Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.2

In seguito agli innumerevoli falsi che i giornali del mattino e del pomeriggio hanno raccattato senza scrupolo, non certo con l’intento di fornire ai loro lettori un’informazione corretta e completa, facciamo presente che solo i comunicati battuti con la macchina che ha firmato il primo sono autentici. Non si tratta di un gioco e le false informazioni possono soltanto aggravare la posizione del prigioniero.

Allegati al comunicato ci sono una fotografia ed un messaggio autografo di Sossi in cui si chiede la sospensione delle ricerche “inutili e dannose.” [ndr]

Ai miei familiari – mamma curati e stai serena saluta Sergio e tutti

– Grazia curati e fai studiare le bimbe – stai serena, non hai ragione per preoccuparti, avrai ancora mie notizie… Mario.

AT Sostituto Procuratore della Repubblica di turno – Genova – Pregoti in assoluta autonomia ordinare immediata sospensione ricerche inutili et dannose – stop Mario Sossi.

 

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976.

Sequestro Mario Sossi – Comunicato N.1

Un nucleo armato delle Brigate Rosse ha arrestato e rinchiuso in un carcere del popolo il famigerato Mario Sossi, sostituto procuratore della repubblica. Mario Sossi era la pedina fondamentale dello scacchiere della controrivoluzione, un persecutore fanatico della classe operaia, del movimento degli studenti, dei commercianti, delle organizzazioni della sinistra in generale e della sinistra rivoluzionaria in particolare.

Mario Sossi verrà processato da un tribunale rivoluzionario. Sin da giovane, Sossi si è messo “a disposizione” dei fascisti presentandosi per ben due volte nella lista del FUAN. Divenuto magistrato, si schiera immediatamente con la corrente di estrema destra della magistratura.

Dicembre 1969: bombe di piazza Fontana. All’interno di un piano di rottura istituzionale ordito dall’imperialismo, l’anticomunista Sossi fa la sua parte e ordina una serie di perquisizioni negli ambienti della sinistra genovese. Applicando le norme fasciste del codice Rocco, fa arrestare l’intero comitato direttivo del PCd’I (m-1), una ventina di compagni, sotto l’accusa di “cospirazione contro lo stato.” Non sazio, fa sequestrare nelle case dei compagni libri di Marx, Lenin, Stalin, Mao e persino dischi di musica popolare.

Febbraio 1970: si scatena la polemica sul diritto di sciopero dei dipendenti dei pubblici servizi. La destra vuole che tale diritto venga negato. Sossi non perde tempo e denuncia l’intera commissione interna degli ospedali psichiatrici di Quarto e Cogoleto per “abbandono collettivo del posto di lavoro.” Sono i mesi seguenti all’autunno caldo. L’attacco al diritto di sciopero è ciò che chiede a gran voce la borghesia impaurita. E Sossi, da servo ossequioso, esegue! Sarebbe troppo lungo fare il conto delle istruttorie contro operai, sindacalisti e avanguardie politiche.

Ottobre 1970: il movimento di lotta degli studenti non si arresta. Attaccare gli studenti è la parola d’ordine della reazione. Sossi fa arrestare con l’imputazione di rapina tre studenti, rei di aver fatto consumare il pasto gratis ai loro compagni nella mensa della Casa dello studente.

Novembre 1971: è la volta dei giornalai. Ne fa arrestare 9 e li fa processare per direttissima con l’accusa di “avere esposto pubblicazioni oscene.” Il nostro moralizzatore al processo dichiara: “Non abbiamo paura della folla e dei sindacati. I movimenti di piazza non ci spaventano.”

Agosto 1972: il 6 agosto i giornali fanno filtrare la notizia dell’imminente concessione della libertà provvisoria per il comandante partigiano Giovambattista Lazagna, provocatoriamente incarcerato in seguito al caso Feltrinelli. Sossi è in ferie, ma viene immediatamente richiamato in sede da “qualcuno” del SID che, in base all’infame “memoriale” del provocatore Pisetta, lo invita ad emettere un nuovo mandato di cattura.

Novembre 1972 – marzo 1973: processo di primo grado contro il gruppo rivoluzionario 22 Ottobre. Di questo processo, sui retroscena, sugli intrighi politici, sulle varie complicità, daremo la nostra versione alla fine dell’interrogatorio. Per ora, ci basta sottolineare che Sossi, in armonia con tutte le forze della controrivoluzione, mette immediatamente a fuoco la questione centrale che deve essere oggetto del processo: non si tratta di crimini determinati, ma di giudicare e condannare il “crimine” per eccellenza: quello di essersi rivoltati con le armi in pugno all’ordine e alle leggi della borghesia. Siamo al processo di regime!

Marzo 1974: i compagni del processo di appello del gruppo rivoluzionario 22 Ottobre gridano: “Sossi fascista sei il primo della lista.” Lui li denuncia tutti. Ma non serve a nulla: tutti i muri di Genova sono pieni di scritte rosse che ripetono lo stesso concetto. E la sinistra rivoluzionaria, oggi, ha detto basta!

Compagni, la contraddizione fondamentale è oggi quella che oppone la classe operaia e il movimento rivoluzionario al fascio delle forze oscure della controrivoluzione. Queste forze tramano per realizzare, dopo la prova del referendum, una rottura istituzionale e cioè una “riforma costituzionale” di stampo neogollista. E il neogollismo è un progetto armato contro le lotte operaie. Nessun compromesso è possibile con i carnefici della libertà. E chi cerca e propone il compromesso non può parlare a nome di tutto il movimento operaio. Compagni, entriamo in una fase nuova della guerra di classe, fase in cui il compito principale delle forze rivoluzionarie è quello di rompere l’accerchiamento delle lotte operaie estendendo la resistenza e l’iniziativa armata ai centri vitali dello stato.

La classe operaia conquisterà il potere solo con la lotta armata! Contro il neogollismo portare l’attacco al cuore dello stato! Trasformare la crisi di regime in lotta armata per il comunismo! Organizzare il potere proletario!

Brigate Rosse
Aprile 1974

Avvertiamo poliziotti, carabinieri e sbirri vari che il loro comportamento può aggravare la posizione del prigioniero.

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976.

Contro il neogollismo portare l’attacco al cuore dello Stato

Parallelamente all’aggravarsi della crisi di regime, va affermandosi, con inesorabile cadenza, un processo di controrivoluzione che trova l’intero padronato unito nel tentativo di distruggere il movimento delle lotte e i livelli di organizzazione autonoma e rivoluzionaria che esse hanno prodotto. Ora, se nelle fabbriche l’autonomia operaia è abbastanza forte e organizzata per mantenere uno stato di permanente insubordinazione e conquistarsi un proprio spazio di potere via via crescente, fuori dalla fabbrica essa è ancora debole al punto di non essere in grado di opporre una resistenza agli attacchi della controrivoluzione. Per questo le forze della controrivoluzione tendono a spostare la contraddizione principale fuori dalle fabbriche e impegnare le battaglie decisive per isolare lo scontro di potere dentro le fabbriche per poterlo più facilmente controllare e poi distruggere…

L’iniziativa rivoluzionaria genera inevitabilmente un antagonismo organizzato: la controrivoluzione. Questa è una legge scientifica che regola i rapporti tra le classi e che già Marx aveva messo in chiara evidenza avvertendo che “il progresso rivoluzionario non si fece strada con le sue tragicomiche conquiste immediate, ma, al contrario, facendo sorgere un avversario, combattendo il quale soltanto il partito della insurrezione raggiunge la maturità di un vero partito rivoluzionario…” Tuttavia la controrivoluzione in questa fase non segue un percorso lineare. Al suo interno si scontrano due linee politiche la cui opposizione ha un carattere tattico. L’una è la tendenza golpista, l’altra è la tendenza della “riforma costituzionale” di stampo neogollista. Entrambe giocano una loro funzione specifica all’interno del processo strategico della controrivoluzione.

