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Firenze, processo di primo grado “Lando Conti“ – Documento di Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli, Daniele Bencini, Marco Venturini

Nella nostra qualità di militanti delle BR per la costruzione del PCC e di militanti rivoluzionari prigionieri intendiamo ribadire in quest’aula la valenza della linea politica e dell’impostazione strategica delle BR rivendicandone tutta l’attività politico-militare messa in campo, il loro ruolo di direzione e organizzazione del processo rivoluzionario nel nostro paese. Un ruolo svolto all’interno dei nodi centrali che hanno contrassegnato lo scontro intervenendo di volta in volta con l’attacco nelle contraddizioni che oppongono la classe allo Stato. Questa attività rivoluzionaria, operata in stretta dialettica con i contenuti espressi dall’autonomia di classe dentro all’indirizzo della strategia della lotta armata per il comunismo, costituisce l’alternativa di potere del proletariato al fine di conquistare il potere politico, instaurare la dittatura del proletariato per una società comunista.

Nello specifico del processo che qui si celebra, rivendichiamo ancora una volta la giustezza dell’iniziativa politico-militare contro il repubblicano Lando Conti. Con essa le BR hanno colpito le posizioni filo atlantiche e filo sioniste di quella frazione di borghesia imperialista nostrana che il PRI ha da sempre rappresentato. Più precisamente, l’iniziativa ha colpito lo specifico attivismo di cui Lando Conti si faceva carico, come sottolineato dall’Organizzazione nella rivendicazione:

«Infatti è stato instancabile animatore delle forzature politiche per una più diretta partecipazione dell’Italia, anche in senso militare, nell’Alleanza Atlantica. Lo ritroviamo costantemente a fianco del Ministro della Guerra, attivizzato a promuovere e sostenere apertamente la posizione americana nel Mediterraneo».

Unitamente a questo, non era da meno l’appoggio dato ai sionisti israeliani, che se è una costante nelle posizioni repubblicane, non è certo estranea alla politica portata avanti nella sostanza dallo Stato italiano in Medio Oriente e questo al di là della facciata neutralista che prevaleva soprattutto in quel periodo.

Allo stesso tempo, con questo attacco le BR hanno colpito anche gli interessi legati agli armamenti. Ancora dalla rivendicazione: «Il ruolo svolto da Lando Conti sia nel consiglio di amministrazione della SMA, sia come esponente di rilievo del PRI, nonché nel panorama del potere politico locale, è indicativo per comprendere fino in fondo le interconnessioni di interesse politico, economico e militare assunte oggi dal settore bellico (…). La SMA, piccola e agile azienda per autodefinizione, partecipa ai più importanti sistemi d’arma e principalmente al programma USA delle Guerre Stellari SDI, attraverso il consorzio italiano per le tecnologie strategiche (CITES) promosso dall’Augusta. Essa fa parte del “Club Melara”, circolo che racchiude il meglio della produzione bellica italiana, controlla diverse aziende del settore, con diramazioni anche all’estero. La sua produzione spazia dai sistemi radar alle componenti elettroniche per missili». All’interno di questa attività, Lando Conti non disdegnava di fare il mercante d’armi, tra l’altro con i sionisti israeliani, i golpisti NATO della Turchia, il regime segregazionista del Sud Africa, il regime filippino del dittatore Marcos e i vari regimi sudamericani, per citarne alcuni soltanto. Politicamente le BR con questa iniziativa antimperialista hanno inteso dare impulso al processo concreto d’autentica connotazione dell’internazionalismo proletario nella metropoli, da sempre parola d’ordine della guerriglia europea e che in quel periodo andava materializzandosi nella campagna per la costruzione del Fronte Rivoluzionario messa in campo da AD e RAF come primo momento di unità soggettiva nell’attività rivoluzionaria e nella lotta antimperialista. L’azione contro Lando Conti si inserisce in questo contesto e segna un importante passaggio nell’approccio politico inerente alla tematica del Fronte. Un approccio che attraverso la ricerca del confronto attivo con altre Forze Rivoluzionarie, ha posto le basi per l’intesa unitaria raggiunta nell’88 con la RAF, sintetizzata dall’attacco ai progetti di coesione dell’Europa occidentale sul piano delle politiche economiche con l’azione Tietmayer.

Un’azione politico-militare tesa a colpire le scelte del capitale finanziario tedesco nel contesto della definizione delle normative concertate atte a favorire quella liberalizzazione del mercato europeo in cui la RFT si pone come polo forte. Più in generale tali normative rientrano negli accordi CEE tesi a formalizzare gli istituti comunitari, primo fra tutti la Banca Europea, che favoriscono l’ambiente adeguato alla formazione monopolistica europea; accordi che prevedono livelli di concertazione economica in grado di stabilire vincoli per ogni Stato, a cominciare dai bilanci statali, tassi, cambi, ecc., nonché vincoli sulle condizioni di compravendita della forza-lavoro, attaccando le conquiste acquisite dai lavoratori di ogni paese.

Nel testo comune RAF-BR vengono individuate le direttrici su cui si sostanzia la coesione europea e cioè sul piano delle politiche economiche, su quello politico-militare e diplomatico, su quello controrivoluzionario. Si evidenzia nel contempo come questa sia strettamente legata agli interessi ed alle esigenze della catena imperialista, per i caratteri stessi della crisi e per la stretta interrelazione dell’economia tra i paesi capitalisti, cosa che li obbliga ad adottare le medesime controtendenze tra cui il riarmo si impone come principale, non a caso in Europa centralizzato in sede NATO. La coesione europea, perciò, è inserita nei processi di maggiore integrazione della catena, in relazione stretta con la nuova strategia politico-militare imperialista nel confronto con l’Est e, su un altro piano, con l’intervento politico-militare integrato in ogni angolo del mondo, principalmente verso l’area di crisi mediorientale.

L’evoluzione avvenuta nell’attuale fase dell’imperialismo, all’interno dell’approfondimento della tendenza alla guerra, segnata politicamente dai mutamenti negli equilibri internazionali che si sono verificati a partire dall’asse Est-Ovest, si è riflessa sulla coesione europea accentuandone il dispiegamento seppure con il permanere di contraddizioni. Questo si è delineato già quando la RFT ha annesso la DDR, favorita dal progressivo indebolimento dell’Est europeo, segnando così un passaggio traumatico nelle relazioni gerarchiche europee, dato dal rafforzamento materiale della posizione tedesca. Fatti che, riversandosi nel processo di coesione, imprimono allo stesso un andamento per salti e nel contempo una direzione sempre più netta verso le spinte belliciste che l’imperialismo nel suo complesso tende a concretizzare, come dimostrano gli sviluppi di questi ultimi tempi fino alle manovre di destabilizzazione da parte dell’Europa occidentale della Federazione yugoslava.

Una nuova fase questa che mette in luce come l’Europa sia il teatro su cui si concentrano per ragioni storiche, politiche e geografiche le contraddizioni dell’imperialismo, Est/Ovest, Nord/Sud, Stato/classe.

Il contesto che risulta da questo quadro lascia pochi dubbi sulla volontà della borghesia imperialista di rideterminare condizioni di dominio e di sfruttamento per il proletariato metropolitano che implicano la sua subordinazione completa alla logica del profitto, questo nel tentativo di affrontare una crisi che per profondità e acutezza non lascia margine che all’esplicitazione massima della natura controrivoluzionaria degli Stati verso lo scontro di classe.

Un contesto che per parte proletaria e rivoluzionaria mette più che mai in risalto la valenza strategica della guerriglia, essendosi essa già imposta nel corso di questi venti anni come l’adeguamento della politica rivoluzionaria alle caratteristiche di dominio dell’imperialismo in questa epoca storica e per questo l’unica prospettiva di potere del proletariato metropolitano, il solo modo di incidere nei rapporti di forza tra le classi, costruire l’organizzazione armata del proletariato per sviluppare la guerra di classe di lunga durata. In sintesi, soprattutto a fronte degli evidenti processi di guerra messi in atto dall’imperialismo, USA in testa, la contrapposizione possibile e necessaria in grado di affermare l’alternativa proletaria alla crisi ed alla guerra della borghesia imperialista è rappresentata dal terreno strategico della guerra di classe, nella sua dimensione nazionale ed internazionale, al cui interno la promozione ed organizzazione del Fronte Combattente Antimperialista ne è tappa sostanziale.

Scopo del Fronte è l’indebolimento dell’imperialismo per provocarne la completa crisi politica.

Questo per favorire le rotture rivoluzionarie, perché non sono date a questo stadio di sviluppo dell’imperialismo rotture rivoluzionarie in un singolo paese del centro imperialista senza una sua più generale crisi politico-militare.

Il Fronte Combattente Antimperialista trova un momento qualificante (come la prassi concreta ha dimostrato) nell’unità di intenti tra Forze Rivoluzionarie dell’Europa occidentale. Ciò è dato dal ruolo della guerriglia nello scontro nella metropoli imperialista e per altro verso dalla rilevanza che assume l’Europa occidentale negli interessi dell’imperialismo, due fattori questi che danno alla politica di Fronte un portato strategico che va ben oltre l’unità oggi realizzabile e praticabile.

Per le BR il Fronte si colloca su un piano politico di alleanza con altre Forze Rivoluzionarie, il cui terreno di praticabilità è definito dall’analisi concreta della situazione concreta, cioè riferita alle dinamiche della crisi e della tendenza alla guerra, alla controrivoluzione ed alle Forze Rivoluzionarie presenti, attive e attivabili dentro al Fronte, ma soprattutto alla sua funzione nei confronti del nemico comune.

Una politica di alleanze perché è necessario relazionarsi con Forze Rivoluzionarie che possono essere caratterizzate da criteri e particolarità specifici alle proprie esperienze e condizioni di sviluppo. Prendere atto di questa realtà ha significato per l’Organizzazione mettersi nelle condizioni migliori per lavorare con giusta flessibilità a costruire i passaggi necessari al fine di concordare una linea di attacco comune, dando così avanzamento concreto alla costruzione del Fronte Combattente Antimperialista.

Per le BR l’internazionalismo proletario non è mero atteggiamento solidaristico, ma la prassi adeguata per sostanziare una concezione costituente l’impostazione stessa del nostro processo rivoluzionario, il suo essere fin dall’inizio internazionalista ed antimperialista.

Nella Risoluzione della Direzione Strategica del ’78, le BR affermano:

«(…) la guerriglia è la forma di organizzazione dell’Internazionalismo Proletario nella metropoli. È il soggetto della ricostruzione della politica proletaria a livello internazionale (…)».

Una concezione che è complemento del primo dovere internazionalista, e cioè: fare la rivoluzione nel proprio paese. All’interno di questa visione generale le BR hanno perseguito l’obiettivo dell’azione comune fra le Forze Rivoluzionarie combattenti nell’area a partire dal terreno unificante dell’attacco all’imperialismo, senza scambiare la costruzione soggettiva del Fronte come la fase inferiore dell’Internazionale Comunista o un suo surrogato. La ricerca dei punti unitari per l’unità internazionale dei comunisti, basata sulla lotta armata per il comunismo e lo sviluppo della guerra di classe, è un dovere che le BR perseguono fin dalla loro nascita, quale obiettivo strategico irrinunciabile per ogni forza rivoluzionaria comunista combattente, un obiettivo che non è precluso dal lavoro del Fronte, anzi quest’ultimo ne è uno dei presupposti.

La dimensione che assume l’internazionalismo proletario è obiettivamente data dalle caratteristiche dell’imperialismo in questa epoca storica. Questo per il livello di internazionalizzazione e interconnessione economica, nonché per il grado di integrazione politica e militare che la catena imperialista ha raggiunto soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, definendo un sistema di relazioni imperialiste altamente gerarchizzato a dominanza USA.

L’ulteriore internazionalizzazione dei capitali e della produzione nell’ultimo decennio ha accelerato i processi di integrazione dando luogo proprio in Europa occidentale allo specifico processo di coesione politica come riflesso della formazione monopolistica intereuropea. Processi che evolvono in modo contraddittorio e conflittuale poiché avvengono in ambito capitalista. Una dinamica che per le BR non dà luogo ad una “omogeneizzazione politica dell’Europa occidentale”. I livelli di concertazione politica oggi esistenti tra gli Stati obbediscono alla necessità di affrontare unitariamente gli interessi comuni e perciò generali della catena, non risolvibili per la loro interconnessione dal singolo Stato, e gli organismi sovrannazionali costituitisi non sussumono il ruolo dello Stato, il quale deve fare gli interessi del capitale multinazionale che ha radice nel proprio ambito nazionale e, per altro verso, deve relazionarsi con le connotazioni politiche della lotta di classe nel paese, ragioni queste per cui la funzione politica degli Stati non viene sminuita, al contrario esaltata all’interno degli organismi sovrannazionali. Più precisamente i processi di coesione non possono prescindere dai caratteri che sottostanno alla formazione economico-sociale nazionale che si sono sviluppati nel lungo processo storico di affermazione della borghesia e del capitalismo. In questo senso non è data dalla coesione europea un’unica borghesia imperialista ed un unico proletariato internazionale.

Nemmeno vanno confuse le similitudini fra le forme di dominio negli Stati della catena con la formazione di un ambito imperialista omogeneo, perché queste similitudini sono il riflesso sovrastrutturale delle condizioni strutturali dell’imperialismo che nel suo movimento di crisi/sviluppo si integra determinando una generalizzazione delle condizioni di produzione che porta a caratteristiche simili in primo luogo nel rapporto classe/Stato e cioè nelle politiche di controrivoluzione preventiva, nelle forme istituzionali di governo del conflitto di classe, nel neocorporativismo come modello nei rapporti sociali. In questo senso le concezioni che si basano sulla sussunzione fenomenologica delle similitudini che a ogni livello si evidenziano soprattutto nello specifico europeo, portano a subordinare e sminuire l’importanza rivestita dalle caratteristiche nazionali della lotta di classe che in particolare sul piano antagonista e rivoluzionario sono il risultato del suo patrimonio storico e politico scaturito dal rapporto col proprio Stato. Sul piano rivoluzionario si è reso ben evidente che se l’affermarsi stesso della guerriglia negli Stati a capitalismo maturo si è dato sulla base del carattere generale relativo alle forme di dominio dei paesi della catena imperialista, le peculiarità che essa ha assunto nelle singole nazioni sono prodotto delle specifiche caratteristiche dello scontro di classe che ne definiscono la relativa originalità e più precisamente definiscono come si sviluppa il processo rivoluzionario, il contesto di riproduzione delle forze rivoluzionarie stesse e il diverso impatto delle politiche controrivoluzionarie sul campo proletario.

Da questo insieme di fattori risulta evidente come i processi di coesione in Europa occidentale non possono comportare la semplificazione del quadro di scontro e dell’iniziativa rivoluzionaria sul solo piano internazionale, non potendo questo esaurire il lavoro che ogni organizzazione combattente porta avanti relativamente ai suoi obiettivi nel paese in cui opera. A partire da questa analisi le BR lavorano alla costruzione del Fronte in stretta dialettica con i termini di sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro paese, in unità programmatica cioè con l’attacco allo Stato.

Per le BR l’organizzazione del Fronte Combattente Antimperialista deve tendere a costruire alleanze con i movimenti di liberazione che combattono l’imperialismo nella nostra area geopolitica (Europa occidentale-Mediterraneo-Medio Oriente). Questo per due fattori: il primo favorire il più vasto schieramento combattente all’imperialismo, per ricomporre sul piano politico e rivoluzionario l’unità oggettiva tra movimenti di liberazione nazionali e antimperialisti della periferia e la guerra di classe nelle metropoli del centro; il secondo, perché la politica imperialista in questa area geopolitica ci riguarda direttamente per il ruolo che ha al suo interno l’Europa occidentale. In questa area geopolitica, che si riconferma essere quella di massima crisi nel mondo, il punto cruciale è rappresentato dalla regione mediterranea-mediorientale per i fattori di grande instabilità che vi sono presenti, fattori che subiscono nella fase attuale un’ulteriore tensione, dal momento che ha avuto luogo proprio in questa regione il primo momento di attuazione della nuova strategia politico-militare dei centri imperialisti con l’aggressione delle loro forze coalizzate contro l’Iraq. Un atto di guerra che porta in evidenza come nelle intenzioni dell’imperialismo si intenda rideterminare più approfonditi termini di subordinazione ed asservimento della regione, una “normalizzazione” dell’area in funzione dei suoi obiettivi, immediati e strategici, che nella pratica è rivolta immediatamente contro quelle esperienze, seppur diversificate, delle rivoluzioni nazionalistiche, perché nel mondo arabo sia annullata qualsiasi prospettiva che non sia funzionale agli interessi ed agli equilibri imposti dall’imperialismo, perché sia dato lo sfruttamento assoluto della regione in termini di risorse e potenzialità, ma soprattutto per farne un retroterra stabile per le sue manovre strategiche, dove “Israele”, il corpo estraneo della regione avamposto degli interessi imperialisti, mantenga indiscusso il ruolo di unica potenza effettiva. Una “normalizzazione” del mondo arabo che in primo luogo significa impattare con le aspirazioni di autodeterminazione del popolo arabo che, confrontandosi già da tempo con gli interventi controrivoluzionari dell’imperialismo, ha maturato un lungo processo di lotta guidato dalle sue forze nazionaliste, rivoluzionarie, antimperialiste, con qualificati momenti di combattimento e di resistenza popolare che attestano il suo livello più avanzato nel movimento di liberazione del popolo palestinese.

Da questo confronto scaturisce il carattere controrivoluzionario degli interventi dell’imperialismo, che nel contesto di questa aggressione non possono che approfondirsi dati i fini di pacificazione che intende ricavare dalla vittoria militare ottenuta. Dalla necessità di consolidare sul piano politico i risultati ottenuti sul terreno militare scaturisce l’egida americana sulla conferenza di pace in Medioriente che ha per oggetto la “soluzione” del nodo palestinese, da sempre baluardo contro i progetti imperialisti di normalizzazione della regione. In altri termini nelle intenzioni di USA e Israele questa conferenza dovrebbe costituire la cornice politica al tentativo di dare sanzione alla volontà di ricacciare indietro la rivoluzione del popolo palestinese e da qui ridefinire i termini del più generale conflitto arabo-sionista.

Ed è per la difficoltà di tradurre l’esito militare in risultato politico sul piano della stabilità, a causa della complessità dei fattori in campo relativi alle contraddizioni che scaturiscono da un tale conflitto, che gli obiettivi americani sulla conferenza di pace perdono consistenza a partire dall’impossibilità di ridimensionare la stessa rivolta nei territori occupati, che, al contrario, tende ad evolvere verso alti livelli di resistenza popolare e di combattimento delle sue Forze Rivoluzionarie. In sintesi, il fine americano di andare oltre Camp David si rivela ancora una volta difficile da conseguire, malgrado l’aggressione contro l’Iraq, come in parte ha dimostrato a suo tempo l’arretramento di Camp David stesso nonostante le sue velleità di progetto centrale da estendere a tutta la regione. Un disegno che è arretrato per la resistenza messa in campo dal popolo palestinese, libanese e arabo più in generale, le cui Forze Rivoluzionarie sono state in grado di cacciare, in uno dei momenti più alti di questa resistenza, le truppe sioniste ed USA che, sotto la copertura delle “forze multinazionali di pace”, avevano occupato Beirut.

Contro questa strategia imperialista nella regione va riferita l’iniziativa antimperialista e internazionalista delle BR che, nell’84, colpirono il garante degli accordi di Camp David e direttore delle forze multinazionali in Sinai, l’americano L. Hunt. In questo obiettivo le BR hanno attaccato una struttura garante e agente di un equilibrio funzionale agli interessi strategici USA e NATO in Medioriente, inserendosi in questo modo nella più vasta campagna combattente antimperialista condotta in quel periodo sia dalla guerriglia europea che da forze rivoluzionarie arabe.

Gli equilibri internazionali scaturiti dai mutati rapporti di forza Est/Ovest confermano come questa regione, e l’aggressione all’Iraq sta a dimostrarlo, presenti le condizioni per caratterizzarsi come detonatore di un conflitto che ha motivazioni generali e spinte riconducibili alla necessità di risoluzione bellica della crisi capitalistica, all’interno cioè di un passaggio critico che dalla tendenza alla guerra matura l’apertura di una fase di effettivi eventi bellici, facendo assumere concretamente alla regione le caratteristiche di ambito preliminare e di retroterra per la strategia politico-militare dell’alleanza imperialista che ha potuto verificare nel contempo il suo grado di compattamento, ma soprattutto è potuta intervenire come NATO dentro a schemi di guerra che vanno ben oltre gli obiettivi che si sono dati nello scenario regionale. Che questa aggressione abbia costituito solo una prima rottura finalizzata a determinare le condizioni politiche e militari per un ulteriore inasprimento della pressione imperialista, lo dimostrano le manovre destabilizzanti per innalzare il terreno di confronto militare contro i paesi che di volta in volta nella regione diventano obiettivi da “normalizzare”, dentro ad un contesto in cui il tallone imperialista, in primo luogo americano, che schiaccia i popoli, riceve l’investitura della cosiddetta legittimità internazionale con copertura ONU, in una fase in cui, di riflesso ai mutati equilibri internazionali, questo organismo è divenuto lo strumento ideale per le manovre imperialiste guidate dagli USA, mentre nel concreto si fa sentire nella regione il peso del fianco Sud della NATO che ha già attivato i suoi avamposti, infatti le manovre militari sono da allora divenute permanenti, sottofondo di sostanza per gli obiettivi strategici dell’imperialismo.

Questo complesso quadro ha rideterminato giocoforza tutti i rapporti e gli equilibri esistenti nella regione, ciò comporta che il popolo arabo, nel movimento di resistenza che a vari livelli esprime, dovrà confrontarsi con un più profondo livello di controrivoluzione, proprio per il ruolo che gioca questa regione negli interessi imperialisti.

La lotta del popolo palestinese, di quello libanese e arabo più in generale, ma anche kurdo e turco, dovranno confrontarsi, come si stanno eroicamente confrontando, non solamente con sionisti, regimi reazionari e imperialisti americani, ma anche con l’intera alleanza dato che sul confronto in termini generali peserà l’insieme della catena imperialista ricompattata dai medesimi fini guerrafondai. L’importanza rivestita da quest’area geopolitica nel complesso delle contraddizioni prodotte dall’imperialismo che evolvono sulla direttrice di crisi-tendenza alla guerra, fanno dell’attività antimperialista in quest’area e della ricerca delle alleanze tra la guerriglia europea e i movimenti di liberazione nazionale un compito imprescindibile. Alleanza che può portare ad una maggiore qualificazione dell’attività antimperialista, a partire dall’unificazione dei due livelli del processo rivoluzionario tra cui c’è unità ma non identità per le oggettive differenze relative all’essere originate l’una, la guerra di classe, dalla contraddizione proletariato/borghesia, l’altra, la guerra di liberazione nazionale, dalla contraddizione dello sviluppo ineguale tra centro e periferia.

Malgrado in questa fase internazionale prevalga l’iniziativa politico-militare dell’imperialismo capeggiato dagli USA, i suoi fini di potenza sono minati alla radice dalle profonde contraddizioni di cui è portatore. Gli attuali rapporti di forza in suo favore sono in parte il risultato di una strategia complessiva messa in campo a partire dalla fine degli anni ’70, come reazione alla crisi generale che, dagli USA, si allargava a tutto l’occidente capitalistico; alla crisi di valorizzazione del capitale si aggiungeva la crisi di egemonia, data in modo determinante dalla serie di rotture antimperialiste avvenute nella periferia, le quali, riflettendosi sui rapporti di forza internazionali incidevano sulle posizioni globali tra Est e Ovest. Questi due fattori hanno reso evidente il limite storico dell’imperialismo e per questo essi non possono che pregiudicare alle fondamenta ogni tentativo di stabilire un duraturo dominio nel quadro mondiale tale da garantire l’agibilità per lo sfruttamento dei monopoli, neppure al prezzo della barbarie che già nel corso della storia ha fatto ricadere tanto sui popoli come sul proletariato. L’imperialismo reagisce dunque alla perdita di posizioni attraverso un complesso di interventi economici e politici per un verso, ma anche soprattutto militari e controrivoluzionari. Sono gli USA che necessariamente in prima persona dispiegano questa strategia fatta di rotture progressive operate a tutto campo, tali da modificare a proprio vantaggio i rapporti internazionali.

All’intervento nettamente controrivoluzionario nelle aree di crisi periferiche, per erodere e sovvertire i paesi che hanno operato rotture antimperialiste, o in corso di operarle, in parallelo, non cessa la costante opera di pressione ad Est, imperniata principalmente sulla strategia di confronto NATO. Questo complesso di interventi fatto per assestare equilibri politici e zone di influenza in tutto il mondo, preme e forza sulle relazioni concrete che il quadro storico ha definito intorno alla contraddizione Est/Ovest; per questo non può che trovare convergenza critica proprio nella nostra area geopolitica, in particolar modo nel cuore dell’Europa influendo sulla maturazione dei fattori di crisi e di contraddizione.

Una dinamica che soprattutto in questa fase evolve in un approfondimento della tendenza alla guerra, come stanno a dimostrare per un verso l’annessione della DDR da parte della RFT, per l’altro, l’aggressione imperialista all’Iraq: due fatti che, sebbene avvenuti su piani distinti, solo apparentemente sono slegati, poiché costituiscono due aspetti della medesima contraddizione e segnano inequivocabilmente i caratteri dell’attuale fase internazionale.

