Partito, che tende a costituirsi in Partito. Questa dialettica è essenziale per tanti motivi, e per uno su tutti: senza la prospettiva dello scontro per il potere, qualsiasi istanza di trasformazione sociale (per quanto forte e massificata essa sia), qualsiasi ciclo di lotta va a sbattere contro questo muro, il potere! Il grande ciclo degli anni ’70 ha dimostrato in modo inequivocabile che vi erano due vie: o l’inganno parlamentare dei revisionisti o il processo rivoluzionario guidato dalle B.R.

Nonostante gli errori e le immaturità di questo nuovo processo rivoluzionario, esso resta fondamentalmente valido, ancor più se si pensa che ha ridato concretezza alla Rivoluzione nel cuore di un paese imperialista, nel cuore del capitalismo internazionale, là dove é decisivo vincere.

Senza costruire in questo senso, nel senso dell’organizzazione politico-militare di lotta per il potere, non solo non si può pensare di costruire le condizioni per vincere, ma nemmeno di difendersi, di rinforzare le nostre lotte immediate, perché da tempo la borghesia é riuscita a tagliarci l’erba sotto i piedi, a disgregare il tessuto di classe, il tipo di ciclo produttivo che sosteneva la nostra organizzazione di massa. La borghesia è riuscita a “sfasare” il livello di scontro, a usare contro le lotte la mondializzazione, il potere che ha di muoversi su tanti paesi e possibilità di sfruttamento. In questo contesto, la lotta economica, immediata trova difficoltà a mordere, ad incidere, è preda del reticolo politico-istituzionale predisposto al suo recupero e/o repressione.

Proprio per supplire a queste carenze, per poter fare noi, come Classe, il salto al livello necessario per lottare, affrontare la borghesia imperialista e sopratutto rispetto ai tempi a venire di tendenza alla guerra, è necessaria, decisiva la costituzione in Partito sulla base dell’unità politico – militare. Ciò che significa tradurre in pratica, nella pratica di una strategia e di una linea politica la tendenza di lotta per il potere che si vuole affermare. È il fatto di essere conseguenti con quella che è la natura della lotta di classe, con quelle che sono le finalità, gli obiettivi ultimi di Classe, che impone la relazione tra la natura del Partito e la strategia. La scelta della clandestinità e dell’utilizzo delle armi nella lotta politica sono la necessaria concretizzazione di tutto ciò.

Solo in questo modo si può essere credibili agli occhi della Classe, sviluppare un processo di accumulo di forze, nella misura in cui si offrono gli strumenti per incidere politicamente nel vivo dello scontro di classe (è il grande insegnamento della storia delle B.R. rispetto ai partitini m-l tanto pretenziosi quanto platonici).

È in conseguenza della strategia rivoluzionaria per la presa del potere che il Partito è costretto dallo sviluppo storico della contraddizione tra Rivoluzione e Controrivoluzione a operare la scelta della clandestinità.

Coloro che oggi, nella crisi generale dell’epoca imperialista del capitalismo, considerano di lavorare alla costruzione del Partito ma non si pongono il problema della sua natura clandestina, nelle intenzioni e nei fatti non si pongono nelle condizioni di percorrere la via rivoluzionaria. Non pongono al centro del lavoro di costruzione la strategia da adottare e sviluppare per la presa del potere. Non considerano di costruire il Partito sulla base di questa strategia. Il più delle volte sono afflitti da opportunismo e scivolano nel revisionismo.

Coloro che si pongono il problema della natura clandestina ma non la concepiscono come condizione per lo sviluppo della strategia rivoluzionaria (oggi basata sull’unità del politico – militare) distaccano la forma dal contenuto, lo sviluppo dall’organizzazione dal processo concreto del perseguimento del suo obiettivo strategico. Sono afflitti anch’essi da un misto di opportunismo e dogmatismo e scivolano nel revisionismo.

Il revisionismo è il riflesso dell’imperialismo nel movimento operaio e proletario. È la sua capacità di influenzarlo per deviarlo dal suo compito storico di sviluppare la Rivoluzione Proletaria mondiale, come processo che pone fine al dominio della borghesia, instaura la dittatura del proletariato per distruggere e superare il modo di produzione capitalistico, basato sul profitto dei capitalisti e lo sfruttamento dei lavoratori.

La strategia rivoluzionaria del movimento comunista internazionale e dei suoi partiti è quella strategia che si sviluppa nella lotta contro il revisionismo e ristabilisce il corso della storia di Classe (che è rivoluzionaria o non esiste). Questa è la sua forza e per questo ha già vinto e può vincere ancora, fino alla vittoria finale contro la borghesia imperialista contro il capitalismo!

 

CONTRO LA CRISI CAPITALISTA E LA GUERRA IMPERIALISTA

SVILUPPARE L’AUTONOMIA DI CLASSE

COSTITUIRE IL PARTITO COMUNISTA POLITICO – MILITARE

RILANCIARE IL PROCESSO RIVOLUZIONARIO NELL’UNITA’ DEL POLITICO – MILITARE STRATEGIA VERSO LA GUERRA POPOLARE PER LA PRESA DEL POTERE

INSTAURAZIONE DEL SOCIALISMO, SVILUPPO DELLA GUERRA ANTIIMPERIALISTA

DEI POPOLI OPPRESSI E DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE

 

(Nota: la proposta di una nuova categoria, così carica di implicazioni – il PCP-M è solo una proposta da sottoporre al dibattito. La scelta dei termini programmatici fondamentali non può essere azzardata o “emotiva”.

Evidentemente l’idea è interessante e frutto di riflessioni: rispetto al classico PCC caratterizza meglio l’unità degli elementi, è più parlante e costituirebbe un’innovazione. Può darsi si potrebbe anche solo sperimentare in alcune prime uscite. Comunque tutto da discutere).

 

Gennaio 2002

(Primo documento unitario del progetto Partito comunista politico-militare)

 

Lascia una risposta