 

La linea golpista.

… È fondamentale una considerazione: finché ci sarà spazio in Italia per soluzioni controrivoluzionarie che mantengono le apparenze e la forma della democrazia borghese, pur calpestandone la sostanza, saranno queste a prevalere sulla soluzione golpista…

 

Il progetto neogollista di “riforma costituzionale”.

L’aggravarsi della crisi economica, l’incapacità di controllare le tensioni sociali potenzialmente esplosive e le lotte incalzanti del Movimento Operaio […], dimostrano sempre più chiaramente che la crisi di regime in atto non può essere risolta con semplici avvicendamenti di governo. Scartata l’ipotesi del “compromesso storico” – ai gruppi dominanti della Borghesia – non rimane che un’unica scelta: quella della “svolta a destra.” Ma la svolta a destra, questa volta, deve dare delle garanzie di stabilità, organicità e credibilità; deve affrontare tutti i problemi politici, economici, di sicurezza e di ordine pubblico alla radice, con trasformazioni costituzionali precise, che diano una nuova base a tutto il sistema istituzionale del nostro paese. Questo progetto, di cui parlò esplicitamente per la prima volta Leone nel suo discorso della fine dell’anno 1973, mira alla trasformazione della repubblica nata dalla Resistenza nel senso della creazione di una repubblica presidenziale. I punti fondamentali di questo progetto sono: il rafforzamento dell’esecutivo con l’attribuzione di maggiori poteri legislativi e amministrativi al capo dello stato e al presidente del consiglio; lo svuotamento progressivo del potere legislativo attribuito al parlamento; il ricorso alla consultazione popolare diretta attraverso referendum; la revisione della legge elettorale da proporzionale a maggioritaria. Ma un piano tanto ambizioso per poter essere realizzato ha bisogno di una salda unità di direzione politica e soprattutto di un ferreo controllo sui movimenti delle varie forze politiche e sociali in campo.

Per questo il progetto neogollista di “riforma costituzionale” deve essere un progetto armato, e la realizzazione di ogni sua fase cammina di pari passo con un processo crescente di militarizzazione del potere.

 

Il neogollismo è un progetto armato.

L’obiettivo principale delle forze neogolliste è necessariamente il rafforzamento del loro controllo sui centri nodali dell’apparato statale. I “corpi separati” dello stato, che fino ad oggi hanno operato autonomamente e spesso in contraddizione tra loro, devono essere ora ricondotti ad una nuova disciplina… Illuminante a questo proposito è il processo di ristrutturazione in atto nella magistratura. Il neogollismo sta tentando di realizzare ciò che neppure il fascismo era riuscito a fare: costruire una precisa identità tra i propri interessi di potere e la “legge.”

Lo scontro politico del referendum. Il progetto neogollista di “riforma costituzionale” trova nell’attuazione del referendum, oltre che un suo primo momento di realizzazione, l’occasione per stringere attorno a sé tutte le forze della destra, dal MSI alla DC. Il referendum quindi risulta essere per questo progetto una tappa fondamentale, una prima verifica della forza politica complessiva di questo nuovo blocco di potere. La strategia politica della DC, in questa fase, è quella di:

– bruciare definitivamente l’ipotesi di centro-sinistra…

– creare un clima di generale insicurezza che consenta alla DC in testa alle forze neogolliste di presentarsi all’elettorato del referendum come l’unica forza in grado di ridare al paese ordine e tranquillità politica ed economica…

E’ chiaro che se la DC dovesse vincere il referendum in testa alle forze neogolliste, il progetto di “riforma costituzionale” riceverebbe un enorme slancio e diventerebbe immediatamente piattaforma di ordine “democratico” sulla quale “restaurare” lo stato e ristabilire il dominio integrale della borghesia […] Fino ad oggi il movimento rivoluzionario ha saputo opporsi efficacemente al processo di controrivoluzione sul terreno ristretto dell’antifascismo militante. Ma se è vero che l’iniziativa controrivoluzionaria viene ora assunta in prima persona da un blocco di potere interno allo stato, è soprattutto contro queste forze che dobbiamo sferrare i nostri colpi più duri.

È tempo di forzare la ragnatela del passato e superare l’impostazione tradizionale dell’antifascismo militante. Colpire i fascisti con ogni mezzo e in ogni luogo è giusto e necessario. Ma la contraddizione principale è oggi quella che si oppone al fascio di forze della controrivoluzione… Perché se è vero che la crisi di regime e la nascita di una controrivoluzione agguerrita e organizzata sono il prodotto di anni di dure lotte operaie e popolari, è ancora più vero che per vincere il movimento di massa deve oggi superare la fase spontanea e organizzarsi sul terreno strategico della lotta per il potere. E la Classe Operaia si conquisterà il potere solo con la lotta armata.

 

Brigate Rosse
Aprile 1974

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

 

Rivendicazione sequestro dirigente Alfa Romeo Michele Mincuzzi

Giovedì 28 giugno 1973 alle ore 20 un nucleo armato delle BRIGATE ROSSE ha prelevato, interrogato e processato MINCUZZI MICHELE, dirigente dell’Alfa Romeo. Per capire chi effettivamente sia costui iniziamo con alcune sue frasi celebri: “L’appiattimento delle categorie è contro natura”. “L’egualitarismo è disumano”. Queste frasi sono il perno dell’impostazione politica dei corsi di addestramento per dirigenti intermedi che tiene periodicamente in fabbrica. MINCUZZI non si accontenta di essere maestro degli aguzzini che ci impongono i ritmi e i tempi infernali ai quali siamo sottoposti all’Alfa, ma impartisce i suoi insegnamenti fascisti anche ai dirigenti di altre fabbriche, tenendo corsi all’UCID (Unione cristiana imprenditori dirigenti). In fabbrica è uno dei massimi responsabili della Direzione della produzione (DIPRO), ed è lui che dirige l’organizzazione dei tempi e dei ritmi delle linee. È sempre lui che decide e controlla i passaggi di categoria. Per le sue “alte qualità” è ritenuto all’Alfa un “esperto” nelle questioni sindacali e ne rappresenta gli interessi nelle vertenze e nelle contrattazioni. Siamo in molti a ricordare la sua attiva collaborazione al CONTROSCIOPERO dei dirigenti per il “diritto al lavoro” e contro la “violenza” che ci ha fatto finalmente conoscere chi sono realmente i nostri padroni di stato. E c’è da credere alla sincerità dei suoi sentimenti “contro ogni violenza” visto che il 2 dicembre 1971 non ha esitato un attimo a sfondare con la propria auto un picchetto, in accordo con la polizia che successivamente ha caricato gli operai. Anche più recentemente MINCUZZI si è distinto nelle manovre che la direzione ha posto in atto contro l’autonomia operaia e le sue forme di lotta, come i cortei interni, gli scioperi a scacchiera ecc. L’ultimo fatto poi (1.000 operai sospesi in seguito allo sciopero della Verniciatura), dimostra che i nostri padroni di stato hanno intenzione di essere all’avanguardia della repressione antioperaia. MINCUZZI è dunque un gerarca in camicia bianca, è della stirpe dei MACCHIARINI e dei tanti altri che nelle fabbriche private e statali cercano di far pagare la crisi agli operai usando gli strumenti del ricatto e del carovita, del terrorismo, della provocazione, in una parola della violenza antioperaia. Il gerarca MINCUZZI ha molti soci dentro e fuori la fabbrica. Uno di questi è PIERANI LUIGI della Direzione del personale, che pur agendo nell’ombra è tra i più accaniti esecutori della repressione padronale… PIERANI, a quanto pare, è talmente cosciente della sua funzione che si fa scortare dal “gorilla” di turno che gli passa la questura e fa tenere costantemente sotto controllo la sua abitazione da un paio di auto civetta. PIERANI non ha capito una cosa, che se i padroni hanno la memoria lunga, i proletari hanno una pazienza smisurata, e che alla fine niente resterà impunito. Compagni, […] impariamo a conoscere ad uno ad uno i nostri nemici, a controllarli e a punirli ogni qualvolta si rendono direttamente responsabili di iniziative antioperaie… Le politiche terroristiche dei padroni camminano con piedi ben definiti e sono quelli dei nostri dirigenti e dei nostri capi. Questa è la premessa per andare avanti sulla strada aperta con le lotte del ’69-73, per sviluppare i temi della guerra all’organizzazione capitalistica del lavoro e della resistenza alla ristrutturazione antioperaia, per consentire al movimento di massa di avanzare nella lotta per una società comunista. Lotta armata per il comunismo.