Il fatto che la guerra sia il mezzo con cui storicamente la borghesia imperialista affronta le sue crisi generali poiché consente, oltre che una distruzione di capitali e dei mezzi di lavoro sovrapprodotti, una spartizione dei mercati e delle sfere di influenza a vantaggio dei vincitori, rimanda alla natura imperialista della tendenza alla guerra, ai meccanismi insopprimibili della crisi capitalistica che la alimenta oggettivamente, fino a che questa si intreccia con la maturazione di condizioni politiche e, nei rapporti di forza tra le parti contrapposte, tali da far diventare la tendenza una scelta politica realizzabile. Affinché la guerra stessa possa rispondere alle esigenze capitalistiche, la sua dinamica tende a dirigersi in tempi, modi e fasi successive, verso l’assoggettamento di quell’ambito economico che presenta quelle caratteristiche di complementarietà a livello di strutturazione e sviluppo economico, in grado di dinamizzare e rilanciare in avanti il livello raggiunto dall’avanzamento tecnologico produttivo dell’economia capitalistica, quando cioè questo stesso avanzamento si trasforma in crisi a causa della sovrapproduzione.

Se questa è la dinamica economica della tendenza alla guerra, i poli contrapposti della contraddizione su cui si svilupperà il conflitto sono riferiti giocoforza alle relazioni che storicamente l’imperialismo ha stabilito, a partire cioè dai concreti rapporti che si instaurano tra le forze in campo in un dato quadro storico.

Con l’esito della seconda guerra mondiale i rapporti internazionali sono caratterizzati dalla presenza di due campi contrapposti, quello imperialista con al centro gli USA, fronteggiato dal dispiegarsi del nuovo fattore storico rappresentato dallo schieramento dei paesi socialisti, la cui presenza, proprio per la sua natura di classe, non potrà che imprimere a questo quadro anche una forte connotazione ideologica definendo uno scenario di scontro relativamente inedito. Proprio la presenza di due sistemi di relazioni diversi e contrapposti non ha potuto che condizionare la stessa politica imperialista finalizzata all’accerchiamento e all’indebolimento del campo avverso, influendo sulla stessa integrazione politico-militare della catena imperialista a partire dalla fondazione della NATO. Con il procedere dell’approfondimento della crisi dell’imperialismo è emerso chiaramente come i paesi dell’Est, presentando distintamente caratteristiche economiche, in termini di infrastrutture e di produzione, complementari all’area capitalistica, sono stati visti da quest’ultima come uno spazio economico la cui dimensione prospetta risoluzioni di ampio respiro, sempre che l’imperialismo possa instaurarvi le condizioni perché sia dato il grado di sfruttamento e di valorizzazione richiesto dallo sviluppo capitalistico. È all’interno di queste linee portanti che l’imperialismo ha adottato di volta in volta strategie di contenimento e pressione, sia di carattere strettamente militare che a livello di manovre destabilizzanti economiche e politiche. Un rapporto di scontro permeato dalla connotazione schiettamente anticomunista che, con l’involuzione del carattere socialista dei paesi dell’Est, ha visto per paradosso la dominanza della contraddizione Est/Ovest ammantarsi dell’involucro della contrapposizione ideologica, aspetto reso particolarmente chiaro in questo ultimo periodo quando, muovendosi proprio su questo terreno mistificante, si è mirato a rappresentare la disintegrazione del Patto di Varsavia come la sanzione della morte del comunismo.

Tutto questo non ha potuto certo mascherare l’ordine degli interessi materiali che spingono l’imperialismo ad assoggettare i paesi dell’Est, interessi che, proprio a causa della crisi, divengono pressanti e rimandano in modo palese alle strategie di penetrazione definite in questa fase.

Queste sono agevolate come non mai dall’attuale grado di rottura delle contraddizioni proprie di questi paesi, fatto che contraddistingue l’attuale disgregazione di quell’area, ex-URSS in testa, facendone il possibile terreno di saccheggio da parte dell’imperialismo.

Sulla base delle attuali condizioni politiche che questi paesi presentano, l’imperialismo è mosso da un intenso attivismo teso a ridefinire le relazioni a suo vantaggio. Sul terreno principale dei rapporti politici da stabilire, il filo conduttore dentro cui vengono formalizzati gli accordi possibili si svolge sostanzialmente tramite gli organismi integrati dell’imperialismo, siano essi la CSCE (1), la NATO, la CEE, la UEO, ecc.; un terreno di cui gli USA tengono fermamente la direzione e ciò è reso chiaro negli atti politici da essi svolti, tra cui, non secondario, è l’obiettivo del controllo sull’armamento atomico strategico che perseguono e, più in generale, nel loro sovraintendere a tutte le decisioni più importanti che nell’ambito imperialista vengono prese rispetto a questi paesi, così da riaffermare, per altro, la supremazia sugli altri partners della catena.

Sul piano prettamente economico, ogni Stato imperialista è impegnato a prendere le migliori posizioni nella corsa all’accaparramento e penetrazione economica di questi mercati che, in questa fase, si dà principalmente sul modello di destrutturazione-espropriazione sperimentato dalla Germania sulla DDR: cioè mirare ad una spoliazione nei fatti della base produttiva, forza-lavoro compresa, da parte dei gruppi dei monopoli produttivi e finanziari dominanti. In questo modo si pongono le basi potenziali dei possibili terreni di spartizione di questo enorme e ricco mercato, su cui già prevalgono nettamente le posizioni di USA e Germania, essendo i primi nelle condizioni più vantaggiose per “mettere le mani” sugli sviluppati sistemi tecnologici in campo spaziale e militare, mentre la Germania ha potuto stendere una fitta rete di investimenti ed acquisizioni industriali soprattutto nei paesi ad essa confinanti e, più in generale, determinando con il suo intervento un reale rapporto di dipendenza e assoggettamento.

Le attuali condizioni di crisi dell’imperialismo, da un lato, e i concreti margini di agibilità politica in questi paesi, dall’altro, delimitano precisamente il livello di penetrazione economica, in primo luogo perché a questo stadio della crisi di valorizzazione la sola e semplice penetrazione/espansione dei mercati non è in grado di dargli superamento duraturo, traducendosi nel breve-medio periodo in un ulteriore fattore di instabilità per l’economia capitalista, come già dimostrano gli effetti dell’annessione nella stessa Germania. Pertanto solo la guerra può prospettare all’imperialismo le circostanze che, a partire dalla distruzione, possono rilanciare la produzione al livello dato dallo sviluppo del capitale, e molto materialmente la tendenza alla guerra si indirizza verso l’ambito che si è definito in questo quadro storico come quello idoneo a rilanciare in termini dovuti la produzione capitalista. Seppure apologeti vecchi e nuovi dell’imperialismo legano alla fine della mistificante contrapposizione ideologica tra Est ed Ovest il depotenziamento delle tensioni belliciste, vagheggiando di un futuro di pace sotto l’ordine imperialista, l’obiettivo della sottomissione dei paesi dell’Est Europa, ex-URSS in testa, matura da questi fattori strutturali e non è certo legato a puri motivi ideologici, e i mutamenti in atto in questi paesi nel facilitare la penetrazione economica dell’imperialismo, non possono significare la risoluzione “lineare” delle sue contraddizioni economiche.

Allo stesso tempo le contraddizioni che permangono e si approfondiscono all’interno dell’ambito imperialista non si riversano in termini antagonistici dentro la catena, non ci sono cioè le condizioni che possono dare luogo al configurarsi come nel passato della guerra tra paesi del centro imperialista, quale portato dell’acutizzarsi della conflittualità tra questi paesi per la crisi capitalista come riflesso del piano della concorrenzialità tra le frazioni di borghesia imperialista sia nella spartizione delle quote di mercato, sia nella stessa penetrazione ad Est. In altri termini il grado di sviluppo della concorrenza intermonopolistica non inficia lo sviluppo storico fortemente integrato della catena, economico, politico, militare, che muove unitariamente nel suo complesso verso la tendenza alla guerra. Per tutte queste ragioni di fondo l’interesse imperialista ad appropriarsi dei mercati e delle risorse produttive dell’Est Europa e dell’ex-URSS palesa passaggi niente affatto pacifici, attraverso le relazioni politiche e militari che l’imperialismo tende ad imporre a questi paesi, all’interno dei quali i mutati rapporti di forza favoriscono le spinte guerrafondaie dell’imperialismo in quanto costituiscono uno dei fattori politici che le rendono praticabili.

Che l’ordine imperialista non apra ad un’epoca di pace emerge, per altro verso, dagli sviluppi nelle linee strategiche offensive messe a punto dalla NATO con le sue dottrine sulla “presenza avanzata”, che vedono, soprattutto negli ultimi anni, ristrutturarsi gli eserciti europei. Queste linee presuppongono che tra gli eserciti dei vari Stati si formi un certo livello di integrazione, formulata dagli schemi operativi “interforce”, utilizzando i nuovi sistemi d’arma che hanno incorporato i più sofisticati sviluppi tecnologici nel campo dell’elettronica e dell’informatica. Sistemi questi che costituiscono la punta avanzata degli armamenti convenzionali avendo incorporato i risultati utilizzabili ottenuti dalla sperimentazione a suo tempo fatta nello SDI.

Queste dottrine hanno trovato un primo momento di sperimentazione concreta e una verifica, se pur parziale, nell’aggressione contro l’Iraq, all’interno dell’attuale fase caratterizzata dalle spinte belliciste del centro imperialista. In questo quadro, la stessa riformulazione degli eserciti evidenzia come si stia man mano precisando la preparazione di scenari di guerra sempre meno ipotetici, e quella che viene presentata come la nuova funzione della NATO, la cosiddetta “NATO politica”, altro non è che il necessario riadattamento delle modalità d’approccio da mettere in atto in conseguenza ai mutamenti negli equilibri tra imperialismo e paesi dell’Est, a partire dalla maggiore agibilità che tali equilibri consentono all’imperialismo su ogni piano di intervento possibile e in ogni conflitto che si matura nel mondo. Tutto questo nel mantenimento del fine strategico per cui la NATO stessa esiste, che verso i paesi dell’Est ha il suo indirizzo fondamentale.

In questa luce i successivi accordi sul disarmo del vecchio arsenale missilistico della guerra fredda nascondono solo il perseguimento del reale disarmo dell’ex-URSS, la stessa proposta strumentale di un ipotetico, futuribile, “piano Marshall per l’Est” viene brandito come un’arma di ricatto per condizionarne le scelte con l’occhio ben fisso sull’obiettivo principale di un suo indebolimento e disarmo. Ecco allora che strumenti da sempre in mano all’imperialismo, principalmente USA, come FMI e BM, indicano alla Russia l’esigenza, da rispettare nella formulazione del bilancio dello Stato, di tagliare innanzitutto le spese per il settore della difesa come una delle condizioni per poter accedere ad aiuti vasti quanto disinteressati…

Nella stessa ottica la CEE ha destinato un fondo di sessantacinque milioni di dollari per la riconversione a civile di industrie belliche, altrettanto rivelatore il prendere a pretesto la possibilità di incidenti nucleari, sia in campo civile che militare, per prefigurare un intervento finanziario e tecnologico che porti ad una “messa in sicurezza” degli impianti anche tramite il reclutamento a suon di dollari degli scienziati che operano in quei settori.

Tutto questo mentre l’imperialismo ha dato corso al massiccio potenziamento dei suoi armamenti convenzionali. Un potenziamento a cui l’imperialismo è giunto dopo un decennio di riarmo, adottato, se pur a diversi gradi, dagli Stati della catena. Il suo utilizzo come stimolo economico fin dagli anni ’80, in piena recessione, è stato in primo luogo la controtendenza principale alla crisi di valorizzazione, permettendo di immobilizzare i capitali eccedenti in quei settori ad alta composizione organica legati al bellico, a cui storicamente con l’adozione del riarmo da parte dello Stato si accorpa lo sviluppo tecnologico. Sono gli USA, non a caso i più gravati dalla crisi, i primi ad impostare una politica economica basata sul riarmo che per questo si è avvalsa di poderosi investimenti di capitali sulla ricerca e sviluppo delle tecnologie sui sistemi d’arma, cosa che ha avuto i suoi riflessi immediati sul terreno della concorrenza che ruota intorno al controllo di queste stesse tecnologie, rafforzandosi la supremazia USA in questo campo rispetto agli europei. Per la dinamica economica che stimola, il riarmo è ad un tempo cartina al tornasole dell’aggravamento dei fattori strutturali della crisi economica e calmiere nel breve periodo dei suoi effetti, nonché apportatore di ulteriori squilibri economici di cui il principale è ravvisabile nel medio-lungo termine nell’impossibilità di rimettere in circolo i capitali immobilizzati nel riarmo; sintomatica in questo senso la crisi debitoria USA favorita dal dirottamento di risorse finanziarie su questo terreno. Quanto più si fanno consistenti le spinte verso la guerra, tanto più è richiesta l’attivizzazione dei paesi NATO, a partire dall’Europa. Da qui l’assunzione di una più consistente funzione politico-militare dei paesi europei, che presuppone il rafforzamento della UEO con ambito di intervento extra NATO. Una funzione che inoltre risponde al maggior peso dell’Europa che deriva dalla coesione politica che è proceduta al suo interno, la quale sul terreno propriamente militare si è concretizzata tra l’altro nei diversi accordi bilaterali, come quello sulla brigata franco-tedesca. Tali accordi, pure esprimendo la volontà dei singoli Stati di acquisire un proprio spazio di manovra, non portano a travalicare l’Alleanza Atlantica, la quale piuttosto mantiene la direzione sulla direttrice della preparazione alla guerra e le diatribe sul ruolo da dare alla UEO e alla difesa europea, ma manifestano solo l’esigenza dei paesi europei di ritagliarsi un maggior peso negli equilibri gerarchici dentro alla catena.

Le nuove condizioni investono anche i cosiddetti paesi neutrali che nel passato trovavano vantaggiosa questa posizione formale, mentre oggi l’essere all’interno della maggiore integrazione politico-militare diviene vitale per la difesa dei propri interessi. Ecco allora che il primo gennaio ’93, in contemporanea con le scadenze dei paesi CEE, entra in vigore un accordo tra quest’ultima e la EFTA (2) per la creazione di uno “spazio economico europeo”, mentre hanno già fatto richiesta di adesione alla CEE Austria, Svezia e Svizzera. Inoltre la Svizzera indica come inevitabile la partecipazione ad un “Sistema di difesa europeo” e la Svezia, in dichiarato riferimento alla situazione nell’ex-URSS, coopera con l’organismo NATO che coordina la ricerca e lo sviluppo nelle produzione di armi (IEPG).

In sintesi l’appartenenza alla NATO diviene condizione per svolgere ed acquisire un peso internazionale. All’interno di questa la coesione politica europea ha il suo punto di forza nella “difesa comune” e marcia oggettivamente e soggettivamente verso lo sbocco bellico. L’Est europeo è il suo terreno privilegiato di intervento e in questo la crisi yugoslava è il banco di prova dell’Europa occidentale nelle sue mire di conquista di un maggior spazio nel nuovo ordine imperialista da costruire insieme agli USA. Il ruolo preminente è svolto dalla Germania, per riportare sotto la propria influenza i popoli slavi, in questo facendosi promotrice di Stati nei fatti fantoccio. Una politica interventista che nel suo dispiegarsi deve fare i conti con il reale confronto fra le forze in campo, con la resistenza contrapposta alle invasioni che storicamente proprio questi popoli hanno sempre dimostrato.

Nei caratteri di questa fase la NATO, pilastro politico-militare dell’integrazione della catena imperialista a dominanza USA, vede dispiegare tutti i piani e tutte le prerogative su cui si è costituita, e cioè nella duplice funzione di guerra esterna-guerra interna:

– guerra esterna, nella sua funzione di deterrenza prima e successivamente di strategia offensiva contro il blocco dei paesi dell’Est;

– guerra interna, nella sua funzione di indirizzo controrivoluzionario, applicato fin dall’inizio all’interno degli Stati imperialisti per mantenere la stabilità a fronte dello scontro di classe e del suo possibile risvolto rivoluzionario, nella definizione di politiche specifiche a fondamento della controrivoluzione preventiva sviluppata da ogni Stato.

Su un altro piano, diffusione dei metodi controrivoluzionari nei confronti dei contesti rivoluzionari della periferia, come attesta il golpe NATO in Turchia e gli attuali metodi di controguerriglia stabiliti dalla NATO che Ankara sta adottando contro la guerra popolare in Kurdistan e la guerriglia comunista all’interno.

Per la sua natura la NATO è sempre stata oggetto d’attacco della guerriglia europea che in diversi momenti ne ha fatto l’obiettivo del suo intervento. Obiettivo su cui la nostra Organizzazione è intervenuta con la cattura del generale NATO, Dozier. Nel contesto di scontro, in cui si è inserito questo attacco, la NATO sovraintendeva e guidava le scelte di fondo dei paesi della catena, sia nel dispiegamento degli arsenali missilistici lungo il confine con i paesi dell’Est, sia nel rafforzamento del fianco Sud della NATO, riqualificando in quel periodo le sue linee di intervento, dentro l’attiva responsabilizzazione dei paesi europei, in un’ottica di lungo termine.

Un contesto generale che sul piano rivoluzionario faceva risaltare la necessità del Fronte Combattente Antimperialista che nell’attacco ai progetti centrali dell’imperialismo e alla NATO, traccia la linea di riferimento su cui ricomporre quel fronte oggettivo che a vari livelli si contrappone all’imperialismo.

Nel comunicato n. 1 Dozier, le BR affermano:

«(…) le OCC della RAF e delle BR oggi si pongono al punto più alto d’attacco al progetto di guerra incarnato dalla NATO. Al punto più alto della proposta di ricomposizione del movimento di massa europeo contro la guerra imperialista, al punto più alto della proposta di costruzione del Fronte Combattente Antimperialista su tutta l’area europea e mediterranea (…). Su questa base è possibile lanciare con forza il programma di unità con i comunisti e di alleanza con i popoli oppressi dall’imperialismo (…)».

Proprio nel confronto con l’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, imperialismo/antimperialismo, si definisce e si precisa la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista; su questo scontro influiscono dialetticamente da un lato l’attività rivoluzionaria della guerriglia, sia per come si sviluppa nel suo contesto nazionale, sia nel salto di qualità rappresentato dal perseguimento del Fronte, dall’altro lato, le risposte controrivoluzionarie degli Stati, non solo su un piano nazionale, ma anche per gli sviluppi della concertazione politica sul piano dell’annientamento della guerriglia e del Fronte, intese che non si limitano ad accordi di polizia ma vertono sulle modalità generalizzabili per contrastarla (modello “soluzione politica”) e facendosi carico nel loro insieme di affrontare il “problema guerriglia” ovunque si presenti, agendo cioè senza “frontiere” e definendo su questo terreno una completa coesione politica tra gli Stati europei.

I momenti di unità di volta in volta raggiunti nel Fronte tra le Forze Rivoluzionarie europee hanno reso esplicito il portato rivoluzionario del Fronte per lo sviluppo presente e futuro della guerra di classe rivoluzionaria nella metropoli e dell’antimperialismo in tutta l’area.

Sul piano interno la guerra contro l’Iraq è caduta in un contesto di scontro e di mutamenti istituzionali che in parte già contengono i presupposti per cambiamenti decisivi nel quadro complessivo delle relazioni politiche e sociali tra le classi e nelle forme di potere che vogliono essere istituite. In questo senso il contesto che si è determinato prelude ad un ulteriore salto in avanti rispetto a quello che si è maturato nel corso della lunga fase di scontro di classe iniziata con la controrivoluzione degli anni ’80, nella necessità di sancire una riformulazione ad un più alto livello dell’assetto e dei poteri dello Stato, nel tentativo illusorio di uscire da quelle secche in cui la “stabilità” è la risultante estremamente labile di continui strappi e lacerazioni su tutti i piani delle relazioni politiche nel paese, così come si è andato a caratterizzare il modo di governare in particolare in questi ultimi anni.

Per comprendere la portata di quanto si profila, va considerato ciò che si è andato a definire nel lungo e contraddittorio processo di rifunzionalizzazione dello Stato che ha assestato mano mano mutamenti di sostanza alle prerogative degli organi e delle figure istituzionali, la progressiva esecutivizzazione che tale processo ha conseguito vede oggi infatti l’assunzione senza precedenti di nuovi e maggiori poteri nella figura del Presidente del Consiglio e di un ristretto ambito dell’Esecutivo. Ciò che è stato raggiunto in termini di esecutivizzazione è il piano più alto a livello istituzionale di un processo materiale che ha le sue cause principali e il suo possibile movimento nei concreti rapporti di scontro tra le classi. Per questa ragione fondamentale la base di forza che ha potuto dare il via al riassetto delle istituzioni va ricondotta alla controffensiva dello Stato negli anni ’80, la quale, proprio per il livello avanzato che si è prodotto nello scontro di classe e rivoluzionario non poteva darsi se non assestando un duro colpo alle BR, per poi dispiegarsi dai settori di autonomia di classe che si collocavano intorno alla proposta rivoluzionaria fino ad attraversare tutto il corpo di classe. Una controffensiva che per modi e tempi in cui si è data, ha assunto carattere di vera e propria controrivoluzione da cui la borghesia imperialista italiana ed il suo Stato hanno potuto modificare a loro favore i rapporti di forza ed iniziare ad operare il corrispettivo riordino dello Stato per rispondere alle esigenze poste dalla concentrazione monopolistica ed alle avvisaglie della tendenza alla guerra. Per questo il primo passo non poteva che assestarsi sul piano capitale/lavoro con i patti neocorporativi. Dai patti neocorporativi in poi il processo di esecutivizzazione che si è configurato dentro ulteriori forzature nei rapporti politici e di forza tra le classi, con l’istituzione del supergabinetto e la legge sulla presidenza del consiglio, hanno visto rafforzate le prerogative del governo intorno al quale il parlamento è stato rifunzionalizzato (con la decretazione d’urgenza e la fiducia usati come strumenti ordinari, il voto palese, ecc., fino ad arrivare ad un diverso iter nel fare le leggi). Un processo che non poteva investire tutti gli istituti e le funzioni dello Stato, in primo luogo la magistratura. L’entità dei mutamenti apportati nel paese e nel quadro istituzionale, in specifico nei salti compiuti in quest’ultima legislatura, per come si sono delineati, già indicano in larga misura gli equilibri e i binari su cui premere per arrivare alla diversa configurazione dei poteri dello Stato. Una svolta che per affermarsi profila la necessità di arrivare ad una ulteriore frattura nelle relazioni classe/Stato e dentro le stesse istituzioni, poiché la dinamica che evolve la Seconda Repubblica, per potersi dispiegare, deve incidere da un lato sull’impalcatura costituzionale post-resistenza che, pur avendo consentito alla borghesia di gestire il potere a fronte dei limiti strutturali e dell’acuto scontro di classe, rappresenta oggi un condizionamento all’ulteriore sviluppo dei termini formali della democrazia borghese, dall’altro, e come dato sostanziale, di incidere su quel piano dei rapporti generali e formali tra le classi che si sono sviluppati in questo quarantennio, condizionati dai processi di lotta del proletariato, dai suoi avanzamenti politici e sociali, nonché dai caratteri di maturità e combattività dell’autonomia politica di classe sui quali ha inciso in termini di sostanza la progettualità rivoluzionaria della proposta della lotta armata per il comunismo.

Un piano generale la cui sostanza e valenza ha un peso specifico sulla relatività dei rapporti di forza, costituendo il limite politico effettivo, sia pure elastico, che la borghesia imperialista a tutt’oggi non ha potuto travalicare; In questo senso nonostante gli anni di controrivoluzione e le posizioni odierne di relativa difensiva del campo proletario e rivoluzionario, non c’è la pacificazione auspicata dalla borghesia imperialista, ma il reale approfondimento del rapporto di scontro sia sul piano politico classe/Stato che sul piano rivoluzione/controrivoluzione nell’inasprimento di tutti i termini della controrivoluzione preventiva.

Sullo sfondo di questo quadro politico di riferimento e nel contesto generale di crisi che si è aperta nel paese, in relazione alla resistenza che a vari livelli il proletariato oppone al peggioramento delle condizioni politiche e materiali, si fanno sempre più forti le spinte per una “soluzione forte” dell’impasse istituzionale in rapporto all’ingovernabilità sociale. Spinte che nascono dalle impellenti esigenze che l’acutezza della crisi pone alla borghesia imperialista nostrana e a cui, indubbiamente, ha contribuito la stessa partecipazione dell’Italia alla guerra contro l’Iraq, spinte oggettive e soggettive, dunque, che rendono quanto mai critica questa peculiare fase politica. Questo mentre lo Stato, pressato da tali scadenze, ha già posto in essere in un crescendo di forzature, il varo dei peggiori programmi a livello sociale e di misure politiche restrittive tese ad intervenire sul corpo di classe, mettendo in discussione perfino quel campo dove sono regolamentati i diritti acquisiti sia in campo economico che sociale e politico. Un insieme di interventi che per la loro portata sono andati ad intaccare il piano stesso delle cosiddette garanzie costituzionali e che ha costituito l’approfondimento di quel terreno materiale nei rapporti politici fra le classi che consentono di avanzare nell’accentramento dei poteri. Su questo sfondo politico e sociale e istituzionale contraddittorio, il Presidente del Consiglio ed il suo Esecutivo ristretto, con il supporto di Cossiga come anticipatore delle forzature fatte, si sono assunti il compito di aprire le premesse politiche alla tanto perseguita “fase costituente” che dovrebbe legittimare le forme di potere nei fatti parzialmente operanti. Ed è in questo obiettivo la rottura profonda con tutta la fase precedente, è in questa direzione che si può collocare quanto avvenuto in particolare nell’ultima legislatura, a partire dal modo in cui è stata interrotta, decisa fuori dalle competenze politiche del Parlamento, per segnare inequivocabilmente come i meccanismi politici decisionali e in particolare il processo di formazione degli equilibri governativi debbano darsi fuori dal ruolo finora avuto dal Parlamento. In altre parole, quello che si è verificato prima, durante e dopo le elezioni, nella crisi extra istituzionali che hanno gravato questo percorso, con un governo rimasto in carica di fatto con le mani libere di legiferare per decreto, dimostra come lo svincolamento delle regole vigenti, la loro ostentata messa al margine, si stata una scelta politica funzionale per condizionare la sostanziale rifunzionalizzazione delle Camere al futuro assetto del potere. Un insieme di modifiche divenute indilazionabili a partire da come è stato accentrato il potere nell’Esecutivo, pena l’acuirsi dello squilibrio tra le sue prerogative e il ruolo attuale del Parlamento, uno squilibrio che alimenta la crisi di “agibilità” politica nel modo di governare. Questo ripropone urgentemente nuove regole nel meccanismo di formazione del governo, come dato principale all’ordine del giorno, su cui poter modellare norme e competenze delle camere, adeguate a sostenere politicamente e sul piano legislativo i caratteri di “governo forte e stabile” a cui mira la “riforma”. Un insieme di modifiche che, implicando una legge elettorale corrispondente al sistema di governo che vuole essere definito, richiedono gioco-forza lo scioglimento dei legacci parlamentari e costituzionali della Prima repubblica, prospettiva questa che pur rispondendo ad un piano di necessità, ha nella sua attuazione pratica e politica le incognite proprie dell’instabilità e dell’ingovernabilità che hanno caratterizzato le tappe percorse da tutti gli esecutivi in questo decennio.