BRIGATE ROSSE

Giugno 1973

 

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

Autointervista – Seconda intervista a se stessi

  1. Come vedete le scelte politiche della vostra organizzazione dopo due anni di lavoro?

Ci sembra che lo sviluppo della situazione politica italiana abbia confermato la scelta di fondo che abbiamo fatto nei primi mesi del ’70. La crisi di regime non si è affatto risolta in senso riformista e non ci sono prospettive di soluzione in tempi relativamente brevi. Al contrario, la formazione di un governo di centro destra con l’esclusione dei socialisti, il rilancio dei fascisti come “forza parallela”, l’attacco frontale al movimento dei lavoratori e la militarizzazione sempre più arrogante dello scontro politico e sociale stanno a dimostrare che il fronte politico borghese persegue con accresciuto accanimento l’obiettivo di una restaurazione integrale della sua dittatura e quindi di una sconfitta politica senza mezzi termini della classe operaia.
 

  1. L’assassinio di Feltrinelli e l’attacco contro le Brigate rosse non dimostrano al contrario la debolezza o meglio l’immaturità di una scelta di tal genere?

La debolezza di una linea politica non deriva dai rapporti di forza che l’organizzazione che la rappresenta è in grado di stabilire in una fase iniziale. L’attacco scatenato contro di noi dalla borghesia a maggio, nasceva proprio dall’errato convincimento che si poteva neutralizzare la forza politica della proposta strategica della lotta armata per il comunismo sfruttando la debolezza organizzativa che ci caratterizzava. Proprio questo errore di valutazione politica ha fatto fallire l’operazione poliziesca e noi ci siamo rafforzati. Infatti, non accettando il terreno che ci veniva proposto di uno “scontro frontale” tra le Brigate rosse e l’apparato armato dello Stato, abbiamo avuto tutto il tempo per contrattaccare “in silenzio” su obiettivi economici e rafforzare di conseguenza il nostro impianto organizzativo dimostrando nel contempo la “debolezza politica” di questo Stato di polizia pur così “forte” nelle sue strutture militari e repressive.
 

  1. Da più parti vi è stata mossa l’accusa di “terrorismo”. Qual è il suo fondamento?

Il “terrorismo” nel nostro paese e in questa fase dello scontro è una componente della politica condotta dal fronte padronale a partire dalla strage di piazza Fontana per determinare un arretramento generale del movimento operaio e una restaurazione integrale degli antichi livelli di sfruttamento. In particolare con questa politica il padronato ha puntato a realizzare tre obiettivi:
– favorire la crescita del blocco reazionario oggi al potere e delle sue componenti interne o parallele più fasciste nella prospettiva di ristabilire il controllo della situazione nelle fabbriche e nel paese;
– smorzare le spinte rivoluzionarie e indirizzare in senso social-pacifista il movimento delle lotte maturato in questi anni, prospettando lo spauracchio del “salto nel buio”;
– screditare le organizzazioni rivoluzionarie e addebitando alla sinistra provocazioni antioperaie e fasciste, secondo gli schemi degli opposti estremismi e dell’equivalenza di ogni manifestazione di violenza. Il nostro impegno nelle fabbriche e nei quartieri è stato sin dall’inizio quello di organizzare l’autonomia proletaria per la resistenza alla controrivoluzione in atto e alla liquidazione delle spinte rivoluzionarie tentata dagli opportunisti a dai riformisti. Organizzare la resistenza e costruire il potere proletario armato sono le parole d’ordine che hanno guidato e guidano il nostro lavoro rivoluzionario. Cosa ha a che fare col terrorismo tutto questo?
 

  1. Qual è dunque il filo conduttore del vostro intervento in questa fase?

Con la costruzione delle Brigate rosse abbiamo voluto creare un polo strategico in grado di porsi almeno i più urgenti tra i problemi sollevati dal movimento di resistenza proletario. Non abbiamo costruito un nuovo gruppo, ma abbiamo lavorato all’interno di ogni manifestazione dell’autonomia operaia per unificare i suoi livelli di coscienza intorno alla proposta strategica della lotta armata per il comunismo. Oggi possiamo dire che il sasso scagliato ha mosso le acque: il problema dell’organizzazione proletaria armata è stato fatto proprio da tutto il campo rivoluzionario. Si tratta dunque di fare un passo avanti e imporre nella lotta armata la linea di costruzione del potere proletario armato contro le tendenze militaristiche o comunque errate. MILITARISTA è la deviazione di chi pensa che attraverso l’azione armata intesa come fatto esemplare sia possibile “mettere in movimento la classe operaia”. GRUPPISTA è la deviazione di chi pensa che attraverso l’azione armata intesa come fatto esemplare sia possibile “mettere in movimento la classe operaia”. Entrambe queste posizioni hanno un denominatore comune: la sfiducia nelle capacità rivoluzionarie del proletariato italiano. Noi crediamo che l’azione armata sia solo il momento culminante di un vasto lavoro politico attraverso il quale si organizza l’avanguardia proletaria, il movimento di resistenza, in modo diretto rispetto ai suoi bisogni reali e immediati. In altri termini per le Brigate rosse l’azione armata è il punto più alto di un profondo lavoro di classe: è la sua prospettiva di potere. Proprio per questo siamo convinti che per andare avanti sulla strada della lotta armata è ormai necessario svolgere un lavoro di unificazione politica di tutte le avanguardie politico-militari che si muovono nella stessa prospettiva.
 

  1. Intendete un lavoro di unità tra i gruppi?

I gruppi sono realtà del passato, sopravvivenze inadeguate allo sviluppo ulteriore del processo rivoluzionario. L’unità che noi intendiamo costruire è quella di tutte le forze che si muovono nella prospettiva della lotta armata per il comunismo.
 

  1. Potete essere più precisi?

Nella sinistra non riformista operano in questo momento tre tendenze fondamentali:
– La prima è quella liquidazionista che dà per scontata la sconfitta politica della classe operaia e si prepara ad un lavoro “di partito” per gestire il “riflusso” nel lungo periodo di crisi. Coloro che portano questa tendenza pensano ad uno sviluppo organizzativo per linee interne ed identificano, operando con grossolana semplificazione, la crescita del processo rivoluzionario con quella del proprio gruppo. Mentre il fronte padronale ha scelto la via della “guerra civile strisciante”, essi, assestano la loro attività sul terreno dell’agitazione e della propaganda. Da questo errore prende il via la riproposta di un modello terzointernazionalista che noi consideriamo una piatta ripetizione di una esperienza storica del movimento operaio già battuta in passato e senza fiato per l’avvenire.
– La seconda è quella centrista che pur non dando per certa la sconfitta politica della classe operaia imposta la sua iniziativa nel senso di una serie successiva di battaglie mai ricomposte in un disegno unitario di guerra. Questa tendenza è rappresentata dagli organismi autonomi di fabbrica e di quartiere che esauriscono la loro esistenza nella tattica e si illudono di poter costruire nella politica del “giorno per giorno” una consistente alternativa strategica. In concreto il problema che questi compagni devono ancora risolvere sta tutto in questa domanda : “organismi autonomi” oppure “organismi dello stato proletario”?
– La terza è quella della resistenza che non dà affatto per avvenuta la sconfitta politica della classe operaia. È questa la tendenza che sa cogliere le forme nuove entro cui si muove l’iniziativa proletaria e lavora a proiettarle sul binario strategico della lotta armata per il comunismo: sul terreno della guerra di classe rivoluzionaria. È su questa ultima tendenza che si appoggia prevalentemente la linea di costruzione del potere proletario armato. L’unità che intendiamo costruire è dunque in primo luogo quella di tutte le forze che compongono il campo della resistenza: forze che dal ’45 pur ai margini delle linee ufficiali del movimento operaio hanno però sempre espresso la continuità delle spinte rivoluzionarie della classe operaia e forze di più recente tradizione che arricchiscono coi contenuti del ’68 e del ’69 il patrimonio dell’autonomia.
 