La portata senza precedenti degli atti politici attuali in questo fine legislatura nello scompaginamento degli equilibri preesistenti, nel dettato implicito entro cui viene data la possibilità stessa di aprire alla “fase costituente”, qualifica questa crisi come levatrice delle condizioni che possono dare legittimità costituzionale a quanto con atti di forza si è già imposto nel concreto modo di governare, in questo avvalendosi del consenso e del sostanziale schieramento del più vasto arco delle forze politiche borghesi. Il trapasso che si prefigura, come in parte quello già avvenuto, non potrà darsi al di fuori della cornice della “democrazia rappresentativa borghese” che ne sancisca la legittimazione politica formale, un trapasso che avviene al di fuori e contro la profonda delegittimazione sociale e politica nel paese, tra proletariato e borghesia, classe e Stato. Dal divario incolmabile esistente tra governabilità formale e rapporti reali di scontro si comprende come ogni avanzamento nel processo di rafforzamento dello Stato sia connaturato dall’approfondimento di tutti i termini antiproletari e controrivoluzionari attivati nelle relazioni con la classe, vero humus su cui poggia il salto della fase politica che si è aperta in Italia. Un dato politico che calato nel contesto del paese fa da sfondo e compenetra le politiche dello Stato sul campo proletario stabilendo il terreno dove si gioca il confronto fra le classi. Un terreno di confronto appesantito soprattutto in quest’ultimo periodo dal varo di misure irreggimentatrici in materia di “ordine pubblico” estese dal piano di classe tutte le relazioni sociali, che dentro una demagogica campagna contro la “criminalità” sono la criminalizzazione di ogni opposizione di classe come di ogni espressione conflittuale.

“Ordine pubblico” che è da sempre in Italia il piano cui la borghesia imperialista e lo Stato ricorrono quanto maggiore è l’instabilità del quadro politico generale, e profondi gli strappi ricercati nei rapporti politici tra le classi, e che oggi vede più che mai le “forze dell’ordine” attivizzate a tutto campo e onnipresenti quale elemento di pressione a supporto di ogni forzatura del governo.

È all’interno di questo contesto generale e proprio dalla guerra con l’Iraq, che è stato formalizzato un ulteriore passaggio rilevante nella sua natura coercitiva. Questo è quanto si palesa nella nuova mappa relativa ai prefetti e alle procure, con le nuove funzioni loro affidate e il loro coordinamento, usufruendo dell’integrazione operativa delle tre armi, nonché della figura prospettata del super procuratore cui tutti dovranno fare riferimento, di fatto l’istituzione di un apparato centralizzato sotto la direzione politica di una ristrettissima componente dell’Esecutivo. La funzione prevalente ad essi assegnata è volta principalmente a prevenire il conflitto di classe e per questo il loro intervento sul territorio è irradiato sui maggiori poli metropolitani del paese, ed esprimono l’immediato carattere antiproletario e controrivoluzionario delle loro funzioni, tutte interne a poter attivare ogni livello della controrivoluzione preventiva. Inoltre svolgono anche un ruolo di controllo politico sulle amministrazioni locali, fungendo da raccordo delle decisioni del potere centrale su quello locale. Tali organismi per il fatto che investono il piano giudiziario e nel poter disporre delle principali forze coercitive dello Stato, compresi i servizi segreti riformulati, sono uno strumento di potere di cui i vertici dell’Esecutivo possono disporre. Ciò ha un suo risvolto politico concreto anche verso la magistratura, fanno testo in questo senso le pressioni tese ad esautorare le funzioni di autogoverno di questo potere dello Stato. in questo quadro l’istituzione di organismi giudiziari paralleli come “super procure”, “super procuratori”, che rispondono direttamente all’Esecutivo, agiscono come spinte alla rifunzionalizzazione a cui deve essere volto il potere giudiziario.

Nelle modalità con cui maturano svolte in cui la “stabilità” cerca di imporsi avvalendosi, nel governo delle contraddizioni, di politiche marcatamente coercitive e di risposte repressive quali termini più evidenti della loro natura antiproletaria e controrivoluzionaria, si esprime al massimo grado l’instabilità critica dei reali equilibri nel paese. L’impronta data agli strumenti messi in campo per rafforzare lo Stato e la forma che vengono ad assumere in un paese, va sottolineato, a capitalismo avanzato qual è l’Italia, mette a nudo la debolezza storica su cui poggia il dominio della borghesia imperialista la quale scaturisce dalle condizioni politico-generali di uno scontro storicamente in grado di esprimersi ai più alti livelli e di porre costantemente l’ipoteca del risvolto rivoluzionario. A maggior ragione in forza di vent’anni di prassi rivoluzionaria basata sulla lotta armata, la quale vi ha immesso tutto il peso politico a partire dalle conquiste rivoluzionarie che ha maturato. Ragioni prime queste degli ostacoli e dei ripiegamenti che la borghesia imperialista ha subito nei suoi progetti e della forte instabilità del quadro politico, che unitamente alla debole collocazione economica nella struttura gerarchica della catena, non ha consentito alla borghesia imperialista italiana di arrivare a quello sbocco sempre inseguito della “democrazia matura” quale sinonimo di una raggiunta cornice di stabilità che si poggi sull’ambita impermeabilizzazione nel governo del paese dalle spinte del conflitto di classe. I progetti che si sono susseguiti su questo terreno, ultimo quello demitiano, lungi dal procedere in modo lineare e pacifico, non hanno potuto raggiungere questo traguardo. ciò che si è verificato sono stati momenti di relativa stabilità che via via hanno segnato, con caratteri fortemente contraddittori, un’alta concentrazione delle leve del potere, contestualmente all’irrigidimento della mediazione politica. In altri termini benché l’Italia sia oggi allineata agli altri paesi europei sul piano dell’accentramento dei poteri, permangono caratteri peculiari nella democrazia rappresentativa, al cui interno si evidenzia, come aspetto specifico, il progressivo impoverimento dei contrappesi politici che agiscono per equilibrarne il funzionamento istituzionale. Nella riduzione, ovvero, dello spazio politico e dei margini di intervento su cui ha agito la tradizionale opposizione istituzionale, senza un corrispettivo sviluppo di altre formule che comprendano questa funzione, seppure ad un più alto grado di formalità, come avviene negli altri paesi europei con l’“alternanza” che consente relativamente di assorbire e governare in una cornice di democrazia apparente mutamenti anche più traumatici in termini sociali, come ad esempio in Gran Bretagna.

In questa fase in cui l’imperialismo è attraversato dalla crisi più acuta e si prepara apertamente alla guerra, in Italia vengono al pettine tutti i nodi ed i ritardi legati alle vecchie contraddizioni irrisolte che, nell’accumularsi critico con i nuovi fattori di contraddizione, sia nello scontro di classe che sul piano internazionale, caratterizzano la crisi come economica, sociale, politica ed istituzionale insieme, determinando di conseguenza uno stato di generale fibrillazione di tutti gli organismi istituzionali e soggetti politici. Un contesto dal quale scaturiscono le spinte per le cosiddette “soluzioni forti“ perché siano garantiti gli interessi urgenti dei maggior gruppi monopolistici dell’industria e della finanza, attraverso passaggi istituzionali che consentono la gestione di tutte le leve di governo del paese da parte delle forze politiche che ne riflettono più fedelmente gli interessi. In concreto è la DC, quale esponente principale di questa rappresentanza politica, che nel farsi promotrice del riassetto dello Stato e facendo capo alle modifiche sostanziali avvenute, ha costruito gli addentellati concreti per il controllo politico di queste leve.

Alla peculiarità di questa fase verso il diverso assetto dello Stato contribuisce un’oggettiva resistenza che si determina tra il modo in cui fino ad ora le forze politiche, DC in testa, hanno condotto gli indirizzi di politica economica e il loro mutamento nella direzione richiesta dall’attuale situazione di crisi. Un contrasto cioè tra improcrastinabili scelte economiche e “vecchio” sistema di allocazione delle risorse e delle politiche di sostegno, a partire dagli impegni che la stessa partecipazione alla comunità europea richiede, dovendoli far propri perché rispondenti alle necessità del capitale nazionale di concorrere alla formazione monopolistica europea. Già nelle scadenze imposte dal trattato di Maastricht che comportano una gestione ferrea del bilancio statale e del PIL si è manifestato la difficoltà di uscire dalle paludi dei vecchi equilibri economici e politici che frenano il decollo dei piani di “risanamento economico”, ad esempio del progetto di privatizzazione di settori economici statali (con regole per altro già fissate) e del diverso modo di attingere al risparmio privato in favore dell’industria con l’“azionariato popolare”. La problematicità di questo mutamento nella gestione della politica economica, che tra l’altro alimenta la conflittualità tra i partiti come riflesso sul terreno politico degli interessi economici concorrenziali, ha il suo fondamento principale nel carattere della crisi economica, la quale restringe l’arco delle risposte possibili. Questo si manifesta in particolare nello spostamento delle risorse economiche a sostegno delle frazioni dominanti di borghesia imperialista che coinvolgono anche i ceti intermedi, tradizionale base sociale democristiana, di piccola e media industria che dentro ai già risicati margini di mercato vedono ridursi il sostegno statale. Da qui lo squilibrio di una rappresentanza politica che sostanzialmente va a coprire interessi che sono in questa fase in contrasto con quelli di questi ceti, indebolendo le diramazioni di rappresentanza, in particolare DC, che poggiano su di essi. Una dinamica economica e sociale in cui si ripresenta il tipico fluttuare di questi ceti verso movimenti politici di carattere demagogico e qualunquistico, soprattutto a fronte della relativa debolezza che presenta il campo proletario. Questa dinamica nel contesto dell’avvenuto rafforzamento nelle forme di dominio della classe dominante, dà luogo solamente, a differenza del periodo prefascista, ad un utilizzo strumentale di questi ceti dentro le campagne ideologiche di stampo più “retrivo”, funzionali in ultima analisi solo ai fini della frazione dominante di borghesia imperialista. Sono queste frazioni dominanti, infatti, che sono scese in campo per sostenere una compagine governativa che possa garantire l’attuazione dei programmi economici più antiproletari e conseguenti strette sociali. Non è un caso che le parole d’ordine di “governo forte e ordine” accomunino governo e confindustria. Le iniziative concrete di quest’ultima non si limitano al sostegno delle parole d’ordine forcaiole sulla “lotta alla criminalità” ma si estendono alla partecipazione nei “comitati sull’ordine pubblico” nazionali e provinciali, e più sostanzialmente la vedono impegnata con interventi politici tesi a premere sulle principali scelte generali del governo.

Sul piano politico, a sostenere gli strappi richiesti nei rapporti tra le classi sono intervenute le massime cariche dello Stato, ponendo le forze politiche di fronte alla necessità di schierarsi sostanzialmente sulla natura antiproletaria e controrivoluzionaria dello Stato come un filo che deve connaturare le scelte che daranno luogo alla formazione delle “nuove regole del gioco”. Una pressione condotta in primo luogo da Cossiga nel ruolo affidatogli di apripista, lanciando la campagna di rivendicazione delle attività stragiste e controrivoluzionarie dello Stato e successivamente nell’attivazione delle sue bande terroristiche. Una campagna tesa ad appesantire il clima politico fino a toccare livelli intimidatori andando ad influire sulla già deteriorata dialettica tra le forze politiche, sia nel rapporto tra gli ambiti dell’opposizione istituzionale e la maggioranza, che fin dentro le stesse forze della tradizionale maggioranza. Quello che si sta affermando nel modo d governare il paese non è una degenerazione né uno svuotamento della “democrazia rappresentativa” al contrario, nel contesto generale, che si profila è il vero e autentico volto della democrazia borghese, l’espressione più scopertamente controrivoluzionaria che la borghesia può e sa esprimere per le necessità attuali dello sviluppo monopolistico, la forma di dominio più adeguata per sostenere il salto che deve compiere in questa fase di crisi/sviluppo. Ciò per acquisire quelle posizioni nei rapporti di forza politici fra le classi, affinché si possa attuare quel complesso di interventi che spaziano dalle misure propriamente anticrisi all’attivismo bellicista, la cui praticabilità politica deve fare i conti con l’opposizione di vasti settori proletari non disposti a subirne supinamente i costi politici e materiali, come hanno dimostrato diversi momenti di lotta e contrapposizione che a vari livelli sono stati espressi, sebbene nella discontinuità imposta dal livello di scontro.

Basti pensare a quanto si profila nel quadro internazionale dove lo Stato italiano dentro all’escalation della strategia militare imperialista è attivizzato alla diretta partecipazione nelle operazioni belliche, come già dimostrato in Iraq. Un ruolo quello dell’Italia che si è definito più precisamente negli impegni assunti durante il vertice NATO di Roma che qualificano ad un nuovo livello le sue responsabilità in quanto pilastro del fianco Sud della NATO col comando politico affidatogli. Direttive che hanno avuto immediato riscontro rispetto alle sue funzioni nell’area mediorientale-mediterranea, come si può ben vedere dall’“operazione Libia” in corso. Allo steso tempo lo Stato italiano sviluppa il suo impegno all’interno dell’attuale livello di confronto dell’imperialismo con l’est, già sostanziato nel “protettorato” di fatto posto sull’Albania, nonché nelle “ingerenze“ in Yugoslavia, sue storiche zone di intervento.

Un attivismo all’interno del concretizzarsi della tendenza alla guerra verso cui spingono al massimo le frazioni dominanti di borghesia imperialista nostrana legate ai grandi monopoli, non essendo altra cosa questo se non la concretizzazione dell’interesse e della necessità di ritagliarsi la propria fetta di zona di influenza, che si avvale in questa fase, prima ancora che nel sostegno finanziario dello Stato, dell’attivismo politico, diplomatico e militare dello Stato, della sua “politica estera”, nella più generale corsa alla conquista delle posizioni più favorevoli per la ridefinizione della divisione internazionale del lavoro e dei mercati.

Un contesto questo in cui la borghesia imperialista nostrana preme fortemente sullo Stato per la creazione di quelle condizioni essenziali che non si esauriscono nella programmazione economica o nei preparativi bellici, ma che attengono all’attrezzare lo Stato nella sua funzione politica rispetto al conflitto di classe, specifica ala cosiddetta “pacificazione del fronte interno” quale fattore preliminare per essere in condizione di governare, pur sempre in senso relativo, una fase che rapidamente evolve come pre-bellica. E ciò non è tanto riferibile a quel clima di mobilitazione sciovinista e patriottica suscitato artificiosamente e che storicamente se può trovare “sensibilità” nelle fasce borghesi è completamente estraneo e ostile al proletariato. Accanto a questi aspetti che sono il corollario ideologico a cui la borghesia imperialista ricorre da sempre in vista dei suoi progetti guerrafondai, nella sostanza è sul piano del potenziamento di tutti gli aspetti della controrivoluzione preventiva che si gioca il contenimento dello scontro, a partire dal suo attuale grado di approfondimento. In sintesi, la borghesia imperialista e il suo Stato si apprestano a fronteggiare una fase di scontro che storicamente approfondisce lo schieramento e una polarizzazione degli interessi di classe contrapposti, attrezzandosi contro l’opposizione operaia e proletaria alla guerra, nella definizione di mezzi e misure di controllo e repressione, che sono già state sperimentate, ma solo parzialmente, durante la guerra del golfo, consapevole che lo scontro non può che assumere connotati particolarmente critici a partire dai termini politici che storicamente ha sviluppato il proletariato metropolitano per l’affermazione della sua autonomia politica e, nello specifico del nostro paese, per come i caratteri dell’autonomia di classe si sono strettamente connessi alla lotta armata.

A fronte dei caratteri della crisi che attanaglia la catena imperialista nel nostro paese il grande capitale monopolistico multinazionale spinge con tutto il suo peso affinché lo Stato possa farsi interprete e politicamente governare questa nuova fase dominata, dopo il lungo periodo di crisi strisciante, dalla recessione in tutto il pieno senso della parola. In una situazione di brusco ridimensionamento della base produttiva, che vede la chiusura di interi comparti, colpendo la crisi settori tecnologicamente avanzati e trainanti l’economia, con l’espulsione massiccia di forza-lavoro, non si tratta solo di comprimere il costo della forza-lavoro agendo sulle spese sociali, ma si tratta soprattutto del drastico taglio dei salari come esigenza imprescindibile. In questo contesto la funzione dello Stato sul piano delle politiche economiche si esplicita in tutta la sua portata, nel convogliare le risorse finanziarie disponibili a sostegno del salto richiesto alla grande industria ed ai maggiori gruppi legati all’alta finanza, necessario in questa fase per il livello di competitività sul mercato internazionale, nello specifico legato alla formazione dei monopoli intereuropei, agendo indirettamente e direttamente con il finanziamento alle fusioni, le fiscalizzazioni, con le politiche monetarie e di bilancio. Come anche va ad assumere in questa fase massimo peso la funzione politica dello Stato nel ruolo di mediatore del conflitto di classe a partire dal neocorporativismo quale aspetto principale di cui investe direttamente il rapporto capitale/lavoro. Il nodo sul tappeto è quello delle cosiddette nuove relazioni industriali e a tutt’oggi infatti è estremamente problematico sancire sul piano generale le nuove regole della contrattazione della forza-lavoro, questo nonostante siano marciati, a fianco di modifiche istituzionali, diritto di sciopero in primo luogo, ed hanno inciso sul mercato del lavoro con gli interventi sulla scala mobile, la CIG, la mobilità, ecc.

Ma il coinvolgimento sempre più spinto delle rappresentanze istituzionali sindacali nel processo di neocorporativizzazione è ben lontano dal risolvere il problema della effettiva agibilità politica per i programmi della confindustria in un contesto di classe che storicamente non ha mai permesso la cooptazione operaia alle scelte padronali, ma all’opposto caratterizza ogni aspetto del rapporto capitale/lavoro per la netta ed inequivocabile resistenza ed opposizione a fronte degli attacchi portati alle sue conquiste, per quanto virulenti essi siano. Oggi, nonostante il peso del neocorporativismo, cioè del massimo sviluppo dato al verticismo negli accordi centralizzati tra governo, confindustria e sindacati, e nonostante i tentativi di ingabbiare la mobilitazione e l’organizzazione operaia già nella fabbrica tramite filtri politici sul modello delle RSU, nonostante i tentativi di frammentare il corpo di classe attaccando le sue conquiste unitarie, malgrado tutto questo, permane in tutta la sua problematicità e contraddittorietà l’obiettivo inseguito da anni di sancire sul piano capitale/ lavoro nuove regole, con il coinvolgimento consenziente della base operaia. Un obiettivo che dimostra tutta la sua velleità quando nelle fabbriche ogni accordo al vertice viene immancabilmente respinto e le rappresentanze sindacali disconosciute, e non c’è, con la firma degli accordi capestro, nessuna operazione di legittimazione conferita “per legge” in grado di dare soluzione, se non artificiosa, al problema, quando per la “democrazia sindacale” è diventato impraticabile perfino il referendum, quando a tutt’oggi è bloccato e irrisolto il problema delle rappresentanze in fabbrica, quando la “cogestione” e la “qualità totale” hanno dimostrato nei fatti la messa sempre più alle strette dei sindacati agli imperativi imprenditoriali una subordinazione che riflette la loro perdita di peso politico, mentre si fa esplicito il ruolo che si sono scelti di sindacato d regime.

Nella realtà quello che nello scontro si è imposto, a fronte della resistenza degli strati operai e proletari, soprattutto nei settori più combattivi, è un modo di agire che per rompere la rigidità operaia a qualsiasi livello, può procedere solo con la forza e colpi di mano. L’attacco padronale in questa fase assume i toni di una offensiva politica ed ideologica contro ogni ordine di conquiste proletarie, e che si esprime anche nelle risposte degli industriali tese ad alzare il confronto e ad inasprirlo recuperando pure i vecchi metodi di intimidazione padronale fatti di guardiani e spie, di serrate, di mancato salario, ecc. Metodi che lontano dal costituire un’effettiva deterrenza alle lotte, riconfermano solo la “vocazione autoritaria” degli industriali nei rapporti di classe. Il portato antiproletario e controrivoluzionario immediatamente espresso nelle modalità con cui la borghesia imperialista porta avanti gli interventi anticrisi, dà a misura di quanto sia critico governare politicamente, pur potendo contare su rapporti di forza in suo favore, in questa fase in cui ben lontano dall’obiettivo di pacificazione dello scontro, sempre più esplicita è l’inconciliabilità degli interessi generali tra le classi, come sempre più scoperta è la vera natura di classe dello Stato borghese.

L’attuale situazione interna e internazionale ripropone la validità delle ragioni che hanno caratterizzato la necessità della strategia della lotta armata nel nostro paese e in generale della lotta armata nel centro imperialista ed attesta inequivocabilmente la propositività degli assi strategici su cui si sono costruite le BR, della loro linea politica, del loro programma, in una parola la validità della loro prassi rivoluzionaria per lo sviluppo del processo rivoluzionario in un paese a capitalismo avanzato quale l’Italia.

Oggi è reso ancor più evidente come solo l’impostazione offensiva della guerriglia posa rompere il sistema di potere della borghesia imperialista e come solo lo sviluppo della guerra di classe di lunga durata possa costruire le condizioni perché la classe avanzi sul terreno dello scontro per la conquista del potere politico. Il cuore dell’impostazione offensiva della guerriglia risiede nella determinazione dell’unità del politico e del militare, come dato nuovo e peculiare della guerriglia nei paesi a capitalismo maturo, elemento più avanzato delle caratteristiche della guerra di classe che scaturisce dalla necessità di misurarsi con le forme di dominio che la borghesia imperialista ha affinato, stabilendo in esse la controrivoluzione preventiva come politica costante per non far collimare il piano dell’antagonismo di classe col terreno rivoluzionario. Essa determina tutto l’agire della guerriglia caratterizzando lo sviluppo stesso del processo rivoluzionario, nella guerriglia urbana non ci sono contraddizioni tra pensare e agire militarmente e dare il primo posto alla politica, essa svolge la sua iniziativa rivoluzionaria secondo una linea di massa politico-militare. L’elemento della guerra è intrinseco al politico, rimanendo però l’elemento politico sempre dominante. Agire nell’unità del politico e del militare significa unire costantemente il piano di sviluppo politico dello scontro col piano della guerra.

Questa impostazione offensiva per raggiungere i suoi obiettivi deve necessariamente svolgersi all’interno di una strategia generale che le BR hanno sviluppato fin dalla loro nascita. Questa strategia si fonda sul fatto che la lotta armata è una proposta a tutta la classe quale presupposto su cui si sviluppa dall’inizio alla fine la guerra di classe di lunga durata, su cui si organizzano fin da subito le avanguardie più coscienti della classe. Strategia della lotta armata è la direttrice del “piano sistematico di azione” all’interno del quale si articolano correttamente le tattiche relative ad una determinata fase di scontro. Essa ha dimostrato nei fatti e nel tempo la sua capacità nel costituire l’unico valido riferimento nella prospettiva rivoluzionaria, perché è in grado di indirizzare sempre l’andamento della guerra di classe nelle sue diverse fasi rivoluzionarie. La lotta armata è una proposta che le BR fanno a tutta la classe perché il terreno e la pratica rivoluzionari non riguardano solo i comunisti, i comunisti sono il reparto più avanzato della classe. Il proletariato metropolitano a dominanza operaia è la base sociale di riferimento della lotta armata, è la base sociale da cui sono nate le BR ed in cui si riproducono, la base sociale di cui portano avanti gli interessi generali contro il potere della borghesia nello scontro rivoluzionario. Per questo uno dei principi fondamentali delle BR è che la guerriglia si sviluppa nei poli industriali in dialettica con le istanze più mature della classe, organizzandole e dirigendole sul terreno strategico della guerra di classe di lunga durata, una dialettica che si sviluppa nella dinamica attacco-costruzione-attacco.