  1. Sin qui non abbiamo sentito parlare del Partito Comunista Italiano. Perché?

Il Partito Comunista Italiano è una grande forza democratica che persegue con coerenza una strategia esattamente opposta alla nostra. Non sembra né utile né importante continuare ad attaccarlo con raffiche di parole. Sul terreno rivoluzionario anche la lotta ideologica si appoggia alla capacità di far vivere nella storia le proprie convinzioni politiche. Così siamo convinti, che a misura in cui la linea della resistenza, del potere proletario e della lotta armata si consoliderà politicamente e organizzativamente nel movimento operaio, gli elementi comunisti che ancora militano o credono in quel partito sapranno certamente fare le proprie scelte.
 

  1. Quando parlate di resistenza in che modo considerate lo sviluppo delle forze rivoluzionarie al sud?

Un progetto rivoluzionario in Italia è impensabile senza la partecipazione attiva dei proletari del Sud. Purtroppo le esigenze rivoluzionarie delle masse meridionali sono attualmente distorte a causa del fallimento delle strategie riformiste. Temporaneamente la borghesia fascista è riuscita ad egemonizzare strati popolari di alcune zone del Sud e ad organizzare la “rabbia” intorno ad obiettivi niente affatto rivoluzionari. Sta ora alle forze operaie d’avanguardia del nord riaprire il discorso di unità politica col meridione. È compito urgente al quale dobbiamo dedicare la massima attenzione per evitare che l’azione della borghesia nel meridione si riversi contro la classe operaia del nord.
 

  1. Ma come è possibile lavorare in questo senso di fronte alla fragilità delle strutture politiche della sinistra nel Sud?

Nel sud non mancano certo le spinte rivoluzionarie, anzi da un certo punto di vista esse esprimono livelli altissimi. E la borghesia sa bene che saltassero i meccanismi di controllo sociale l’ondata rivoluzionaria avanzerebbe con molta decisione. Per questo lo Stato, il governo ed i padroni danno fiato al “meridionalismo” delle clientele fasciste e si assumono la responsabilità di una “tendenza eversiva” che di fatto è eversiva solo in rapporto alle lotte operaie. Ad aumentare la confusione contribuiscono poi le forze riformiste che, difendendo questo “stato democratico” che per il Sud è solo repressione e sfruttamento, di fatto aiutano la destra a stabilire egemonia sulle forze proletarie che tendono a muoversi contro il sistema.
 

  1. Stando così le cose, chi può dare l’avvio ad un’inversione di tendenza?

Meglio esser chiari: non certo quei gruppi di intellettuali della sinistra meridionale che passano il loro tempo a studiare le “fasi dello sviluppo capitalistico nel meridione” o il “divario storico tra sud e nord” che nel frattempo continua a crescere. Anche quei gruppi che hanno puntato tutto sull’agitazione e sulla propaganda politica hanno scarse possibilità di dare alle spinte rivoluzionarie ricorrenti uno sbocco strategico. Per sbloccare la situazione occorre che si consolidi una avanguardia armata che sappia unire nella lotta contro i fascisti, le borghesie locali e gli organi repressivi dello Stato, la nuova classe operaia, i braccianti i disoccupati ed il sottoproletariato nel suo insieme.
 

  1. Su quali terreni intendete sviluppare la vostra attività nel prossimo futuro?

Ci sono due tipi di attività che stiamo portando avanti di pari passo con continuità e decisione: il lavoro di organizzazione clandestino e il lavoro di organizzazione delle masse. Per il lavoro clandestino intendiamo il consolidamento di una base materiale. Economica, militare logistica, che garantisca una piena autonomia alla nostra organizzazione e costituisca un retroterra strategico al “lavoro tra le masse”. Per il lavoro di organizzazione delle masse intendiamo la costruzione nelle fabbriche e nei quartieri popolari delle articolazioni dello stato proletario: uno stato armato che si prepara alla guerra.
 

  1. Potete chiarire quest’ultimo punto?

Il problema che dobbiamo risolvere è quello di far assumere alle spinte rivoluzionarie che vengono dal movimento di resistenza una dimensione di potere. Si richiede per questo uno viluppo organizzativo a livello di classe che sappia rispettare i livelli di coscienza che lì operano, ma sappia nello stesso tempo unificarli a farli evolvere nella prospettiva strategica della lotta armata per il comunismo. Le Brigate rosse sono i primi nuclei di guerriglia che operano in questa direzione. Per questo intorno ad essi vanno organizzandosi i militanti comunisti che pensano alla costruzione del Partito armato del proletariato.
 

  1. Quali criteri guidano il vostro intervento nello scontro di classe in questa fase?

Ci muoviamo su tempi lunghi. Sappiamo che questa non è la fase della guerra e proprio per questo lavoriamo per crearne le premesse di coscienza e di organizzazione: ecco il criterio. Tutte le nostri azioni tendono a questo risultato. Un po’ ovunque si verifica che il movimento di resistenza popolare si caratterizza per una generale volontà di scontro con la borghesia e per una altrettanto generale incapacità di praticarlo con efficacia sui terreni imposti. Il nostro intervento va nel senso di risolvere questa contraddizione. Non ricerchiamo il clamore delle azioni esemplari, ma insieme alle avanguardie proletarie impostiamo i problemi:
– della GUERRA AL FASCISMO che non è solo quello delle camicie nere di Almirante, ma anche quello delle camicie bianche di Andreotti e della Democrazia Cristiana
– della RESISTENZA NELLE FABBRICHE per colpire i nemici, i sabotatori e i liquidatori dell’unità e della lotta operaia, per contendere palmo a palmo l’iniziativa padronale che sulla sconfitta politica del movimento operaio vuol far passare qualche decennio di sfruttamento e di oppressione.
– della RESISTENZA ALLA MILITARIZZAZIONE DEL REGIME che non vuol dire lottare per la difesa degli spazi democratici, ma per la distruzione delle strutture armate dello Stato e delle sue milizie parallele.
 

  1. Un’ultima domanda: pensate ad uno sviluppo del processo rivoluzionario a livello nazionale e continentale?

Il conseguimento di una dimensione europea e mediterranea dell’iniziativa rivoluzionaria è un obiettivo importantissimo. Esso ci è imposto dalle strutture sopranazionali del capitale e del potere. Lavorare per la sua maturazione vuol soprattutto sviluppare la guerra di classe nel proprio paese, ma anche essere pronti a scatenare quelle iniziative concrete di appoggio o di lotta richieste dal movimento rivoluzionario e comunista internazionale.

LEGGERE FAR CIRCOLARE PASSARE ALL’AZIONE!

gennaio 1973
Brigate rosse

Fonte: Vincenzo Tessandori, BR. Imputazione: banda armata. Cronache e documenti delle Brigate Rosse, Garzanti, Milano 1977 e succ. ed.