Elemento centrale della strategia della lotta armata che unisce indissolubilmente le diverse fasi di scontro, sta nella coscienza della centralità che riveste la questione dello Stato rispetto allo sviluppo del processo rivoluzionario, problematica concepita correttamente nell’accezione leninista, questione che si pone a risoluzione non con una generica contrapposizione al potere della borghesia, ma con la precisa espressione dell’attacco al cuore dello Stato, ovvero con la contrapposizione scientifica alla sede del potere politico della borghesia. Attacco che viene diretto contro l’aspetto dominante della contraddizione classe/Stato, contro il nodo politico centrale che oppone la classe allo Stato nelle politiche dominanti della congiuntura. Questo operare al punto più alto dello scontro provoca una relativa disarticolazione dei progetti borghesi e un loro momentaneo arretramento, ovvero crea dei rapporti di forza momentaneamente favorevoli alla classe. L’acquisizione di questa forza non può essere capitalizzata, accumulata se non viene tradotta in organizzazione di classe. Organizzazione di classe che a sua volta comporta l’unità del politico e del militare e ciò avviene nel solo modo che questo terreno organizzato ha di procedere nello scontro contro lo Stato, cioè sul terreno della lotta armata con gli stessi criteri di fondo che permettono alla guerriglia di esistere: clandestinità e compartimentazione. Diversamente si dovrebbe ipotizzare di poter organizzare queste forze attraverso un’attività rivoluzionaria solamente politica il che, nell’attuale stadio dell’imperialismo è assolutamente impossibile. Le forme di dominio sviluppate dalla borghesia imperialista mirano ad assorbire l’urto delle istanze prodotte dalla lotta di classe dentro a processi selettivi che consentano di diluire e neutralizzare tali istanze e, nel contempo, di procedere alla repressione/criminalizzazione delle espressioni antagoniste, in grado, quindi, di compatibilizzare qualunque attività che non fa i conti con il problema di rompere il reticolo della controrivoluzione preventiva.

È dalla consapevolezza di questa dialettica dello scontro e dalla sua continua verifica e aggiornamento che la lotta armata ha potuto svilupparsi precisando la strategia ed articolandone con maggior esattezza le sue fasi. Un passaggio fondamentale di questo sviluppo è dato dalla precisazione, all’interno della fase di Ritirata Strategica, dell’attacco al cuore dello Stato nei sui termini concreti ed idonei a rispettare in pieno la fase rivoluzionaria in atto. Non si tratta, come nel passato, di mettere sullo stesso piano i centri della macchina statale, anche perché ciò era il riflesso di una visione schematica dello Stato visto in una separatezza dei suoi apparati, cioè politici, burocratici e militari, a sua volta derivata da una visione semplificata e un po’ manualistica delle fasi rivoluzionarie che si succedono nella guerra di classe di lunga durata, ricondotte a due sole fasi principali: quella della propaganda e dell’organizzazione del capitale rivoluzionario sul terreno della lotta armata e il suo dispiegamento nella guerra civile. Ma, la pratica e, attraverso questa, l’esperienza acquisita dalle BR ha migliorato la comprensione della dinamica del succedersi della fasi rivoluzionarie ed ha permesso di ricollocare correttamente la funzione dello Stato il quale centralizza necessariamente in sede politica la funzionalità dei suoi apparati. Un dato approfondito ulteriormente negli attuali processi di rifunzionalizzazione. Per queste ragioni, l’attacco allo Stato, al suo cuore congiunturale va inteso nel giusto criterio affermatosi nella pratica come capacità di riferirsi alla centralità, selezione e calibramento nell’attacco. Di questo, la prima attiene fondamentalmente e in primo luogo alla capacità di individuare, all’interno della contraddizione dominante che oppone le classi, il progetto politico centrale della borghesia imperialista nella congiuntura al fine di disarticolarlo (sia pur in termini relativi), approfondendo i termini dello scontro a favore del proletariato; la seconda riguarda la capacità di individuare il personale che nel progetto politico assume una funzione di equilibrio fra le forze che tale progetto sostengono; il terzo è relativo alla capacità di calibrare il proprio attacco avendo chiaramente presenti sia il grado di approfondimento dello scontro (ad esempio anche in caso di arretramento il livello di intervento non può prescindere dal punto più alto di scontro assestato), che il grado di aggregazione/assestamento delle forze proletarie e rivoluzionarie, come pure lo stato dei rapporti di forza generali interni al paese in relazione agli equilibri internazionali tra imperialismo ed antimperialismo. Questo, il criterio che guida l’attacco e la scelta dell’obiettivo e che permette alla guerriglia di incidere adeguatamente nello scontro traendone il massimo del vantaggio politico e materiale. In ultima analisi si può affermare che questo criterio sarà determinante per molte fasi ancora dello scontro, poiché solo la fase della guerra civile dispiegata consente di attaccare contemporaneamente su più livelli la macchina statale.

Il rapporto rivoluzione/controrivoluzione nel suo procedere concreto è ciò che in primo luogo ha fatto chiarezza sulla non linearità del processo rivoluzionario. È a partire dal riadeguamento intrapreso dalle BR alle nuove condizioni dello scontro che è stato possibile avere maggiore chiarezza sulle fasi rivoluzionarie che si succedono, in quanto esse si definiscono non puramente in riferimento all’esito dello scontro materiale in una data congiuntura, ma in relazione ai salti di qualità nel complesso dello scontro tra le classi generato dallo stesso rapporto rivoluzione/controrivoluzione. In questo senso le fasi rivoluzionarie non sono predeterminabili a tavolino, ma si susseguono a seconda dell’esito della fase precedente in riferimento e in dialettica con i caratteri politici generali affermatisi nel rapporto fra le classi, in relazione alla situazione internazionale, che mutano nel complesso il quadro di scontro. E questo perché il carattere dello scontro rivoluzionario nelle metropoli è segnato dalla qualità politica della controrivoluzione preventiva e dalla forte integrazione della catena imperialista. In questo senso aver avuto la capacità di intraprendere la Ritirata Strategica ha significato gettare le basi per un ulteriore avanzamento nello sviluppo della guerra di classe di lunga durata. Nel complesso ha significato maturare una maggiore coscienza complessiva dell’andamento dello scontro rivoluzionario. L’apertura della Ritirata Strategica è ciò che ha permesso nel vico dello scontro di mantenere l’offensiva dando continuità alla prassi combattente della guerriglia, attraverso momenti qualificanti di ricentramento dell’attacco al cuore dello Stato e nell’attacco all’imperialismo, pur nel succedersi di avanzate e ritirate. La discontinuità, i veri e propri salti politici che si presentano nello scontro rivoluzionario, è una legge della guerra di classe nella metropoli. Questa legge deriva dai caratteri immanenti allo scontro nella metropoli all’interno dei quali opera la guerriglia. Il primo, e più importante, è dato dalla condizione di accerchiamento strategico, questa è una caratteristica peculiare della guerra di classe di lunga durata nella metropoli. Una guerra che, facendo riferimento reciproco ad un nemico assoluto, non ha per sua stessa definizione un fronte in gioco, c’è unicamente e precisamente il potere della classe dominante. La guerra di classe di lunga durata opera costantemente all’interno di rapporti di forza generali favorevoli alla borghesia e contro quel complesso reticolo politico determinato dalla controrivoluzione preventiva e, dunque, non potendo avere retrovie di alcun genere si trova ad operare in condizione di costante accerchiamento. L’altro carattere è dato dal fatto che solamente nello scontro stesso la guerriglia può costruire e disporre le sue forze le quali, non essendo precostituite, non possono essere ripartite a priori, ma è la stessa strategia che le crea e le rinnova in maniera non proporzionale o costante. In sintesi solo facendo la guerra di classe si può costruire l’esercito rivoluzionario. La guerriglia nella metropoli vive la condizione immanente di accerchiamento strategico, ma contemporaneamente, e questa è una legge generale della guerra rivoluzionaria, la borghesia imperialista non ha la possibilità di annientarla perché lo scontro stesso genera le sue nuove forze tra il proletariato, classe ineliminabile per la borghesia; mentre la guerriglia sviluppa un processo rivoluzionario che si alimenta e progredisce sull’annientamento della borghesia in quanto classe e del suo potere politico.

La comprensione di questo elemento è ciò che permette di individuare i possibili riadeguamenti all’interno delle singole fasi rivoluzionarie atti a mantenere l’offensiva al punto più alto ed a rispondere all’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione nelle condizioni di volta in volta mutate. In questo senso si comprende perché nell’attuale fase di Ricostruzione, che si sviluppa all’interno della Ritirata Strategica, l’attività rivoluzionaria è obbligata ad un continuo movimento di avanzate e ritirate, dato il livello di affinamento della risposta controrivoluzionaria e, su di un altro piano, per le condizioni politiche generali in cui si sviluppa lo scontro rivoluzionario. All’interno di una medesima fase rivoluzionaria a carattere generale maturano momenti politici congiunturali che comportano necessariamente una precisazione nella conduzione della guerra e della relativa disposizione/organizzazione delle forze in campo. Momenti congiunturali che, proprio per questo movimento e, per i tempi politici che li caratterizzano, possono definirsi vere e proprie fasi rivoluzionarie, qual è la fase di Ricostruzione. A questi attiene la capacità di applicazione della tattica come elemento dinamico della strategia, per cui possiamo affermare che la strategia definisce il carattere generale della disposizione delle forze sulla lotta armata da cui non si può prescindere, la tattica, informata dai criteri generali della strategia della lotta armata, precisa la direzione delle forze in riferimento agli obiettivi programmatici e di fase che di volta in volta si maturano. Alcuni esempi concreti possono chiarire questa affermazione. l’indirizzo di disposizione delle forze aperto dalla fase della Propaganda Armata, ha permesso di precisare il modo in cui si è radicata la necessità (l’idea forza) della lotta armata, ovvero gli obiettivi, i modi di intervento, la disposizione delle forze, hanno caratterizzato l’atteggiamento tattico di quella fase rivoluzionaria. Nella situazione attuale l’atteggiamento tattico è condizionato dalla fase generale di ritirata strategica, dagli obiettivi programmatici e dall’indirizzo di fase specifica di Ricostruzione delle forze, vale a dire del modo e del come si dispongono le forze intorno a questi termini.

Nel contesto della Ritirata Strategica, un periodo non quantificabile in anni, nel quale l’attività rivoluzionaria è prevalentemente tesa ad un ripiegamento delle forze, in modo da mantenere e rilanciare la capacità offensiva espressa dalla guerriglia, si precisa e si determina la fase di Ricostruzione delle forze proletarie e rivoluzionarie e di costruzione degli strumenti politico-organizzativi idonei ad attrezzare il campo proletario nello scontro contro lo Stato, con il fine di modificare i rapporti di forza attuali. L’organizzazione di classe sul terreno della lotta armata nella fase di Ricostruzione si sviluppa sul duplice piano di lavoro costruzione/formazione in modo da ricostruire nel tessuto di classe i termini politico-militari e di patrimonio della guerriglia per disporle adeguatamente nell’attuale fase rivoluzionaria. La fase di Ricostruzione è termine prioritario nel mutamento dei rapporti di forza tra campo proletario e Stato e si pone come un tassello fondamentale per la ricostruzione dei livelli politico-militari che costituiscono i termini di avanzamento della guerra di classe di lunga durata;

Un dato principale che si è definito come salto di qualità all’interno della Ritirata Strategica è la Centralizzazione di tutti i termini del lavoro politico. Ciò ha significato e significa un avanzamento nel processo di costruzione/fabbricazione del partito Comunista Combattente che si costruisce insieme alla costruzione dei termini politici e materiali della guerra di classe di lunga durata. La Centralizzazione, come dato politico è emersa nella pratica concreta a partire dalla constatazione che portare l’attacco allo Stato e, in generale, per collocarsi in termini idonei ai caratteri dello scontro interno ed internazionale, in questa fase della guerra di classe, comporta dispiegare intorno a ciò l’attività di costruzione-consolidamento dell’organizzazione di classe. La Centralizzazione dell’attività intesa nel suo complesso permette di muovere come un cuneo compatto nella medesima direzione le forze che si dispongono intorno alla Organizzazione, permettendo di assestare e riproporre nella disposizione idonea ai termini dello scontro che maturano, tutte le forze in campo. Centralizzazione significa centralizzazione delle direttive politiche sull’intero movimento delle forze, decentralizzazione delle responsabilità politiche alle diverse sedi e istanze organizzate, ciò per realizzare il massimo di responsabilizzazione delle forze su di un piano di lavoro, le cui caratteristiche politiche siano patrimonio di tutti, ma non interpretabili spontaneamente dai diversi livelli organizzati.

Questi termini programmatici che marciano sul terreno strategico dell’attacco al cuore dello Stato, in unità programmatica con l’attacco all’imperialismo, insieme alla costruzione del Fronte Combattente Antimperialista nella coscienza che la rivoluzione è internazionalista o non è, hanno verificato e sviluppato la capacità da parte delle BR di assolvere la funzione di direzione politico-militare dello scontro all’interno della proposta strategica della lotta armata a tutta la classe.

– Attaccare e disarticolare i progetti di rifunzionalizzazione dello Stato, che nella fase attuale evolvono verso una Seconda Repubblica!

– Attaccare e disarticolare i progetti guerrafondai della borghesia imperialista nostrana, che si attuano all’interno dell’alleanza imperialista!

– Organizzare i termini politico-militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata!

– Contribuire alla costruzione e al rafforzamento del Fronte Combattente Antimperialista nella nostra area geopolitica, per combattere i progetti dell’imperialismo sia sulla linea della coesione europea, sia nei progetti di guerra diretti dalla NATO che si dispiegano in questo momento sulla regione mediorientale-mediterranea e lungo l’asse dei paesi dell’Est europeo, ex-URSS in testa!

– Guerra alla guerra, guerra alla NATO!

– Rendiamo onore a tutti i rivoluzionari caduti combattendo contro l’imperialismo, al martire palestinese Mustafà-Al-Ikawi morto il 4/2/’92 per mano dei torturatori sionisti israeliani, senza cedere; ai militanti di Dev Sol caduti combattendo contro lo Stato turco; ai prigionieri di guerra massacrati nel carcere di Canto Grande a Lima!

Firenze, 21/5/1992

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli. I militanti rivoluzionari: Daniele Bencini, Marco Venturini

 

Note

(1) CSCE: Consiglio per la sicurezza e la cooperazione europea che raggruppa, oltre ai paesi NATO anche vari Stati che facevano parte del blocco sovietico.

(2) EFTA: (European Free Trade Association). Associazione europea di libero scambio costituitasi nel gennaio 1960 principalmente su iniziativa inglese in risposta alla creazione della CEE. Attualmente i suoi membri si sono ridotti a cinque Stati (Austria, Islanda, Norvegia, Svezia e Svizzera) più un membro associato (Finlandia), dopo l’uscita di Gran Bretagna e Danimarca che hanno aderito alla Comunità Europea dal 1° gennaio 1973.

Firenze, processo di primo grado “Lando Conti” – Ricordo di Carlo Pulcini di Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli, Daniele Bencini, Marco Venturini

Vogliamo qui ricordare il compagno Carlo Pulcini, militante comunista coerente, che ha saputo fare della sua vita un baluardo nella lotta contro la borghesia e l’imperialismo.

Lo ricordiamo operaio edile, avanguardia di classe nelle fortissime lotte che gli edili di Roma e provincia hanno sviluppato negli anni ’60 e ’70 contro il supersfruttamento che allora, come oggi, caratterizza questo settore. Avanguardia di quella classe operaia che in prima fila ha affrontato i governi più reazionari, dal governo Tambroni ai governi Moro.

Carlo si relaziona alla proposta della lotta armata fin dalla metà degli anni ’70, portando in essa il suo bagaglio di esperienze e di lotte, il suo impegno costante e progressivo.

La magistratura e le infami forze di repressione lo pongono nel loro mirino e vengono spiccati mandati di cattura nei suoi confronti. Viene catturato nel 1982 e processato per i fatti relativi alla “Fabrizio Pelli” di Salerno.

Sconterà quattro anni, ma appena fuori non aspetterà neppure un giorno per riallacciare le fila del suo lavoro rivoluzionario, collaborando attivamente al lavoro politico delle BR. Viene di nuovo catturato nel settembre ’88 e, da allora, in tutte le occasioni ha sempre rivendicato la sua attività di militante rivoluzionario interna al progetto della conquista del potere politico da parte del proletariato, tramite la strategia della lotta armata condotta dalle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.

Carlo possedeva il pregio delle avanguardie proletarie conseguenti, sapeva sempre da che parte stare, sapeva riconoscere la sua barricata senza la benché minima esitazione. Conosceva bene la controparte, conosceva bene il suo nemico, il nemico di tutti i proletari e sapeva individuarlo immediatamente per schierarsi e combattere con le armi in pugno.

Carlo è morto con l’onore di un combattente del proletariato, con l’onore di chi anche nei momenti difficili, nelle situazioni politicamente più delicate, davanti a problemi insormontabili, sa prendere decisioni sempre limpide e chiare. Un esempio per tutti noi e per la sua classe. Siamo orgogliosi che Carlo è stato uno di noi.

Onoriamo con lui i combattenti comunisti massacrati in questi giorni nel carcere di Canto Grande di Lima e i combattenti comunisti caduti in Turchia e in Kurdistan.

I militanti delle BR per la costruzione del PCC: Maria Cappello, Nino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli. I militanti rivoluzionari: Daniele Bencini, Marco Venturini

Firenze, 13/5/1992

Le minacce e i ricatti controrivoluzionari non intaccano la militanza dei prigionieri comunisti

Venerdì primo maggio mio fratello veniva fermato a Caserta da alcune auto. Invitato a scendere dalla propria macchina, con la quale stava facendo ritorno a casa dalla caserma dove sta facendo il servizio militare, veniva avvicinato da individui qualificatisi subito come esponenti del SISMI. I quali, in sintesi, gli facevano questo discorso: essendo io in carcere da alcuni anni e “senza prospettive”, lui avrebbe potuto “aiutarmi” mettendosi a loro disposizione. Il che significava informarli di quanto avviene in carcere e contattare ambiti di movimento (non precisati) per riferirne le attività. Al ricatto “soft” – evidentemente debole – (la prospettiva cioè di essere lui, con la sua decisione, ad “aprirmi o chiudermi la porta del carcere”) ne aggiungevano altri più espliciti: in caso di rifiuto avrebbe “passato un guaio”, cioè lo avrebbero fatto arrestare; e di ricordarsi di avere un fratello in prigione, dove loro avrebbero potuto intervenire a piacimento. E, senza mezzi termini, che se si fosse opposto alla loro “proposta” mi avrebbero “fatto la pelle”.

La decisione di rendere pubblico questo episodio si fonda sulla convinzione che esso vada al di là di un fatto che coinvolge me, direttamente o indirettamente (ché per questo la risposta sta semplicemente nella indisponibilità a subire la minaccia e il ricatto, mia come dei miei familiari). La convinzione che si tratti in sostanza di un ulteriore messaggio intimidatorio e deterrente rivolto al movimento di classe e rivoluzionario.

“Episodi” come questo sono del tutto interni al quadro che caratterizza la fase politica e lo scontro di classe in questo paese e, nelle modalità specifiche, evidenziano chiaramente i termini dell’iniziativa odierna dello Stato, in generale contro il movimento autonomo di classe e le sue avanguardie, e più specificamente contro la guerriglia.

È bene far chiarezza su questo, perché non si tratta affatto di residui delle “politiche d’emergenza”; e sarebbe a mio parere riduttivo vedere il loro raggio d’azione fermarsi ad attacchi episodici contro i comunisti e rivoluzionari prigionieri e le loro famiglie, o semplicemente ad atti intimidatori e provocatori contro l’attività di settori del movimento di resistenza di classe. Se ne coglierebbe “la parte, non il tutto”, e soprattutto diventerebbe inspiegabile la qualità e la pesantezza di tali operazioni.

Non basterebbe a cogliere, cioè, i dati di fondo che informano l’attività antiproletaria e controrivoluzionaria dello Stato in questa fase, in base al grado di approfondimento raggiunto dallo scontro, ai rapporti di forza materialmente conseguiti dallo Stato, e agli obiettivi politici generali perseguiti dalla borghesia. Dati che ben spiegano i mezzi che lo Stato sta mettendo in campo, a diversi livelli e su più piani, per incidere sulla qualità assunta dal processo rivoluzionario in Italia, per cui non è sufficiente “reprimere” il movimento di resistenza proletario, ma si tratta di attaccare e contrastare, in primo luogo, l’attività dell’avanguardia rivoluzionaria e la sua proposta politica alla classe: la strategia della lotta armata.

Negli ultimi anni assistiamo a particolari modalità di sviluppo dell’iniziativa statale contro il campo proletario e rivoluzionario. Un’iniziativa ad ampio raggio calibrata a seconda che ad essere attaccato sia il movimento autonomo, il movimento rivoluzionario o la guerriglia. Ma che comunque esprime un’unica sostanza: l’aggressione offensiva delle contraddizioni sociali e politiche.

L’offensiva generalizzata negli ultimi anni si esprime con attacchi alla classe e alle sue espressioni autonome, attraverso forzature politiche fino all’intervento direttamente “militare” nei punti caldi del conflitto sociale. Si esprime, ancora, con la criminalizzazione e l’intimidazione verso gli ambiti più maturi e combattivi dell’autonomia operaia e proletaria. In questo è evidente la continuità col processo di ridimensionamento e depotenziamento del peso politico della classe iniziato nei primi anni ’80. Un’offensiva che ha precisi caratteri per la necessità (a fronte dell’incombere di ineludibili scadenze interne e internazionali della borghesia imperialista) di piegare un proletariato mai pacificato completamente. Ma che ha al tempo stesso l’obiettivo, più propriamente controrivoluzionario, di incidere nel tessuto sociale, nell’ambito naturale di riproduzione delle avanguardie, di contrastare il loro potenziale collegamento col piano rivoluzionario. L’attacco è anche quindi più specificamente calibrato contro la proposta politica dell’avanguardia rivoluzionaria alla classe, per impedire che lo scontro si incanali sul piano offensivo, strategico, della lotta armata contro lo Stato, per il potere. Il solo piano che realmente può incidere nei rapporti di forza generali, ma soprattutto il solo che può dare risposta e prospettive alle aspirazioni politiche e sociali del proletariato, rappresentando la forma storicamente assunta dalla politica rivoluzionaria nei paesi a capitalismo maturo e, nello specifico contesto italiano, per un’alternativa proletaria e rivoluzionaria alla crisi della borghesia imperialista.

Lo Stato, al di là delle chiacchiere mistificatorie sul “superamento dell’emergenza”, di cui il ripiegamento del campo proletario e rivoluzionario avrebbe posto le condizioni, misura il suo piano controrivoluzionario sempre a partire dal livello raggiunto dalla dialettica rivoluzione/controrivoluzione. Così oggi fa pesare i rapporti di forza conseguiti per incalzare e incidere in questa dialettica, muovendo verso un ulteriore approfondimento della controrivoluzione preventiva, come parte integrante del modo in cui si predispone a modificare più complessivamente i termini di governo del conflitto. Che vuol dire poi ridefinire il modo in cui si esplica la sua funzione di mediazione politica tra le classi, che va a caratterizzarsi per il suo sostanziale irrigidimento. Questo è un dato strutturale nei paesi a capitalismo maturo, caratterizzando la forma-Stato atta a meglio garantire il dominio della borghesia imperialista in questa fase di crisi e sviluppo dell’imperialismo. Tale ridefinizione dei caratteri strutturali di gestione del conflitto, applicata al peculiare contesto italiano, è alla base del passaggio in corso verso una Seconda Repubblica, anticipandone i tratti marcatamente antiproletari e controrivoluzionari.

La qualità e modalità della politica antiproletaria e controrivoluzionaria sono dunque frutto, in ultima istanza, delle caratteristiche che sta assumendo il processo di ridefinizione dello Stato nel contesto del paese, che sta determinando una fase politica complessa e delicata, segnata da una accentuata instabilità.

– Da un lato la borghesia imperialista nostrana ha la necessità impellente (ancor più a ragione del livello raggiunto dalla crisi economica e dalle spinte che muovono l’imperialismo verso lo sbocco bellico, come unico mezzo per dare risoluzione alla propria crisi generale) di rimodernare e meglio funzionalizzare il proprio apparato istituzionale, per farlo rispondere alle attuali esigenze del grande capitale multinazionale e ai più generali interessi della catena imperialista, che richiedono una più forte coesione tra Stati e, tra l’altro, un maggior coinvolgimento dello Stato italiano nelle prospettive guerrafondaie imperialiste.

– Dall’altro, tale “ammodernamento” richiede, per parte borghese, un adeguamento del modo di esprimere il proprio dominio di classe. Un adattamento del modo in cui lo Stato opera la sua funzione di organo della dittatura borghese e mediazione del conflitto di classe, al livello richiesto. Ancor più perché le prospettive belliche impongono a ogni Stato di avere un territorio interno “pacificato”, un retroterra “stabile” da cui lanciare le proprie aggressioni contro altri paesi e popoli. Ed è qui che iniziano i problemi. Perché si tratta non di asettiche operazioni di ingegneria istituzionale studiate a tavolino e da applicare meccanicamente, ma di far passare le “riforme” necessarie su una materia sociale ben più viva: il proletariato.

L’obiettivo del rafforzamento dello Stato a spese delle classi subalterne, d’altra parte, non implica una svolta “fascista”. Se pur siamo in presenza per molti aspetti di caratteri che configurano una vera e propria restaurazione operata in vari campi della vita sociale e politica, la dittatura fascista sarebbe una soluzione antistorica e inadatta, non esprimendo la forma-Stato più adeguata a garantire il potere politico della borghesia imperialista nei paesi a capitalismo maturo, quale invece si è mostrata la moderna democrazia rappresentativa (che, sia chiaro, per parte proletaria non è che una forma di dittatura borghese). Si sta cercando invece di adattare e approfondire la democrazia rappresentativa, omogeneizzandola alle caratteristiche di fondo comuni delle altre democrazie occidentali. L’obiettivo è quello di accentrare ulteriormente i poteri nell’esecutivo, svincolandone le decisioni dalle spinte sociali (“blindandolo”, cioè, da influenze esterne), e di imbrigliare la classe nei reticoli e canali sempre più rigidi della democrazia “formale”. Definire così un quadro di istituzionalizzazione del conflitto, che per la classe significa subire gabbie sempre più soffocanti, senza la minima possibilità di incidere e far valere i propri interessi.

Il fallimento, quello sì reale e storico, dei partiti revisionisti nell’occidente capitalistico mostra d’altronde tutta l’illusione di poter cambiare la situazione delle classi subalterne dentro le “regole democratiche” stabilite. A parte l’incomprensione di fondo delle forme assunte dal dominio borghese nell’Europa del dopoguerra, con la funzione venuta a svolgere dalla controrivoluzione preventiva come parte stabile integrante delle modalità di governo del conflitto, il fallimento è risaltato chiaramente e si è consumato velocemente, man mano che si restringevano i margini economici e politici di riassorbimento delle contraddizioni sociali, per effetto dell’approfondirsi della crisi, svelando, senza più margini di dubbio (per chi ne avesse), che non vi sono spazi per un affrancamento politico e sociale della classe nella democrazia rappresentativa, ma che gli unici spazi permessi sono quelli connessi al quadro di interessi e compatibilità della borghesia imperialista. Si tratta di dati strutturali, connessi alla funzionalità delle moderne democrazie rappresentative e non di una “involuzione autoritaria”, né di un “nuovo fascismo”.

Cosa rivela allora l’attuale affrontamento aggressivo delle contraddizioni sociali, il ricorso all’armamentario terroristico, intimidatorio contro la classe operaia e proletaria, le sue avanguardie politiche e rivoluzionarie? Emergono due dati. Che esprimono al contempo elementi di forza e debolezza della borghesia imperialista “nostrana” in questa fase.

Da un lato vi sono i rapporti di forza conseguiti dallo Stato con la “controrivoluzione degli anni ’80”(i cui caratteri persistono) fatti gravare pesantemente nello scontro. Dentro questo vi è, tra l’altro, una versione aggiornata della “strategia della tensione” cui fanno ricorso gli apparati di “sicurezza” dello Stato. Una strategia cui lo Stato è ricorso diverse volte per frenare le richieste politiche e di potere della classe, e favorire svolte e nuovi equilibri politici interborghesi più adeguati a stabilizzare la situazione interna. Rinnovare questo utilizzo terroristico degli apparati di “sicurezza” ha un senso preciso nella difficile fase attuale per gravare nello scontro, ed evidenzia, tra l’altro, il senso attuale che hanno avuto le rivendicazioni dell’attività stragista dello Stato, fatta dalle più alte cariche istituzionali e dalla DC, partito responsabile al più alto grado del sangue operaio e proletario versato nelle piazze, nelle strade e nelle stazioni ferroviarie di questo paese.

D’altro lato si evince la situazione di difficoltà e debolezza reale entro cui la borghesia imperialista si muove, che risalta nel livello di crisi politico-istituzionale che la sta investendo. Questo perché l’esigenza e l’improrogabilità con cui deve mettere mano alle “riforme” dello Stato, si sono scontrate e si scontrano con un proletariato mai completamente pacificato dall’offensiva controrivoluzionaria a tutto campo degli anni ’80, mai “decapitato” del carattere antistituzionale, antistatuale e antimperialista delle sue espressioni più avanzate, che ne continua a rappresentare un dato costitutivo pur nelle condizioni di resistenza attuali. Resistenza che va a scontrarsi sul piano politico, principalmente, proprio con gli effetti suscitati dal processo di rifunzionalizzazione dello Stato, per la sua chiara impronta di classe; e sul piano capitale-lavoro contro le nuove relazioni industriali, di stampo neocorporativo, che dovrebbero ridimensionare il peso dell’organizzazione autonoma operaia e rendere il lavoro dipendente totalmente subalterno alle compatibilità capitalistiche. Ma non solo: soprattutto i progetti di “riforma” più avanzati hanno dovuto ripiegare per l’opposizione rivoluzionaria delle BR, la cui attività, innestandosi con le espressioni autonome più avanzate e combattive della classe, ha tra l’altro contribuito negli anni più duri a determinare il grado di tenuta del campo proletario e rivoluzionario.

Due piani, quelli che in sostanza informano i termini attuali della dialettica classe/Stato e rivoluzione/controrivoluzione, che esprimono nell’insieme la qualità politica raggiunta dallo scontro di classe e rivoluzionario in questo paese, cui la borghesia imperialista deve necessariamente riferirsi.

Così, è stata l’impossibilità di perseguire linearmente, “pacificamente” i progetti più graduali e articolati che, in via principale, ha determinato l’attuale livello di crisi politico-istituzionale, la situazione di stallo e l’acuirsi delle contraddizioni interborghesi.

Questa situazione ha imposto la necessità di abbandonare le velleità precedenti, e agire per “colpi di mano” sotto la diretta gestione dell’esecutivo, di gravare pesantemente nel vivo dello scontro, in mancanza di modifiche politico-istituzionali atte a mantenere la stabilità necessaria alle esigenze attuali della borghesia imperialista, per ottenere forzosamente quei momenti di relativa stabilità e gli equilibri politici possibili per avanzare verso la fase costituente del nuovo regime. “Colpi di mano” che si presentano oggi come la norma nella gestione delle contraddizioni sociali, prefigurando al tempo stesso i termini di governo del conflitto che ci riservano nella Seconda Repubblica.

Ecco dunque il contesto che muove, le origini e le finalità che vengono perseguite, nella fase attuale, con gli atti intimidatori e la criminalizzazione del movimento di classe; da che derivano e a che servono le mirate provocazioni e le misure deterrenti in funzione antiguerriglia, cosa nascondono le “campagne contro la criminalità”, copertura delle vere e proprie azioni criminali di Stato e dell’irrigidimento degli istituti e apparati preposti alla “sicurezza”, rivolti in ultima istanza contro il “nemico di classe interno”.

Dentro questo quadro, questa azione specifica si evidenzia per il perseguimento di alcuni obiettivi specifici. Nei fatti, oltre a veicolare, in generale, un messaggio deterrente, di forza e onnipotenza dello Stato, le minacce sono chiaramente dirette al movimento autonomo di classe, paventando infiltrazioni con lo scopo evidente di incuneare un clima di sospetto. Sono indirizzate quindi contro i militanti della guerriglia e rivoluzionari prigionieri, con l’obiettivo di fare pressione su di loro: non in quanto tali, ma perché hanno rifiutato e rifiutano di farsi strumento contro la lotta armata e il movimento rivoluzionario, non facendosi usare nei loro progetti di “soluzione politica”.

A questo scopo viene fatta pesare la condizione di ostaggi nelle mani dello Stato, secondo un copione noto, se pur adattato alla situazione e calibrato a specifiche finalità antiguerriglia. Va aggiunto che quanto più maturano tempi e condizioni politiche per l’apertura di una “fase costituente”, tanto più lo Stato aumenta la propria pressione sui prigionieri rivoluzionari per usarli contro l’avanguardia combattente in attività e l’intero movimento rivoluzionario, nell’illusione di poter inaugurare la Seconda Repubblica sotto il segno della “fine della lotta armata”, sancendo con una soluzione politica la fine di un “ciclo storico” e una ritrovata “pacificazione nazionale”.

Un’illusione questa rivelatasi tale già in passato non solo per l’indisponibilità tenace mostrata dalla classe a pagare i prezzi politici e materiali del processo di “riforma” dello Stato, come della crisi economica e delle scelte guerrafondaie dell’imperialismo. (Perché queste, crisi, guerra, supersfruttamento, sono le “soluzioni politiche” che si prospettano per il proletariato! Solo dentro le condizioni capestro dettate dalla borghesia imperialista sarà possibile ottenere “spazi politici” riconosciuti nel costituente regime!). Ma soprattutto per l’indisponibilità delle BR in attività di accettare la “resa”, rilanciando al contrario nello scontro la possibilità e la vitalità del processo rivoluzionario nel paese – di cui non una delle condizioni di fondo è venuta meno – e del ruolo strategico che in esso svolge la guerriglia, opzione offensiva e di potere della classe. Un ruolo risultato valorizzato, nonostante le campagne mistificatorie e al di là dei rapporti di forza del momento (che possono determinare ripiegamenti e stasi inevitabili in ogni processo rivoluzionario, e in particolare nello sviluppo fortemente discontinuo della guerra proletaria di lunga durata nelle metropoli). Avendo così sedimentato un solido e ineludibile patrimonio teorico-pratico, riferimento di ogni comunista e sincero proletario d’avanguardia, che voglia condurre al livello dovuto la lotta offensiva contro lo Stato e l’imperialismo.

Per concludere, è chiaro che i messaggi di deterrenza e forza lanciati dallo Stato sono frutto del livello di scontro e dei rapporti di forza dati; ma ne va svelata l’intrinseca debolezza, dovuta al quadro di crisi in cui si dibatte la borghesia imperialista e alle velleità che persegue. Perché non hanno di fronte, da piegare e annientare, la resistenza di singoli prigionieri, o di singole avanguardie politiche della classe, ma la ben più dura realtà dello scontro nel paese, la resistenza della classe e lo spessore politico, la maturità raggiunta dal processo rivoluzionario. Ed è questa realtà che, tra l’altro, rappresenta il pilastro più solido su cui si regge e si alimenta la difesa dell’identità politica dei comunisti in carcere.

Con questa convinzione di fondo, non ho, come dicevo, intenzione di fare considerazioni “personalistiche” del fatto (che ho raccontato) in sé.

Come militante comunista rivoluzionario ho solo da rivendicare la mia appartenenza al campo proletario e rivoluzionario, che lotta, in questo come in altri paesi, per il potere, in direzione del superamento della società divisa in classi, per l’affermazione degli interessi generali di rivoluzione sociale e progresso umano, di cui solo il proletariato rivoluzionario internazionale può farsi autentico portavoce in quest’epoca della storia umana.

Quindi ho da ribadire la mia collocazione specifica, come prigioniero, tra quei militanti rivoluzionari che sono indisponibili a farsi strumento contro la guerriglia e il movimento rivoluzionario, rifiutandosi di dialettizzarsi con i progetti di “soluzione politica” elaborati dall’antiguerriglia.

Infine intendo esprimere il pieno sostegno politico alle BR-PCC, all’impianto strategico e agli elementi di programma politico che ne caratterizzano l’attività nell’attuale fase.

 

Carcere di Carinola, 17 maggio 1992

 

Il militante rivoluzionario Stefano Scarabello

La “campana” non addomesticata dal carcere speciale di Voghera

Dopo aver visto in TV la “manifestazione teatrale” (è il caso di dirlo subito, nauseante!) presentata con grande ufficialità dall’amministrazione carceraria di Voghera che ha tirato fuori i suoi “gioielli di famiglia” in occasione del “santo Natale”, non ci possiamo esimere dal prendere la parola per dire la nostra a proposito del cosiddetto “Collettivo verde” e più in generale per quanto riguarda funzionalità e funzioni di questo “lazzaretto”. Lazzaretto considerato il “fiore all’occhiello” del ministero carcerario italiano sia per le sue strutture razionate in ingabbiamenti a compartimento stagno, sia per l’alta tecnologia elettronica centralizzata in stile americano e della quale si è dibattuto a lungo negli anni della sua inaugurazione.

Non era certo nostra intenzione polemizzare e/o tanto meno raccontare le reali contraddizioni che caratterizzano la gestione ed il trattamento in questo carcere, per il semplice fatto che diamo per scontato che all’esterno si conoscono e perché non sono la contraddizione principale del momento, esistendo situazioni peggiori come l’Asinara e Pianosa. Inoltre, non siamo interessati all’abbellimento delle galere con l’infioritura delle finestre per nascondere le sbarre, e tanto meno all’infiocchettatura delle pareti in “rosa” per addolcire il grigiore delle celle, in quanto restiamo fortemente convinti che le più belle galere sono quelle che si riuscirà a radere al suolo!

Ed invece, vista la “maestosità” e lo “sfarzo” in tutta la sua falsità che hanno rappresentato per l’“opinione pubblica” attraverso il Tg 3 regionale, e naturalmente grazie alla bontà dei suoi operatori attenti all’informazione spettacolo e di regime, ci preme dire la nostra verità per informare la moltitudine dei detenuti (e non detenuti!) che stanno ancora al di qua delle sbarre e delle reti alle finestre in quanto non si sono svenduti la loro identità ai dispensatori di “permessi premio”, delle “libertà da condizione”, degli “arresti a domicilio” ed altre truffe del genere che tutti conosciamo.

Ed allora, abbiamo preso la parola per far sapere a tutti che la realtà del funzionamento e trattamento dei prigionieri nel carcere di Voghera non è quella mandata in onda per più telegiornali dai solerti giornalisti del Tg 3 e raccontata col sorriso sornione da amministratori ed ex malavitosi rinsaviti…

E ci spieghiamo meglio.

  1. Il carcere di Voghera, dopo la riconversione in carcere maschile avvenuta negli anni scorsi, ha assunto l’immagine del “carcere di massima deterrenza” sia del circuito delle “carceri speciali” sia per le “normali”.
    Il primo periodo della sua “inaugurazione”, infatti, è stato molto “duro”. In pratica hanno rispettato la consegna che vuole l’uso del bastone all’apertura di un nuovo carcere, si sa bene a quale scopo… Fatto sta che i detenuti sono stati costretti a scendere in lotta facendo più di uno sciopero della fame per denunciare l’infame trattamento del tutto gratuito.
    Poi cominciarono le “visite” dei soliti politicanti garantisti del sistema e, tra un’“interrogazione” e l’altra al Ministro delle galere di turno, le violenze e le provocazioni finirono e il trattamento rientrò nella norma generale.
  1. Con la normalizzazione del trattamento si cominciarono ad aprire degli spazi di socialità interna, anche tra le sezioni, e questa mobilità si prestò al gioco di quello che poi si vedrà.
    Tra le varie iniziative che si prospettano fattibili alla direzione, viene fuori quella dell’Opera teatrale alla quale si dà credito. In poco tempo maturano le condizioni e si va a costituire un gruppo ampio di detenuti che si divertono a giocare a fare gli attori. Naturalmente la finalità della maggior parte di loro è quella di divertirsi contribuendo in questo modo ad allentare ulteriormente le tensioni, aprire ulteriori spazi di vivibilità, sfruttando naturalmente questi per i propri fini, ossia per cercare di ottenere quei “benefici di legge” promessi dalla magnanima “Riforma carceraria” del Gozzini. Ma ben presto le pie illusioni dei più si scontrano con quelle dei pochi che mirano più in “alto”…
  1. Come succede nelle “migliori galere”, c’è stato il solito gruppetto degli “attori veri”, i “più intelligenti e furbi”, che fa le sue “fughe in avanti”, socializza maggiormente col nemico credendo forse di “farlo fesso” usandolo per raggiungere i propri egoistici fini, senza capire, forse (?), che sta cascando nella trappola dei topi tesa da “marpioni” ben più furbi di loro… È un “giochetto” che in questi anni si è ripetuto spesso.
    Questo gruppetto sarebbero poi i “gioielli di famiglia” presentati a “Natale” come trofeo dalla Direzione di Voghera attraverso il Tg 3.
  1. È in questo contesto che viene creato il “Collettivo Verde”.
    Nella fase preparatoria le riunioni col personale civile e militare del carcere, come è facile immaginare, si intensificano. Intanto avviene la rottura con gli altri detenuti che non sono d’accordo di passare al di là del “guado”. Essi stilano documenti da far circolare nell’ambito del carcere cercando di mascherare con le parole ciò che avviene nei fatti. Ma trovano ben poche adesioni. Non gli resta che contarsi: non sono che una decina.
    Una volta contatisi e preso atto dell’opposizione della stragrande maggioranza dei detenuti all’iniziativa “verde”, non gli resta che chiedere di andare via dalla sezione speciale in quanto potrebbe diventare un rischio restare. Le riunioni con la Direzione e le massime autorità ministeriali sono all’ordine del giorno. Amato in persona gestisce l’operazione e ne cura i rapporti con i “personaggi” più rappresentativi. Sarà lui stesso ad illustrare alla stampa ed in TV i particolari della costituzione del “Collettivo Verde” e di quelle che sono le ragioni, i fini che si erano proposti. Sarà sempre lui a presentare all’“opinione pubblica” i “super-ergastolani, i super-killer, i super-irriducibili delle carceri”, ravveduti…
    Nel frattempo, una volta provata la loro fede al “nemico di una volta”, erano stati trasferiti dal Reparto Speciale in un’altra costruzione distaccata dal complesso, denominata la “casermetta”, poiché ne ha tutte le caratteristiche strutturali, tecniche ed organiche.
  1. A questo punto il “Ministero” dovrà dimostrare la sua buona volontà di dare fiducia agli affidabili. È ancora Amato a prendersi la responsabilità di dare ai suoi “gioielli” il massimo della credibilità. Così, in poco tempo, per dimostrare che fa sul serio, lanciando allo stesso tempo un messaggio a quanti sono rimasti al di qua se vogliono seguirli in quella strada, comincia a mandarli in “permesso” e, puntualmente, essi rientrano allo scadere del termine. Non ci può essere migliore dimostrazione della fedeltà verso l’“istituzione” e viceversa.
    C’è stata solo una piccola “macchia” all’inizio che ha rischiato di compromettere tutto. Infatti, un detenuto che non era nessun “personaggio”, per delle ragioni sue è mancato di qualche ora al rientro stabilito. Forse aveva perso un treno, visto che poi è rientrato e quindi non c’era la volontà di darsi alla latitanza. Ebbene, per questo poveraccio è stata la sua definitiva rovina! Oltre alla normale denuncia penale per il ritardo, come è tornato in “caserma” è stato letteralmente massacrato di botte dai suoi già ex soci e non dalle guardie come magari si poteva temere. Immediatamente è stato trasferito in un altro carcere speciale, per scontare le sue “colpe” ma più che altro per veicolare il messaggio del papà Amato che chi “manca” alla sua parola di “uomo d’onore” non avrà scampo! La sua vendetta, stando alle voci di chi l’ha conosciuto, pare sia un “piatto” che non si raffredda più.
  1. Da questa “area verde” di Voghera, vengono continuamente inviati messaggi in tutte le direzioni: in carcere alla ricerca di sottoscrittori dei loro programmi di abbrutimento, e fuori verso un’ “opinione pubblica” distratta dalla “disinformazione” perché li accolga a braccia aperte in quanto “personaggi ravveduti” e affidabili che il “carcere duro” ha educato…
    Ma nonostante ciò i sottoscrittori dei loro programmi di abbrutimento, stando ai numeri, sono pochi. Infatti, da quello che ci risulta, sono gli stessi più o meno di quando sono partiti. Ai soci fondatori se ne sono aggiunti un paio. Ma visto che non sono anonimi al pubblico riportiamo per esteso i loro nomi, certi di non commettere nessuna infamità. Questi sono: Andraus Vincenzo, Santo Tucci, Dirisio Claudio, Lattanzio Davide, Lattanzio Daniele, Russo Andrea, Rivellini Franco, Rossi Tonino, Sulas Roberto.
    Facciamo presente che insieme a questi, nella “casermetta”, ci hanno messo due combattenti rivoluzionari arabo-palestinesi i quali non hanno nulla da spartire con i programmi dei sopra citati personaggi e di Amato. I palestinesi sono stati assegnati d’ufficio dalla Direzione Generale di Roma filo-israeliana e sionista, per mantenerli isolati dai loro compagni e non farli comunicare tra di loro; per farli inoltre controllare da vicino da personale affidato, cercare di corromperli e farli arrendere, rinnegando la loro gloriosa causa rivoluzionaria contro il sionismo israeliano.
  1. Riepilogando per la cronaca, diciamo che questi signori del “Collettivo Verde” di Voghera vanno regolarmente in vacanza a casa, lavorano all’interno e all’esterno del carcere in quanto sconsegnati, si autogestiscono la carcerazione, hanno cucina, lavanderia ecc. autogestita, sono aperti dalla mattina alla sera in sezione, fanno i colloqui con i familiari in sala da pranzo, una volta la settimana si riuniscono con il personale civile e militare del carcere per discutere i “fatti degli altri”…
    Questi sono i “bravi” detenuti del carcere di Voghera per i quali c’è tutto.
    Dall’altra parte ci sono i “cattivi” detenuti del carcere di Voghera per i quali c’è solo la loro dignità.
  1. Noi, considerati i “cattivi” detenuti di Voghera, siamo divisi su tre sezioni speciali autonome. In pratica tre piccole carceri.
    Abbiamo il rigoroso divieto d’incontro con i detenuti delle altre sezioni, nonostante tra di noi non abbiamo avuto alcun motivo per non poterci incontrare. Ora le sezioni si moltiplicheranno. Infatti sono cominciati i lavori per dividere a metà ogni sezione in quanto da una parte ci dovranno stare i detenuti sottoposti all’art. 41 bis, e dall’altra chi ancora sta in lista d’attesa. Infatti ci vuole ben poco per essere classificati “ultrapericolosi”.
  1. Ogni sezione è composta da oltre 20 celle ma i detenuti sono circa una decina per sezione di cui la metà colpiti dal 41 bis.
    Questi detenuti con l’“aggravante” sono diventati “ultrapericolosi” dalla mattina alla sera. Per decreto! Senza che sia successo nulla che potesse giustificare un provvedimento repressivo del genere. Dalla mattina alla sera sono stati privati di tutto! Dal fornellino per riscaldarsi un bicchiere di latte ai colloqui con i familiari, alle telefonate mensili, alle ore d’aria, alla socialità. Quello che non è stato tolto definitivamente, è stato ridotto a metà. Mentre ai non interessati dal 41 bis è stato lasciato quel poco che avevano, e il tutto stando a pochi metri di distanza gli uni dagli altri. Infatti sono stati spostati solo all’altra estremità della sezione, però a noi è stato severamente vietato di passare loro anche solo un caffè. Questa è la vera strategia dell’individualizzazione del trattamento ideata da Amato e dai suoi soci.
  1. Con i prigionieri delle altre sezioni, se prima vi era la possibilità di incontrarsi in chiesa ed al campo sportivo per fare delle partite, possibilità raggiunte nel tempo, ora è stato definitivamente tolto tutto. Senza che sia successo nulla, lo ripetiamo.
    Però in questo carcere vige l’ideologia del “trescare”! Il sistema del controllo capillare del detenuto è fondato sul principio della costruzione delle “tresche”… Infatti, i divieti d’incontro tra soggetti che non hanno alcun motivo per essere privati dall’incontrarsi regolarmente, fanno nascere i sospetti che poi loro stessi, i dirigenti, alimentano, mettendo gli uni contro gli altri, alimentando voci di corridoio, distorcendo la realtà a piacimento di chi trama le tresche da dietro le quinte.
  1. Tra la primavera e l’estate ’92 è stata sostituita tutta la dirigenza. Dopo un lungo periodo di tergiversazioni dirigenziali, sono finalmente arrivati un direttore e un maresciallo comandante, che si dice siano definitivi, assegnati a questo carcere. Per un lungo periodo, tra l’inverno e la primavera, c’erano state delle “inchieste ministeriali” per accertare non si è capito bene quali infrazioni da parte della dirigenza precedente. Inchieste che hanno portato appunto alla sostituzione del personale dirigente.
    Questa nuova dirigenza, non appena insediata, ha cominciato a ritagliare degli spazi di vivibilità che si erano raggiunti con la gestione precedente e nel corso degli anni. Questa è stata la dimostrazione logica che il nuovo che hanno portato è quello di ritornare indietro al trattamento punitivo del periodo dell’apertura, come già detto. Il tutto è stato fatto per gradi, quasi temendo di disturbare la “quiete” dei detenuti. Ma nei fatti nessuno s’è meravigliato più di tanto finora. Però in futuro non si può garantire la stessa quiete, perché le misure restrittive stanno creando problemi ai familiari nei giorni del colloquio in quanto li stanno facendo aspettare fuori dai cancelli anche delle ore perché mancano le strutture necessarie per svolgere il servizio come lo intende la nuova dirigenza. Perciò, se il tutto rientra nella mentalità del “provocare” gratuitamente i familiari, è certo che non ci staremo.
  1. Altra contraddizione che vogliamo sottolineare è che nelle sezioni dei “cattivi” ci sono una gran parte di detenuti che stanno differenziati per motivi ridicoli e senza nessuna pericolosità oggettiva. Sono dei detenuti certamente antagonisti, che nelle carceri “normali” hanno lottato per avere il diritto alla saponetta, il diritto di mangiare cibi mangiabili, di avere l’assistenza medica ecc. ecc. Per punizione contro le loro legittime richieste sono stati mandati al carcere di massima deterrenza di Voghera.
    Altri ce ne sono che sono anni che si fanno la loro galera, che non hanno denunce né rapporti di punizione, che hanno pene irrisorie da scontare, eppure non vengono declassificati come si dovrebbe. Ci si chiede a chi giova mantenere fermo questo stato di cose.
    L’altro fatto giusto da denunciare, ma che rientra nella mentalità tragediografa vogherese, è il comportamento padronale del personale civile preposto alla cosiddetta “assistenza sociale”, che occupa il tempo con i “buoni” e non si preoccupa minimamente di chiamare anche quella parte dei “cattivi” che non hanno rinunciato alla libertà e che sono nelle condizioni di poter usufruire dei “benefici di legge”, che spettano a chi ha le carte in regola pur non essendo infame e/o confidente della direzione ecc.
    Queste figure, pur presenti nel carcere, svolgono un ruolo di supporto degli ideologi del “trescare”.
    Per curiosità bisognerebbe sapere anche cosa scriveranno nelle cartelle biografiche di ciascun detenuto quando le presentano per esempio al magistrato di sorveglianza, al ministero, ai carabinieri, ecc. ecc., per descrivere la personalità del detenuto “cattivo”… Con questo naturalmente non si pretende di diventare “buoni” alla maniera dei “verdi”, ma al contrario si vuole scoprire il marcio che c’è al carcere di Voghera per evitare di esserne contagiati.