Rivendicazione sequestro dirigente FIAT – Cav. Ettore Amerio – Comunicato N.1

Lunedì 10 dicembre alle 7,30 del mattino un nucleo armato delle Brigate Rosse ha prelevato nei pressi della sua abitazione il cavalier Ettore Amerio, capo del personale, gruppo automobili, della FIAT. Egli attualmente è detenuto in un carcere del popolo. Qualunque indagine poliziesca può mettere a repentaglio la sua incolumità. Il periodo di detenzione di questo artefice del terrorismo antioperaio dipende da tre fattori:

  1. Il proseguimento delle manovre antioperaie (cassa integrazione, ecc.) di strumentalizzazione della “crisi” creata e gonfiata ad arte dalla FIAT in combutta con le forze più reazionarie del paese. Crisi che va nel senso di un mutamento reazionario dell’intero quadro politico.
  1. L’andamento degli interrogatori attraverso i quali intendiamo mettere in chiaro:

– la politica fascista seguita dalla FIAT nella sua offensiva post-contrattuale contro le avanguardie autonome, l’organizzazione operaia dentro la fabbrica e le forme di lotta;

– la questione dei licenziamenti usati terroristicamente per piegare la resistenza operaia alle incessanti manovre di intensificazione del lavoro. Dovrà spiegarci, il cavalier Amerio, la qualità e la quantità di questo attacco che solo negli ultimi mesi ha voluto dire l’espulsione dalla fabbrica di oltre 250 avanguardie;

– l’organizzazione dello spionaggio FIAT più attivo che mai, come dimostrano le motivazioni di alcuni recenti licenziamenti, dopo l’affossamento delle indagini iniziate dal pretore Guariniello;

– la pratica di assunzioni controllate dai fascisti attraverso la CISNAL e il MSI, visto che proprio il segretario di quello pseudosindacato fascista (da noi arrestato e interrogato nel febbraio scorso) lo ha chiamato in causa attribuendogli pesanti responsabilità.

  1. La correttezza e la completezza dell’informazione che verrà data di questa azione in particolare e della nostra organizzazione in generale dai giornali di Agnelli.

Compagni, quando “la paura” si afferma tra le larghe masse il padrone ha già vinto metà della guerra. Questa è la posta in palio nel gioco della “crisi economica” a cui stiamo assistendo. Ma tutti sappiamo che in crisi non è tanto l’economia dei padroni, ma il loro potere. È la loro capacità di sfruttamento, di dominio e di oppressione che è stata definitivamente scossa dalle lotte operaie di questi ultimi anni. In questa situazione non siamo noi che dobbiamo avere paura, come non l’abbiamo avuta alla fine di marzo quando abbiamo issato, contro padroni e riformisti, la bandiera rossa sulle più grandi fabbriche di Torino. In questa situazione dobbiamo accettare la guerra… Perché non combattere quando è possibile vincere? Quello che noi pensiamo è che da questa “crisi” non se ne esce con un “compromesso.” Al contrario siamo convinti che è necessario proseguire sulla strada maestra tracciata dalle lotte operaie degli ultimi 5 anni e cioè:

Non concedere tregue che consentano alla borghesia di riorganizzarsi. Operare nel senso di approfondire la crisi di regime. Trasformare questa crisi in primi momenti di potere proletario armato, di lotta armata per il comunismo. Compromesso storico o potere proletario armato: questa è la scelta che i compagni devono oggi fare, perché le vie di mezzo sono state bruciate. Una divisione si impone in seno al movimento operaio, ma è da questa divisione che nasce l’unità del fronte rivoluzionario che noi ricerchiamo. Questa scelta, del resto, ci si ripresenta ogni giorno in fabbrica e fuori, posti come siamo di fronte all’aperta aggressione del padrone, del governo e dello stato, e al deterioramento dei nostri tradizionali strumenti di organizzazione e di lotta.

Battere l’attendismo! Dire no! al compromesso col fascismo FIAT! Accettare la guerra! Queste tre cose sono oggi necessarie per andare avanti nella costruzione del potere proletario. Creare costruire organizzare il potere proletario armato! Nessun compromesso col fascismo FIAT! I licenziamenti non resteranno impuniti!

LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!

 

BRIGATE ROSSE

Torino 10 dicembre 1973

 

Fonte: Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano 1976

Azioni di incendio auto di 9 fascisti FIAT

Schiacciamo i fascisti a Mirafiori e Rivalta!

Cacciamoli dalle nostre fabbriche e dai nostri quartieri!

Lo scontro contrattuale è in pieno svolgimento e la risposta della FIAT ai primi movimenti di lotta è stata una dichiarazione di guerra: Mirafiori presidiata da massicci e provocatori schieramenti di polizia, trasferimenti, ammonizioni, sospensioni, licenziamenti che non si contano più. Così vanno le cose anche in altre fabbriche come la Pininfarina ad esempio e il clima generale instaurato dal governo Andreotti-Malagodi è sempre lo stesso anche fuori dalle fabbriche, come ha dimostrato la vigliacca aggressione poliziesca alla manifestazione di sabato contro le 600 denunce, contro il fascismo, contro il governo Andreotti.

Dove vogliono arrivare i nostri padroni? È semplice: ad una nuova dittatura. Per far questo però debbono strangolare la lotta di massa dentro la fabbrica, dividere la classe operaia, impedire i cortei interni e i picchetti, in poche parole, INFLIGGERE UNA SCONFITTA POLITICA AGLI OPERAI METALMECCANICI. Primo passo verso una sconfitta politica generale dell’intera classe operaia. A questo progetto noi dobbiamo reagire, dobbiamo cioè darci una organizzazione che ci consenta di passare all’azione nella fabbrica e nel quartiere. Ora tutti sanno che in mezzo a noi nelle officine, nei reparti, alle linee lavora sotterraneo da molti mesi un esercito di carogne che con i suoi miserabili servizi rende possibile alla FIAT identificare e colpire chi propaganda lo sciopero, chi tira le lotte, chi è alla testa dei cortei, chi fa picchetti:
– chi non conosce gli spioni che nascosti dietro gli angoli o tra i cassoni si segnano i nomi delle avanguardie di lotta? e i guardiani che filmano i cortei, che sbarrano le strade, che aggrediscono i picchetti?
– chi non nutre istintivamente odio profondo per i briganti fascisti del MSI e della CISNAL sempre pronti a provocare, organizzare i crumiri e le squadracce, a vendere al padrone la testa degli operai più combattivi? – e quei porci del SIDA, della UILMD, della FEDERACLI di Iniziativa Sindacale che per una rapida carriera venderebbero anche la madre, chi non ha avuto almeno un’occasione per disprezzarli come si deve?
– e i nostri capi e capetti che progettano, coprono e avallano l’insieme di queste sporche macchinazioni sono forse da meno?

Questi sabotatori e liquidatori dell’unità operaia debbono essere senza tante esitazioni duramente colpiti, battuti e dispersi. È con questi piedi che cammina la reazione nelle fabbriche: sono questi piedi che dobbiamo schiacciare!

Dice un antico proverbio che il pesce puzza dalla testa, ma a squamarlo si comincia dalla coda. E la coda del nostro pesce sono appunto alcuni fascisti che l’altra mattina, per ammonimento, si sono visti andare la macchina in fumo…

 

Nota: In seguito a questa azione è stata involontariamente danneggiata anche la 500 dell’operaio Pasquale Di Fede. Rassicuriamo il signor Di Fede che le Brigate Rosse risarciranno interamente il danno.

 

Brigate Rosse
Torino, 26 Novembre 1972.

 

Fonte: CONTROinformazione n. 0

Guerra ai fascisti

Capi – fascisti – SIDA – guardioni sono un fucile puntato contro la classe operaia! Spazziamoli da Mirafiori e Rivalta! Inseguiamoli nei loro quartieri! Facciamogli sentire tutto il gusto del nostro potere!