Un gruppo di detenuti del carcere speciale di Voghera

Voghera, 1992

«In una società in cui sussistono le classi, la lotta di classe non può finire»

Documento di Carla Biano allegato agli atti del processo in Corte d’Assise d’Appello di Firenze

Come militante rivoluzionaria prigioniera, intendo ribadire il mio rapporto con questa “giustizia”, espressione del potere della borghesia e, nel contempo, riaffermare il carattere della prassi rivoluzionaria.

Questa posizione quindi non può che rispecchiare il rapporto esistente tra il proletariato e la guerriglia nei confronti dello Stato. Guerriglia che in Italia, nel processo rivoluzionario condotto dalle Brigate Rosse, fa del piano classe/Stato e del piano internazionale inserito nella proposta di costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista, i due ambiti di intervento su cui agire, in stretta dialettica con le istanze proletarie e rivoluzionarie volte all’abbattimento di questo stato di cose.

Ogni singolo paese della catena imperialista ha caratteristiche, contraddizioni, dinamiche politiche proprie pur mantenendo una politica conforme ai dettami ed alla logica imperialisti.

L’Italia è parte integrante del progetto imperialista di dominio globale; progetto nel quale l’Europa, centro della ridefinizione degli equilibri internazionali, si colloca come protagonista con un sistema politico, economico e militare nuovi. Per essere parte attiva ed inserito a pieno titolo nelle nuove dinamiche internazionali che tendono alla ridefinizione del “Nuovo Ordine Mondiale”, lo Stato italiano necessita di far fronte ad una forte crisi interna; crisi che scarica i pesanti costi economici e sociali sul proletariato.

L’accordo sul costo del lavoro del 31 luglio siglato da governo, sindacati e confindustria con cui si sanciva la soppressione della scala mobile, il blocco della contrattazione aziendale e dei contratti del pubblico impiego, fino ad arrivare all’estesa manovra economica con i tagli alla sanità, alle pensioni, all’occupazione, al diritto allo studio, ai servizi, ecc., sono il prezzo che lo Stato imperialista impone per cercare di uscire da una forte crisi interna, di carattere economico e politico, e di integrarsi nel sistema politico, economico europeo.

Ai costi della crisi, agli effetti della riforma dei poteri dello Stato, fa fronte un’ampia resistenza operaia e proletaria, un’ampia conflittualità politica e sociale che si esprime con forme di lotta e di organizzazione che attraversano molteplici settori di classe; lotte che sono qualificate da una forte critica ai sindacati di regime che hanno perso ogni credibilità e legittimità da parte dei lavoratori.

Le espressioni di forte preoccupazione con cui il governo è attento al montare delle mobilitazioni, sono la necessità e la pretesa di reprimere e frenare preventivamente l’esplosione, l’espandersi di un conflitto sociale causato dalle politiche forcaiole della borghesia tendenti ad operare una pacificazione forzata e ad imbavagliare le tensioni politiche e sociali che si producono, con interventi orientati all’azzeramento delle precedenti conquiste operaie e proletarie frutto di vent’anni di lotte, dentro un clima di criminalizzazione diffuso e di attacco alle lotte. Da qui l’attacco e la criminalizzazione di qualsiasi forma di antagonismo all’operato del governo, che interviene con metodi terroristici contro i processi di aggregazione autonoma, tentando di risolvere i problemi posti dalla crisi attraverso intimidazioni, all’interno di un attacco ampio che si avvale di metodi di controguerriglia come tattica preventiva per sgonfiare, scomporre il montare delle istanze di lotta, puntando a racchiudere, trattenere le istanze antagoniste che si producono sul campo proletario.

In sintesi, gli apparati dello Stato pongono in essere il piano antiguerriglia capovolgendolo, rivolgendolo sull’intero campo proletario ed antagonista, con finalità di deterrenza e criminalizzazione di ogni antagonismo. In questo contesto va inserita la campagna contro la criminalità, dalla militarizzazione del territorio, alla riapertura di Pianosa e dell’Asinara, ai trasferimenti di numerosi prigionieri nei carceri a circuito speciale, al liberticida “decreto antimafia”. Tutto per oscurare, nascondere la vera campagna criminale, cioè quella che sta portando avanti l’esecutivo contro la classe: precettazioni, blitz militari nelle università, negazione del diritto di sciopero, chiusura di spazi di agibilità fisici e politici, ecc.

Viene usato ogni mezzo per convergere, far rifluire il movimento di classe nell’associazione delle rappresentanze istituzionali, con strumenti che vertono sia al contenimento, ingabbiamento delle spinte della lotta di classe, sia al loro convogliamento nei meccanismi della democrazia rappresentativa.

In tutto ciò si sente sempre più la necessità di consolidare e rafforzare l’unità di classe su contenuti proletari e rivoluzionari.

Questa fase di crisi economica e politica della borghesia costituisce sempre più la condizione concreta favorevole alla ripresa dell’offensiva di classe, apre un ulteriore spazio alla prassi rivoluzionaria e la lotta armata preserva in toto la sua validità.

Lo Stato è il risultato dell’inconciliabilità di interessi fra due classi in totale opposizione e la strategia della lotta armata, inserita in un processo rivoluzionario basato sullo sviluppo della guerra di classe di lunga durata, è la sola strategia attuabile, possibile nell’attuale sviluppo imperialista, in quanto è l’azione offensiva della guerriglia la sola possibilità di fare arretrare i piani fondamentali, vitali dello Stato mirati al suo rafforzamento.

La guerriglia, oggi, è il terreno primario dell’organizzazione di classe, costruita nel rapporto classe/Stato, che qualifica lo scontro acquisito sul piano rivoluzionario basato sull’approfondimento del rapporto classe/Stato, rivoluzione/controrivoluzione, proletariato internazionale/borghesia imperialista. Certo, c’è stata e c’è discontinuità nello scontro, è normale in ogni processo rivoluzionario; una strada che si apre è sempre ingombra di pietre che scorticano i piedi, rallentano il passo ma non ne arrestano la marcia.

Il processo rivoluzionario, affermatosi e radicatosi in Italia con vent’anni di attività politico-militare della guerriglia, ha sempre avuto carattere antimperialista e internazionalista; carattere che si è attestato e verificato nella prassi concreta.

Uno dei cardini principali su cui, negli anni ’80, si sono collocati il programma, il lavoro politico-militare delle organizzazioni rivoluzionarie, della guerriglia in Europa Occidentale, è stato l’opera di costruzione di una strategia unitaria antimperialista. Gli accordi dell’85 AD-RAF e più tardi RAF-BR nell’88 con il testo comune concretizzatosi con l’azione della RAF contro Tietmeyer, hanno avviato il processo di sviluppo di una prassi unitaria antimperialista che vive nella proposta del Fronte.

Processo questo ancora più determinante oggi dove l’imperialismo, da una parte, è sottoposto ad una sempre più acuta e pressante crisi ormai strutturale, congiunturale ed irreversibile, dall’altra tende sempre più a rafforzare il proprio dominio, la propria supremazia su territori sempre più vasti, con regole ferree dettate dalla violenza, dalla ineguaglianza.

La tendenza imperialista alla guerra è dovuta in larga parte alla crisi di un sistema economico e politico che deve ricorrere alla forza militare, all’annientamento, per sopravvivere. A riprova di questo sono gli USA che, in piena recessione economica, con una profonda crisi interna, tendono sempre più ad uno scontro bellico per ribadire, riconfermare con forza il loro potere egemonico sulla catena imperialista stessa. Un esempio per tutti, l’aggressione all’Iraq, dove l’Europa Occidentale ha dimostrato, da un lato, un’operatività, un’efficacia politico-militare nuova con la quale valersi per un’influenza più determinante ed incisiva sulle scelte future, d’altro lato, con il suo allineamento alle direttive USA, che i processi di congruenza europei sono interni al rafforzamento dell’alleanza e riconfermano il ruolo di leadership statunitense.

L’aggressione imperialista all’Iraq è stata la scusa, il cavillo per affermare il controllo a livello politico, economico e militare di un’area di importanza strategica sia per il controllo delle rotte tra i continenti che per le risorse energetiche e finanziarie mondiali; inoltre doveva servire come mezzo di deterrenza nei confronti dei popoli arabi che lottano per liberarsi dal giogo imperialista-sionista ed imporre così la tanto auspicata pax imperialista.

Sia l’aggressione al popolo iracheno che il conseguente monito ai popoli arabi, continuano oggi in modo sempre più pressante e criminale. L’embargo, le continue provocazioni, la divisione dell’Iraq in tre parti, rientrano nel disegno delle grandi potenze imperialiste di dissolvere, annientare tutti quei paesi sui quali non riescono ad avere il controllo.

La regolamentazione imperialista dell’area, nei propositi occidentali, vorrebbe l’entità sionista come tutore della stabilizzazione e sicurezza, sottoponendo a questo ruolo soluzioni politiche del conflitto arabo/sionista/palestinese.

La “conferenza di pace” rientra tutta in questo progetto; da un lato si tenta di delegittimare la lotta del popolo palestinese, portando sul tavolo imperialista, strappandola dalle strade dove è nata e vive, l’Intifada, dall’altro lato si tende al riconoscimento di “Israele” da parte dei paesi arabi. Riconoscimento che sancirebbe la presenza, l’egemonia, il controllo sulla vita dei popoli arabi, della piovra imperialista, USA in testa.

Ma la “pax” auspicata dall’imperialismo è ben lontana dall’essere realizzata e sempre valido è l’insegnamento di Che Guevara: «la coesistenza pacifica tra nazioni non comporta la coesistenza tra sfruttatori e sfruttati, tra oppressori ed oppressi». I massacri che il popolo palestinese ha subito lungo tutta la sua storia non hanno spezzato, azzerato la sua identità, come ne sono segno la sua forte determinazione, la vitalità dell’Intifada, la resistenza del popolo arabo, l’incisività delle sue avanguardie.

La tanto sbandierata collaborazione fra i popoli con cui l’imperialismo tenta di fare perno per imporre la propria pacificazione, il proprio “ordine”, non è altro che affamamento per milioni di proletari. Sulla “caduta” del muro di Berlino, sulla “guerra del Golfo”, sulla rovina economica, sociale e politica dell’URSS, sulla crisi yugoslava, si inscrive il “Nuovo Ordine Mondiale”, imposto attraverso la sottomissione dell’uomo ai tornaconti del capitale, in quanto è la società capitalista che oggettivizza l’individuo e, nella persona, soggettivizza la cosa; è la società capitalista che riduce il tutto a feticcio merce.

Venti di resistenza ed opposizione all’indifferenza, alla discriminazione, all’ineguaglianza, allo sfruttamento prodotti dall’imperialismo per i suoi profitti, soffiano sempre più forti in ogni parte del mondo. La rivolta di Los Angeles come le ampie mobilitazioni in Grecia, Spagna, Italia, Francia, Inghilterra, ecc., dimostrano che gli operai, i proletari, non accettano e non sono disposti ad essere merce di scambio per la realizzazione del “Nuovo Ordine Mondiale” decretato dai “grandi” della terra.

Già dall’aggressione all’Iraq si è visto che i progetti guerrafondai dell’imperialismo hanno trovato sulla loro strada una forte e determinata mobilitazione proletaria e combattente al Centro come nella Periferia, sintomo di un rinnovato internazionalismo proletario che ha posto in primo piano, nella prassi, il terreno unificante tra i processi rivoluzionari della Periferia, e la guerra di classe nella metropoli imperialista, dimostrando che esiste un elevato livello di unità tra i vari processi rivoluzionari.

Da qui la possibilità concreta di ricostruire prassi rivoluzionaria e di operare fattivamente alla proposta di costruzione-consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista nell’area geopolitica Europa Occidentale, Mediterraneo, Medio Oriente; Fronte Combattente Antimperialista inteso come processo che verte verso la costruzione di successivi momenti di unità, che pone le basi per una effettiva politica di alleanze tra le forze rivoluzionarie di tutta l’area geopolitica.

È in questo intreccio che si esprime l’attività del processo rivoluzionario condotto, in Italia, dalla guerriglia, dalle Brigate Rosse; attività che ha conseguito piena legittimità, validità in vent’anni di prassi rivoluzionaria.

È in riferimento a questo processo rivoluzionario, alla guerriglia con il suo patrimonio storico, che si colloca la mia esperienza politica e la mia identità di militante rivoluzionaria.

Con tutto ciò intendo confermare, come militante rivoluzionaria prigioniera, il mio atteggiamento davanti a questo tribunale al quale non riconosco alcuna legittimità ed autorità.

– Attaccare le politiche, i progetti antiproletari e controrivoluzionari dello Stato volti al rafforzamento del suo potere.

– Lavorare alla costruzione-consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista.

– A fianco del popolo palestinese nella lotta contro il sionismo.

– Onore a tutti i rivoluzionari caduti combattendo nella lotta per il comunismo.

Firenze, 5 novembre 1992

La militante rivoluzionaria prigioniera Biano Carla

Fonte: senza censura.org

Firenze, processo alla Brigata “Luca Mantini” – Documento di Maria Cappello e Fabio Ravalli allegato agli atti all’udienza del GIP

Le dinamiche della crisi di sovrapproduzione di capitali e, sul piano politico la rottura degli equilibri Est/Ovest in un approfondimento della tendenza alla guerra, sono i fattori oggettivi che impongono ai singoli Stati a capitalismo avanzato di misurarsi e dare risposte adeguate al procedere della crisi economica stessa e all’incalzare delle spinte guerrafondaie che, nel contesto internazionale, si sviluppano con sempre più gravi e concreti eventi bellici; ciò anche per ritagliarsi la migliore posizione possibile all’interno dei processi d’integrazione economica, politica e relativa gerarchizzazione della catena imperialista. Un contesto internazionale che accelera e influenza in parte i caratteri della stessa ridefinizione della mediazione politica fra le classi, avviata da tempo in Italia attraverso il processo di rifunzionalizzazione dello Stato per renderlo in primo luogo idoneo agli attuali livelli d crisi/sviluppo dell’imperialismo e ai corrispettivi termini di governo del conflitto di classe.

Questo movimento rende evidente il grado di crisi politica in cui si dibatte la borghesia imperialista nostrana. Il processo di “riforma dello Stato” costituisce quindi, anche in questa fase, la contraddizione politica dominante che oppone la classe allo Stato, più precisamente oggi entra nella sua piena fase di concretizzazione possibile, ampiamente accelerata dal precipitare della crisi a livello internazionale. Una accelerazione di carattere contradditorio ai fini della stessa rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti dello Stato, per le misure economiche e politiche che si impongono alla stessa frazione dominante di borghesia imperialista che lasciano ben pochi margini di manovra, i quali si riflettono in misure e strappi istituzionali di carattere autoritario mal governati e di breve respiro, che di fatto ritardano la realizzazione degli equilibri politici di governo idonei al varo di un disegno organico nella rifunzionalizzazione dello Stato.

Un processo questo, che nel corso degli ultimi anni ha maturato attraverso forzature laceranti nelle relazioni fra le classi (la controrivoluzione degli anni ’80 e i patti neocorporativi) la condizione politica di base per stabilizzare metodi di governo ed esecutivi sufficientemente stabili nell’esercizio dei loro poteri, pur in presenza di labili equilibri politici nelle relazioni fra le classi che nello stesso governo. È intorno al modo di governare il paese che sono stati definiti sostanziali passaggi nell’esecutivizzazione e verticalizzazione dei poteri, in cui l’accentramento dei poteri nell’Esecutivo si è rivelato come l’aspetto fondamentale delle riformulazioni indotte dalla stessa pratica di governo dei “fatti compiuti” portata avanti in questi anni da diversi esecutivi che si sono succeduti nella guida del paese. L’accentramento dei poteri nell’Esecutivo è nei fatti l’asse politico su cui ruotano le possibili risoluzioni, su un rinnovato piano formale, degli strappi istituzionali, in parte verificatisi per paradosso dagli effetti di questa stessa dinamica politica accentratrice, a sua volta derivata dall’incapacità di saldare e stabilizzare quegli equilibri politici e di forza dei rapporti tra le classi sul piano istituzionale, nonostante il ricorso a politiche di contenimento del conflitto di classe di carattere marcatamente controrivoluzionario e antiproletario, riflesso evidente della debolezza e crisi politica in cui verso la borghesia imperialista nostrana. Ciò è dovuto anche alla combattività della classe operaia ed all’attività delle Brigate Rosse che colpendo di volta in volta il personale più significativo nel sostenere l’equilibrio politico funzionale alla realizzazione di un dato progetto borghese, lo ha fatto puntualmente arretrare.

La dinamica politica prodotta dalle contraddizioni economiche e sociali si traduce in scelte politiche indirizzate ad un irrigidimento complessivo della mediazione politica, ad una contraddittoria erosione dei suoi margini anche in riferimento agli assi costituzionali della democrazia borghese, per ricercare quella che con aggettivo apologetico viene chiamata, dai propri fautori, “democrazia governante”. O meglio, capacità di decidere sulle questioni fondamentali senza dover incappare negli orpelli istituzionali che formalmente rappresentano la dialettica democratica nell’ambito della costituzione italiana. Un processo politico e una linea di indirizzo della borghesia imperialista che pur trovando sviluppo concreto dall’esigenza dell’attuale crisi congiunturale rappresenta per essa uno sviluppo della propria “democrazia”, delle sue forme di dominio, nel rafforzamento della sua dittatura di classe.

Il ruolo dei partiti resta fondamentale a dispetto della campagna demagogica in corso contro la “partitocrazia”, la quale risponde alla duplice esigenza di rifunzionalizzare i partiti alle nuove esigenze democratico borghese ed alla gestione di massa e populista a favore della cosiddetta “democrazia governante”. L’attuale campagna “moralizzatrice” ha le sue esclusive ragioni nel consenso forzoso verso un diverso rapporto con gli enti locali dettato dalla necessità di centralizzazione dei bilanci e, come già detto, verso metodi di governo fortemente centralizzati.

Ecco la voglia di cambiamento della borghesia imperialista!, ben rappresentata dall’attuale Esecutivo Amato che, al di là del ruolo tragicomico che egli si è costruito con il suo personale stile dirigista e interventista, in una continua drammatizzazione proporzionale all’inconcludenza dei “grandi disegni” di cui si proclama portatore (in questo specchio fedele della crisi politica della classe che rappresenta), è l’Esecutivo chiamato a tentare di portare a compimento quel processo di centralizzazione effettiva, con sanzione formale, dei suoi poteri rispetto agli attuali assetti istituzionali dello Stato e in principal modo verso il governo del conflitto di classe. Una sanzione formale che nell’intento dovrebbe essere realizzata con nuove regole elettorali, a questo fine la ricerca di stabili equilibri politici fra i partiti attraverso la Commissione De Mita.

L’obiettivo tanto auspicato dalla borghesia imperialista, quanto nella realtà utopico, è quello di sganciare l’azione di governo dalle contraddizioni prodotte dal conflitto di classe. Nella realtà questo obiettivo ha il suo limite nel suo stesso procedere, se per un verso il suo ambito d’azione ha una relativa linearità finché si svolge al’interno dei poteri formali dello Stato, per l’altro manifesta l’impossibilità di “istituzionalizzare” il conflitto di classe. Questo perché la sua istituzionalizzazione deriva dai rapporti di forza reali fra le classi perciò è il prodotto delle risultanze possibili e non di quelle prospettate e sempre in termini relativi. La momentanea stabilità realizzata nell’azione di governo non fa che riprodurre e ampliare le contraddizioni di classe preesistenti, solo formalmente accantonate, ma nella realtà solamente irreggimentate all’interno di regole saldamente in mano alla borghesia imperialista. In questo, in ultima istanza, si risolve la rifunzionalizzazione dello Stato in atto. Il Consiglio dei Ministri ristretto che funziona come organo decisionale attraverso l’ormai regola ordinaria dei decreti legge e il ricorso alla fiducia, sono la procedura con la quale vengono rifunzionalizzate le competenze e il ruolo del Parlamento intorno alle prerogative ed ai poteri dell’Esecutivo.

Le richieste di attribuzione di poteri eccezionali per decretare sulle principali questioni attinenti alla vita del paese, se da un lato dimostrano l’arroganza politica della “richiesta” in sé e, nei fatti, la debolezza politica della repubblica parlamentare, dall’altro sostanzialmente manifesta lo stato di necessità, per proprie contraddizioni, in cui operano le scelte della borghesia e del suo Stato, e i livelli di attribuzione dei poteri assestati nell’esecutivo che, per come vengono esercitati, rompono gli ultimi “legacci” istituzionali e costituzionali propri del funzionamento della Prima Repubblica. Alla concentrazione dei poteri nell’Esecutivo viene attribuito un potere taumaturgico nei confronti della crisi in cui versa la borghesia imperialista in presenza di fragili equilibri politici fra le classi, un’unica risposta che la borghesia ha per avere ampi margini istituzionali di manovra per dare corso ai propri programmi. Un operato inserito nel più generale processo di superamento della strutturazione costituzionale dello Stato affermatosi dal dopoguerra ad oggi. Un processo in atto che si sviluppa su tutti i piani delle relazioni fra le classi e procede attraverso strappi progressivi e riassetto degli organi istituzionali preposti, strappi e riassestamenti che riflettono le condizioni politiche e materiali nei rapporti di forza tra le classi, da cui questo stesso processo in ultima istanza deriva. Sul piano politico-istituzionale è evidente lo squilibrio tra accentramento dei poteri nell’Esecutivo e la difficoltà di riformulazione e funzionamento degli strumenti della democrazia rappresentativa e il contrasto tra rappresentanze istituzionali, sedi politiche preposte e conflitto reale nel paese.

Per cui il perseguimento della rottura degli assetti della Prima Repubblica non può che avvenire parallelamente alla sostanziale ricerca di modifica delle relazioni politiche fra le classi per ricollocarle sul piano formale in maniera funzionale alle esigenze attuali della borghesia imperialista, cioè avere la possibilità di assestare le forme del potere e gli assetti istituzionali che evolvono verso la nascita di una Seconda repubblica.

In questo senso ben si colloca il recente accordo triangolare sul costo del lavoro, e non solo per la decurtazione del salario, ma soprattutto per le implicazioni politiche che tale misura d’imperio provoca nelle relazioni fra le classi. Per parte della CGIL rappresenta il naturale sbocco della stagione di collaborazione sancita con la “svolta dell’EUR” e su questa linea corona la sua corporativizzazione, perciò non vi è nessuna variazione d sostanza nella politica sindacale. Gli stretti margini di manovra sindacale che questa linea ha provocato è un problema di legittimazione per la CGIL, che però non inficia affatto le scelte operate, ampiamente compensate dal ruolo di apparato burocratico che si è “ritagliata”. Di ben altro tenore è invece l’impatto politico sulla classe e di riflesso nella vita politica del paese, poiché le misure del 31 luglio si distanziano dai numerosi “accordi capestro”, pur inserendosi nel medesimo solco, rappresentando un ulteriore avanzamento dei famigerati Patti Neocorporativi. Queste misure rappresentano il tentativo di sancire lo Stato neocorportativo. Il quale sulla base tutta formale di una delega presunta dalle stesse regole della democrazia rappresentativa e non da soggetti reali aspira a marginalizzare dalla vita politica la parte sociale più significativa della società la Classe Operaia, la classe produttiva per eccellenza sulla quale pesa l’onere dell’economia capitalista e della reale ricchezza prodotta così da legare la parte viva del lavoro a pura variabile del capitale e piegarla alle sue esigenze di “risanamento economico”. Quindi il nocciolo politico dell’accordo di luglio risiede nel tentativo di incidere sulla base reale delle relazioni fra le classi e in questa direzione è premessa indispensabile ai poteri eccezionali “richiesti”.

Sul piano economico tale accordo è la spina dorsale delle politiche recessive adottate dal governo, in quanto le politiche monetarie sono solo dei correttivi artificiosi che non incidono affatto sulla natura della crisi e anzi si traducono in movimenti speculativi con risultati opposti a quelli auspicati. Un accordo quello di luglio che è pienamente inserito nelle politiche di bilancio le quali mirano ad un impoverimento generalizzato così da generare un abbassamento drastico del salario reale, per poter sostenere la concorrenza intermonopolistica e in particolare quella intereuropea. Il fatto che l’economia capitalista mostri chiaramente di scivolare sempre più nella depressione economica e che gli accordi sovranazionali e i correttivi messi in campo mostrino la loro inconcludenza, evidenzia come i sacrifici richiesti siano fini a se stessi data l’impossibilità da parte borghese di riuscire con strumenti “ordinari” a far fronte alla propria crisi che spinge inevitabilmente verso lo sbocco bellico come risoluzione ultima della sovrapproduzione di capitali.

Queste politiche economiche e politiche istituzionali collocate in un contesto internazionale che marcia oggettivamente e soggettivamente verso lo scatenamento bellico, vengono puntellate e sostenute dalle cosiddette “emergenze”, vere e proprie politiche mirate a costituire il collante ideologico e a favorire l’irreggimentazione della mediazione politica. Il ricorso “all’emergenza” dell’ordine pubblico (oggi chiamato “criminalità”) è una costante nel rapporto con il proletariato da parte della borghesia nelle diverse fasi di transizione che hanno caratterizzato la ricerca della governabilità e della “stabilità democratica” in Italia, basti ricordare l’adozione della politica delle stragi caratterizzante l’evolversi della Prima Repubblica.

Il dato nuovo che oggi emerge nella adozione di tale politica è che essa svolge la sua azione in riferimento ad obiettivi che travalicano in parte la stretta relazione con la classe. Obiettivi di carattere più generale che rispondono a quel quadro di interessi dominanti della borghesia imperialista come la costituzione di monopoli intereuropei e il ruolo geostrategico assegnato allo Stato italiano e in parte anche conquistato rispetto al progredire di fattivi eventi bellici degli organismi politico-militari della NATO e UEO. Esemplificativo in questa direzione è stato il passaggio tutto politico di assegnazione ai militari di funzioni di “Polizia Giudiziaria” e di ordine pubblico, un dato che oltre a modificare il ruolo delle Forze Armate dettato dalla costituzione per quanto marginale, è un aperto strappo nelle relazioni con la classe il cui portato politico va ben oltre la dislocazione sul territorio di alcune migliaia di soldati: un nuovo soggetto viene apertamente instaurato nella relazione classe-Stato, le Forze Armate!

Questo l’elemento politico dominante del nefando decreto legge. Un’attuazione derivata dai rapporti di forza, infatti il tentativo di “coinvolgere” l’esercito in funzione di Polizia Giudiziaria risale agli anni ’50 e solo la resistenza operaia e proletaria riuscì a demolire tale progetto. L’attuale dislocazione dei militari ha perciò una qualità nuova anche rispetto alla funzione di controllo del territorio assegnatagli durante l’aggressione al popolo iracheno pur inserendosi nel medesimo indirizzo. Infatti anche se secondaria rispetto al dato politico sopra esposto, l’assegnazione di questa funzione e la sua dislocazione sul terreno obbedisce alle linee politico-miltari della NATO in relazione alla nuova dottrina detta “presenza avanzata”, nonché alla necessità posta alle Forze Armate dai nuovi e fattivi scenari bellici di riqualificare e professionalizzare l’esercito sulla direttrice dettata dal nuovo modello di difesa italiano che ricalca la dottrina NATO.

In sostanza si sta assistendo ad una serie di interventi apertamente coercitivi che più in generale vanno a pesare e si riflettono sul più complessivo clima politico-generale dello scontro, contribuendo a definire il terreno su cui si giocano i termini di relazione fra campo proletario e Stato in questo momento. In quanto tendono a stabilire un rapporto con il contesto del conflitto di classe da parte dello Stato che permetta di gravare ed intervenire sullo stesso in modo costante e decisivo. E ciò a maggior ragione in una fase in cui all’interno di un quadro di polarizzazione oggettiva dei rapporti fra le classi e di una condizione prebellica emergono con chiarezza tutti i tratti di instabilità e crisi della borghesia imperialista e di converso maturano e trovano terreno di sviluppo i termini possibili e necessari delle potenzialità rivoluzionarie che dalle premesse storiche maturate nel corso della lotta di classe rivoluzionaria nelle metropoli, non può che presentarsi come guerra di classe rivoluzionaria portata avanti dall’avanguardia rivoluzionaria armata e dai settori più avanzati dell’autonomia politica di classe organizzati sulla strategia della lotta armata come dimostrato dalla pratica e progettualità delle BR. Una condizione che in termini concreti e prospettici, sul terreno dello scontro di classe, pone allo Stato la necessità di un intervento preventivo nel rapporto conflittuale che lo oppone al proletariato, a partire dal suo punto più alto (strategia della lotta armata), e del suo necessario governo di normalizzazione e contenimento, in una prospettiva di ricomposizione forzosa sul piano politico all’interno delle diverse forme di irreggimentazione lealista sugli interessi generali della borghesia imperialista, non ultima la prospettiva bellica. Una dinamica che comporta un conseguente sviluppo dei processi di controrivoluzione preventiva intorno cui vincolano gli stessi processi di rafforzamento dello Stato, strettamente connaturati alla sostanza antiproletaria e controrivoluzionaria di questi interventi.

Un procedere intorno a cui si sono anche date una serie di modificazioni sostanziali rispetto alla piena funzionalizzazione degli organismi coercitivi dello Stato intorno all’operato dell’Esecutivo. Una serie di modifiche che ovviamente non attengono all’espressione organica di uno “Stato di polizia” o alla “miltarizzazione della società”, ma in realtà sul piano delle trasformazioni delle relazioni fra i vari apparati dello Stato riflettono principalmente quel processo di accentramento e verticalizzazione del potere nell’Esecutivo in quanto concentra le leve di questi strumenti e apparati nelle mani del governo stesso che ne centralizza gli indirizzi, le funzioni e le competenze, all’interno del più complessivo quadro di rafforzamento del regime.

Una dinamica controrivoluzionaria del resto tanto più evidente di fronte agli scenari di guerra che fanno da sfondo e accompagnano i passaggi della crisi del sistema imperialista. Un piano su cui lo Stato italiano ha maturato significativi salti di qualità nella capacità di intervento diretto sui principali teatri bellici, funzionale all’escalation delle politiche aggressive del complesso della catena imperialista. Un ruolo che non solo ha superato i limiti di un intervento prettamente politico-diplomatico o di semplice sostegno militare in un quadro concordato di ruoli e competenze fra i diversi paesi imperialisti propri della fase precedente, ma più sostanzialmente in questa fase internazionale, caratterizzata da un approfondirsi della tendenza alla guerra imperialista, e lo stesso intervento in Yugoslavia sta a dimostrarlo, si va sempre più sostanziando per un ruolo direttamente interventista assunto in prima persona, che d’oltre modo porta in luce il proposito di una politica di potenza da estendere sulle sue “naturali e storiche” aree di influenza, al fine di ritagliarsi un proprio spazio nel complesso della catena imperialista.

Una dinamica guerrafondaia che a maggior ragione presuppone la ricerca di un contesto di scontro fra le classi interno totalmente pacificato. Un contesto di scontro che nella realtà, ben al di là delle velleità borghesi, a tutt’oggi costituisce il limite politico con cui lo Stato deve misurarsi, per la resistenza opposta dal campo proletario alle sue scelte. Iniziative belliciste che riversandosi all’interno dello scontro di classe del paese non fanno che acutizzare ulteriormente le contraddizioni, polarizzando maggiormente gli interessi di classe e influendo sul modo stesso con cui lo Stato si relaziona al campo proletario. Una dinamica questa che ulteriormente si riversa sul potenziamento di tutti i meccanismi e strumenti di controrivoluzione preventiva e in ultima istanza sugli stessi processi di riforma dello Stato.

È proprio quindi a partire dal contesto materiale di scontro che oppone il campo proletario allo Stato nel segno delle sue politiche apertamente antiproletarie, controrivoluzionarie e guerrafondaie che si evidenzia il carattere di classe della lotta in corso. Un carattere segnato da un “attacco organico” da parte della borghesia imperialista alla classe, in quanto per la sua vastità e profondità investe tutti i piani e aspetti delle relazioni fra le classi, finalizzato nelle velleità borghesi a voler ricacciare ancora più indietro le posizioni politiche e di forza della classe.

Un passaggio controrivoluzionario che dal punto di vista di classe e rivoluzionario esprime al meglio la qualità politica dell’approfondimento del rapporto di scontro fra le classi e fra rivoluzione e controrivoluzione. Un approfondimento dello scontro sia sul piano politico-generale tra classe e Stato e sia su quello fra rivoluzione e controrivoluzione che sostanzialmente si situa in continuità con il contesto controrivoluzionario degli anni ’80. Un approfondimento del rapporto di scontro che si è delineato proprio a partire dalle risultanze politiche e materiali prodotte dalla controffensiva dello Stato nel decennio scorso che, pur producendo un arretramento delle posizioni di forza del campo proletario e un relativo ripiegamento della sua avanguardia rivoluzionaria, le BR, non è riuscita tuttavia né a produrre una normalizzazione e pacificazione effettiva del conflitto di classe e, in particolar modo, una “sterilizzazione” della capacità di espressione dei settori più avanzati dell’autonomia politica di classe; né tanto meno ad inibire il portato politico dell’attività delle BR all’interno dello scontro. Fattori politici questi che al contrario di un “esaurimento” delle condizioni del processo rivoluzionario si sono tradotte in un approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione. In particolar modo questo dato va messo in relazione a come la soggettività rivoluzionaria, le BR per la costruzione del Partito Comunista Combattente, hanno saputo affrontare in termini strategici e concreti i compiti politici derivanti dallo scontro, lavorando allo spostamento dei rapporti di forza fra le classi e contribuendo alla tenuta complessiva dello stesso campo proletario di fronte alla controffensiva dello Stato, rilanciando al contempo i termini e i terreni di sviluppo della guerra di classe rivoluzionaria, determinando una maggiore maturità e spessore alla stessa proposta rivoluzionaria.

La questione fondamentale che si è riaffermata all’interno della prassi delle BR è la forza determinante della strategia della lotta armata come asse portante e propulsiva del processo rivoluzionario e fattore strategico guida per lo stesso processo di riadeguamento intrapreso dalle BR nella fase della Ritirata Strategica rispetto all’assunzione del loro ruolo e funzione di direzione rivoluzionaria dello scontro. Per questo le BR nel mantenimento e riferimento costante alle discriminanti dell’impianto di asse, sia gli assi strategici che i presupposti cardine della guerriglia (strategia della lotta armata, unità del politico e del militare, clandestinità e compartimentazione, principi di costruzione del PCC, concezione della guerra di classe di lunga durata, …) hanno potuto ridefinire i compiti attuali inerenti alla conduzione della Guerra di Classe di Lunga Durata, anche grazie ad una più precisa definizione della condotta della guerra rivoluzionaria nelle metropoli in riferimento alle leggi che la governano. Una maturità della proposta politica che si è resa subito evidente nell’esplicazione dell’attività concreta messa in campo sui terreni programmatici, veri e propri assi strategici di combattimento, dell’attacco al cuore dello Stato e l’attacco alle politiche centrali dell’imperialismo. Ovvero misurando il proprio attacco contro i progetti dello Stato che si contrapponevano alla classe in termini dominanti nelle diverse congiunture, determinandone il loro relativo ripiegamento e nello stesso tempo lavorando per consolidare il grado di maturità raggiunto dallo scontro dentro al necessario termine politico militare e di organizzazione delle forze rivoluzionarie e proletarie sul terreno della lotta armata al fine di attrezzarle nello scontro prolungato contro lo Stato. Sia operando al rilancio dell’attività antimperialista in una pratica di combattimento indirizzata contro le politiche centrali dell’imperialismo e, intorno al criterio di una politica di alleanze con le altre Forze Rivoluzionarie dell’area, hanno lavorato concretamente alla costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista.

In particolar modo, asse discriminante della linea politica e strategica delle BR è l’attacco al cuore dello Stato che costituisce il solo modo, storicamente determinato, di procedere nella guerra di classe di lunga durata nelle metropoli e intorno a cui ruota la capacità di operare la direzione e l’organizzazione dello scontro rivoluzionario. E ciò a partire dalla considerazione che la questione dello Stato è questione fondamentale per i comunisti, e il suo abbattimento è un obiettivo imprescindibile al fine di conquistare il potere politico e instaurare la dittatura del proletariato. In questo senso le BR fanno propri i termini di fondo dell’analisi leninista dello Stato in rapporto a come questo esplica le sue funzioni a questo stadio di sviluppo dell’imperialismo per le diversità sopravvenute nelle sue forme di dominio. Analisi scientifica della macchina statale che risulta essenziale per centrare adeguatamente l’attacco per colpire al punto più alto dello scontro al fine di incidere sui rapporti di forza generali tra le classi. In questo senso per le BR non si tratta di coprire obiettivi “simbolici” o sviluppare la propria iniziativa a partire da un “punto qualsiasi” del rapporto di scontro tra le classi, bensì colpire quello che nella congiuntura è l’aspetto dominante della contraddizione principale che matura nel rapporto classe/Stato, le politiche centrali che riguardano direttamente la ridefinizione dei rapporti politici e di forza tra campo proletario e Stato, e le modalità di governo relative alla mediazione politica fra le classi.

Questo è il “cuore dello Stato”, un obiettivo altamente politico su cui si misurano gli stessi sviluppi del processo di guerra di classe di lunga durata e si costruiscono i termini dell’organizzazione di classe sulla lotta armata. Il giusto criterio affermatosi nella pratica rimanda alla capacità di riferirsi ai criteri di centralità, selezione e calibramento dell’attacco. Criteri che guidano l’attacco e la scelta dell’obiettivo e che saranno determinanti per molte fasi ancora nello scontro, perché è solo nella fase finale di Guerra Civile Dispiegata che lo Stato può essere attaccato contemporaneamente su più livelli.

L’iniziativa rivoluzionaria così indirizzata causa una ricaduta in termini di relativa crisi del quadro politico istituzionale che rimette parzialmente in gioco gli equilibri fra le classi, fino al piano capitale/lavoro. La disarticolazione del nemico non solo lo indebolisce, lo “danneggia”, lo costringe a ripiegare, certo non dai suoi obiettivi (rispondendo questi ad un carattere di necessità generale per la borghesia imperialista), ma nel percorso di assestamento dei successivi passaggi del progetto politico dominante; nello spostamento (relativo) dei rapporti di forza a favore del campo proletario, che l’attacco determina, si apre uno spazio politico che per non essere disperso deve essere sintetizzato in forza politica. Per le BR significa tradurlo in termini politico-militari, ovvero va trasformato in organizzazione di classe sul terreno della lotta armata, organizzando e disponendo sulla lotta armata le componenti proletarie e rivoluzionarie che si rendono disponibili, per attrezzarle a sostenere lo scontro prolungato contro lo Stato e far avanzare il processo rivoluzionario. È dentro questa dialettica “attacco-costruzione-organizzazione-attacco” che le BR si fanno carico di rappresentare gli interessi generali del proletariato ed operano per ricostruire le condizioni politiche e materiali per un equilibrio politico e di forza a favore del campo proletario, esplicando al contempo la funzione di direzione rivoluzionaria e facendo vivere in tutta la sua concretezza e il suo portato la strategia della lotta armata come proposta a tutta la classe;

Le iniziative di combattimento sviluppate sul terreno dell’attacco al cuore dello Stato hanno reso evidente la qualità stessa del riadeguamento intrapreso dalle BR durante la fase di Ritirata Strategica e al cui interno è stato possibile definire i termini di apertura della fase specifica di Ricostruzione, una fase che pur informata dai caratteri generali della fase di Ritirata Strategica e, presentandosi nel contesto della controrivoluzione, tale da influenzarne la dinamica di svolgimento, per le BR costituisce un elemento fondamentale di avanzamento della guerra di classe e termine prioritario su cui porre le basi per il mutamento dei rapporti di forza e passaggio politico necessario su cui si dà uscita sostanziale della Ritirata Strategica e dal mandato politico da essa posto. Per questo, per le BR, l’affrontamento della complessa fase di ricostruzione si pone come obiettivo programmatico fondamentale, implicando a partire dallo sviluppo dell’attività rivoluzionaria sugli assi programmatici di combattimento, una più precisa strutturazione e disposizione delle forze in campo per meglio attrezzarle allo scontro prolungato contro lo Stato, uno sviluppo della dialettica guerriglia/autonomia di classe adeguata a questo livello di approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione.

La fase di Ricostruzione definisce quindi le stesse modalità concrete entro cui si dà possibile e necessario sviluppare organizzazione di classe sulla lotta armata indirizzate sul duplice binario costruzione-formazione, tese a ricostruire nel tessuto di classe i livelli di organizzazione politico-militare necessari allo sviluppo dello lotta contro lo Stato, e formazione dei rivoluzionari stessi perché acquisiscano la dimensione dello scontro a partire dalla ricca esperienza accumulata dalle BR in questi venti anni. In altre parole la fase di Ricostruzione nel suo sviluppo e nelle sue finalità comporta l’attrezzare su tutti i piani le forze proletarie e rivoluzionarie alle condizioni dello scontro, al fine di ristabilire i termini politico-militari per nuove offensive. E ciò ha implicato per le stesse BR un salto qualitativo nella loro attività di direzione, attraverso il salto alla centralizzazione politica delle forze in campo intorno alla loro attività generale. Il salto alla centralizzazione politica significa che tutte le forze lavorino all’interno del piano generale di lavoro delle BR, al fine di muovere come un sol cuneo sugli obiettivi perseguiti in modo da incidere con tutta la forza nello scontro e dispiegare intorno a ciò tutta l’attività di costruzione-consolidamento dell’organizzazione di classe.

La capacità di esprimere questo livello di direzione in riferimento stretto alla costruzione del complesso dei termini della guerra di classe, operando nel giusto criterio del “Agire da Partito per costruire il Partito” ha sicuramente posto le basi per un avanzamento del processo di costruzione del PCC. In quanto per le BR il problema della costruzione del PCC non è inteso come atto volontaristico o in cui la semplice formulazione di tesi politiche e del relativo programma è vista come sufficiente per la costituzione dell’avanguardia in Partito. Sul piano di sviluppo della strategia della lotta armata, operando nell’unità del politico e del militare, il processo di costruzione del Partito marcia strettamente in rapporto alla capacità di costruire e far avanzare il complesso delle condizioni politiche e militari per il dispiegamento della guerra di classe. Più semplicemente il problema del Partito non è solo ricondotto alla mera disposizione intorno al programma, ma più concretamente a come esso vive in rapporto alla strategia della lotta armata, operando nell’unità del politico e del militare rispetto a tutti i suoi termini: dall’accumulo di forze rivoluzionarie e proletarie intorno alla costruzione dell’organizzazione di classe armata, alla costruzione della direzione politica su di essa, alla costruzione di quadri politico-militari in grado di affrontare complessivamente i problemi dello scontro rivoluzionario…

È quindi all’interno di questi criteri d’attività e all’interno del più complessivo processo di costruzione del PCC che le BR danno sostanza alla parola d’ordine dell’“unità dei comunisti”. Parola d’ordine che non è intesa come unità generica sulla lotta armata ma va intesa come processo che ha il suo riferimento intorno all’indirizzo strategico, politico e programmatico delle BR in stretto riferimento ai livelli teorici, politici e organizzativi che la stessa prassi delle BR ha attestato nello scontro rivoluzionario.

Altro asse programmatico su cui le BR dispiegano la propria attività è il piano dell’antimperialismo imperniato sullo sviluppo di una politica di alleanze contro il nemico comune, con le forze rivoluzionarie che operano nella nostra area geopolitica, ciò al fine di indebolire e ridimensionare l’imperialismo costruendo, all’interno del processo di costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista, i termini per offensive comuni contro le sue politiche centrali, condizione imprescindibile per dare sviluppo allo stesso processo rivoluzionario. Terreno programmatico anche questo intorno cui le BR costruiscono i termini politico-militari e di organizzazione di classe funzionali allo sviluppo della guerra di classe.

In sintesi ribadiamo che l’intera attività politico-militare delle BR, e in particolare i passaggi politici compiuti in questi ultimi anni, dimostra la valida applicazione della strategia della lotta armata alla realtà concreta del nostro paese sancendone il ruolo di direzione delle BR nello scontro rivoluzionario il Italia. Un dato questo da cui nessuno può prescindere che costituisce l’unica strada perché si dia avanzamento alla prospettiva di potere per il proletariato nel nostro paese.

– Attaccare e disarticolare il progetto di rifunzionalizzazione degli istituti e poteri dello Stato che nella fase attuale evolvono verso una Seconda Repubblica!

– Attaccare e disarticolare i progetti guerrafondai della borghesia imperialista nostrana che si attuano all’interno dell’alleanza imperialista!

– Organizzare i termini politico-militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata!

– Contribuire alla costruzione ed al rafforzamento del Fronte Combattente Antimperialista nella nostra area geopolitica, per combattere i progetti dell’imperialismo sulla linea della coesione europea, sia nei progetti di guerra diretti dalla NATO che si dispiegano in questo momento sulla regione mediterranea-mediorientale e lungo l’asse dei paesi dell’Est Europa!

– Guerra alla guerra, guerra alla NATO!

– Onore a tutti i rivoluzionari caduti combattendo l’imperialismo!

 

28/9/92

I militanti delle Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente: Maria Cappello, Fabio Ravalli

Fonte: senzacensura.org

Processo per i fatti di Piazza Alberti – Dichiarazione di Pasquale Abatangelo

Firenze – 11 maggio 1976

In questa società composta di sfruttati e di sfruttatori, noi ci siamo schierati con la nostra classe, mettendo nella lotta tutte le nostre capacità di militanti comunisti. Come classe oppressa intendiamo l’esproprio alla borghesia una tappa obbligata nella costruzione del potere proletario. Le espropriazioni che per ora sono sporadiche e legate alla esigenza della nostra crescita, non sono che un anticipo all’espropriazione totale che la rivoluzione comunista attuerà nei confronti dei padroni. Il 29 ottobre 1974, durante un esproprio, in piazza Alberti caddero sotto il piombo dei cani da guardia della borghesia, i compagni Romeo e Mantini. La loro morte ha creato nelle avanguardie proletarie una presa di coscienza e una determinazione ad andare fino in fondo.

I N.A.P. sono oggi una realtà con cui i padroni e i loro servi dovranno fare i conti, Romeo o Mantini rivivono nelle nostre lotte e le azioni più importanti sono firmate “29 Ottobre” in loro onore. L’assassinio a sangue freddo di Anna Maria Mantini (fondatrice del nucleo armato 29 Ottobre) ci ha poi convinti definitivamente dell’importanza di ripagare con la stessa moneta i sicari o i loro mandanti. Di Gennaro, Vernich, Margariti, Tuzzolino e gli assalti armati ai covi dei carabinieri, sono solo il punto di partenza verso l’obiettivo di annientare le forze reazionarie.

In questa prospettiva ci siamo uniti con i compagni delle B.R. e con tutti i rivoluzionari e i comunisti degni di questo nome. I frutti di questa unione saranno molto amari per chi è abituato da 30 anni a ragionare in termini di voti conservando intatto il potere delegatogli dagli imperialisti. Come rivoluzionari non ci interessa il giudizio dei borghesi né quello dei loro lacchè; vogliamo creare una società alternativa a questa ed usiamo tutti i mezzi che le circostanze ci suggeriscono. La vostra “giustizia” si configura come una vendetta verso i compagni e come premio verso i servi per cui non ci interessa, anzi ci interessa solo il metodo per disorganizzarla e smascherarla agli occhi del popolo. Gli assassini di Serantini, Zibecchi, Boschi, Bruno e tanti altri proletari, sono noti a tutti, com’è noto che voi li assolvete e continuate ad assolverli per il semplice fatto che questi “killer” sono al servizio della classe dominante come lo siete voi. Anche in carcere non capita mai di vedere un borghese o un “boss” mafioso legato al letto di contenzione o in cella di punizione. Per non parlare di quelli che in carcere non ci vengono per niente, come i responsabili dei continui scandali politico-finanziari, da quello petrolifero a quello della Lockeed. Assistiamo da tempo ai vostri tentativi di criminalizzare la lotta di classe, e se questo poteva essere pericoloso qualche anno fa, oggi non fa altro che smascherarvi ogni giorno di più. I proletari sanno ormai da quale parte stanno i veri banditi, e l’abuso di questo termine ci ricorda che anche i gerarchetti fascisti davano del “bandito” ai partigiani. In questo modo accettiamo di essere “banditi” per voi e faremo di tutto per meritarlo sempre. La dura condanna che ci darete dimostra che non bastano più le calunnie mistificatrici della vostra stampa per nascondere alle masse che nel nostro paese esiste e cresce quotidianamente una sinistra armata. Perciò accoglieremo la vostra condanna come una nostra vittoria! Comunque, egregi signori, vorremmo ricordarvi che un domani dovrete rendere conto delle vostre azioni non a dio, ma alla giustizia proletaria.

 

II proletariato non dimentica… NIENTE RESTERA’ IMPUNITO!! L’UNICA GIUSTIZIA È QUELLA PROLETARIA!! TUTTO IL POTERE AL POPOLO ARMATO!!