18 dicembre 1922: i fascisti con alla testa il criminale Brandimarte, accecati dalla resistenza eroica che i proletari opponevano alla nascente dittatura fascista, scatenarono la loro furia bestiale sulla classe operaia torinese uccidendo più di 200 compagni;

18 dicembre 1972: sono passati 50 anni ma i nuovi fascisti in camicia bianca e in camicia nera continuano a mettere i loro lugubri servizi a disposizione della nuova dittatura di Andreotti e di Agnelli.

I sacchi sono cambiati ma la farina è rimasta la stessa: le camicie non sono più nere ma anche oggi come nel ’22 i padroni vogliono arrivare con la forza dello stato e delle sue “milizie parallele” a piegare e sconfiggere il movimento operaio, le sue organizzazioni e le sue lotte. Ogni giorno l’attacco diventa più duro, assume i caratteri di una guerra portata avanti da un fronte padronale che va dall’ultimo crumiro al primo ministro del governo di Roma. Le fasi di questa guerra le conosciamo tutti: sono i licenziamenti politici (gli ultimi 5 sono di venerdì), la soppressione delle libertà di movimento per i delegati, le denunce, le lettere di preavviso, le sospensioni, le aggressioni, gli arresti sui picchetti… Compagni, la nostra forza è grande, terribile come ha detto un delegato di Rivalta, e lo abbiamo dimostrato nelle lotte di queste ultime settimane, nei cortei che sono stati un’evidente manifestazione del nostro potere nella fabbrica. Ma si può continuare ad avanzare contro le mitragliatrici dei padroni senza organizzare meglio la nostra difesa? Senza attrezzarci per un più deciso attacco? Per ora queste “mitragliatrici” sono soprattutto:

le spie del SIDA, questa scuola di prostituzione che dà con le sue tessere la patente di crumiro! I provocatori del MSI e della CISNAL, milizia nera antioperaia con funzioni di spionaggio, divisione, aggressione; i capi e capetti che organizzano i crumiri, iene digrignanti dello zoo privato dei fratelli Agnelli; i guardioni, braccio armato e sbirri del padrone.

Ebbene compagni, se vogliamo usare ancora la forza di massa dei cortei, dei picchetti, degli scioperi; per impedire la restaurazione dei vecchi livelli di sfruttamento e di un “clima vallettiano”; per il salario garantito e per un contratto imposto da noi:

Questi nemici dell’unità operaia dobbiamo ridurli al silenzio, dobbiamo colpirli duramente, con metodo, nelle persone e nelle loro cose, dobbiamo cacciarli dalle fabbriche e inseguirli nei quartieri, non dobbiamo concedergli un minuto di tregua!

Brigate Rosse
Dicembre 1972

Fonte: CONTROinformazione N. 0, ottobre 1973

Il voto non paga, prendiamo il fucile!

L’attacco incessante che da quattro anni la sinistra rivoluzionaria va conducendo all’organizzazione capitalistica del lavoro e del potere, ha definitivamente affossato ogni illusione di dare uno sbocco riformista alla crisi di regime in atto nel paese.

È un fatto che la borghesia ha infilato diritta la strada della repressione violenta e sistematica delle lotte e che un generale spostamento a destra si è realizzato all’interno del quadro istituzionale. Le vicende di questi ultimi mesi lo dimostrano ampiamente e l’elezione di Leone coi voti palesi dei fascisti o le elezioni politiche anticipate preparate da un monocolore DC che raccatta ogni genere di rifiuti fino a Pella e Gonella, sono solo gli episodi più appariscenti.

Alla permanenza e all’intensificarsi della resistenza proletaria i padroni contrappongono un progetto strategico di riorganizzazione reazionaria e neofascista dello stato: il progetto di una grande destra nazionale.

Siamo ancora alle prime battute, ma al di là delle contraddizioni tattiche con cui questo progetto deve fare i conti se ne intravedono ormai le linee fondamentali.

Nelle grandi fabbriche dove il rifiuto del lavoro cresce fino a diventare rifiuto del potere le lotte vengono represse con ogni mezzo. Basta guardarsi in giro per vedere come, sempre più, aumenta l’intransigenza dei padroni pubblici e privati che, decisi a nulla concedere fanno intervenire con sempre maggior frequenza la polizia nelle vertenze operaie. E poi c’è l’organizzazione dei crumiri, dei nuovi sindacati padronali e delle squadracce fasciste, queste ultime vere e proprie forze dell’ordine civile che all’occorrenza si uniscono e danno manforte, spiando, provocando, facendo del terrorismo, alle «forze dell’ordine» dello stato. I grandi giornali padronali, la radio e la tv fanno il resto. Con il pretesto della «lotta alla criminalità» non perdono occasione per confondere le idee alla classe operaia presentando e contrabbandando la crescente militarizzazione e fascistizzazione dello stato come «esigenza dell’ordine pubblico» e cioè preparano il terreno per un «attacco finale» in tempi stretti alle avanguardie rivoluzionarie presentate come «minoranze criminali».

Proprio per questo le grandi metropoli del nord sono ormai quotidianamente sottoposte a giganteschi rastrellamenti, a continui posti di blocco, vere e proprie esercitazioni antiguerriglia, con impiego di ingenti forze di polizia e carabinieri; (nell’ultimo a Milano sono stati impiegati 5.000 uomini!).

Siamo cioè di fronte ad uno stato «militarizzato» che non riuscendo più ad organizzare per via pacifica il consenso, si prepara ad imporlo con le armi.

La borghesia utilizza per questo suo progetto tutte le forze politiche disponibili sul mercato. Nessuno gli fa schifo, né La Malfa, né Ferri, né Andreotti, né Almirante. Ma la forza trainante in questo momento è il Msi.

Sarebbe dunque un errore ricondurre la questione del neofascismo entro schemi preresistenziali. Oggi siamo di fronte ad un tentativo «nuovo» di costruire intorno alle esigenze dello stato imperialista una «base sociale» stabile.

Il neofascismo in altre parole – almeno in questa fase – non mira tanto ad una liquidazione istituzionale dello «stato democratico», quanto alla repressione ferocissima del movimento delle lotte; non si manifesta come appariscente modifica istituzionale, ma come pratica quotidiana di governo.

In questa prospettiva il disegno di una destra nazionale raccolta intorno ad un progetto d’ordine, costruito su misura delle attuali e future necessità produttive dei padroni, ha certamente un respiro più lungo di quel «centro-destra» di mediazione messo su per scopi elettorali dai leaders scudocrociati.

Non è un caso che molti personaggi democristiani, guardando lontano, siano tra i più solerti sostenitori della destra nazionale, tra i più attivi promotori della maggioranza silenziosa. Del resto c’è spazio per tutti in questa prospettiva: sia per chi vuol muoversi sul binario della «legalità»; sia per chi al contrario preferisce la via delle bombe, del terrorismo e dello squadrismo. Ed è proprio nella combinazione del terreno politico di scontro con quello armato, che va vista la forza attuale del neofascismo: maggioranza silenziosa e terrorismo non sono realtà contraddittorie, come non lo sono i corpi armati dello stato e le squadracce nere di Almirante. A breve termine il blocco neofascista insegue alcuni obiettivi. Primo è quello di organizzare, utilizzando i vari centri anticomunisti quegli strati piccolo e medio-borghesi esasperati dalla «crisi» o minacciati dallo spettro delle lotte operaie come massa di pressione politica anticomunista nel gioco elettorale.

Secondo obiettivo è quello di concretizzare attraverso la Cisnal e gli altri sindacati gialli padronali, una spaccatura all’interno della classe operaia, puntando sui suoi strati ideologicamente e politicamente più deboli, in modo da arrivare alle vicine scadenze contrattuali con la classe operaia divisa ed una «destra» organizzata nelle fabbriche.

Il neosquadrismo è al servizio di questa prospettiva. Gli attacchi squadristici servono infatti, facendo leva sulla paura, a immobilizzare la grande massa operaia e a «staccarla» dagli «estremisti», cioè dai militanti più combattivi e dalle avanguardie rivoluzionarie che non intendono farsi calpestare. Terzo obiettivo è quello di creare nei rioni popolari punti di riferimento organizzati per svolgere un intervento «politico» demagogico e qualunquista di disturbo in vista delle elezioni. Infine, ultimo obiettivo è la costruzione – a lato dello stato – di una forza militare clandestina in grado di sviluppare, secondo le necessità politiche generali, sia una attività terroristica vera e propria (bombe di piazza Fontana), sia una attività di provocazione – in combutta con la polizia – contro le forze che si battono per affermare nel movimento di resistenza popolare la necessità del passaggio alla lotta armata (assassinio del compagno Feltrinelli).

Tutti questi obiettivi hanno un elemento comune: la volontà di annientamento della sinistra rivoluzionaria e di neutralizzazione della sinistra istituzionale.

Opporsi a questo progetto non basta.

Ciò che noi sosteniamo è che questa opposizione deve avere un respiro strategico, deve cioè essere una opposizione armata. La guerra contro il neofascismo è un momento della guerra rivoluzionaria di classe, è un passaggio obbligato del movimento di resistenza popolare nella sua lunga marcia per edificare un potere proletario e comunista.

Come tutte le guerre essa va combattuta oltre che sul piano politico e ideologico anche e soprattutto sul piano militare. Essa è cioè un fronte della lotta armata.

Detto questo si capisce perché, nostro obiettivo in questa lotta non è quello del Pci o di altre forze democratiche «sinceramente antifasciste», di denunciare le violenze degli squadristi facendo inchieste e dossier per chiedere allo stato di intervenire a difesa della legalità repubblicana.

I proletari non hanno stato: lo subiscono!

Lo stato per chi lavora non è altro che l’organizzazione della violenza quotidiana. Per questo i proletari non intendono più chiedere autorizzazioni a nessuno per esercitare in modo diretto la loro infinita potenza; per amministrare questa potenza secondo i criteri della giustizia che nasce in mezzo al popolo.

La guerra al neofascismo e allo stato imperialista è una conseguenza inevitabile della militarizzazione del regime che caratterizza questa fase dello scontro di classe nel nostro paese.

Essa non avrà tregua né potrà cessare fino a che i fascisti non saranno annientati ed il vecchio apparato statale distrutto. C’è chi dice che con le elezioni si possono cambiare le cose, che la «rivoluzione» si può fare anche con la scheda elettorale.

Noi non ci crediamo. L’esperienza già fatta dopo la guerra di liberazione partigiana non può essere nascosta. La conosciamo tutti: abbiamo consegnato il fucile e da quel momento ci hanno sparato addosso! Quanti morti nelle piazze dal ‘45? Quale il nostro potere oggi?

L’esperienza della lotta di classe nell’epoca dell’imperialismo ci insegna che la classe operaia e le masse lavoratrici non possono sconfiggere la borghesia armata senza la potenza dei fucili.

Questa è una legge marxista, non una opinione. Non siamo astensionisti. Non siamo per la scheda bianca. Ma diciamo a tutti i compagni, con chiarezza, che il voto oggi divide inutilmente la sinistra rivoluzionaria; che il voto non paga la nostra richiesta di potere; che non è col voto che si combatte la controrivoluzione che striscia in tutto il paese.

Unire la sinistra rivoluzionaria nella lotta armata contro il neofascismo e contro lo stato che lo produce, è il compito attuale dei militanti comunisti.

Liberare le grandi fabbriche ed i rioni popolari dalle carogne fasciste; strappargli di dosso con rapide azioni partigiane le pelli di agnello di cui si ammantano in questi tempi di elezioni; mettere a nudo con fulminee azioni guerrigliere le complicità nascoste, i legami sotterranei, le trame reazionarie che uniscono i padroni, lo stato e l’esercito nero di Almirante sono esigenze già mature nell’animo delle grandi masse popolari.

Ma le forze rivoluzionarie devono, adesso, osare. Osare combattere. Combattere armati. Perché nessun nemico è mai stato abbattuto con la carta, con la penna o con la voce; e a nessun padrone è mai stato tolto il suo potere con il voto!

 

Brigate Rosse
Aprile 1972

Fonte: Vincenzo Tessandori, BR. Imputazione: banda armata. Cronache e documenti delle Brigate Rosse, Garzanti, Milano 1977 e succ. ed.

 

Un destino perfido

Quando il 25 aprile del ’45 i partigiani, i gappisti, i sappisti festeggiarono la «vittoria dell’insurrezione», la «liberazione», non sapevano ancora quale perfido destino li stava attendendo. Ciononostante, quasi per istinto, i comunisti rivoluzionari non consegnarono le armi. Le tennero a portata di mano ben sapendo che quelle erano il fondamento del loro potere e rimasero pazientemente in attesa di un grido di rivoluzione che il Partito Comunista si guardò bene dal dare.

Nel ’48 con l’attentato a Togliatti, esplose la rabbia per non essere andati fino in fondo tre anni prima. L’odio proletario contro i padroni e contro lo stato rimbalzò di città in città, di piazza in piazza. Ancora una volta i partigiani impugnarono le armi e rimasero in attesa di «istruzioni», di indicazioni rivoluzionarie. E ancora una volta il loro partito raccomandò la calma, li invitò a ritornare alle loro case, a ritornare nelle fabbriche dei padroni.