 

Fonte: Nuclei Armati Proletari, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione

Documenti dalle carceri e dai processi

1976
Maggio
Processo per i fatti di Piazza Alberti – Dichiarazione di Pasquale Abatangelo

1987
Marzo
Questa loquace area del silenzio
Cuneo, intervento di Giuliano De Roma

Aprile
La riforma è sempre annientamento
Documento di un gruppo di comunisti prigionieri del processo alla Colonna Napoletana delle Brigate Rosse

Maggio
Un’iniziativa da riprendere
Documento del militante delle BR-PCC Francesco Sincich allegato agli atti del processo di Genova

Riti di conservazione borghese
Milano: Processo di Appello Prima Linea – Documento di Giuseppe Bonicelli

Quale «ciclo storico» si è chiuso
Carcere di Novara

Giugno
Contro una trattativa infame
Documento dei militanti delle BR-PCC Alberta Biliato e Cesare Di Lenardo allegato agli atti del processo presso il tribunale di Venezia

La frattura fra Stato e movimento di classe
Roma: Documento di Susanna Berardi, Vittorio Bolognese, Lorenzo Calzone, Luciano Farina, Domenico Giglio, Natalia Ligas, Giovanni Senzani

Carcere di Novara. Per la ripresa della sinistra di classe
Alcune considerazioni in merito alla «battaglia di libertà» proposta da Bertolazzi, Curcio, Jannelli e Moretti

Movimentisti incalliti e falsi ingenui
Documento di alcuni prigionieri BR di Rebibbia

Luglio
I palestinesi e lo Stato imperialista italiano
Carcere di Trani – Comunicato di Hamidan Karmawi Ibrahim

Agosto
Cuneo: La lotta armata e gli sciacalli
Documento di Pasquale De Laurentis, Maurizio Ferrari, Aleramo Virgili

Quale «liberazione degli anni ’70»
Carcere di Novara – Documento di Prigionieri Comunisti per la Guerriglia Metropolitana

Settembre
Le Brigate Rosse contro la soluzione politica.
Carcere di Cuneo – Documento dei militanti delle BR-PCC Piero Bassi, Cesare Di Lenardo, Franco Sincich (Depositato agli atti – Tribunale Torino)

Necessità della rottura rivoluzionaria
Carcere di Cuneo – Documento di Renato Bandoli

La linea di demarcazione.
Carcere di Cuneo – Documento di Adriano Carnelutti, Giuliano Deroma, Carlo Garavaglia, Ario Pizzarelli

Ricostruzione del movimento rivoluzionario o soluzione-dissoluzione politica
Note intorno al dibattito sulla liberazione.
Carceri di Cuneo e Rebibbia – Documento di Paolo Cassetta, Prospero Gallinari, Francesco Lo Bianco, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti

La nostra memoria storica: la scelta di rottura radicale con lo Stato.
Carcere di Voghera – Documento di Laura Braghetti, Fernanda Ferrari, Caterina Francioli, Inge Kitzler, Patrizia Sotgiu

L’unico processo di liberazione possibile: rivoluzione sociale
Carcere di Voghera – Documento delle prigioniere comuniste per la guerriglia metropolitana Aurora Betti, Ada Negroni, Teresa Romeo, Marina Sarnelli

Un’ipoteca sulla ripresa rivoluzionaria
Carcere di Voghera, alcune compagne

Criticare non assolutizzare gli errori
Documento di un gruppo di prigionieri (Kamo)

Ottobre
Il confronto deve partire dalla realtà
Carcere di Cuneo – Documento di alcuni comunisti prigionieri

1988

Aprile
Roma, processo Moro-Ter.
Dichiarazione di Vittorio Antonini allegata agli atti

Roma, processo Moro-ter – Dichiarazione di Susanna Berardi, Vittorio Bolognese, Lorenzo Calzone, Luciano Farina, Natalia Ligas, Giovanni Senzani

Roma – Dichiarazione dei militanti Br-Pcc Domenico Delli Veneri, Antonino Fosso, Sandro Padula, Remo Pancelli

Giugno
Lottare contro la tortura e l’isolamento.
Documento di alcuni detenuti del carcere di Cuneo

Identità politica.
Tribunale di Venezia – Documento di Cesare Di Lenardo, militante delle BR-PCC allegato agli atti

Contro il nemico sionista
Carcere di Rebibbia, documento di Ahmad Sereya e Birawi Tamer

A proposito della rifunzionalizzazione dello Stato
Carcere di Rebibbia – Documento di alcuni militanti prigionieri delle BR/PCC

Contro l’isolamento di Abdullah El Mansouri
Carcere di Cuneo, documento del Collettivo prigionieri antimperialisti “La linea di demarcazione”

Luglio
Un esempio di collaborazione poliziesca.
Dichiarazione di Alessandra Di Pace, Gianfranca Lupi, Francesco Tolino al processo di estradizione della “Audiencia National” spagnola

Sono maturati i tempi.
Carcere di Latina – Documento delle prigioniere comuniste per la Guerriglia Metropolitana – Susanna Berardi, Anna Cotone, Natalia Ligas, Rosa Mura, Teresa Romeo, Marina Sarnelli, Caterina Spano, Pia Vianale

Settembre
Costruire e consolidare il Fronte Combattente Antimperialista
Roma, processo per Insurrezione – Dichiarazione comune di Brigate Rosse e Rote Armee Fraktion letta in aula dai militanti delle BR-PCC Sandro Padula e Francesco Sincich il 4.4.89

Ottobre
Unità nella lotta antimperialista.
Processo di Roma – Comunicato dei militanti delle BR-PCC Cappello Maria, Grilli Enzo, Grilli Franco, Lori Flavio, Marini Fausto, Matarazzo Fulvia, Minguzzi Stefano, Ravalli Fabio e dei militanti rivoluzionari: Bencini Daniele, Prudente Cesare, Pulcini Carlo, Vaccaro Vincenza, Venturini Marco letto in aula e allegato agli atti

Per l’unità dei rivoluzionari nella lotta contro l’imperialismo.
Allegato agli atti del processo Moro-ter, Seconda Corte d’Assise di Roma

Novembre
Firenze – Dichiarazione dei militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente Maria Cappello e Fabio Ravalli

Da un militante BR processato in Svizzera.
Documento di Antonio De Luca messo agli atti

1989
Marzo
Costruire e consolidare la rivoluzione in Sardegna
Seconda Corte d’Assise di Roma, Dichiarazione di Pietro Coccone e Mauro Mereu agli atti del processo “BR-Insurrezione armata contro i poteri dello stato”

Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.
Roma, Aula bunker, processo di appello per le armi – Comunicato dei militanti delle BR-PCC Maria Cappello, Enzo Grilli, Franco Grilli, Flavio Lori, Fausto Marini, Stefano Minguzzi, Fulvia Matarazzo, Fabio Ravalli e dei militanti rivoluzionari Daniele Bencini, Cesare Prudente, Carlo Pulcini, Vincenza Vaccaro letto in aula

La lotta dei compagni prigionieri tedeschi è la nostra lotta!
Carcere di Novara – Comunisti prigionieri del “Blocco B”

Sosteniamo la lotta dei compagni prigionieri contro l’isolamento!
Seconda Corte di Assise di Roma, Processo “BR – Insurrezione armata contro i poteri dello stato” – Documento di alcuni compagni del “Collettivo Comunisti Prigionieri, Wotta Sitta” Vittorio Bolognese, Salvatore Colonna, Natalia Ligas, Giovanni Senzani agli atti del processo

Il processo per insurrezione armata contro i poteri dello Stato come dichiarazione di morte presunta della guerriglia in Italia.
Corte d’Assise di Roma, Comunicato dei militanti delle BR-PCC Sandro Padula e Francesco Sincich consegnato durante il processo

Aprile
Proposta al dibattito sulla continuità e ripresa del movimento rivoluzionario.
Roma, processo per “insurrezione” – Dichiarazione di Mario Fracasso, Maurizio Ferrari, Mario Mirra messa agli atti

Maggio
Riaffermare i principi comunisti e gli insegnamenti della lotta rivoluzionaria.
Roma, processo “BR-Insurrezione“
Dichiarazione di Vittorio Antonini allegata agli atti

Continuare la lotta contro lo sfruttamento e la politica guerrafondaia dell’imperialismo.
Roma, processo per “Insurrezione”
Dichiarazione dei militanti delle BR-PCC Sandro Padula, Franco Sincich letta in aula e allegata agli atti

L’identità dei prigionieri rivoluzionari è parte integrante dello scontro di classe.
Dichiarazione di alcuni compagni del Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta – Vittorio Bolognese, Salvatore Colonna, Natalia Ligas, Giovanni Senzani allegata agli atti.
Seconda Corte d’Assise, Roma – “Processo Insurrezione Armata – Guerra Civile”

Dichiarazione di Mario Mereu e Pietro Coccone

Giugno
Quale superamento?
Un’altra voce dal processo della Unione dei Comunisti Combattenti
Documento di Alessandra Di Pace, Gianfranca Lupi, Roberto Simoni, Francesco Tolino

Approfondire la crisi politica della borghesia imperialista
Tribunale di Milano, processo di appello per le armi – Comunicato dei prigionieri BR-PCC Tiziana Cherubini, Rossella Lupo, Franco Galloni depositato agli atti

Luglio
Contro la deportazione e per il definito e incondizionato rimpatrio in Sardegna.
Documento di Giacominu Baragliu, Vincenzo Piras, Costantinu Pirisi

Roma: Lettera aperta al movimento rivoluzionario.
Collettivo Wotta Sitta

Dicembre
Lo Stato e il monopolio della violenza
Processo “BR Insurrezione” 2° troncone – Dichiarazione di Renato Bandoli allegata agli atti

Processo per “Insurrezione” – Secondo troncone. Documento dei militanti delle Br-Pcc Alberta Biliato, Cesare Di Lenardo, Antonino Fosso, Flavio Lori allegato agli atti

Il ruolo politico del Fronte Combattente Antimperialista
Firenze, Aula Bunker Santa Verdiana – Processo alla “Brigata Luca Mantini”
Comunicato dei militanti delle BR-PCC Maria Cappello e Fabio Ravalli letto e allegato agli atti

Il processo di costruzione del PCC attraverso la direzione strategica della guerra di classe.
Firenze, Aula Bunker Santa Verdiana – processo alla “Brigata Luca Mantini”
Documento dei militanti delle BR-PCC Maria Cappello e Fabio Ravalli allegato agli atti

La controrivoluzione degli anni ’80 e i compiti delle forze rivoluzionarie.
Roma, Aula Bunker Rebibbia, Processo per insurrezione – Documento di Marcello Ghiringhelli allegato agli atti

Costruire i termini attuali della guerra di classe.
Roma, Aula bunker Rebibbia – Processo insurrezione – Documento dei militanti delle BR-PCC Alberta Biliato, Cesare Di Lenardo, Antonino Fosso, Flavio Lori allegato al processo

Il nostro sostegno militante alle compagne e ai compagni della RAF. Documento di Giuliano De Roma, Ario Pizzarelli, Patrizia Sotgiu messo agli atti del processo per “Insurrezione”

Per la costruzione del Fronte Rivoluzionario in Europa occidentale.
Roma, Processo per “Insurrezione”, documento dei Aurora Betti e Nicola De Maria allegato agli atti

1990

Febbraio
Grazie di cuore alla democrazia italiana! Comunicato di Hamidan Karmawi, militante rivoluzionario arabo-palestinese

Solidarietà con i prigionieri politici spagnoli in sciopero della fame per il raggruppamento! Carcere di Marino del Tronto, documento di Pietro Coccone e Giovanni Senzani

Contro il pestaggio dei prigionieri del blocco B di Novara.
Alcune compagne del carcere speciale di Latina

Costruire e organizzare i termini attuali della lotta di classe
Corte di Assise di Appello di Genova, processo di appello per associazione sovversiva – Documento agli Atti di Simonetta Giorgieri militante delle BR-Pcc

Disarticolare il progetto di rifunzionalizzazione dello Stato
Quinta Corte d’Assise di Roma, processo per “banda armata” – Dichiarazione letta in aula e allegata agli atti dei militanti delle BR-PCC Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Galloni, Enzo Grilli, Franco Grilli, Flavio Lori, Rossella Lupo, Fausto Marini, Fulvia Matarazzo, Stefano Minguzzi, Fabio Ravalli dei militanti rivoluzionari Daniele Bencini, Carlo Pulcini, Vincenza Vaccaro, Marco Venturini.

Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.
Documento del militante delle BR-PCC Giuseppe Armante

La priorità dell’antimperialismo nella prassi rivoluzionaria della guerriglia.
Quinta Corte d’Assise di Roma – Dichiarazione dei militanti delle BR-PCC Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Galloni, Enzo Grilli, Franco Grilli, Flavio Lori, Rossella Lupo, Fausto Marini, Fulvia Matarazzo, Stefano Minguzzi, Fabio Ravalli e dei militanti rivoluzionari Daniele Bencini, Carlo Pulcini, Vincenza Vaccaro, Marco Venturini allegata agli atti del processo per “banda armata”

Marzo
Napoli: Lottare insieme
Alcune compagne del Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta del carcere di Latina. Susanna Berardi, Anna Cotone, Natalia Ligas, Rosa Mura, Caterina Spano, Maria Pia Vianale

Aprile
Per una conoscenza critica dei lineamenti essenziali della “perestroika”.
Carcere speciale di Novara, Blocco B – Il militante delle BR-PCC Sandro Padula

Maggio
Attaccare e disarticolare il progetto controrivoluzionario e antiproletario di “riforma” dello Stato.
Corte d’Assise di Forlì, “Processo Ruffilli” – Documento dei militanti delle BR-Pcc Cappello Maria, Cherubini Tiziana, De Luca Antonio, Galloni Franco, Grilli Franco, Lupo Rossella, Matarazzo Fulvia, Minguzzi Stefano, Ravalli Fabio e dei militanti rivoluzionari Bencini Daniele, Vaccaro Vincenza, Venturini Marco allegato agli Atti.

Giugno
Unità dei prigionieri politici europei nella lotta contro il blocco imperialista
Alcuni compagni del carcere di Trani

Luglio
Roma: Dichiarazione dei militanti arabi Hamidan Karmawi e Hammami Ahmed allegata agli atti del processo per “banda armata”

Prima Corte d’Assise di Roma, Processo “Tarantelli”, Dichiarazione di Antonino Fosso allegata agli Atti

Settembre
Sulle condizioni in cui si svolge il processo rivoluzionario.
Corte d’Appello di Parigi, prima Chambre d’accusation. Documento dei militanti delle BR per la costruzione del PCC Giorgieri Simonetta, Vendetti Carla e dei militanti rivoluzionari Bortone Nicola e Gino Giunti letto all’appello all’ordinanza di prolungamento della carcerazione preventiva.

Roma: La mia assenza è un atto d’accusa
Comunicato del militante arabo Hamidan Karmawi Ibrahim

Il tallone imperialista nel Tricontinente e la “crisi del Golfo”
Carcere di Novara – Documento del militante delle Br-Pcc Sandro Padula

Ottobre
NO ALL’ISOLAMENTO!
Documento di un gruppo di compagni del carcere di Trani

Lottare uniti contro l’imperialismo in Europa e nel Tricontinente del Sud
Seconda Corte di Assise di Roma – Documento di alcuni compagni del Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta, Luciano Farina, Giovanni Senzani, allegato agli atti del processo BR-Romiti.

Novembre
Analisi sull’imperialismo
Documento di un gruppo di compagni detenuti nel carcere di Cuneo

La centralità della guerriglia nel processo rivoluzionario
Quarta Corte d’Assise d’Appello di Roma – Dichiarazione del militante rivoluzionario Carlo Garavaglia allegata agli atti del processo M.C.R. (Movimento Comunista Rivoluzionario)

Dicembre
Attaccare  il cuore dello Stato attaccare le politiche centrali dell’imperialismo.
Tribunale di Cuneo – Comunicato presentato il 18 dicembre 1990 dai militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: Cesare Di Lenardo, Franco Galloni, Stefano Minguzzi

1991
Gennaio
Contro la guerra imperialista
Seconda Corte d’Assise di Roma, processo “BR-Romiti” – Documento allegato agli atti di Luciano Farina e Giovanni Senzani del Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta

Guerra alla guerra imperialista
Seconda Corte di Assise di Roma – Dichiarazione dei militanti BR-PCC Giuseppe Armante, Antonio De Luca, Franco La Maestra allegata agli atti del processo del 7-1-91

Febbraio
Guerra alla guerra
Seconda Corte d’Assise di Roma – Processo “BR-Romiti”
Documento allegato agli atti di Luciano Farina e Giovanni Senzani del Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta

Marzo
Tribunale di Cuneo. Documento dei militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente Cesare Di Lenardo, Franco Galloni, Stefano Minguzzi

Aprile
Sesta Corte Penale, Napoli – Documento di Anna Cotone del Collettivo Comunisti Prigionieri “Wotta Sitta” allegato agli atti del processo-stralcio del Moro Ter

Tribunale di Bologna. Dichiarazione dei militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito comunista combattente Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Antonio De Luca, Franco Galloni, Franco Grilli., Rossella Lupo, Fulvia Matarazzo, Stefano Minguzzi, Fabio Ravalli e dei militanti rivoluzionari Daniele Bencini, Vincenza Vaccaro, Marco Venturini

Tribunale di Bologna. Documento allegato agli atti dei militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente: Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Antonio De Luca, Franco Galloni, Franco Grilli, Rossella Lupo, Fulvia Matarazzo, Stefano Minguzzi, Fabio Ravalli e dei militanti rivoluzionari Daniele Bencini, Vincenza Vaccaro, Marco Venturini

Maggio
Corte d’Appello di Parigi, Prima Camera d’Accusa: Dichiarazione dei militanti delle Br-Pcc Simonetta Giorgieri e Carla Vendetti e dei militanti rivoluzionari Nicola Bortone e Gino Giunti

Giugno
Carcere di Novara. Intervento dei Compagni del Collettivo Wotta Sitta alla “Giornata internazionale sulla questione della prigionia rivoluzionaria nel mondo” del 19.6.91

Settembre
Corte d’Appello di Parigi. Prima Camera d’Accusa – Documento delle militanti BR-PCC Simonetta Giorgieri, Carla Vendetti e dei militanti rivoluzionari Nicola Bortone e Gino Giunti allegato agli atti

Novembre
Roma, Processo per banda armata – Documento di Giuseppe Armante e Franco La Maestra allegato agli atti

1992
Febbraio
La pace imperialista è guerra!
Roma, processo d’appello Moro-ter – Documento allegato agli atti del Collettivo comunisti prigionieri Wotta Sitta

Roma, processo d’appello Moro-ter – Documento dei militanti prigionieri delle Br-Pcc Antonino Fosso e Sandro Padula allegato agli atti

Maggio
Firenze, processo di primo grado “Lando Conti” – Dichiarazione finale di Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli, Daniele Bencini, Marco Venturini

Le minacce e i ricatti controrivoluzionari non intaccano la militanza dei prigionieri comunisti. Documento di Stefano Scarabello dal carcere di Carinola

Firenze, processo di primo grado “Lando Conti” – Ricordo di Carlo Pulcini di Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli, Daniele Bencini, Marco Venturini

Firenze, processo di primo grado “Lando Conti“ – Documento di Maria Cappello, Antonino Fosso, Michele Mazzei, Fabio Ravalli, Daniele Bencini, Marco Venturini

Settembre
Firenze, processo alla Brigata “Luca Mantini” – Documento di Maria Cappello e Fabio Ravalli allegato agli atti all’udienza del GIP

Novembre
«In una società in cui sussistono le classi, la lotta di classe non può finire». Documento di Carla Biano allegato agli atti del processo in Corte d’Assise d’Appello di Firenze

La “campana” non addomesticata dal carcere speciale di Voghera – Documento di alcuni detenuti

1993
Gennaio
Firenze, processo alla Brigata “Luca Mantini” – Comunicato letto in aula da Maria Cappello e Fabio Ravalli

1994
Giugno
Dal processo “Aviano”.
Dichiarazione dei militanti Br-Pcc Francesco Aiosa e Ario Pizzarelli e dichiarazione di Paolo Dorigo presentate al processo di Udine relativo all’attacco alla base USA di Aviano e allegate agli atti

Giugno-agosto
Due interventi di militanti prigionieri delle BR-PCC critici rispetto ai contenuti espressi nell’azione contro la base Usa di Aviano

2002
Giugno
Carcere di Biella – Dichiarazione sull’azione contro Marco Biagi di Nicola De Maria, militante delle BR – Colonna Walter Alasia

Settembre
Seconda Corte d’Assise del Tribunale di Roma
Dichiarazione dei militanti delle Br-Pcc Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli e della militante rivoluzionaria Vincenza Vaccaro allegata agli atti del processo “esproprio-Hunt”

2003
Marzo
Tribunale di Milano, udienza del 26 marzo 2003
Dichiarazione di Francesco Aiosa, Cesare Di Lenardo, Stefano Minguzzi, Ario Pizzarelli in ricordo di Mario Galesi

Ottobre
Prima Corte d’Assise d’Appello di Roma, Processo “Esproprio”. Udienza del 07/10/2003
Dichiarazione letta in aula da Stefano Minguzzi, allegata agli atti

Prima corte d’Assise d’Appello di Roma, Processo “Esproprio”.
Dichiarazione di Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli, Vincenza Vaccaro letta in aula all’udienza del 7/10/2003

2004
Maggio
Processo di Firenze per i fatti del 2 marzo 2003
Documento della militante delle BR per la costruzione del Partito Comunista Combattente Nadia Lioce

Giugno
Processo di Firenze per i fatti del 2 marzo 2003.
Documento di Nadia Lioce letto in aula il 9 giugno 2004

Luglio
Seconda Corte di Assise di Roma, Processo D’Antona e banda armata. Udienza del 7 luglio 2005. Documento dei militanti delle BR-PCC Nadia Lioce e Roberto Morandi depositato agli atti

Settembre
Tribunale di Roma, udienza GUP 13/09/2004.
Dichiarazione di Francesco Donati allegata agli atti

Ottobre
Tribunale di Bologna, processo Biagi. Documento di Nadia Lioce e Roberto Morandi depositato agli atti dell’udienza preliminare del 5 ottobre 2004

2005
Febbraio
Tribunale di sorveglianza di Firenze – Dichiarazione del militante delle BR-PCC Roberto Morandi allegata agli atti dell’udienza del 11.02.2005 per ricorso al provvedimento di 41 bis

Tribunale di Trani, udienza del 22/2/2005
Documento di Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Rossella Lupo, Fabio Ravalli
Vincenza Vaccaro allegato agli atti del processo davanti al giudice monocratico

Marzo
Tribunale di Trani, Udienza del 2 marzo 2005
Dichiarazione di Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Rossella Lupo, Fabio Ravalli, Vincenza Vaccaro al processo davanti al giudice monocratico. In ricordo di Mario Galesi.

2006
Maggio
Processo in Corte di Assise di Appello Roma “Banda armata-D’Antona”
Documento dei militanti BR-PCC Nadia Lioce, Roberto Morandi letto in collegamento video-conferenza e allegato agli atti – Udienza dell’11/05/2006

2007

Marzo
Chi sono le mele marce?
Documento di Vincenzo Sisi, militante per la costituzione del Partito Comunista Politico militare

Maggio
Il tramonto non vincerà mai sull’alba.
Documento di Claudio Latino militante per la costruzione del partito comunista politico-militare

Ottobre
Stammheim – Mogadiscio 1977: Il coraggio dell’internazionalismo
Documento dei militanti prigionieri per la costituzione del PC P-M Davide Bortolato, Alfredo Davanzo, Claudio Latino, Vincenzo Sisi

Dicembre
12 dicembre 2007: Lo STATO delle STRAGI – Contro la RIVOLUZIONE PROLETARIA
Udienza preliminare processo “Partito Comunista Politico-Militare PC(p-m)”
Dichiarazione di Davide Bortolato, Alfredo Davanzo, Claudio Latino, Vincenzo Sisi militanti per la costituzione del PC(p-m)

Dichiarazione sciopero della fame contro l’isolamento
Processo PCP-M, militanti comunisti

2008
Marzo
Rivoluzione o controrivoluzione
Processo “Partito Comunista Politico-Militare PC(p-m)”
Dichiarazione dei militanti per la costituzione del Partito Comunista politico-militare PC(p-m)

Giugno
Contro la militarizzazione e la repressione della lotta di classe Resistenza – Rivoluzione
Dichiarazione dei Militanti Comunisti imputati al processo “Partito Comunista Politico-Militare PC(p-m)”

Novembre
Solidarietà agli ergastolani in sciopero della fame
Militanti comunisti, processo PCP-M di Milano

La rivoluzione è necessaria, la rivoluzione è possibile
Documento dei Militanti per la Costruzione del Partito Comunista Politico-Militare Bortolato Davide, Davanzo Alfredo, Latino Claudio, Sisi Vincenzo, e dei Militanti Comunisti Rivoluzionari Gaeta Massimiliano, Toschi Massimiliano

Dicembre
Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila – Comunicato di Nadia Lioce

2009
Gennaio
Come viene gestita la sezione EIV (Elevato Indice di Vigilanza)
Lettera e volantino di alcuni detenuti del carcere di Alessandria

Maggio
La rivoluzione non si processa
Processo “Partito Comunista Politico-Militare PC(p-m)”
Dichiarazione di Claudio Latino, Alfredo Davanzo, Davide Bortolato, Vincenzo Sisi

Elementi di Bilancio del Processo PC P-M.
Documento dei militanti per la costruzione del PC P-M Bortolato Davide, Davanzo Alfredo, Latino Claudio e Sisi Vincenzo e dei militanti comunisti rivoluzionari Gaeta Massimiliano e Toschi Massimiliano

2010
Gennaio
Ci costituiamo in Collettivo comunisti prigionieri.
Documento di Bortolato Davide, Davanzo Alfredo, Latino Claudio, Sisi Vincenzo, Toschi Massimiliano

Maggio
Intervento fatto in aula il 27 maggio dal compagno Claudio Latino a nome dei compagni Alfredo Davanzo, Vincenzo Sisi, Davide Bortolato del Collettivo Comunisti Prigionieri “L’Aurora” e del militante comunista prigioniero Massimiliano Toschi


Settembre
Lettera aperta di Franco Galloni alla redazione di “Solidarietà – per la costruzione del Soccorso Rosso in Italia”, ai compagni che s’interessano alla campagna di solidarietà ai prigionieri e a tutto il movimento rivoluzionario, in merito alla “campagna di liberazione dei prigionieri di lunga detenzione“.

2011
Gennaio
La più utile solidarietà ai militanti prigionieri rivoluzionari è sviluppare la lotta rivoluzionaria.
Documento del Collettivo comunisti prigionieri L’Aurora

Aprile
Lotte e composizione di classe 2010/2011
Due militanti per il PCP-M (vecchie talpe operaie)

Maggio
Primo maggio: dalla resistenza alla crisi all’organizzazione rivoluzionaria
Collettivo Comunisti Prigionieri L’Aurora

2012
Maggio
Crisi e organizzazione
Processo “Partito Comunista Politico-Militare PC(p-m)”
Dichiarazione processuale di Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi militanti per il PC P-M

A proposito della nostra firma.
Allegato non processuale di Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi

Luglio
Processo PCP-M, un bilancio
Documento dal carcere di Siano di Vincenzo Sisi e Alfredo Davanzo militanti per il PCP-M

2013
Maggio
Primomaggio – Lotte e composizione di classe 2012
Militanti per il PCP-M (vecchie talpe operaie)

Giugno
5-6 luglio 2013. Giornate internazionali di solidarietà al compagno Georges I. Abdallah
Dichiarazione dei militanti per il PC P-M Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi

Novembre
Militarizzazione e macchina mediatica
Documento dal carcere di Siano di Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi

Settembre
Contro la repressione, nuova determinazione
Documento dal carcere di Siano di Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi

FONDO VINCENZO SOLLI