Da quel momento le idee di liberazione che avevano armato il braccio e il cuore delle masse proletarie italiane si infransero, sempre più duramente, contro la muraglia legalista, elettoralista e riformista che il Partito andava innalzando fra l’autonomia e il potere. Il disarmo fu totale. Disarmo politico. Disarmo militare. Questo era ciò che volevano i borghesi che si trovavano al governo dello stato. Seguirono anni tremendi: il post fascismo e la ricostruzione. Mentre Valletta ritornava con l’aiuto delle «forze alleate» alla direzione della Fiat, liquidava i Consigli di Gestione, licenziava centinaia di avanguardie operaie e ne metteva nei «reparti confino» altre centinaia, la polizia scelbiana picchiava nelle piazze e assassinava i contadini nel meridione.
Con salari di fame e sottoposti al terrorismo più brutale i proletari italiani trangugiarono il fiele della «ricostruzione» dell’Italia dei padroni del vapore.
Le forze reazionarie intanto andavano ricostruendo la loro dittatura all’ombra dei grandi padroni e con la protezione dello stato. Fu così che Tambroni nel luglio ‘60 e De Lorenzo quattro anni dopo, provarono a dare uno sbocco a quelle spinte autoritarie-fasciste che mai erano state del tutto distrutte. Il gioco allora non riuscì, era troppo grezzo, ancora prematuro.
Ci vollero le possenti lotte operaie e studentesche del ‘68-‘69-‘70, per portare a galla tutto il lerciume reazionario che si era accumulato, tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60, al fondo delle nostre istituzioni. Furono queste lotte infatti, che riproponendo al proletariato italiano nuovi e profondi contenuti di liberazione, costrinsero i padroni a stringersi in una nuova unità, intorno ad un progetto di reazione, di riorganizzazione anti-proletaria, repressiva e neofascista del potere. Con la strage del 12 dicembre questo lugubre disegno prese forma, acquistò peso e sul cadavere di 16 lavoratori iniziò la costruzione del nuovo stato: lo stato della violenza antioperaia, della repressione e della crisi.
Ma le bombe di piazza Fontana sortirono un esito imprevisto: invece di affossare il movimento rimbombarono come campane a morto per l’intero regime degli ultimi 25 anni; invece di sbarrare la strada alla avanzata proletaria misero a nudo la crisi di regime che lacerava il nostro paese.
Crisi di regime, crisi strutturale, risultato tanto delle contraddizioni interne al blocco imperialista quanto dell’incapacità dimostrata dalle classi dirigenti a promuovere una politica economico-sociale di interesse popolare; tanto del rifiuto opposto dalle avanguardie rivoluzionarie alle linee difensive e legaliste proposte dalle organizzazioni riformiste, quanto del livello raggiunto dall’autonomia operaia nelle grandi fabbriche e sui grandi temi della lotta per il potere.
E sono proprio i venti della crisi che ridanno fiato alle trombe (ed ai tromboni) del fascismo. Infatti, è proprio in una situazione di diseguale sviluppo economico, nell’aggravarsi degli squilibri tra nord e sud, nel tracollo della piccola e media industria, nella disoccupazione crescente, nell’opposizione livida e violenta degli agrari, degli industriali, degli speculatori allo spettro delle riforme di struttura, nella crescita incontrollata dei prezzi, nell’aumento delle tasse, nella ribellione di settori proletari sempre più vasti alla politica criminale dei padroni, che trova alimento la ripresa neofascista nel nostro paese.
Ma il neofascismo, questo figlio e becchino del centrismo e del centrosinistra è un male diffuso che non risparmia alcuna istituzione. Non è solo la «repubblica di Sbarre», o il IX Congresso del Msi, la campagna de «Lo Specchio» contro Mancini o le bombe di Catanzaro, il siluro tattico contro Borghese o le manifestazioni della maggioranza silenziosa, il neosquadrismo o il neocorporativismo. Non sono solo i 150 attentati terroristici o le 250 aggressioni avvenute a Milano in questi ultimi due anni.
Neofascismo è anche, e soprattutto, l’uso antioperaio della crisi: la «normalizzazione» della cassa integrazione per migliaia di lavoratori, il licenziamento di massa a scopo intimidatorio nei confronti dell’intera classe operaia, la non applicazione delle conquiste contrattuali, l’uso massivo dello spionaggio politico nelle grandi aziende a scopo di controllo…
Neofascismo è anche e soprattutto la volontà terroristica di considerevoli porzioni della magistratura, e vogliamo dire di quei magistrati che «ammazzano con calma» tenendo rinchiusi in qualche galera, nonostante la palese innocenza i Pietro Valpreda, o che si trastullano coi processi politici contro i compagni dei gruppi rivoluzionari e le avanguardie di lotta del movimento.
Neofascismo sono i Guida, i Vittoria, i Calabresi, i Mucilli, i Panessa delle varie Questure della nostra penisola.
Neofascismo sono gli Amati, i Caizzi, gli Occorsio, i Colli, i Calamari e i porci di questa fatta nei vari tribunali della penisola.
Ma neofascismo sono anche i Piccoli o i Misasi, gli Agnelli o i Pirelli con la lurida catena dei loro servi, dei loro cani da guardia, dentro e fuori i cancelli delle fabbriche e delle scuole.
Oggi una lotta è in corso tra le forze politiche che siedono in parlamento per chi debba rappresentare la sintesi suprema di questa immensa miseria: la carica di Presidente della Repubblica.
Ai candidati sono richieste tre fondamentali qualità:
– la ferma volontà di distruggere l’autonomia operaia;
– l’intransigente decisione a decimare le avanguardie politiche della sinistra rivoluzionaria;
– l’ostinata vocazione ad impedire la nascita di una nuova sinistra armata.
Al futuro manovratore della macchina statale i suoi grandi elettori chiedono: ordine, produttività, repressione.
Discutere sulla rosa dei candidati è dunque un fatto secondario.
Non un fatto inutile, ma secondario. Moro, Fanfani o la riconferma del Presidente della strage non sono che varianti tattiche dello stesso gioco.
Il «fanfascismo» altro non può essere che l’interpretazione, forse più estrosa, di un copione comunque obbligato.
Di fronte a questa scadenza la nostra reale preoccupazione è dunque quella di intravedere, tra le ombre e tra i giochi coperti, i fili dell’offensiva tattica della borghesia contro il movimento di lotta e le sue avanguardie. Perché, spezzare questa offensiva tattica, noi siamo convinti è il compito principale delle forze rivoluzionarie in questo momento.
Ma ciò presuppone chiarezza su almeno due questioni centrali.

La prima è che non sono più i tempi dello «sviluppo», tempi in cui la generalizzazione dei contenuti dell’autonomia proletaria nel movimento era di per sé una forza produttiva rivoluzionaria.
La seconda è che in questa fase di «crisi» il destino della lotta proletaria è consegnato all’organizzazione e alla capacità di attacco in primo luogo delle avanguardie rivoluzionarie.
Questo per noi vuoi dire che per spezzare questa offensiva tattica della borghesia è necessario innanzitutto accelerare quel processo già in atto, di trasformazione delle avanguardie politiche che il movimento ha formato in questi ultimi anni, in avanguardie politiche armate. Il problema che abbiamo dinnanzi è dunque in primo luogo una questione di strategia. La sinistra rivoluzionaria deve dichiarare, messa alle strette dal torchio del potere, da che parte combatte. I margini per l’opportunismo pratico sono sempre più ristretti ed i sabotatori della rivoluzione sempre più scoperti.
Dobbiamo averlo chiaro: extraparlamentare oggi non vuoi dire più nulla. La discriminante è sempre più nitida e passa tra chi intende costruire una sinistra armata e chi intende prolungare l’infanzia impotente dei gruppi; tra chi vuoi conservare la matrice sessantottesca e chi si batte per una rifondazione dell’avanguardia di classe come avanguardia politica e armata; tra chi intende separare il «politico» dal «militare» e chi intende elaborare una strategia unica politico-militare e quindi costruire un’unica organizzazione proletaria politica e armata. Le «Brigate rosse» lanciano in questi giorni una campagna di lotta contro il neofascismo; lasciano ad altri il terreno delle grandi campagne di opinione per praticare quello dell’azione diretta. Le «Brigate rosse» intendono proseguire nel «processo popolare contro tutti i fascisti» e realizzare altri momenti di giustizia proletaria; intendono dare ulteriori contenuti alla parola d’ordine: niente resterà impunito.
Le «Brigate rosse» vogliono riversare sulle carogne del neofascismo e dello stato che lo produce tutto l’odio proletario, concentrato e organizzato, che anni di impotenza hanno accumulato. Ma soprattutto le Br puntano, facendo questa scelta d’attacco, a rafforzare i primi nuclei di potere proletario armato che si sono organizzati nei più importanti rioni popolari e nelle più grandi fabbriche metropolitane. Compagni,

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA È IL RISULTATO DI UNA LUNGA LOTTA ARMATA CONTRO IL POTERE ARMATO DEI PADRONI!
Questo è l’insegnamento fondamentale che ci viene dalla Comune di Parigi, dalla rivoluzione bolscevica, dalla rivoluzione cubana e da quella cinese, dal Che e dal Vietnam, dalle forze che oggi combattono nei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina e dai gruppi rivoluzionari combattenti delle grandi metropoli imperialiste. Questo è il contenuto fondamentale di liberazione che è stato definitivamente abbandonato dalle organizzazioni storiche del movimento operaio italiano.
Le «Brigate rosse» alzano questa bandiera contro il neofascismo, contro lo stato che lo produce, per la liberazione, per il comunismo!

POTERE AL POPOLO!

Brigate Rosse
Novembre 1971

Fonte: Vincenzo Tessandori, BR. Imputazione: banda armata. Cronache e documenti delle Brigate Rosse, Garzanti, Milano 1977 e succ. ed.